Il 4 aprile scorso è venuto a mancare
Giovanni Campo, professore ordinario di
Tecnica e pianificazione urbanistica
nell’Università di Catania.
Quali parole impiegare per ricordarlo? Non
saranno mai giuste e appropriate come
vorrei.
Ho conosciuto Giovanni nel 1974, quando da
assistenti ordinari iniziavamo la nostra
carriera accademica presso la Facoltà
d’Ingegneria dell’Ateneo di Catania; eravamo
usciti dalle aule universitarie in un
periodo della storia del nostro paese
attraversato da forti tensioni sociali, da
profondi cambiamenti e da calamità naturali
(il terremoto del Belice). Questi eventi
avevano segnato molto il nostro modo di
intendere la ricerca scientifica e il nostro
stare nell’istituzione universitaria; ci
accomunava una comune convinzione: gli studi
sulla città e il territorio, in particolare
quello siciliano, non avrebbero avuto senso,
non sarebbero serviti se non venivano
alimentati da una profonda riflessione sulla
natura del nostro sistema insediativo
comunque determinato dalla struttura sociale
esistente e dalla partecipazione diretta ai
problemi quotidiani della gente comune.
Così, mentre iniziavamo le nostre prime
riflessioni sugli squilibri urbani e
territoriali in Sicilia, ci capitava spesso
di partecipare insieme a riunioni
organizzate da comitati di quartiere che
negli anni ’70, a Catania, sorgevano
spontanei, al di fuori delle logiche dei
partiti, per rivendicare il diritto alla
casa e ad una condizione urbana migliore. Ci
trovavamo di fronte ad un fenomeno
sicuramente non nuovo nella storia urbana,
quello dell’abusivismo edilizio, ma che in
quegli anni cominciava a radicarsi come
costume sociale diffuso, prima come risposta
ad un bisogno primario per i ceti sociali
più poveri e poi come casa di villeggiatura
per i ceti sociali più abbienti.
A fronte di una così palese violazione delle
regole d’uso del territorio, su cui si è
sempre fondata la disciplina urbanistica, il
nostro sapere appariva debole e gli
strumenti di controllo della legislazione
urbanistica vigente alquanto inattuali. Da
questa presa di coscienza iniziammo
itinerari di ricerca che pur avendo oggetti
di studio differenziati – dalla marginalità
urbana storica e attuale al degrado urbano e
territoriale – correvano paralleli e spesso
si nutrivano di scambi e punti di vista
anche diversi, come è normale che avvenga
fra persone che vogliano costituirsi in
comunità scientifica.
Una prima riposta alle problematiche
suscitate dall’abusivismo edilizio e
urbanistico Giovanni la intese dare con il
testo “Norme per la pianificazione
urbanistica in Sicilia”. Questo lavoro, del
1979 e ampliato con una seconda edizione nel
1981, commenta puntualmente la LrS
27.12.1978, n. 71 e con certosina pazienza
raccoglie in sintesi sistematica leggi,
decreti e circolari. Esso, ponendo l’accento
sulla complessità del pianificare, in
Sicilia in particolare, si rivolgeva alle
Amministrazioni pubbliche e soprattutto ai
singoli cittadini, e a questo Giovanni
teneva molto, perché potessero meglio
comprendere i propri doveri e i propri
diritti in tema di servizi sociali (casa,
scuola, attrezzature sanitarie, ecc.). Era
un suo dichiarato auspicio che tali diritti
divenissero oggetto di riflessione
quotidiana da parte dei Consigli di
quartiere.
Accanto al tema dell’abusivismo edilizio,
per il quale ha proposto intelligenti
soluzioni sia che esso si manifestasse nei
nostri centri storici, sia che fosse
componente costitutiva delle nuove periferie
urbane, Giovanni Campo ha declinato un
interesse specifico verso la nozione di
rischio delle nostre città e del nostro
territorio con particolare riguardo a quello
sismico.
Egli, nel solco di confronti già avviati dal
1971 con urbanisti, sismologi e scienziati
delle costruzioni (Vincenzo Cabianca, Alfred
Rittmann, Marcello Carapezza, Giuffrè,
Grandori, Petrini, Gavarini) e delle
ricerche promosse negli anni ’80 dal
CNRG.N.D.T. (Gruppo Nazionale di Difesa dai
Terremoti) fonda un metodo sperimentale di
costruzione di scenari di vulnerabilità in
casi concreti di città e insediamenti della
Sicilia orientale con un costante
riferimento alla pianificazione urbanistica.
Ma la ricerca scientifica per Giovanni non
poteva separarsi dall’impegno civile: nel
1988 è tra i fondatori del Cispa (Centro
d’iniziative e studi per la prevenzione
antisismica) e negli anni successivi, nel
ruolo di vice-presidente della sezione
regionale dell’Inu, lo vediamo pazientemente
proporre leggi regionali di prevenzione
antisismica nelle zone della Sicilia più
pericolose per la presenza di depositi di
sostanze tossiche, urticanti, esplosive,
ecc.
Era una sua capacità specifica quella di
spaziare su problematiche diverse – dalla
politica dei trasporti, alla difesa
idrogeologica e alla tutela paesistica del
territorio – che puntualmente ha restituito
come servizio alla collettività nel suo
ruolo di componente della Commissione per i
centri storici di Ragusa Ibla e di Ragusa
Superiore; di consulente dell’Assessorato
regionale dei beni culturali, ambientali e
della Pubblica istruzione per la redazione
delle Linee guida del piano territoriale
paesistico siciliano e per l’approvazione
dei piani territoriali paesistici delle
isole minori (Egadi ed Eolie); di componente
del comitato tecnico-scientifico presso
l’Assessorato regionale del territorio e
dell’ambiente per la redazione del piano
territoriale urbanistico della Regione
Sicilia; di componente di diritto del
Consiglio superiore dei lavori pubblici; di
consulente della Soprintendenza ai BB.CC.AA.
di Catania per la redazione del piano
paesaggistico della Provincia di Catania.
Giovanni Campo ha prodotto innumerevoli
saggi e articoli su riviste scientifiche
nazionali e anche su quotidiani e riviste
locali (“Città d’Utopia”). In tutti emerge
il suo costante riferimento ai diritti
garantiti dalla Costituzione Repubblicana,
il suo collocarsi sempre dalla parte dei più
deboli e dei più sfortunati con iniziative
di alto spessore e significato: con il
dialogo diretto con i soggetti portatori di
quel disagio sociale che la crescita della
città, asservita alla sola logica del
mercato, rendeva evidente e insopportabile;
con i disegni di legge che ha istruito nel
ruolo di Senatore nella XII legislatura.
Durante il suo mandato parlamentare, oltre
ad aver promosso la formazione delle Facoltà
di Architettura di Siracusa e Agrigento, ha
presentato ben due disegni di legge
(rispettivamente Atti Senato 1071/1994 e
2049/95). Il primo, prendendo spunto
dall’ennesimo condono per gli abusi
edilizi-urbanistici commessi, proponeva di
destinare i proventi ottenuti non soltanto a
miglioramenti antisismici ma anche a misure
per il risanamento delle strutture urbane e
territoriali. Il secondo, contenente una
“Disciplina-quadro del riordino del
territorio a fini di sviluppo economico
compatibile con i principi della
salvaguardia del paesaggio, dell’ambiente,
del patrimonio archeologico, storico,
architettonico, urbanistico, nonché della
tutela della salute, della sicurezza e
dell’incolumità pubbliche” aveva lo scopo
dichiarato di riproporre una riforma
urbanistica complessiva al fine, fra
l’altro, di unificare le varie tipologie
settoriali di pianificazione urbanistica in
un unico piano regolatore del territorio
capace di “contemperare le esigenze private
di sviluppo, con le esigenze pubbliche di
fruizione di elementi territoriali
considerati beni primari per la vita
(l’acqua, l’aria, il suolo)” e perciò beni
d’uso. Voglio augurarmi che nella prossima
legislatura qualche parlamentare ne sappia
cogliere lo spirito innovativo e di rottura
con le tradizionali leggi urbanistiche
prevalentemente attente alle questioni dello
ius aedificandi e lo voglia
riproporre soprattutto per quegli aspetti
che riguardano la prevenzione dei rischi
ambientali per la quale Giovanni si è
battuto anche a New York nella sede delle
Nazioni Unite nei lavori preparatori della
Conferenza mondiale Habitat II sugli
insediamenti umani.
I temi della sicurezza preventiva nella
progettazione di riordino di città e
territori e di partecipazione democratica
alla pianificazione urbanistica e
territoriale sono ben compendiati nei suoi
due volumi del 2000 “Città e territori a
rischio. Analisi e piani di prevenzione
civile” e “Strutture urbane e territoriali”.
Giovanni amava molto la Sicilia, che, come
Leonardo Sciascia, assumeva a metafora del
mondo; ne soffriva nel vederla oggetto di
mercificazione e di degrado ambientale
sempre più incontrollabile. Nella sua ultima
fatica, “Anabasi di Sicilia. Dalla foce alle
sorgenti di fiumi ormai senz’acqua” (2004)
ci ha lasciato una prima parte di un disegno
più vasto e molto suggestivo che attraverso
la risalita metaforica di molti fiumi
siciliani vuole riprendere le fila di un
discorso democratico, partendo da una presa
di coscienza dell’identità locale dei
piccoli centri interni e riscoprendo i
valori della solidarietà sociale, necessari
per costruire reti ecologico-politiche
contro la globalizzazione dilagante. Dalle
note struggenti sui paesi del Belice, che
“rischiano di essere distrutti dallo
sviluppo e dal globale che avanzano e
desertificano inquietanti più che il
terremoto” emerge la passione dello studioso
e dell’intellettuale che, memore di eventi
vissuti in prima persona e che avevano
motivato la scelta di un mestiere difficile,
quello del pianificatore, non si stanca di
porre quesiti apparentemente semplici ma di
cui partecipa agli altri la complessità di
implicazione sociale e istituzionale: una
collettività, si chiedeva, non deve pensare
alla protezione civile in caso di calamità
naturali? L’acqua, i fiumi, le coste, il
paesaggio non dovrebbero essere beni
collettivi? Nella pianificazione della città
del futuro non è più giusto dare voce ad una
pluralità di soggetti, quali gli anziani,
gli immigrati, i bambini i cui punti di
vista sono spesso sottorappresentati?
Questi e molti altri pensieri si trovano
negli scritti di Giovanni, la cui profondità
e onestà intellettuale rimando
all’attenzione degli studenti che
continueranno a frequentare le aule
universitarie o che avranno modo comunque di
conoscerlo. Ai giovani ricercatori Giovanni
ha dedicato tempo ed energie con spirito di
dedizione e soprattutto con una grande
capacità comunicativa che rendeva l’uomo
particolarmente simpatico e amabile anche
per l’ironia e il distacco dalle vicende
umane meno nobili. La comunità scientifica
nazionale non cesserà di ricordarlo; io lo
ricordo come amico sincero e uomo buono. |