Con la sentenza n. 49/2006 ha avuto termine
il lungo contenzioso avente ad oggetto la
sanatoria straordinaria degli abusi edilizi
introdotta dal Dl 269/2003.
In proposito appare opportuno, anzitutto,
richiamare brevemente le circostanze che
hanno dato origine alla controversia
conclusa con la pronuncia in rassegna.
1. L’art. 32 del Dl 269/2003, nel definire
le modalità di accesso al cosiddetto terzo
condono, demandava ai legislatori regionali:
- al comma 26, la disciplina della
possibilità, delle condizioni e
dell’ammissibilità a sanatoria di alcune
tipologie di abusi (opere di manutenzione
straordinaria o di restauro e risanamento
conservativo) elencate nell’allegato 1 del
medesimo Dl e realizzate in aree non
soggette ai vincoli di inedificabilità di
cui all’art. 32 della legge 47/1985;
- al comma 33, l’emanazione di norme per la
definizione dei procedimenti avviati con le
domande di sanatoria, nonché la possibilità
di incrementare l’oblazione nella misura
massima del 10%.
Tali disposizioni regionali, inoltre,
avrebbero dovuto essere approvate “entro
sessanta giorni dall’entrata in vigore del
presente decreto” (avvenuta il giorno stesso
della sua pubblicazione sulla Gu, avvenuta
il 30.9.2003), e quindi entro il 29.11.2003.
2. Con sentenza n. 196/2004 la Corte
Costituzionale, in accoglimento
dell’impugnativa promossa da alcune regioni
– tra cui la Campania – ha, com’è noto,
operato una netta distinzione tra 2 diverse
categorie di effetti prodotti dal condono:
da una parte l’effetto estintivo dei reati
(che afferisce all’ordinamento penale della
Repubblica e che come tale rientra, ex art.
117 Cost., nella potestà legislativa
esclusiva dello Stato), e dall’altra
l’effetto sanante degli abusi edilizi
(attinente alla materia del governo del
territorio, oggetto di potestà legislativa
concorrente ai sensi dello stesso art. 117
Cost.).
A tale ultimo riguardo, però, la Corte ha
precisato che “solo alcuni limitati
contenuti di principio di questa
legislazione possono ritenersi sottratti
alla disponibilità dei legislatori
regionali, cui spetta il potere concorrente
di cui al nuovo art. 117 Cost. (ad esempio
certamente la previsione del titolo edilizio
abilitativo in sanatoria di cui al comma 1
dell’art. 32, il limite temporale massimo di
realizzazione delle opere condonabili, la
determinazione delle volumetrie massime
condonabili). Per tutti i restanti profili è
invece necessario riconoscere al legislatore
regionale un ruolo rilevante – più ampio che
nel periodo precedente – di articolazione e
specificazione delle disposizioni dettate
dal legislatore statale in tema di condono
sul versante amministrativo”.
Sulla scorta della premessa sopra riportata,
la Corte ha quindi dichiarato
l’illegittimità costituzionale di numerose
disposizioni contenute nell’art. 32 del Dl
269/2003, e in particolare:
- del comma 26, “nella parte in cui non
prevede che la legge regionale possa
determinare la possibilità, le condizioni e
le modalità a sanatoria di tutte le
tipologie di abuso di cui all’allegato 1”
del Dl 269/2003, nonché “nella parte in cui
non prevede che la legge regionale (...)
possa essere emanata entro un congruo
termine da stabilirsi dalla legge statale”;
- del comma 25, “nella parte in cui non
prevede che la legge regionale di cui al
comma 26 possa determinare limiti
volumetrici inferiori a quelli indicati
nella medesima disposizione”;
- del comma 14, avente ad oggetto la
sanatoria degli abusi realizzati su aree
demaniali, “nella parte in cui non prevede
che la legge regionale di cui al comma 26 si
applichi anche a questa categoria
particolare di opere”;
- del comma 37, “nella parte in cui non
prevede che la legge regionale di cui al
comma 26 possa disciplinare diversamente gli
effetti del silenzio, protratto oltre il
termine ivi previsto, del Comune cui gli
interessati abbiano presentato la
documentazione richiesta”;
- del comma 38, “nella parte in cui prevede
che sia l’allegato 1 dello stesso Dl
269/2003, anziché la legge regionale di cui
al comma 26, a determinare la misura
dell’anticipazione degli oneri concessori,
nonché le relative modalità di versamento”.
Infine, la Corte ha ritenuto “del tutto
incongrua, rispetto alla complessità delle
scelte spettanti alle autonomie regionali”,
la determinazione di un termine di soli 60
giorni per l’emanazione delle leggi
regionali di cui ai commi 26 e 33 dell’art.
32, precisando ancora che “il necessario
riconoscimento del ruolo legislativo delle
Regioni nella attuazione della legislazione
sul condono edilizio straordinario esige, ai
fini dell’operatività della normativa in
esame, che il legislatore nazionale provveda
alla rapida fissazione di un termine, che
dovrà essere congruo perché le Regioni e le
Province autonome possano determinare tutte
le specificazioni cui sono chiamate
dall’art. 32 – quale risultante dalla
presente sentenza – sulla base del dettato
costituzionale e dei rispettivi Statuti
speciali (…). In considerazione della
particolare struttura del condono edilizio
straordinario qui esaminato, che presuppone
un’accentuata integrazione fra il
legislatore statale e i legislatori
regionali, l’adozione della legislazione da
parte delle regioni appare non solo
opportuna, ma doverosa e da esercitare entro
il termine determinato dal legislatore
nazionale; nell’ipotesi limite che una
regione o provincia autonoma non eserciti il
proprio potere legislativo in materia nel
termine prescritto, a prescindere dalla
considerazione se ciò costituisca, nel caso
concreto, un’ipotesi di grave violazione
della leale cooperazione che deve
caratterizzare i rapporti fra regioni e
Stato, non potrà che trovare applicazione la
disciplina dell’art. 32 e dell’allegato 1
del Dl 269/2003”.
3. In esecuzione della sentenza n. 196/2004,
è stato emanato il Dl 168/2004 – pubblicato
sulla Gu n. 161 del 12.7.2004 ed entrato in
vigore il giorno successivo alla sua
pubblicazione – il cui art. 5 ha stabilito
che “la legge regionale prevista dal comma
26” del Dl 269/2003 “può essere emanata
entro quattro mesi dalla data di entrata in
vigore del presente decreto”.
Tale previsione è stata così integrata in
sede di conversione del Dl in commento,
disposta con legge 191/2004 (pubblicata
sulla Gu n. 178 del 31.7.2004 ed entrata in
vigore anch’essa il giorno successivo alla
sua pubblicazione): “Il termine indicato nel
primo periodo si applica anche alle leggi
regionali di cui al comma 33 del citato
articolo 32 (…). Decorso tale termine la
normativa applicabile è quella contenuta nel
citato decreto legge 269/2003”.
In buona sostanza, quindi, con il Dl
168/2004 e la successiva legge 178/2004 –
entrati in vigore, come si è detto, in date
differenti – il legislatore statale ha
previsto:
a) un termine fino al 13.11.2004 per
l’approvazione di norme regionali in materia
di modalità e limiti di accesso al condono
(ai sensi dell’art. 32, comma 26 del Dl
269/2003, come modificato in virtù della
sentenza n. 196/2004);
b) un secondo termine fino all’1.12.2004 per
l’approvazione di norme regionali
disciplinanti la definizione delle singole
domande di condono (di cui all’art. 32,
comma 33 del Dl 269/2003).
4. La Regione Campania ha approvato in data
18.11.2004 la Lr 10/2004, avente ad oggetto
entrambe le materie di cui ai commi 26 e 33
dell’art. 32 del Dl 269/2003.
Detta legge è stata impugnata innanzi alla
Corte Costituzionale dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri, la quale –
probabilmente anche in considerazione del
fatto che alla data del 18.11.2004 non era
ancora scaduto il termine di cui sub 3.b)
– si è limitata a censurare le sole
previsioni della Lr 10/2004 (art. 1; art. 3,
eccettuate le lett. b) e d) del comma 2;
art. 4; art. 6, commi 1, 2 e 5; art. 8)
riconducibili al dettato dell’art. 32, comma
26, del Dl 269/2003.
5. Si giunge infine alla sentenza n.
49/2006, con la quale il Giudice delle leggi
ha ritenuto fondata l’impugnativa del
Governo sul presupposto che “la prescrizione
del termine di quattro mesi da parte
dell’art. 5, comma 1, del decreto legge n.
168 del 2004 dà attuazione a quanto
espressamente statuito al punto 7 del
dispositivo della sentenza n. 196 del 2004,
il quale ha dichiarato costituzionalmente
illegittimo l’art. 32, decreto legge n. 269
del 2003, «nella parte in cui non prevede
che la legge regionale di cui al comma 26
debba essere emanata entro un congruo
termine da stabilirsi dalla legge statale».
Peraltro, nella motivazione di tale
pronuncia, questa Corte ha configurato tale
termine come perentorio, tanto da prevedere
addirittura che, ove le Regioni non
esercitino il proprio potere entro il
termine prescritto «non potrà che trovare
applicazione la disciplina dell’art. 32 e
dell’allegato 1 al decreto legge n. 269 del
2003, così come convertito in legge»”.
Ribadendo le considerazioni già espresse –
sia pure in termini meno categorici – nella
sentenza n. 196/2004, la Corte ha quindi
affermato, in maniera tutt’altro che velata,
che nelle materie di legislazione
concorrente lo Stato può stabilire che la
funzione legislativa regionale sia
esercitata entro termini perentori, decorsi
i quali troverà applicazione la disciplina
nazionale, a nulla valendo le eventuali
disposizioni regionali emanate “fuori tempo
massimo”.
Ma è chiaro che l’applicazione in concreto
di tale principio non può che determinare –
come si è puntualmente verificato nel
giudizio de quo – la sottrazione
della competenza legislativa,
costituzionalmente riconosciuta, delle
regioni.
6. Al chiaro fine di contrastare
l’impugnativa proposta dal Governo, la
Regione Campania aveva a sua volta
denunciato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 5 del Dl 168/2004, stigmatizzando
la limitazione a “soli quattro mesi” del
“termine per l’esercizio della potestà
legislativa regionale, trattandosi di
termine incongruo rispetto alla pluralità di
contenuti e alla complessità delle scelte
che il legislatore regionale doveva
operare”.
Sul punto la Corte ha ritenuto “sufficiente
(…) rilevare che numerose Regioni hanno
adottato questa legislazione entro il
termine prescritto, senza che emergessero
problemi particolari”.
Tale assunto desta notevoli perplessità.
Appare chiaro, in primo luogo, che la
valutazione della fondatezza della domanda
articolata dalla Regione Campania non poteva
in alcun modo basarsi su meri rilievi di
fatto, per di più riferiti ad altre regioni,
e quindi a realtà legislative, politiche e
sociali ben diverse da quella campana.
In secondo luogo la Corte avrebbe dovuto
tenere conto, ai fini del proprio esame,
della natura particolarmente delicata e
articolata del processo decisionale sotteso
all’emanazione delle disposizioni in
questione, che implicava da un lato la
giusta ed esaustiva ponderazione dei
complessi interessi in gioco, e dall’altro
un ampio confronto con i comuni (ai quali
non a caso la sentenza n. 196/2004 aveva già
riconosciuto la possibilità di “influire sul
procedimento legislativo regionale in
materia, sia informalmente sia, in
particolare, usufruendo dei vari strumenti
di partecipazione previsti dagli Statuti e
dalla legislazione delle Regioni”);
circostanze, queste, che rendevano ex se
arduo emanare la disciplina regionale di cui
trattasi in soli 4 mesi.
In ultimo, con l’assunto in commento la
Corte ha contraddetto se stessa, laddove
nella sentenza n. 196/2004 aveva giudicato
“incongruo” il termine di soli 60 giorni
fissato dall’art. 32 del Dl 269/2003 per
l’emanazione di norme dal contenuto
senz’altro più limitato rispetto a quello
previsto dall’art. 5 del Dl 168/2005, per
poi ritenere invece congruo il termine –
peraltro comprensivo della pausa feriale –
di poco superiore, sancito da tale ultima
disposizione.
7. Tanto premesso, occorre procedere
all’esame delle disposizioni della Lr
10/2004 tuttora vigenti, che qui di seguito
si richiamano brevemente.
- L’art. 3 stabilisce, al comma 2, lett. b)
e d), che non possono formare oggetto di
sanatoria le opere “ultimate dopo il 31
marzo 2003. Si considerano ultimate le opere
edilizie completate al rustico comprensive
di mura perimetrali e di copertura e
concretamente utilizzabili per l’uso cui
sono destinate”, nonché le opere “realizzate
in uno dei Comuni di cui alla legge
regionale 10 dicembre 2003, n. 21, articolo
1 e hanno destinazione residenziale, fatta
eccezione per gli adeguamenti di natura
igienico-sanitaria e funzionali di cui
all’articolo 5, comma 2, della stessa
legge”.
La previsione di cui al comma 2, lett. b),
restringe fortemente il novero degli abusi
sanabili, atteso che aggiunge ai requisiti
strutturali già richiesti per l’accesso alla
sanatoria disciplinata dal legislatore
statale – ultimazione al rustico comprensiva
di tompagnatura e copertura – un ulteriore
requisito, costituito dalla concreta
idoneità dell’immobile all’uso per cui lo
stesso è stato realizzato, che come tale
presuppone la realizzazione di impianti,
infissi, ecc.
Quanto alla disposizione di cui al comma 2,
lett. d), non vi è dubbio che la stessa è
stata dettata dall’esigenza di garantire la
perdurante efficacia del divieto, introdotto
dalla Lr 21/2003, di edificazione a fini
residenziali nella cosiddetta zona rossa
dell’area vesuviana.
- L’art. 5 prevede che alla domanda di
condono vanno allegati “documenti
comprovanti l’avvenuta ultimazione delle
opere abusive entro il 31 marzo 2003”, “una
perizia giurata sulle dimensioni e sullo
stato delle opere eseguite” ed “una
certificazione attestante l’idoneità statica
delle stesse opere”.
Anche la necessità di dimostrare, mediante
apposita documentazione, che le opere
abusive sono state ultimate – secondo la
definizione contenuta all’art. 3, comma 2,
lett. b) – entro il termine previsto dal
legislatore statale risulta particolarmente
restrittiva, non essendo più idonea, a tal
fine, la semplice dichiarazione sostitutiva
dell’interessato.
- L’art. 6 sancisce l’incremento, nella
misura “del cento per cento”, degli oneri
concessori quantificati dal D 269/2003.
- L’art. 7 esclude la possibilità che sulle
domande di condono presentate ai sensi
dell’art. 32 del Dl 269/2003 si formi il
silenzio-assenso, prevedendo che le stesse
siano “definite dai Comuni competenti con
provvedimento esplicito da adottarsi entro
ventiquattro mesi dalla presentazione delle
stesse”. Decorso tale termine, l’interessato
potrà richiedere l’intervento sostitutivo
dell’amministrazione provinciale competente
con le stesse modalità già previste, per il
rilascio dei permessi di costruire,
dall’art. 4 della Lr 19/2001.
- L’art. 9 stabilisce che le domande di
condono formulate ai sensi delle leggi
47/1985 e 724/1994, e tuttora pendenti,
possono essere definite in via semplificata,
entro il 31.12.2006, mediante la
presentazione di una dichiarazione
sostitutiva (attestante tra l’altro la
disponibilità dell’immobile da parte del
dichiarante, la descrizione delle opere
oggetto di sanatoria e l’avvenuta esecuzione
delle opere di adeguamento sismico) che, se
preceduta dall’“avvenuto pagamento della
somma dovuta a titolo di oblazione”,
consente di per sè, in presenza dei
“presupposti di legge”, il rilascio del
titolo in sanatoria.
La disposizione in commento non si applica,
per espressa previsione del legislatore
regionale, agli abusi edilizi realizzati
nelle aree soggette a vincolo di
inedificabilità assoluta ai sensi dell’art.
33 della legge 47/1985.
Tuttavia può ritenersi che il procedimento
semplificato di cui innanzi non trovi
applicazione neanche agli abusi eseguiti
nelle aree sottoposte, ex art. 32 della
medesima legge 47/1985, a vincolo di
inedificabilità relativa, e quindi agli
abusi sanabili previo parere favorevole
dell’Autorità preposta alla tutela del
vincolo; ciò in quanto l’art. 32 in parola,
nella parte in cui subordina l’accoglimento
della domanda di sanatoria al parere
favorevole di cui innanzi, costituisce da un
lato espressione della potestà legislativa
esclusiva dello Stato (preordinata alla
tutela dei beni culturali) e, dall’altro,
rappresenta comunque una disposizione di
principio in materia di governo del
territorio non derogabile dal legislatore
regionale.
- L’art. 10 disciplina l’intervento
sostitutivo della regione in caso di mancata
attuazione degli ordini di demolizione
emanati dalle amministrazioni comunali.
Detto intervento è caratterizzato dalla
nomina di un commissario ad acta, il
quale compie “tutti gli adempimenti di cui
al Dpr 380/2001” avvalendosi – per
l’esecuzione delle opere di demolizione, di
ripristino dello stato dei luoghi e di
tutela della pubblica incolumità – “del
personale e dei mezzi messi a disposizione
previa intesa dal Genio militare” ovvero di
“imprese specializzate” iscritte in un
apposito elenco regionale.
Gli oneri economici connessi all’esecuzione
delle attività di cui innanzi sono posti a
carico del responsabile dell’abuso, fatta
eccezione per i compensi spettanti al
commissario ad acta, la cui
liquidazione spetta all’amministrazione
comunale inadempiente.
8. Un’ultima riflessione va svolta in ordine
sia agli effetti prodotti dalla sentenza n.
49/2006 sulle domande di condono presentate
nel periodo di vigenza delle disposizioni
della Lr 10/2004 dichiarate
costituzionalmente illegittime, sia alla
possibilità di una riapertura dei termini
per la presentazione di nuove domande di
condono.
Quanto al primo profilo, non sembra potersi
dubitare – in virtù delle considerazioni che
precedono – che le domande di condono
proposte dopo l’entrata in vigore della Lr
10/2004 siano ammissibili, e che le stesse
vadano valutate tenendo conto, da un lato,
della disciplina di dettaglio sancita
dall’art. 32 del Dl 269/2003, e dall’altro
delle prescrizioni della medesima Lr 10/2004
non annullate dalla Corte Costituzionale.
Con specifico riferimento ad un’eventuale
riapertura dei termini per la presentazione
delle domande di sanatoria, può ritenersi
che la stessa non costituisca un atto dovuto
per il legislatore statale.
Nel vigente ordinamento, infatti, non è
previsto che ad una pronuncia di
annullamento della Corte debba seguire
l’emanazione di una legge che disciplini
nuovamente i rapporti regolati dalle
disposizioni dichiarate costituzionalmente
illegittime; con la conseguenza che nella
fattispecie il legislatore statale ha la
facoltà, e non l’obbligo, di consentire la
presentazione di domande di condono aventi
ad oggetto abusi edilizi non sanabili ai
sensi delle prescrizioni della Lr 10/2004
annullate dalla sentenza n. 49/2006. |