Politiche del piano territoriale regionale e
obiettivi della ricerca
Il lavoro1 si inquadra in un
contesto di governance multilivello,
dove la pianificazione territoriale va
riorganizzata e collegata alla
trasformazione dei sistemi pubblici di
governo, soprattutto attraverso il
decentramento, il principio di sussidiarietà,
la partecipazione e gli accordi ai vari
livelli. Il richiamo al reinventing
government – al rinnovamento dei metodi
di gestione pubblica, dove qualsiasi
intervento è strutturato in base a
programmi, ovvero sulla gestione delle
attività, di qualunque tipo siano, a
qualunque settore o ente appartengano,
ovunque siano indirizzate (Archibugi, 2005)
– porta alla costruzione di progetti
condivisi da tutti i soggetti del
territorio, ovvero alla collaborazione
interistituzionale.
Su questa linea si muove anche la Regione
Campania che, inaugurando la seconda fase di
costruzione del piano territoriale
regionale (Ptr) con Delibera 287/2005
successiva alla stesura delle Linee guida
del 2002, dà al proprio piano una funzione
di ausilio agli attori istituzionali
preposti alla pianificazione del territorio
e lo considera come supporto cognitivo e
operativo di promozione e di indirizzo degli
interventi progettati a livello locale.
L’articolazione della Campania in sistemi
territoriali di sviluppo (Sts), definiti
per inquadrare la spesa e gli investimenti
del programma operativo regionale
(Por) e in sintonia con la programmazione
economica ordinaria, vuole essere la trama
di base sulla quale costruire i processi di
co-pianificazione, ovvero: quadro di
riferimento per la pianificazione
territoriale delle province e strumento per
coordinare l’azione della regione sul
territorio, in rapporto ai vari canali di
spesa, di incentivazione e alle competenze
dei diversi assessorati. Tali sistemi,
individuati seguendo la geografia dei
processi di auto-riconoscimento delle
identità locali e di auto-organizzazione,
sono forme di aggregazioni sovracomunali
esistenti che hanno una potenziale rilevanza
sul piano dell’identificazione di strategie
per lo sviluppo locale. Attraverso essi, il
Ptr si raccorda con la programmazione dei
fondi strutturali spazializzando i diversi
progetti integrati (Pi), in modo che
questi non compongano un puzzle privo di
qualunque rilevanza territoriale.
L’organizzazione, basata sui diversi Sts o
sulle loro aggregazioni, può costituire,
infatti, un riferimento ordinatore per la
verifica attuativa dei Pi, nonché per la
riprogrammazione dei fondi del Por.
In un siffatto contesto politico-culturale,
la metodologia proposta mira a valutare,
attraverso uno strumento di supporto alle
decisioni, la congruità delle misure di
sviluppo messe in essere dai progetti locali
integrati, traguardando l’obiettivo di
gestire le trasformazioni del territorio in
rapporto alle identità dei luoghi.
L’idea forza è che il sistema dei piani vada
letto in maniera flessibile e, in quanto
tale, modificabile nel corso del tempo,
coerentemente all’evoluzione dei processi
sociali, economici e fisici in atto sul
territorio. Pur mantenendo la transcalarità
dei piani, ciò che si vuol evidenziare sono
le relazioni tra i diversi soggetti
competenti. Ogni soggetto, nel processo
proposto, può formulare le proprie
argomentazioni ragionevoli nell’ottica di
concorrere ad una migliore definizione
(efficacia) della pianificazione.
Si vuole valutare la sostenibilità degli
interventi previsti dai programmi di
sviluppo locale in termini di coerenza con
gli obiettivi strategici o con le linee di
azione proposti dal Ptr. La stima effettuata
consente di valutare, da un lato, il
contributo che gli strumenti di
programmazione possono dare per il
raggiungimento di obiettivi generali di
sostenibilità e, dall’altro, l’efficienza
degli strumenti in riferimento alle
condizioni più o meno critiche delle aree
interessate dagli interventi stessi.
Metodologicamente, si è passati da una fase
di conoscenza del territorio, scelto come
area test, ad una di analisi delle
informazioni, tesa a individuare gli
elementi di paesaggio derivati
dall’inter-relazione di fattori naturali e
antropici e, quindi, frutto di un complesso
organico di ecosistemi. Sulla scorta delle
indicazioni raccolte in queste prime due
fasi, si è passati ad una fase più
operativa, inerente la messa a punto di uno
strumento utile al governo delle
trasformazioni territoriali.
Per quanto gli interventi esaminati sono
stati già avviati – e, pertanto, risulta più
ardua una loro revisione – i risultati della
valutazione possono suggerire indicazioni
all’Autorità di gestione competente ed
essere utilizzati per strutturare fasi di
monitoraggio e controllo.
Figura 1 - Metodologia per la
valutazione degli interventi |
|
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La scelta dell’ambito di studio: il Vallo di
Diano
La scelta dell’ambito di studio è ricaduta
sul territorio del Vallo di Diano che, per
le sue caratteristiche geografiche,
relazionali e culturali, si mostra come
elemento cerniera tra le regioni limitrofe
della Campania e Basilicata e, pertanto,
un’area di interesse inter-regionale. La
disposizione naturale della vallata ha
favorito, sin dall’antichità, un sistema di
comunicazioni lungo la direttrice della
dorsale appenninica con la Costa cilentana,
con la Val d’Agri e con tutto l’entroterra
lucano. Queste sue caratteristiche lo
connotano come area interessata da complesse
funzioni relazionali che, naturalmente,
hanno avuto un notevole impatto sulle
trasformazioni territoriali. La struttura
fisica del Vallo, con la sua ricchezza e
varietà, costituisce un patrimonio di grande
valore, non solo in termini di bellezza
paesaggistica, ma anche in relazione alle
potenzialità intrinseche capaci di innescare
un processo di sviluppo sociale ed
economico.
L’intero territorio appartiene ad un unico
Sts a dominante rurale-culturale.
Accanto alle particolarità derivanti dalla
conformazione geografica e geomorfologia –
già di per sé forte elemento
caratterizzante, nonché risorsa naturale –
il Vallo è distinto da un ricchissimo
patrimonio storico-culturale, che ha
contribuito a dar luogo alla sua struttura
insediativa con uno specifico tessuto
sociale ed un peculiare processo di
urbanizzazione.
Il quadro della progettualità è alquanto
articolato2, avallando la
significatività della scelta dell’area come
campo applicativo per la gestione delle
trasformazioni territoriali operata in
maniera condivisa.
La metodologia
Le tre canoniche fasi di analisi, diagnosi e
valutazione mirano rispettivamente a:
- comprendere i fenomeni in essere e
conoscerne l’evoluzione nello spazio e nel
tempo, al fine di identificare i diversi
paesaggi unitamente alle dinamiche e alle
pressioni che li modificano;
- identificare tutti quegli elementi che
rappresentano un valore per il territorio
(leva per uno sviluppo equilibrato ed
eco-sostenibile), nonché tutti gli aspetti
critici da risolvere;
- stimare il livello di performance degli
interventi, in termini di congruenza tra
forme e livelli diversi di piano e di
coerenza rispetto alla dimensione ambientale
delle scelte che si intende implementare nel
processo pianificatorio.
Il modello di valutazione è scaturito
sostanzialmente da tre step
fondamentali che hanno portato a:
- schedare i piani/programmi territoriali in
componenti base, al fine di garantire una
lettura critica degli strumenti che sia al
contempo veloce e adeguata;
- progettare un database degli interventi
che avesse i requisiti di massima efficienza
e operatività in modo da poter gestire un
vastissimo bagaglio di informazioni (basti
pensare che il Ptr mette in campo 106 linee
di intervento, mentre i Pi Certosa di Padula
e Parco nazionale del Cilento e Vallo di
Diano prevedono in totale 159 interventi
specifici) e avere una prima serie di
indicazioni utili sulla tipologia degli
interventi;
- valutare i singoli interventi previsti
dagli strumenti di pianificazione dello
sviluppo locale.
Tale valutazione si basa sostanzialmente su
tre momenti consequenziali:
1. una valutazione di conformità rispetto ai
principi e agli obiettivi dettati a livello
superiore dal Ptr;
2. una individuazione, localizzazione e
stima dei punti critici del territorio;
3. una valutazione complessiva
dell’intervento basata sull’interazione dei
primi due punti e sull’impegno finanziario
previsto.
Il risultato ottenuto dall’implementazione
del modello mette in luce, per singolo
comune, quali sono gli interventi ritenuti
prioritari, ovvero stima il loro potenziale
contributo per il raggiungimento degli
obiettivi di conservazione e valorizzazione
del paesaggio naturale e culturale, insiti
nelle linee di indirizzo del Ptr, nonché in
quelle di assetto del piano territoriale
di coordinamento provinciale (Ptcp).
Schedatura degli strumenti di pianificazione
Il sistema dei piani territoriali è
variamente articolato e complesso. In una
visione integrata della pianificazione, le
pubbliche amministrazioni si trovano a
gestire un flusso continuo di informazioni
legato all’articolazione delle strategie
messe a punto e all’esigenza di rispondere
ai principi di sussidiarietà e
concertazione: ogni piano deve colloquiare
con un altro senza che si verifichino errori
di interpretazione.
Allo scopo di costruire schede tecniche
sintetiche degli strumenti di pianificazione
vigenti nell’area test, è stato messo a
punto una sorta di glossario che mira a
eliminare eventuali equivoci terminologici.
L’idea forza che ha ispirato la costruzione
di questo glossario trae origine da una
visione strategica della pianificazione,
soprattutto dalla consapevolezza che al
processo pianificatorio va attribuito anche
una funzione esplorativa. In definitiva,
l’esame dei piani è stato articolato
attraverso chiavi di lettura che mirano ad
una destrutturazione dei piani stessi in
componenti base (finalità, obiettivi
strategici, obiettivi specifici o linee di
azione, interventi) al fine di garantirne la
confrontabilità.
La progettazione del database
A valle degli scopi prefissi e delle
informazioni che si vogliono ricavare da
un’interrogazione veloce, efficace ed
efficiente dei dati archiviati, la
progettazione del database ha visto tre
momenti fondamentali:
1. concretizzazione di un modello
concettuale (Schema entità-relazioni);
2. creazione di uno schema logico per la
progettazione (Modello relazionale);
3. implementazione fisica del database (Dbms
Access 2003).
Lo scopo di un modello concettuale è
rappresentare la realtà di interesse
attraverso una descrizione formale e
completa, ma ad un livello di astrazione,
cioè senza tener conto degli aspetti
implementativi. In questa fase, infatti, è
stato rappresentato il contenuto informativo
della base di dati, senza preoccuparsi né
delle modalità con le quali queste
informazioni verranno codificate in un
sistema reale, né dell’efficienza dei
programmi che faranno uso delle informazioni
stesse.
Figura 2 - Modello concettuale per
la progettazione del database.
Schema entità-relazioni |
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|
Lo schema concettuale costruito si compone
rispettivamente di tre entità3
(obiettivo strategico, interventi di
programma, interventi di piano di settore) e
una relazione4 (linee di
azione). Ognuno di questi elementi è dotato
di una serie di attributi5
che meglio specificano e caratterizzano le
componenti cui si riferiscono. Gli
identificatori6 delle entità
rappresentano, infine, la descrizione di
ogni intervento attraverso un cosiddetto
codice parlante che evidenzia
rispettivamente: l’area7 e la
sub-area cui l’intervento si riferisce; la
linea di azione di rimando, accompagnata da
un identificativo numerico; il piano di
livello superiore cui la linea di azione si
riferisce, accompagnato da un identificativo
numerico. A titolo esemplificativo il Codice
“AMBNAT PTR03 PIPNCVD01” indica: il primo
intervento specifico implementato dal PI
PNCVD che segue la terza linea di intervento
definita dal Ptr in riferimento al settore
tematico AMBiente e, nello specifico, alle
NATuralità.
La progettazione logica del data-base
(Db) consiste nel tradurre lo schema
concettuale nel modello di rappresentazione
dei dati adottato dal sistema di gestione a
disposizione. Il modello logico consente di
descrivere i dati secondo una
rappresentazione ancora indipendente da
particolarità fisiche, ma concreta in quanto
disponibile nei sistemi di gestione dei
dati.
È stato messo a punto lo schema logico per
la progettazione del Db scegliendo il
modello relazionale basato
sull’articolazione logica di 5 tabelle
(obiettivi strategici, linee di azione,
interventi di programma, Por, interventi di
piano di settore) e 4 relazioni tra tabelle,
nelle quali sono messe in evidenza le chiavi
primarie e gli attributi considerati,
distinti da un’apposita simbologia.
L’ultima fase di progettazione del Db
consiste in una vera e propria
implementazione fisica. Lo schema logico
viene completato con la specifica dei
parametri fisici di memorizzazione dei dati
(organizzazione dei files e degli indici) e
il modello fisico risulta strettamente
connesso allo specifico sistema di gestione
scelto. In particolare la base di dati è
stata implementata tramite Microsoft Office
Access 2003. Questo ha consentito di
mantenere la struttura logica delle tabelle,
nonché le rispettive relazioni. Inoltre, il
sistema permette interrogazioni (query)
utili per la successiva fase di valutazione.
L’utente può, attraverso la definizione di
criteri o ordinamenti particolari, impostare
le condizioni per restringere la sua ricerca
e, quindi, selezionare solo le informazioni
utili alla sua finalità. Per meglio
visualizzare la base informativa e per la
possibilità di inserire particolari tipi di
dati quali le immagini (elaborazioni
cartografiche), sono state create maschere
di ausilio.
Figura 3 - Schema logico per la
progettazione del database. Modello
relazionale |
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Individuazione delle criticità territoriali
e valutazione degli interventi
Per poter valutare la coerenza tra le
strategie/obiettivi di sostenibilità e gli
interventi programmati e, quindi, per poter
analizzare l’interazione tra gli interventi
e le problematiche del territorio, è stato
fatto riferimento all’analisi di contesto,
ponendo in rilievo le criticità emerse
dall’Analisi Swot effettuata in fase di
diagnosi.
Inteso per criticità tutto quel complesso di
fragilità, vulnerabilità e sensibilità di un
sistema specifico tale da renderne lo stato
precario e, contemporaneamente, tutte quelle
condizioni di sottoutilizzo delle risorse,
si è suddiviso il territorio del Vallo in
zone omogenee di criticità.
Maggiore rilevo per la definizione dei punti
critici è stato dato alla geomorfologia dei
luoghi, alla situazione socio-economica e
all’uso del suolo. Accanto a questi elementi
sono state evidenziate tutte le carenze
attribuibili al sistema infrastrutturale.
Aria, acqua, suolo, ambiente urbano, reti,
ecosistemi e spazi naturali, patrimonio
storico-culturale sono tutte le aree
tematiche prese in considerazione nella
definizione e spazializzazione delle
criticità. Ciascuna tematica è stata
analizzata attraverso indicatori
rappresentativi e, in qualche caso,
attraverso indici composti ricavati
dall’aggregazione di più indicatori
semplici. Per la scelta degli indicatori e
per una loro articolazione in soglie
compatibili e sostenibili, si è fatto
riferimento alla normativa di settore, agli
obiettivi programmatici regionali e
nazionali, oltre che alla letteratura
scientifica.
Operazioni di sovrapposizione (map-overlay)
dei singoli indicatori e la loro successiva
aggregazione hanno consentito di determinare
5 livelli di criticità, articolati in classi
di ordine crescente.
Il modello8 proposto mira a
valutare la congruenza del sistema dei
programmi esaminati con le direttive e gli
indirizzi dettati a livello superiore: gli
interventi sono stati valutati in relazione
a quanto essi possano contribuire
all’applicazione di ciascuna linea di azione
(ovvero alla massimizzazione delle strategie
del Ptr) attribuendo un punteggio di merito.
È opportuno sottolineare che per una
valutazione maggiormente oggettiva,
occorrerebbe far intervenire i soggetti con
differenti competenze, in modo da riportare
risultati più significativi e garantire al
contempo un approccio multidisciplinare.
La verifica di conformità trova un duplice
obiettivo: in primis, testare se è osservato
il principio di sussidiarietà, in secondo
luogo, individuare e studiare quegli
interventi che rivelano come, attraverso una
logica di pianificazione bottom up,
il territorio subisce modificazioni non
definite a livello generale, ma che possono
comunque essere inquadrate come frutto di
dinamiche territoriali nate alla piccola
scala, ovvero come eventuale futuro
indirizzo perseguibile dal Ptr.
Il passaggio successivo è quello di
aggregare i risultati ottenuti in un unico
valore globale, al fine di ottenere un
confronto numerico diretto tra tutti gli
interventi, ovvero una loro classificazione
e selezione. Si è reso opportuno far
intervenire in qualche modo il territorio,
con i suoi bisogni, in questa fase di
valutazione. In pratica si è introdotto nel
processo la verifica della capacità di un
progetto di essere in linea con le
disponibilità del territorio o di produrre
valore aggiunto. Allo scopo, è stata pesata
la valutazione di conformità e rapportata
alle criticità riscontrate. Inoltre, è stato
verificato questo rapporto con gli aspetti
economici collegati, cioè con l’entità del
finanziamento erogato. In sintesi, le
matrici ottenute dalla valutazione di
congruenza sono state rapportate a due
coefficienti significativi: uno di criticità
(a) ed uno di finanziamento (b) espresso in
forma percentuale.
In particolare, il primo rappresenta un
valore moltiplicativo che mira ad abbattere
(o a mantenere) il punteggio attribuito in
prima istanza all’intervento esaminato, in
base alla sua collocazione territoriale.
Per l’attribuzione di un valore numerico, si
è voluto lasciar spazio alle decisioni
perseguite dal pianificatore (quindi dal
valutatore). Nel lavoro sono state
ipotizzate due logiche di approccio
differenti, che, in qualche modo,
rappresentano due casi limite. Nel primo
caso, la logica è che azioni di recupero e
azioni di conservazione hanno la medesima
incidenza territoriale. I coefficienti di
criticità ottengono lo stesso punteggio in
situazioni di alta e bassa criticità. Questo
approccio sottintende una logica di lungo
periodo: il pianificatore investe oggi per
interventi di conservazione, al fine di
evitare, domani, eventuali azioni di
recupero e/o ripristino. Nel secondo caso,
invece, la logica è che le aree ad alta
criticità hanno priorità nell’attuazione
degli interventi. I coefficienti di
criticità hanno punteggi differenti,
decrescenti proporzionalmente al grado di
criticità. Questo approccio, differentemente
dal caso precedente, sottintende una logica
di breve periodo: il pianificatore vuole
investire maggiormente sugli interventi che,
oggi, tendono a risolvere i bisogni (punti
critici) più impellenti.
Figura 4 - Aree sensibili
all'inquinamento atmosferico |
|
Indicatori considerati:
NO2 (biossido di azoto,
media annuale espresso in µg/mc);
PM10 (polveri sospese o materiale
particolato, media annuale espresso
in µg/mc); CO (monossido di
carbonio, media giornaliera espressa
in mg/mc); Benzene (media annuale
espresso in µg/mc); O3
(ozono troposferico); SO2
(biossido di zolfo).
Normativa di riferimento per la
definizione delle soglie limite:
Dm 60/2002; Dpcm 28/3/1983, Dpr
203/1988, Dm 25/11/94, Dm 15/04/1994
e Dm 16/05/1996. |
Applicazione del metodo: i risultati
L’implementazione del metodo proposto ha
permesso di ricavare una serie di risultati
utili al governo delle trasformazioni
territoriali. In primo luogo, attraverso
un’interrogazione formale del Db avvenuta
definendo una serie di query in
linguaggio SQL, sono stati definiti
rispettivamente:
- per le linee di azione implementate dal
Ptr e dal Ptcp: i settori più e meno
attivati e quelli non attivati affatto; il
rapporto tra i due strumenti;
- per le azioni previste dai programmi di
sviluppo locale: i settori attivati e non;
la percentuale di interventi (im)materiali,
ovvero il numero degli interventi
spazializzabili per ogni programma; gli
interventi non previsti dal Ptr;
- per le azioni previste dai piani di
settore: i settori più e meno attivati e
quelli non previsti; gli interventi che non
seguono le linee di azione previste dal Ptr.
Dalle interrogazioni effettuate è scaturito,
ad esempio, che i settori maggiormente
attivati in termini di linee di azione del
Ptr sono quelli inerenti lo sviluppo locale
e l’ambiente. Al contrario, un minor numero
di linee di azione sono state definite nel
settore di valorizzazione delle risorse
storico-culturali. Molti sub settori
appartenenti alla sfera dello sviluppo
locale non sono affatto contemplati dal Ptcp,
probabilmente a causa dei diversi tempi di
elaborazione dei due strumenti di
pianificazione. Il settore su cui si
sofferma maggiormente il sistema di
programmi è quello relativo ai beni
culturali, giustificando una tipologia di
pianificazione che, partendo dal basso, mira
a valorizzare le peculiarità del contesto
territoriale del Vallo, nonché a risolvere
proprio quelle criticità che affliggono
l’area9. Operando con la stessa
logica, i programmi danno poco rilievo al
sub settore relativo all’inquinamento. Nella
maggior parte dei casi (il 78% per il Pi
Certosa di Padula) gli interventi previsti
sono materiali, dunque spazializzabili sul
territorio.
Figura 5 - Aree soggette ad
esondazioni |
|
Fattori considerati:
pendenze modeste della piana,
0.2-0.4%; detriti alluvionali
trasportati dagli affluenti del
Tanagro; insufficienza degli
inghiottitoi naturali di Polla e S.
Arsenio. |
Prese in considerazione entrambe le logiche
del pianificatore, ovvero la diversa
attribuzione numerica ai coefficienti di
criticità (a), l’implementazione del modello
valutativo, validato per il Pi Certosa di
Padula, ha portato a risultati pressoché
simili, sottolineando il peso avuto dal
coefficiente di finanziamento nella
valutazione globale. Si classificano col
massimo punteggio sempre interventi legati
allo sviluppo e, nella fattispecie, quelli
inerenti la formazione legata alla filiera
del turismo culturale e il potenziamento del
sistema produttivo nel campo
dell’artigianato tradizionale, del restauro
e dei servizi turistici. In sintesi, la
filiera turistico-produttiva legata ai beni
culturali ha la meglio sugli altri
interventi.
I risultati ottenuti mostrano in effetti
come azioni legate alla formazione e alla
specializzazione professionale risultano
prioritarie in una logica di sviluppo
auto-sostenibile del territorio che
garantisca, da una parte, la valorizzazione
del paesaggio (culturale, soprattutto), e,
dall’altra, utilizzi il paesaggio come una
risorsa per attivare nuovi flussi economici,
nella fattispecie legati alla filiera
turistica.
È possibile affermare che, coerentemente ai
bisogni rilevati sul territorio e alle
possibilità che lo stesso offre, il Pi
Certosa di Padula massimizza interventi che
realmente risultano necessari. Dal suo
canto, la Regione Campania ha un riscontro
sui finanziamenti attribuiti al programma e
può attivare un sistema di monitoraggio
sugli interventi prioritari.
Figura 6 - Definizione dei
coefficienti di criticità
α |
|
|
Conclusioni
La complessità dei temi inerenti la
pianificazione del territorio, oltre la
plurisettorialità, implica il coinvolgimento
di una molteplicità di attori nella
progettazione e gestione delle politiche di
trasformazione. La Regione Campania dà al
proprio piano territoriale un carattere
fortemente processuale e strategico, teso a
promuovere e ad accompagnare azioni e
progetti locali integrati. L’integrazione,
tuttavia, pur essendo una prospettiva
strategica imprescindibile, è altrettanto
problematica. Di qui la necessità di porre
alla base dell’azione di governance
alcuni requisiti: in particolare una logica
di progetto e di risultato, guidata
dall’esigenza di attribuire ai progetti una
spiccata interdipendenza, in rapporto alle
esigenze di competitività connesse a quelle
della coesione. In questo quadro di
innovazione, è opportuna una fase di
controllo e gestione delle trasformazioni
del territorio.
Il lavoro presentato vuol essere un
contributo per la valutazione dei progetti,
uno strumento utile al fine di coordinare e
gestire al meglio le trasformazioni
territoriali. Esso è basato su un principio
valutativo di coerenza degli interventi
rispetto ad un sistema di obiettivi ed un
sistema di preferenze pre-determinati.
Perseguendo l’efficienza nella gestione e
nello sviluppo di importanti decisioni
trasformative, il metodo proposto vuol
essere uno strumento tecnico di supporto
alle decisioni da prendere in un ambiente
condiviso e integrato. Infatti, attraverso
l’identificazione delle problematiche più
rilevanti e delle aree critiche, l’analisi
di impatto degli interventi programmati
sulle criticità del territorio e la stima
complessiva delle azioni pianificate si
forniscono indicazioni utili all’attività di
valutazione e selezione dei progetti locali
e si consente di individuare specifiche
prescrizioni e raccomandazioni per la
gestione delle trasformazioni territoriali,
nonché di definire priorità e opportunità
per il monitoraggio delle stesse.
Note
1
Lo studio è stato condotto nell’ambito della
tesi di Master di II livello in “Nuovi
strumenti di governo e gestione del
territorio” organizzato dalla Università
degli Studi della Basilicata.
2
Tra i piani quadro si annoverano: Linee
guida per la pianificazione territoriale
regionale, Proposta di Ptr e programma
operativo regionale. Appartengono alla
famiglia dei piani territoriali di area
vasta: piano territoriale di coordinamento
provinciale di Salerno e piano del Parco
nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Ci
sono, poi, una serie di piani di settore
(piano stralcio per l’assetto idrogeologico
redatto dall’Autorità di bacino
inter-regionale Sele, piano straordinario
per l’assetto idrogeologico redatto
dall’Autorità di bacino Sinistra Sele, piano
di sviluppo socio-economico della Comunità
montana Vallo di Diano, piano provinciale
dei trasporti) e programmi di promozione
dello sviluppo locale (Prusst “Ospitalità
diffusa”; Pit “Certosa di Padula” – Asse II;
Pit “Parco nazionale Cilento e Vallo di
Diano” – Asse I; Pit “Filiera Termale” solo
per il Comune di Montesano; patto
territoriale tematico agricoltura e pesca
Vallo di Diano; patto territoriale
Bussento-Vallo di Diano).
3
Le entità rappresentano classi di
oggetti che hanno proprietà comuni e che
possono essere distintamente identificate,
ovvero hanno una propria individualità e
sono rilevanti per il sistema implementato.
In uno schema, ogni entità ha un nome che la
identifica univocamente e viene
rappresentata graficamente attraverso un
rettangolo con il nome dell’entità
all’interno.
4
Le relazioni descrivono i legami
logici, significativi per l’applicazione di
interesse, tra le diverse entità. In uno
schema E-R, ogni relazione ha un nome che la
identifica univocamente e viene
rappresentata graficamente mediante un
rombo, con il nome delle relazione
all’interno, e da linee che connettono la
relazione con ciascuna delle sue componenti.
5
Gli attributi rappresentano le
proprietà elementari delle entità o delle
relazioni che sono di interesse ai fini
dell’applicazione. Graficamente vengono
rappresentati attraverso un cerchietto ed
una linea di connessione alla componente cui
si riferiscono; quando il cerchietto viene
campito vuol dire che l’attributo
rappresenta, nell’implementazione fisica del
DB, una chiave primaria (identificatore).
Talvolta risulta agevole raggruppare
attributi di una medesima entità o relazione
che presentano affinità nel loro significato
o uso: questo insieme di attributi viene
definito attributo composto. Esso,
graficamente, si rappresenta attraverso
un’ellisse, con il nome dell’attributo
composto all’interno, e da una linea di
connessione alla componente cui si
riferisce. All’attributo composto saranno
associati due o più attributi semplici.
6
Gli identificatori descrivono i
concetti (attributi e/o entità) dello schema
e permettono di identificare le occorrenze
delle entità. Quando, come nel caso in
esame, l’identificazione di un’entità (un
intervento, nella fattispecie) è ottenuta
utilizzando altre entità si parla di
identificatore esterno.
7
Le 7 aree tematiche di riferimento
sono state individuate a partire dagli
obiettivi generali strategici sintetizzati
nelle schede tecniche dei piani. Queste,
nello schema concettuale, rappresentano un
attributo degli obiettivi generali. In
sintesi, sono stati definiti, attraverso la
lettura del set completo di obiettivi
strategici, alcuni settori tematici cui i
piani o programmi si riferiscono per
l’implementazione delle rispettive
strategie. Fondamentali, in tal senso, sono
stati gli assi previsti dal Por Campania e
le linee strategiche individuate dal Ptr.
Per ognuna di dette aree, sono stati poi
individuati dei sub-settori (38 sub-area)
che meglio specificano le aree stesse.
8
La metodologia adottata per la valutazione
dei programmi in relazione al test di
conformità e alle criticità del territorio è
stata mutuata dalla definizione e
validazione della Vas applicata in maniera
preventiva al Complemento di programmazione
dalla Regione Piemonte.
9
La criticità media relativa alla
valorizzazione dei beni culturali si attesta
per l’intero Vallo a 3,4 punti, ovvero in
una fascia medio-alta.
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