Pianificare in condizioni di complessità e
incertezza
Il pensiero della complessità, a differenza
del paradigma riduzionista (fondato sulla
scomposizione del mondo in unità elementari,
il cui comportamento, sottoposto
all’osservazione scientifica, rappresenta
regole estendibili a leggi universali),
interpreta la realtà come molteplicità
irriducibile di sistemi interagenti, un
universo di relazioni che si manifestano a
differenti scale spaziali e temporali e che
sono attivate dalle differenze implicite in
ogni sistema. Con l’introduzione dei
concetti di indeterminatezza,
incertezza, imprevedibilità quali
parametri costanti e intrinseci della
realtà, sono compromesse le basi della
scienza classica, secondo cui una volta
conosciute le condizioni iniziali di un
sistema, se ne possono prevedere con
esattezza e oggettività i comportamenti
futuri. Ciò porta al completo spiazzamento
delle abituali modalità di osservazione: “…
si ha la sensazione che vengano giocati
molti giochi contemporaneamente, e che
durante il gioco cambino le regole di
ciascuno” (Baumann, 2002).
Un analogo spiazzamento si è avuto nel campo
della pianificazione urbana e territoriale:
il concetto di territorio ha subito
una trasformazione radicale, si passa da una
sua interpretazione quale risorsa materiale
suscettibile di sfruttamento, spazio
controllabile ove le diversità sono viste
come resistenze alla trasformazione, ad una
interpretazione in cui è riconosciuto il
carattere relazionale e incerto proprio di
un sistema complesso. Le differenti
interpretazioni del territorio, nonostante
la varietà dei punti di vista, concordano
nel ritenerlo un sistema complesso,
caratterizzato da una pluralità di relazioni
fisiche, ecologiche, economiche e sociali, e
da molteplici proprietà, quali, ad esempio,
la dipendenza sensibile alle condizioni
iniziali e la non linearità delle relazioni
tra interventi progettati ed evoluzione
spontanea. Di conseguenza, appare non più
applicabile l’approccio razionalista alla
sua pianificazione, approccio che si rivela
ancora meno adeguato se riletto alla luce
delle sempre più pressanti richieste di
compatibilità ecologico-ambientale, e
ingestibile se rapportato alla dialettica
globale/locale.
Con tali presupposti, il territorio come
sistema complesso si dimostra esplorabile
non secondo logiche razionali e deduttive,
piuttosto tramite nuovi processi di
conoscenza: il pensiero della complessità ci
ha reso consapevoli della infondatezza di un
unico punto di osservazione capace di
omogeneizzare le differenze ed eliminare le
contrapposizioni tra i differenti punti di
vista, ciascuno frutto di una conoscenza
specifica.
Nella logica della complessità convivono
innumerevoli punti di vista che,
sovrapponendosi, consentono
l’apprendimento ad apprendere. Tale
percorso conoscitivo si riflette nella
conoscenza ecologica, ovvero quella
modalità di rapportarsi alla realtà che
consente (Manghi, 2004):
- il tracciare le mappe dei contesti
in cui viviamo;
- il comporre immagini di noi stessi,
degli altri, e delle nostre interazioni;
- il procurarci narrazioni ordinate
di quel “disordine quotidiano chiamato
esperienza”.
Una prima conclusione che si trae da queste
sintetiche premesse è che non è possibile
fare affidamento sui tradizionali modelli di
analisi e valutazione, pur riconoscendone la
indiscussa correttezza scientifica.
Piuttosto, come ci ricorda Morin, è
necessario individuare non tanto una
metodologia (che porterebbe, per assurdo, ad
un nuovo riduzionismo), piuttosto un
anti-metodo (Morin, 1977), ove
l’incertezza e la confusione diventano
virtù. Nel pensiero complesso viene,
infatti, messa in discussione la possibilità
di una conoscenza descrittiva, e viene
riconosciuto il ruolo dell’osservatore nel
processo conoscitivo, tramite parametri
percettivi e codici interpretativi che ha a
disposizione. Si afferma così una visione
progettuale della conoscenza, dove
coabitano molteplici punti di vista e
metodologie: l’osservatore fa parte della
complessità apportando la sua visione del
mondo.
La rilettura del territorio in termini di
interazioni consente di riflettere sulle sue
modalità di funzionamento e di
evoluzione attraverso un approccio
particolarmente attento alle relazioni
esistenti tra le parti e il tutto. Inoltre,
il riconoscimento della valenza sociale e
politica dell’attività di pianificazione
conduce a ripensare la stessa come attività
volta a definire soluzioni concordate tra i
differenti soggetti che interagiscono nel
processo di piano. Ciò porta a immaginare
una struttura progettuale aperta,
flessibile, lontana da schematismi e da
rigidità funzionali, non deterministica ma
caotica, una metodologia progettuale capace
di gestire le incertezze e la complessità,
individuando non una soluzione, ma una serie
di possibili strategie. In altri termini, un
processo di pianificazione basato su una
visione dinamica del contesto, attraverso la
formulazione di una serie di ipotesi,
configurando non tanto un sistema gerarchico
in cui le differenti forme di azione sono
connesse secondo un percorso lineare
analisi-piano-progetti, quanto piuttosto
attraverso un percorso che sia ciclico e
interattivo.
Secondo Edgar Morin, una delle vie possibili
per la conoscenza nell’ambito della
complessità e dell’incertezza è da
rintracciarsi nella strategia, intesa
non tanto come formulazione di programmi, ma
come arte di utilizzare le
informazioni che “si producono con l’azione,
di integrarle, di formulare determinati
schemi di azione e di porsi in grado di
raccoglierne il massimo di certezza per
affrontare ciò che è incerto” (Morin, 1997).
Riletta in chiave urbanistica, la strategia
di conoscenza – e, quindi, di pianificazione
– del territorio, dovrebbe configurarsi
come:
- processo di sperimentazione di alternative
di sviluppo, ovvero continua riflessione sul
cambiamento e sulle trasformazioni
desiderabili, sulla moltiplicazione degli
orizzonti possibili e/o probabili;
- strumento per riorientare pratiche e
politiche, che sia in grado di individuare e
interpretare le nuove dinamiche di
trasformazione dei sistemi territoriali in
relazione alle trasformazioni della domanda
sociale;
- strumento di identificazione di scenari di
trasformazione desiderabili, basati su
obiettivi condivisi e attuati in maniera
sperimentale attraverso progetti pilota;
- modalità di interazione sociale, capace di
fare emergere e saper gestire le
contraddizioni necessarie per attivare
processi comunicativi, valorizzare le
differenze, attivare processi di
responsabilizzazione e apprendimento
sociale;
- percorso verso la sostenibilità che
confluisca nella costruzione e nello
sviluppo di relazioni coevolutive tra
dimensione antropica e cicli evolutivi
dell’ambiente naturale.
Tale concettualizzazione rappresenta un
importante contribuito per il superamento
della visione deterministica e statica del
territorio: si ha a che fare con una
concezione sistemica della realtà, i cui
limiti, senza dubbio, sono rintracciabili
nell’aumento delle variabili da considerare;
si ricorda, tuttavia, che la sfida della
complessità – citando ancora Morin – può
essere affrontata con successo solo
attraverso il ricorso ad una maggiore
complessità, ovvero ad una maggiore
progettazione creativa di risposte multiple
e intelligibili. Ciò presuppone il passaggio
da forme di conoscenza e di azione di tipo
analitico, tecnico e gerarchico a percorsi e
metodi basati sull’ascolto delle differenze
e delle specificità del territorio,
introducendo modalità di intervento di tipo
interattivo, relazionale, imparando ad
apprendere da più prospettive, spesso in
conflitto tra loro.
Strategie di pianificazione nell’epoca della
complessità
Nell’ambito delle ricerche1,
effettuate dalla scrivente presso il
dipartimento di Studi urbani dell’Università
degli studi di Roma Tre, si è approfondito
un approccio innovativo alla conoscenza e
pianificazione del territorio (Strategic
Choice)2, il cui carattere
processuale, interattivo e flessibile
permette di superare alcuni limiti derivanti
dalla visione gerarchica e lineare del
processo progettuale, limiti connessi
principalmente alle differenti scale
spazio-temporali delle decisioni (gerarchia
spaziale: dall’area vasta al progetto
particolareggiato; gerarchia temporale:
dagli obiettivi di lungo periodo alle scelte
operabili immediatamente). In tale approccio
l’attenzione viene focalizzata non tanto sul
rapporto gerarchico che si instaura tra le
scelte, ma sulle loro interconnessioni.
Alla base di tale impostazione vi sono
alcuni assunti di base, quali ad esempio
(Friend J., Hickling A., 1987):
- l’assunzione sia di una visione olistica
che del contemporaneo carattere di
specificità di interventi focalizzati su
problematiche particolari, secondo un
approccio trans-scalare e inter-temporale,
capace di cogliere le relazioni di processo
e le dinamiche di interazione spaziale;
- la necessità di operare in un contesto di
incertezza a fronte di processi
caratterizzati da alta complessità,
considerando la natura relazionale delle
differenti decisioni e delle opzioni
progettuali ad esse relative;
- l’impossibilità di separare, all’interno
dei processi decisionali, gli aspetti
tecnici da quelli politici;
- la necessità di superare i conflitti di
interesse tra i differenti attori coinvolti
nel processo decisionale, adottando, quindi,
una procedura interattiva di costruzione del
processo di piano, che permetta di
confrontare, valutare e scegliere tra
opzioni progettuali divergenti e
incompatibili;
- l’adozione di un processo incrementale ed
esplorativo alla costruzione delle scelte
strategiche, che si evolve trasformandosi
nel tempo verso sempre una maggiore
articolazione, definizione e
contestualizzazione delle scelte.
Tramite questa procedura non si perviene
alla redazione di un piano, inteso come
rigido sistema di prescrizioni, sono
piuttosto identificati i passi incrementali
da attuare in un processo continuo di
pianificazione. L’efficacia del processo è
valutata non dal grado di conformità tra
prescrizioni e attuazione, ma dalla capacità
di agevolare le scelte, di adattarsi alle
trasformazioni e di gestire le incertezze
intrinseche nei processi decisionali (Giangrande,
1999). La pianificazione, quindi, è intesa
come un processo di scelta strategica, dove
ogni decisione è presa in condizioni di
incertezza e in situazioni spesso
caratterizzate da carenza di risorse e
conflitti di interesse. In tale concezione,
il conflitto diventa risorsa, capace di fare
emergere punti di vista differenti:
rappresenta, quindi, uno strumento per
costruire nuove relazioni e identità, per
implementare pratiche e possibilità, per
aiutare le persone a diventare “attivi
co-costruttori delle proprie realtà” (Maciocco,
2005).
L’incertezza assume un ruolo fondamentale
nella strutturazione del processo di scelta
strategica; sono individuati tre tipi di
incertezza che, per la loro natura e per le
loro interrelazioni, delineano il carattere
di complessità irriducibile delle scelte
medesime (Figura 1): incertezze
relative alla conoscenza del contesto fisico
e ambientale (UE, Uncertainties about the
working Environment); incertezze
relative alle relazioni tra i differenti
campi di scelta e i diversi processi di
decisione (UR: Uncertainties about
Related decisions); incertezze relative
alle politiche, ai sistemi di valore in base
ai quali valutare le scelte (UV:
Uncertainties about guiding Values).
Figura 1 - Incertezze |
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Una delle principali caratteristiche di
Strategic Choice riguarda il carattere
incrementale e continuo della
pianificazione, intesa come procedura in cui
le differenti fasi di costruzione delle
decisioni e delle opzioni progettuali
interagiscono tra di loro in un processo non
lineare.
I quattro cicli operativi di Strategic
Choice – articolati nelle modalità
strutturare, progettare,
confrontare e scegliere – non
sono ordinati in rigide sequenze temporali;
permettono piuttosto di costruire un
processo di pianificazione aperto e
flessibile, che prevede la possibilità di
riformulare i problemi e tornare su scelte
già individuate, di confrontare e scegliere
anche retroattivamente le opzioni
progettuali, modificandole secondo gli
elementi di complessità e novità che
emergono nel corso del processo decisionale.
Tali modalità non corrispondono a step
procedurali da percorrere in rigida
sequenza; piuttosto, il passaggio da una
modalità operativa ad un’altra deriva
dall’esigenza di acquisire le informazioni
ritenute più rilevanti nelle differenti fasi
del processo (Figura 2).
Figura 2 - I principi guida |
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Nella modalità strutturare, viene
articolato il complesso delle problematiche
(aree di decisione) e identificate le
loro interrelazioni: ogni area di decisione
rappresenta uno specifico problema da
risolvere e si configura non come esito di
un processo decisionale, ma come ambito nel
quale inquadrare le differenti possibilità
di progetto. Le aree di decisione possono
riguardare diverse tipologie di problemi
(dai generali a quelli più specifici), che
si presentano alle differenti scale, legate
a tempi di progettazione differenti e che
coinvolgono differenti attori; la lista
delle aree, inoltre, è aperta e può essere
aggiornata durante il processo di
approfondimento delle conoscenze. Le
interrelazioni tra le aree di decisione, (legami
di decisione), formano il grafo di
decisione, ovvero l’identificazione
delle connessioni tra i differenti elementi
che compongono un problema complesso. La
definizione dei fuochi del problema –
ovvero gruppi di aree di decisione
fortemente interrelati che è possibile
analizzare provvisoriamente come
sottoproblemi separati per una conoscenza
maggiormente approfondita – rappresenta il
passaggio dalla modalità strutturare a
quella progettare.
Nella modalità progettare sono
individuate alcune soluzioni alternative (opzioni)
per ogni area di decisione e identificati i
legami di incompatibilità tra di esse, dalla
cui analisi è possibile individuare i
possibili insiemi di soluzioni mutuamente
compatibili.
Nella modalità confrontare sono
definiti i criteri di valutazione delle
opzioni e, quindi, identificata una prima
gerarchia di preferenze: attraverso i
criteri scelti si procede al confronto tra
azioni alternative, secondo parametri di
valutazione di tipo qualitativo e
quantitativo, considerando inoltre non solo
gli effetti diretti, ma anche le conseguenze
indirette, spesso difficilmente
quantificabili, dei differenti corsi di
azione. Sono così evidenziati i vantaggi e
gli svantaggi delle differenti ipotesi
progettuali. La metodologia di valutazione
adottata si basa su indicatori in grado di
interpretare l’identità complessa del
territorio, attraverso la comprensione delle
relazioni tra struttura ambientale e
organizzazione socio-economica, delle
interconnessioni esistenti tra l’ambiente
costruito, il paesaggio e il sistema di
valori delle comunità, delle relazioni
interne e degli scambi con l’esterno. In
tale ottica, la valutazione non si configura
come tecnica per scegliere la soluzione
migliore tra le possibili alternative,
piuttosto rappresenta uno strumento di
conoscenza, progetto e riflessione critica
riguardo le possibili trasformazioni.
L’ultima fase, (scegliere) riguarda
l’esplicitazione dei dubbi e delle
problematiche emerse durante il processo
progettuale. Si costruiscono, quindi, gli
schemi di azione, selezionando gli schemi di
decisione relativi alle aree di decisione
ritenute prioritarie per importanza e
urgenza.
Il prodotto principale del processo
progettuale è il pacchetto di prescrizioni
(o progress), che sintetizza i
risultati visibili del processo: le azioni
da attuare subito, le azioni da
intraprendere per ridurre le incertezze, le
decisioni da differire nel tempo, le azioni
da attuare in sostituzione di quelle
stabilite nel caso di difficoltà non
previste. Tuttavia, assumono particolare
rilevanza anche i risultati invisibili come
il miglioramento dei processi di
comunicazione tra gli attori che può
derivare da una maggiore comprensione dei
sistemi di valori, delle modalità di lavoro,
delle pressioni e dei vincoli ai quali anche
gli altri attori del processo sono soggetti.
I processi di negoziazione, dialogo e
interazione attiva tra i differenti
soggetti, insiti nella procedura proposta,
assumono fondamentale importanza:
rappresentano, infatti, non semplicemente
una possibile risposta alla necessità di
superare i limiti della razionalità
urbanistica tradizionale, ma pongono le basi
per una profonda trasformazione
epistemologica della pianificazione stessa.
L’interazione tra i differenti attori, il
coinvolgimento nelle pratiche di
pianificazione, può ottenersi solamente se
le occasioni di confronto e integrazione tra
sapere tecnico e pratiche comuni, non sono
saltuarie, ma diventino elemento costitutivo
delle pratiche di pianificazione: in tale
contesto, l’impegno del planner, nel
confrontarsi con forme di razionalità,
conoscenze e sistemi di valore differenti, è
orientato verso l’esplorazione delle
condizioni che favoriscono la cooperazione
tra i differenti soggetti: la progettazione
in tal modo è intesa non solo come pratica
che dà forma al contesto territoriale, ma
anche come pratica di costruzione di
senso.
Nell’ambito delle ricerche svolte sotto la
guida del Prof. Giangrande, nel corso di
dottorato in Progetto urbano sostenibile
(Università degli Studi di Roma Tre), si è
sperimentato il metodo Strategic Choice
al fine di individuare i possibili scenari
di trasformazione del territorio della
laguna di Venezia.
Il sistema territoriale veneziano è stato
scelto in quanto emblematico della realtà
attuale: la compresenza di terra e acqua e
di funzioni potenzialmente in conflitto
connesse al loro utilizzo, rende improbabile
ogni approccio riduzionista e costringe a
considerare la complessità del contesto,
delle azioni da svolgere e delle decisioni
da prendere.
I numerosi fattori di incertezza, relativi,
ad esempio, all’assetto naturalistico (si
pensi ai numerosi dibattiti in atto relativi
alla questione della subsidenza e delle
maree anomale, alla identificazione della
Laguna come singolo ecosistema o sistema
complesso di ecosistemi tra loro
interagenti), alle questioni gestionali
(quali la molteplicità di attori coinvolti
nel coordinamento della pianificazione
locale), a fattori socio-economici (il
destino del petrolchimico in una ipotesi di
società futura no-oil, la monocultura
turistica, ecc.), rendono necessario
l’utilizzo di una metodologia progettuale
che metabolizzi da subito le incertezze
intrinseche della realtà in cui si va ad
agire.
Le analisi condotte sulle specificità del
sistema territoriale, il riconoscimento dei
punti di forza e debolezza, l’osservazione
di alcuni fenomeni relativi all’andamento
economico e alla organizzazione sociale,
hanno portato alla identificazione delle
principali problematiche (aree di
decisione), caratterizzate da particolare
urgenza e importanza, per le quali sono
state individuate differenti opzioni di
scelta.
L’articolazione in fuochi (sotto
insiemi di aree di decisione tra loro
interrelati) ha permesso l’analisi delle
strategie relative a differenti ambiti
tematici, al fine di individuare un modello
di sviluppo che favorisca l’attuazione di
scenari evolutivi dinamici. I principali
fuochi individuati sono:
1. la salvaguardia ecologico-ambientale
dell’ecosistema lagunare, che aggrega aree
riguardanti le problematiche della
salvaguardia ambientale e della manutenzione
dell’ecosistema lagunare;
2. lo sviluppo socio-economico delle aree di
gronda, relativo alla attuazione di
provvedimenti diretti a rivitalizzare le
aree di gronda sotto il profilo sociale ed
economico e a regolarne lo sviluppo;
3. lo sviluppo urbano di Marghera, relativo
alla riqualificazione della municipalità di
Marghera, con particolare attenzione alle
modalità di collegamento con Venezia e
Mestre;
4. Porto Marghera e il petrolchimico,
relativo al possibile assetto dell’area
industriale, analizzata nelle sue
connessioni sia con la città storica e con
il nucleo urbano adiacente della città
giardino;
5. la città storica, relativo ai
provvedimenti diretti a rivitalizzare la
città storica sotto il profilo sociale ed
economico, al suo ridisegno funzionale, al
miglioramento del sistema dei collegamenti e
dell’accessibilità, alle decisioni da
prendere per compensare le conseguenze
negative del turismo (Figura 3).
Figura 3 - I principali fuochi
individuati per il sistema
territoriale della laguna di Venezia |
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Al fine di individuare uno scenario di
trasformazione orientato verso la
sostenibilità del territorio, sono stati
utilizzati criteri di valutazione di
carattere multidimensionale, relativi alle
varie declinazioni della sostenibilità:
socio-economica (intesa come possibilità di
attuare strategie di intervento riferite
all’uso appropriato delle risorse locali,
alla capacità di superamento della crisi
economica e occupazionale), territoriale
(intesa secondo la definizione di Magnaghi,
quale capacità di un modello insediativo e
delle sue regole di produzione di promuovere
processi di riterritorializzazione) ed
ecologico-ambientale (quale capacità delle
scelte progettuali di consentire la
valorizzazione e la salvaguardia degli
ecosistemi naturali e delle risorse primarie
presenti).
In conclusione, la metodologia proposta si
configura atipica, in quanto
considera contemporaneamente problematiche
di scala differente, aggirando le normali
prassi di pianificazione basate su logiche
lineari di gerarchia spaziale (dalla scala
vasta al progetto di dettaglio) e temporale
(prima le linee di indirizzo progettuale a
scala vasta, poi la specifica dei progetti
in ambito più dettagliato); tale approccio è
basato su un processo incrementale, ove la
dimensione strategica delle scelte non è
connessa a questioni di scala, piuttosto di
scelte (Strategic Choice).
Note
1
Ci si riferisce in particolare alle ricerche
svolte nel corso del dottorato di ricerca in
Progetto urbano sostenibile, XVII Ciclo,
Università degli studi di Roma Tre, svolte
sotto la guida del prof. Alessandro
Giangrande.
2
Strategic Choice è un approccio alla
pianificazione che costituisce l’esito di
ricerche ed esperienze sul campo attivata a
partire dagli anni ’60 nell’ambito della
scuola di ricerca operativa di Londra (Ior).
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