Numero 12/13 - 2006

 

La pianificazione regionale  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Imparare ad apprendere. Strategie di pianificazione nell'epoca della complessità


Alessia Cerqua


 

Il carattere relazionale e incerto dei sistemi complessi si adatta bene alla descrizione dei fenomeni urbanistici e territoriali, modificando i tradizionali paradigmi interpretativi e mettendo in crisi l'approccio razionalista alla loro pianificazione. Alessia Cerqua, presenta un metodo innovativo per l'acquisizione delle necessarie basi conoscitive e la formazione di scelte di organizzazione spaziale e funzionale, capovolgendo il punto di vista gerarchico e lineare tipico dei processi progettuali

 

 

 

Pianificare in condizioni di complessità e incertezza

 

Il pensiero della complessità, a differenza del paradigma riduzionista (fondato sulla scomposizione del mondo in unità elementari, il cui comportamento, sottoposto all’osservazione scientifica, rappresenta regole estendibili a leggi universali), interpreta la realtà come molteplicità irriducibile di sistemi interagenti, un universo di relazioni che si manifestano a differenti scale spaziali e temporali e che sono attivate dalle differenze implicite in ogni sistema. Con l’introduzione dei concetti di indeterminatezza, incertezza, imprevedibilità quali parametri costanti e intrinseci della realtà, sono compromesse le basi della scienza classica, secondo cui una volta conosciute le condizioni iniziali di un sistema, se ne possono prevedere con esattezza e oggettività i comportamenti futuri. Ciò porta al completo spiazzamento delle abituali modalità di osservazione: “… si ha la sensazione che vengano giocati molti giochi contemporaneamente, e che durante il gioco cambino le regole di ciascuno” (Baumann, 2002).

Un analogo spiazzamento si è avuto nel campo della pianificazione urbana e territoriale: il concetto di territorio ha subito una trasformazione radicale, si passa da una sua interpretazione quale risorsa materiale suscettibile di sfruttamento, spazio controllabile ove le diversità sono viste come resistenze alla trasformazione, ad una interpretazione in cui è riconosciuto il carattere relazionale e incerto proprio di un sistema complesso. Le differenti interpretazioni del territorio, nonostante la varietà dei punti di vista, concordano nel ritenerlo un sistema complesso, caratterizzato da una pluralità di relazioni fisiche, ecologiche, economiche e sociali, e da molteplici proprietà, quali, ad esempio, la dipendenza sensibile alle condizioni iniziali e la non linearità delle relazioni tra interventi progettati ed evoluzione spontanea. Di conseguenza, appare non più applicabile l’approccio razionalista alla sua pianificazione, approccio che si rivela ancora meno adeguato se riletto alla luce delle sempre più pressanti richieste di compatibilità ecologico-ambientale, e ingestibile se rapportato alla dialettica globale/locale.

Con tali presupposti, il territorio come sistema complesso si dimostra esplorabile non secondo logiche razionali e deduttive, piuttosto tramite nuovi processi di conoscenza: il pensiero della complessità ci ha reso consapevoli della infondatezza di un unico punto di osservazione capace di omogeneizzare le differenze ed eliminare le contrapposizioni tra i differenti punti di vista, ciascuno frutto di una conoscenza specifica.

Nella logica della complessità convivono innumerevoli punti di vista che, sovrapponendosi, consentono l’apprendimento ad apprendere. Tale percorso conoscitivo si riflette nella conoscenza ecologica, ovvero quella modalità di rapportarsi alla realtà che consente (Manghi, 2004):

- il tracciare le mappe dei contesti in cui viviamo;

- il comporre immagini di noi stessi, degli altri, e delle nostre interazioni;

- il procurarci narrazioni ordinate di quel “disordine quotidiano chiamato esperienza”.

Una prima conclusione che si trae da queste sintetiche premesse è che non è possibile fare affidamento sui tradizionali modelli di analisi e valutazione, pur riconoscendone la indiscussa correttezza scientifica. Piuttosto, come ci ricorda Morin, è necessario individuare non tanto una metodologia (che porterebbe, per assurdo, ad un nuovo riduzionismo), piuttosto un anti-metodo (Morin, 1977), ove l’incertezza e la confusione diventano virtù. Nel pensiero complesso viene, infatti, messa in discussione la possibilità di una conoscenza descrittiva, e viene riconosciuto il ruolo dell’osservatore nel processo conoscitivo, tramite parametri percettivi e codici interpretativi che ha a disposizione. Si afferma così una visione progettuale della conoscenza, dove coabitano molteplici punti di vista e metodologie: l’osservatore fa parte della complessità apportando la sua visione del mondo.

La rilettura del territorio in termini di interazioni consente di riflettere sulle sue modalità di funzionamento e di evoluzione attraverso un approccio particolarmente attento alle relazioni esistenti tra le parti e il tutto. Inoltre, il riconoscimento della valenza sociale e politica dell’attività di pianificazione conduce a ripensare la stessa come attività volta a definire soluzioni concordate tra i differenti soggetti che interagiscono nel processo di piano. Ciò porta a immaginare una struttura progettuale aperta, flessibile, lontana da schematismi e da rigidità funzionali, non deterministica ma caotica, una metodologia progettuale capace di gestire le incertezze e la complessità, individuando non una soluzione, ma una serie di possibili strategie. In altri termini, un processo di pianificazione basato su una visione dinamica del contesto, attraverso la formulazione di una serie di ipotesi, configurando non tanto un sistema gerarchico in cui le differenti forme di azione sono connesse secondo un percorso lineare analisi-piano-progetti, quanto piuttosto attraverso un percorso che sia ciclico e interattivo.

Secondo Edgar Morin, una delle vie possibili per la conoscenza nell’ambito della complessità e dell’incertezza è da rintracciarsi nella strategia, intesa non tanto come formulazione di programmi, ma come arte di utilizzare le informazioni che “si producono con l’azione, di integrarle, di formulare determinati schemi di azione e di porsi in grado di raccoglierne il massimo di certezza per affrontare ciò che è incerto” (Morin, 1997). Riletta in chiave urbanistica, la strategia di conoscenza – e, quindi, di pianificazione – del territorio, dovrebbe configurarsi come:

- processo di sperimentazione di alternative di sviluppo, ovvero continua riflessione sul cambiamento e sulle trasformazioni desiderabili, sulla moltiplicazione degli orizzonti possibili e/o probabili;

- strumento per riorientare pratiche e politiche, che sia in grado di individuare e interpretare le nuove dinamiche di trasformazione dei sistemi territoriali in relazione alle trasformazioni della domanda sociale;

- strumento di identificazione di scenari di trasformazione desiderabili, basati su obiettivi condivisi e attuati in maniera sperimentale attraverso progetti pilota;

- modalità di interazione sociale, capace di fare emergere e saper gestire le contraddizioni necessarie per attivare processi comunicativi, valorizzare le differenze, attivare processi di responsabilizzazione e apprendimento sociale;

- percorso verso la sostenibilità che confluisca nella costruzione e nello sviluppo di relazioni coevolutive tra dimensione antropica e cicli evolutivi dell’ambiente naturale.

Tale concettualizzazione rappresenta un importante contribuito per il superamento della visione deterministica e statica del territorio: si ha a che fare con una concezione sistemica della realtà, i cui limiti, senza dubbio, sono rintracciabili nell’aumento delle variabili da considerare; si ricorda, tuttavia, che la sfida della complessità – citando ancora Morin – può essere affrontata con successo solo attraverso il ricorso ad una maggiore complessità, ovvero ad una maggiore progettazione creativa di risposte multiple e intelligibili. Ciò presuppone il passaggio da forme di conoscenza e di azione di tipo analitico, tecnico e gerarchico a percorsi e metodi basati sull’ascolto delle differenze e delle specificità del territorio, introducendo modalità di intervento di tipo interattivo, relazionale, imparando ad apprendere da più prospettive, spesso in conflitto tra loro.

 

 

Strategie di pianificazione nell’epoca della complessità

 

Nell’ambito delle ricerche1, effettuate dalla scrivente presso il dipartimento di Studi urbani dell’Università degli studi di Roma Tre, si è approfondito un approccio innovativo alla conoscenza e pianificazione del territorio (Strategic Choice)2, il cui carattere processuale, interattivo e flessibile permette di superare alcuni limiti derivanti dalla visione gerarchica e lineare del processo progettuale, limiti connessi principalmente alle differenti scale spazio-temporali delle decisioni (gerarchia spaziale: dall’area vasta al progetto particolareggiato; gerarchia temporale: dagli obiettivi di lungo periodo alle scelte operabili immediatamente). In tale approccio l’attenzione viene focalizzata non tanto sul rapporto gerarchico che si instaura tra le scelte, ma sulle loro interconnessioni.

Alla base di tale impostazione vi sono alcuni assunti di base, quali ad esempio (Friend J., Hickling A., 1987):

- l’assunzione sia di una visione olistica che del contemporaneo carattere di specificità di interventi focalizzati su problematiche particolari, secondo un approccio trans-scalare e inter-temporale, capace di cogliere le relazioni di processo e le dinamiche di interazione spaziale;

- la necessità di operare in un contesto di incertezza a fronte di processi caratterizzati da alta complessità, considerando la natura relazionale delle differenti decisioni e delle opzioni progettuali ad esse relative;

- l’impossibilità di separare, all’interno dei processi decisionali, gli aspetti tecnici da quelli politici;

- la necessità di superare i conflitti di interesse tra i differenti attori coinvolti nel processo decisionale, adottando, quindi, una procedura interattiva di costruzione del processo di piano, che permetta di confrontare, valutare e scegliere tra opzioni progettuali divergenti e incompatibili;

- l’adozione di un processo incrementale ed esplorativo alla costruzione delle scelte strategiche, che si evolve trasformandosi nel tempo verso sempre una maggiore articolazione, definizione e contestualizzazione delle scelte.

Tramite questa procedura non si perviene alla redazione di un piano, inteso come rigido sistema di prescrizioni, sono piuttosto identificati i passi incrementali da attuare in un processo continuo di pianificazione. L’efficacia del processo è valutata non dal grado di conformità tra prescrizioni e attuazione, ma dalla capacità di agevolare le scelte, di adattarsi alle trasformazioni e di gestire le incertezze intrinseche nei processi decisionali (Giangrande, 1999). La pianificazione, quindi, è intesa come un processo di scelta strategica, dove ogni decisione è presa in condizioni di incertezza e in situazioni spesso caratterizzate da carenza di risorse e conflitti di interesse. In tale concezione, il conflitto diventa risorsa, capace di fare emergere punti di vista differenti: rappresenta, quindi, uno strumento per costruire nuove relazioni e identità, per implementare pratiche e possibilità, per aiutare le persone a diventare “attivi co-costruttori delle proprie realtà” (Maciocco, 2005).

L’incertezza assume un ruolo fondamentale nella strutturazione del processo di scelta strategica; sono individuati tre tipi di incertezza che, per la loro natura e per le loro interrelazioni, delineano il carattere di complessità irriducibile delle scelte medesime (Figura 1): incertezze relative alla conoscenza del contesto fisico e ambientale (UE, Uncertainties about the working Environment); incertezze relative alle relazioni tra i differenti campi di scelta e i diversi processi di decisione (UR: Uncertainties about Related decisions); incertezze relative alle politiche, ai sistemi di valore in base ai quali valutare le scelte (UV: Uncertainties about guiding Values).

Figura 1 - Incertezze

 

 

Una delle principali caratteristiche di Strategic Choice riguarda il carattere incrementale e continuo della pianificazione, intesa come procedura in cui le differenti fasi di costruzione delle decisioni e delle opzioni progettuali interagiscono tra di loro in un processo non lineare.

I quattro cicli operativi di Strategic Choice – articolati nelle modalità strutturare, progettare, confrontare e scegliere – non sono ordinati in rigide sequenze temporali; permettono piuttosto di costruire un processo di pianificazione aperto e flessibile, che prevede la possibilità di riformulare i problemi e tornare su scelte già individuate, di confrontare e scegliere anche retroattivamente le opzioni progettuali, modificandole secondo gli elementi di complessità e novità che emergono nel corso del processo decisionale. Tali modalità non corrispondono a step procedurali da percorrere in rigida sequenza; piuttosto, il passaggio da una modalità operativa ad un’altra deriva dall’esigenza di acquisire le informazioni ritenute più rilevanti nelle differenti fasi del processo (Figura 2).

Figura 2 - I principi guida

 

 

Nella modalità strutturare, viene articolato il complesso delle problematiche (aree di decisione) e identificate le loro interrelazioni: ogni area di decisione rappresenta uno specifico problema da risolvere e si configura non come esito di un processo decisionale, ma come ambito nel quale inquadrare le differenti possibilità di progetto. Le aree di decisione possono riguardare diverse tipologie di problemi (dai generali a quelli più specifici), che si presentano alle differenti scale, legate a tempi di progettazione differenti e che coinvolgono differenti attori; la lista delle aree, inoltre, è aperta e può essere aggiornata durante il processo di approfondimento delle conoscenze. Le interrelazioni tra le aree di decisione, (legami di decisione), formano il grafo di decisione, ovvero l’identificazione delle connessioni tra i differenti elementi che compongono un problema complesso. La definizione dei fuochi del problema – ovvero gruppi di aree di decisione fortemente interrelati che è possibile analizzare provvisoriamente come sottoproblemi separati per una conoscenza maggiormente approfondita – rappresenta il passaggio dalla modalità strutturare a quella progettare.

Nella modalità progettare sono individuate alcune soluzioni alternative (opzioni) per ogni area di decisione e identificati i legami di incompatibilità tra di esse, dalla cui analisi è possibile individuare i possibili insiemi di soluzioni mutuamente compatibili.

Nella modalità confrontare sono definiti i criteri di valutazione delle opzioni e, quindi, identificata una prima gerarchia di preferenze: attraverso i criteri scelti si procede al confronto tra azioni alternative, secondo parametri di valutazione di tipo qualitativo e quantitativo, considerando inoltre non solo gli effetti diretti, ma anche le conseguenze indirette, spesso difficilmente quantificabili, dei differenti corsi di azione. Sono così evidenziati i vantaggi e gli svantaggi delle differenti ipotesi progettuali. La metodologia di valutazione adottata si basa su indicatori in grado di interpretare l’identità complessa del territorio, attraverso la comprensione delle relazioni tra struttura ambientale e organizzazione socio-economica, delle interconnessioni esistenti tra l’ambiente costruito, il paesaggio e il sistema di valori delle comunità, delle relazioni interne e degli scambi con l’esterno. In tale ottica, la valutazione non si configura come tecnica per scegliere la soluzione migliore tra le possibili alternative, piuttosto rappresenta uno strumento di conoscenza, progetto e riflessione critica riguardo le possibili trasformazioni.

L’ultima fase, (scegliere) riguarda l’esplicitazione dei dubbi e delle problematiche emerse durante il processo progettuale. Si costruiscono, quindi, gli schemi di azione, selezionando gli schemi di decisione relativi alle aree di decisione ritenute prioritarie per importanza e urgenza.

Il prodotto principale del processo progettuale è il pacchetto di prescrizioni (o progress), che sintetizza i risultati visibili del processo: le azioni da attuare subito, le azioni da intraprendere per ridurre le incertezze, le decisioni da differire nel tempo, le azioni da attuare in sostituzione di quelle stabilite nel caso di difficoltà non previste. Tuttavia, assumono particolare rilevanza anche i risultati invisibili come il miglioramento dei processi di comunicazione tra gli attori che può derivare da una maggiore comprensione dei sistemi di valori, delle modalità di lavoro, delle pressioni e dei vincoli ai quali anche gli altri attori del processo sono soggetti.

I processi di negoziazione, dialogo e interazione attiva tra i differenti soggetti, insiti nella procedura proposta, assumono fondamentale importanza: rappresentano, infatti, non semplicemente una possibile risposta alla necessità di superare i limiti della razionalità urbanistica tradizionale, ma pongono le basi per una profonda trasformazione epistemologica della pianificazione stessa.

L’interazione tra i differenti attori, il coinvolgimento nelle pratiche di pianificazione, può ottenersi solamente se le occasioni di confronto e integrazione tra sapere tecnico e pratiche comuni, non sono saltuarie, ma diventino elemento costitutivo delle pratiche di pianificazione: in tale contesto, l’impegno del planner, nel confrontarsi con forme di razionalità, conoscenze e sistemi di valore differenti, è orientato verso l’esplorazione delle condizioni che favoriscono la cooperazione tra i differenti soggetti: la progettazione in tal modo è intesa non solo come pratica che dà forma al contesto territoriale, ma anche come pratica di costruzione di senso.

Nell’ambito delle ricerche svolte sotto la guida del Prof. Giangrande, nel corso di dottorato in Progetto urbano sostenibile (Università degli Studi di Roma Tre), si è sperimentato il metodo Strategic Choice al fine di individuare i possibili scenari di trasformazione del territorio della laguna di Venezia.

Il sistema territoriale veneziano è stato scelto in quanto emblematico della realtà attuale: la compresenza di terra e acqua e di funzioni potenzialmente in conflitto connesse al loro utilizzo, rende improbabile ogni approccio riduzionista e costringe a considerare la complessità del contesto, delle azioni da svolgere e delle decisioni da prendere.

I numerosi fattori di incertezza, relativi, ad esempio, all’assetto naturalistico (si pensi ai numerosi dibattiti in atto relativi alla questione della subsidenza e delle maree anomale, alla identificazione della Laguna come singolo ecosistema o sistema complesso di ecosistemi tra loro interagenti), alle questioni gestionali (quali la molteplicità di attori coinvolti nel coordinamento della pianificazione locale), a fattori socio-economici (il destino del petrolchimico in una ipotesi di società futura no-oil, la monocultura turistica, ecc.), rendono necessario l’utilizzo di una metodologia progettuale che metabolizzi da subito le incertezze intrinseche della realtà in cui si va ad agire.

Le analisi condotte sulle specificità del sistema territoriale, il riconoscimento dei punti di forza e debolezza, l’osservazione di alcuni fenomeni relativi all’andamento economico e alla organizzazione sociale, hanno portato alla identificazione delle principali problematiche (aree di decisione), caratterizzate da particolare urgenza e importanza, per le quali sono state individuate differenti opzioni di scelta.

L’articolazione in fuochi (sotto insiemi di aree di decisione tra loro interrelati) ha permesso l’analisi delle strategie relative a differenti ambiti tematici, al fine di individuare un modello di sviluppo che favorisca l’attuazione di scenari evolutivi dinamici. I principali fuochi individuati sono:

1. la salvaguardia ecologico-ambientale dell’ecosistema lagunare, che aggrega aree riguardanti le problematiche della salvaguardia ambientale e della manutenzione dell’ecosistema lagunare;

2. lo sviluppo socio-economico delle aree di gronda, relativo alla attuazione di provvedimenti diretti a rivitalizzare le aree di gronda sotto il profilo sociale ed economico e a regolarne lo sviluppo;

3. lo sviluppo urbano di Marghera, relativo alla riqualificazione della municipalità di Marghera, con particolare attenzione alle modalità di collegamento con Venezia e Mestre;

4. Porto Marghera e il petrolchimico, relativo al possibile assetto dell’area industriale, analizzata nelle sue connessioni sia con la città storica e con il nucleo urbano adiacente della città giardino;

5. la città storica, relativo ai provvedimenti diretti a rivitalizzare la città storica sotto il profilo sociale ed economico, al suo ridisegno funzionale, al miglioramento del sistema dei collegamenti e dell’accessibilità, alle decisioni da prendere per compensare le conseguenze negative del turismo (Figura 3).

Figura 3 - I principali fuochi individuati per il sistema territoriale della laguna di Venezia

 

 

Al fine di individuare uno scenario di trasformazione orientato verso la sostenibilità del territorio, sono stati utilizzati criteri di valutazione di carattere multidimensionale, relativi alle varie declinazioni della sostenibilità: socio-economica (intesa come possibilità di attuare strategie di intervento riferite all’uso appropriato delle risorse locali, alla capacità di superamento della crisi economica e occupazionale), territoriale (intesa secondo la definizione di Magnaghi, quale capacità di un modello insediativo e delle sue regole di produzione di promuovere processi di riterritorializzazione) ed ecologico-ambientale (quale capacità delle scelte progettuali di consentire la valorizzazione e la salvaguardia degli ecosistemi naturali e delle risorse primarie presenti).

In conclusione, la metodologia proposta si configura atipica, in quanto considera contemporaneamente problematiche di scala differente, aggirando le normali prassi di pianificazione basate su logiche lineari di gerarchia spaziale (dalla scala vasta al progetto di dettaglio) e temporale (prima le linee di indirizzo progettuale a scala vasta, poi la specifica dei progetti in ambito più dettagliato); tale approccio è basato su un processo incrementale, ove la dimensione strategica delle scelte non è connessa a questioni di scala, piuttosto di scelte (Strategic Choice).

 

 

Note

 

1 Ci si riferisce in particolare alle ricerche svolte nel corso del dottorato di ricerca in Progetto urbano sostenibile, XVII Ciclo, Università degli studi di Roma Tre, svolte sotto la guida del prof. Alessandro Giangrande.

2 Strategic Choice è un approccio alla pianificazione che costituisce l’esito di ricerche ed esperienze sul campo attivata a partire dagli anni ’60 nell’ambito della scuola di ricerca operativa di Londra (Ior).

 

 

Bibliografia

 

Bauman Z. (2002), La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna.

Bocchi G., Ceruti M. (a cura di) (1997), La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano.

Curti F., Gibelli M. C. (a cura di) (1999), Pianificazione strategica e gestione dello sviluppo urbano, Alinea, Firenze.

Friend J. K., Hickling A. (1987), Planning under pressure: The Strategic Choice Approach, Pergamon Press, Oxford.

Friend J. K., Jessop W. N. (1969), Local Government and Strategic Choice, Pergamon Press, Oxford.

Giangrande A. (1999), Pianificazione strategica e sviluppo locale, in “IV Rassegna urbanistica nazionale”, Venezia 8-13 novembre 1999.

Giangrande A. (2005), Un contributo critico alle proposte preliminari di regolamentazione e normativa, in Castelli G. (a cura di), “Metodi e procedure di partecipazione alle trasformazioni urbane e alle scelte urbanistiche”, Aracne, Roma.

Maciocco G., Pittaluga P. (2005), Immagini spaziali e progetto della città, FrancoAngeli, Milano.

Manghi S. (2004), La conoscenza ecologica, Raffaello Cortina editore, Milano.

Morin E. (1977), La Méthode: La Nature de la Nature, du Seuil, Paris (Trad. It. Il metodo, Feltrinelli, Milano).

Taylor M. C., (2005), Il momento della complessità, Codice edizioni, Torino.

 

 

Presentazione | Referenze Autori | Scrivi alla redazione | AV News | HOME

 

 Il sito web di Area Vasta è curato da Michele Sol