Numero 12/13 - 2006

 

La pianificazione regionale  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il ruolo della conoscenza ignorante nella pianificazione territoriale


Andrea Chietini


 

L'insorgenza tumultuosa di nuove e inaspettate modalità di esercizio della democrazia locale ha determinato la necessità di strutturare robuste basi conoscitive integrative dei processi di riorganizzazione territoriale. Andrea Chietini, impegnato nel progetto Sphera, pone la differenza fra modelli di conoscenza totalizzanti e aprioristici e riferimenti esterni connessi ad approcci decisionali caratterizzati da consapevoli livelli di razionalità parziale, prospettando significative e urgenti rivisitazioni concettuali nella produzione di strumenti di pianificazione territoriale

 

 

 

In un momento storico di radicale ripensamento (soprattutto in Italia) dei concetti di sviluppo, di istituzione e di piano, in cui si assiste ad una diffusa crisi della democrazia rappresentativa e all’insorgere di nuove forme di democrazia locale legate alla frammentazione dell’interesse pubblico, si pone il problema dell’impianto della conoscenza a base dei processi di pianificazione e, quindi, sia del suo rapporto con i movimenti e i soggetti decisionali, sia degli oggetti della conoscenza. Cosa conoscere e a quale scopo non è più scontato per chi fa piani.

La dimensione unitaria, fortemente caratterizzata dalle politiche centrali, che è stata elemento costitutivo dei processi di sviluppo, si è nel tempo sfumata in pratiche localistiche, anche di notevole spessore, ma deboli nella relazionalità con i territori.

Il piano, che dal rapporto con le istituzioni aveva tratto una sua funzione regolativa più che previsiva (regolazione dei cicli edilizi e dei regimi dei suoli), ha scontato una difficoltà a declinare i nuovi processi di sviluppo in nuovi strumenti, meno regolativi e più previsivi, ma anche a metabolizzare nel piano i nuovi processi valutativi, basati su indicatori, richiesti dalle Direttive europee e ormai completamente recepiti dalla legislazione nazionale (DLgs 152/2006).

Queste difficoltà si sono palesate in una duplice forma: da un lato nell’enfasi e nella sottolineatura dei contenuti strategici e previsivi (sono i nuovi quadri regionali e i piani strategici delle grandi città), piani di raccordo con gli strumenti attuativi, dall’altro segmentando la dimensione unitaria della pianificazione e ricomponendola successivamente in nuove articolazioni istituzionali o nella ricerca a posteriori della sua originaria complessità (questo è avvenuto soprattutto con i programmi complessi).

Si è così progressivamente riconfigurato il ruolo della pianificazione: da un sistema di definizione di assetti sostanzialmente stabili (ma anche rigidi) e di regolamentazione dei regimi dei suoli, sistema fortemente garantista dei rapporti tra enti territoriali e tra soggetti pubblici privati, si è passati ad un sistema in cui la stessa riforma del Titolo V della Costituzione, riconfigurando il sistema istituzionale, propone nuovi rapporti tra i diversi attori istituzionali, basati non più su procedure autoritative, ma sulla capacità- responsabilità dei diversi soggetti istituzionali di governare le trasformazioni.

Il piano non più speculare alle istituzioni, diviene in questo scenario uno strumento che deve garantire coerenza ai diversi e spesso conflittuali progetti di sviluppo e ne deve verificare la compatibilità con gli ecosistemi.

Su questa interpretazione positiva del piano sono proprio coerenza e compatibilità che conferiscono ai progetti di sviluppo una sorta di valore aggiunto, che introita e supera la dimensione puramente garantista delle regolazioni e delle conformità (approccio neo contrattuale – paradigma della equità – teoria della giustizia) e aprono le prassi della pianificazione a prospettive cooperative, concorsuali, concorrenziali, tipiche di un approccio neoutilitaristico (paradigma della utilità - teoria del bene).

La riforma del Titolo V della Costituzione (L.C. 3/2001), infatti, ha disegnato un nuovo assetto istituzionale delle regioni e degli enti locali e ha delineato un nuovo rapporto equipotere tra regioni, Stato e Unione europea, mettendo in crisi il tradizionale assetto gerarchico e verticistico.

 

Il modello tradizionale di pianificazione a base gerarchica, inserito in un contesto in cui lo Stato e le istituzioni erano molto forti e rivestivano un ruolo primario, esercitato con procedure autoritative, aveva progressivamente reso implicito il sistema della conoscenza, spesso solo autoreferenziale e giustificativo delle scelte fatte.

L’atto valutativo si riduceva solo ad una verifica di conformità tra il piano e la pianificazione sovraordinata, con procedure e dimensionamenti standard definiti dalle leggi (cfr. Dm 1444/1968) ma sempre più distanti dal senso comune.

Dal 1995 si è assistito (Lr 5/1995 della Regione Toscana), all’interno della disciplina e della pianificazione urbanistica, ad un profondo e sostanziale cambiamento del rapporto tra conoscenza e pianificazione e del linguaggio stesso dei piani; a questo processo si è, al contempo, accompagnato un cambiamento degli obiettivi: domanda abitativa, sviluppo sostenibile, urban welfare, potenziamento del sistema infrastrutturale ...

In questo quadro più generale si riconosce nelle leggi più innovative una tendenza a costruire l’impianto conoscitivo come parte separata ma interagente con il processo di pianificazione e non come un processo preliminare ma funzionale alle sole scelte di piano (conoscenza giustificativa) e ad esse, quindi, orientato.

La necessità, inoltre, di controllare la coerenza complessiva degli assetti previsti dai diversi strumenti e valutarne la compatibilità rispetto ad un quadro di conoscenza condiviso ha comportato la messa in campo di procedure valutative che assicurino e garantiscano omogeneità di trattamento, quindi la necessità di applicare procedure di evidenza pubblica, che prima erano riferite allo stesso processo di piano nella sua interezza (osservazioni - controdeduzioni - approvazioni), si è trasferita sulla formazione della conoscenza.

In questo scenario il tema della conoscenza assume un ruolo centrale e l’opportunità di una separazione conoscenza-piano ha portato a ripensare e ridefinire le due funzioni legate rispettivamente al conoscere e all’agire.

All’espressione “analisi del (o per il) piano” oggi si preferisce l’espressione “quadri conoscitivi” a cui si attribuisce una funzione di argomentazione e legittimazione delle scelte di trasformazione e di governo del territorio nei confronti del committente decisore e degli stakeholders, ivi comprese le comunità locali.

La costruzione di una conoscenza condivisa (Basilicata - carta regionale dei suoli, Liguria - conoscenza fondativa, Calabria - carta dei luoghi, Toscana - statuto dei luoghi, Emilia Romagna - quadro conoscitivo, Ddl Abruzzo - carta dei luoghi e dei paesaggi) è un passo necessario per liberare la pianificazione territoriale di livello regionale e, più in generale, di area vasta, dai limiti giustificazionisti propri degli apparati conoscitivi tradizionali dei piani.

Diverso è il discorso relativo alla completezza della separazione che non è sviluppata in modo omogeneo in tutti gli impianti normativi richiamati.

 

La natura di questa conoscenza è, al contempo, complessa e banale. Rappresenta il luogo di scambio delle diverse conoscenze istituzionali (fondate su un impianto legislativo), locali o identitarie (conoscenza che le comunità locali hanno del proprio territorio) e di progetto o intenzionali (forma di conoscenza finalizzata all’elaborazione dei diversi progetti di trasformazione del territorio), una conoscenza condivisa, plurale, incrementale e perfettibile del territorio, dell’ambiente e del paesaggio regionale, a cui concorrono tutti gli attori delle trasformazioni territoriali.

Una forma di conoscenza strutturata e velata di ignoranza rispetto alle decisioni, nella interpretazione rawalsiana della natura ottimale delle scelte del decisore pubblico, ma è anche imperfetta, in un processo continuo di falsificazione e perfettibilità in senso popperiano.

Nel sistema tradizionale la conoscenza di progetto era quella vera e si confrontava in termini conflittuali ma non dialettici con quella vincolistica, mentre la conoscenza identitaria era completamente nell’ombra e si esprimeva solo in termini di consenso/dissenso a posteriori.

Le tre forme di conoscenza (istituzionale, identitaria, intenzionale) ricomposte a prescindere dalle scelte di piano realizzano così una condizione di nuova pubblica evidenza proprio nell’operazione di separazione.

L’esercizio di forme di valutazione riferite a impianti conoscitivi condivisi è legato alla continuità del governo del territorio, alla ricomposizione di territorio-ambiente-paesaggio, alla ricomposizione dei rapporti tra pianificazione generale e di settore (e, quindi, alla copianificazione), ecc.; e comporta l’esigenza di governare nel processo di convergenza la miriade di frammenti generati dalla frantumazione delle attività di analisi territoriali, cioè di ricomporre gli elementi della conoscenza parziale a base di tutte le attività pianificatorie e valutative in una logica di semplificazione-normalizzazione ma anche di un progressivo perfezionamento.

Paradossalmente la separazione del progetto comporta una ricomposizione incrementale ma sempre più ampia dell’impianto conoscitivo che tende all’onnicomprensività astenghiana.

 

 

 

 

 

Conoscenze relazionali ed estensive e razionalità progettuali parziali

 

Si tratta di utilizzare nuovi strumenti per risolvere nodi come quelli dei rapporti tra modelli di conoscenza totalizzanti, ancorché primitivi, e modelli di pianificazione a razionalità parziale; per consentire il colloquio interdisciplinare fra enti e organizzazioni; per comprendere il rapporto tra il linguaggio adottato per la rappresentazione della conoscenza e quello degli strumenti della pianificazione; per stabilire dei principi certi e condivisi di trasformabilità di un territorio; per rendere più trasparente il processo decisionale; per facilitare l’interazione e l’integrazione fra enti, persone e livelli di piani e programmi.

La conoscenza strutturata diventa un riferimento non solo per la pianificazione, ma anche per i processi di valutazione, intesi oltre che nella forma di verifiche di coerenza e di compatibilità, diversamente proposte come pratiche a sostegno delle nuove procedure di approvazione di piani, anche nelle forme strutturate delle valutazioni di tradizione europea (valutazione di impatto ambientale, valutazione ambientale strategica, valutazione di incidenza).

La messa in atto di queste procedure di valutazione implica, infatti, la necessaria costruzione di apparati conoscitivi che spesso hanno assunto i connotati del giustificazionismo e dell’autoreferenzialità.

In questo scenario la conoscenza ignorante si pone come un quadro conoscitivo condiviso che va oltre la specifica procedura di valutazione, superando così la riduttiva logica giustificativa della valutazione stessa.

 

 

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