In questo scritto si presenta una
riflessione generale sui principi di
pianificazione regionale a partire
dall’esperienza di ricerca condotta, presso
il Dipartimento di Ingegneria civile
dell’Università di Udine (Dinc) dal 2000 al
2003, per rispondere alla richiesta
formulata dalla Regione Friuli Venezia
Giulia di rivedere, nei contenuti e nella
forma, il vecchio piano urbanistico
regionale generale del 1978.
L’università, dopo aver costituito un
comitato scientifico ed un gruppo di lavoro
composto da esperti interni ed esterni ad
essa, ha lavorato per tre anni a quello che
è diventato, nel 2003, una ipotesi di piano
territoriale regionale strategico (Ptrs)
della Regione Friuli Venezia Giulia1
(dopo due precedenti tentativi di Ptr,
elaborati all’interno degli uffici,
sostanzialmente falliti). Assieme a questo
elaborato è stata inoltre fornita alla
regione una procedura per l’attuazione dei
progetti integrati di territorio
(strumento attuativo del Ptrs) e per la
realizzazione e gestione della Carta dei
luoghi (strumento per la valutazione di
compatibilità dei progetti attuativi del
Ptrs). Questi strumenti venivano considerati
non solo complementari al Ptrs ma anche
costituitivi della più ampia cassetta
degli attrezzi di un nuovo sistema
regionale di governo del territorio a
superamento della legge urbanistica
regionale del 1991.
Il problema posto dalla Giunta regionale
dell'epoca era sostanzialmente il seguente:
che tipo di piano si deve predisporre, in
base al principio di sussidiarietà, per non
invadere il campo della pianificazione
urbanistica (garanzie verso i valori
territoriali e i diritti diffusi) ma
occupandosi solo di "alta programmazione"
(realizzazione di politiche di sviluppo con
al centro le grandi infrastrutture)?
La soluzione fornita dal comitato
scientifico fu: "fare un piano territoriale
contenente le previsioni infrastrutturali
sovraordinate (gli interessi di livello
regionale) tenendo conto che: a) alla luce
di una visione collaborativa e non esclusiva
della sussidiarietà, non si potranno non
negoziare tali previsioni, in maniera
trasparente e tecnicamente argomentata, con
i territori (a tal fine si proposero, in
seguito, i progetti di territorio);
b) si dovrà affiancare subito al piano
strategico, uno strumento di garanzie
rispetto ai valori e ai rischi presenti in
tutto il territorio della regione". Quello
strumento fu poi chiamato Carta dei
luoghi per indicare, al contempo, una
mappa dei valori e dei rischi
territoriali ma anche un patto a
garanzia di tutti i cittadini della regione.
Si propose, inoltre, che, vista la
tendenziale mutazione genetica della regione
da regista ad attore a seguito
della riforma del governatorato e
dell’applicazione della sussidiarietà, la
Carta non poteva più essere approvata e
gestita dalla sola regione ma da un soggetto
istituzionale imparziale. La Carta dei
luoghi, insomma, doveva rappresentare la
Costituzione territoriale super partes
rispetto alla quale valutare la
compatibilità ambientale di tutte le azioni
di trasformazione del territorio.
Quella proposta non ha potuto essere né
fatta propria ma neanche discussa dalla
Giunta regionale che l’aveva promossa a
causa della sopravvenuta fine della
legislatura. Il cambio di maggioranza e di
Giunta, che è subentrato con le elezioni
regionali del 2003, ha portato ad una Giunta
regionale completamente nuova guidata, per
la prima volta, da un governatore. La
nuova Giunta, per rispondere a domande che
nel frattempo non erano sostanzialmente
cambiate rispetto a quelle della Giunta
precedente2 ma che si erano,
semmai, radicalizzate a seguito della nuova
forma di governo, ha intrapreso una strada
del tutto diversa:
- non ha tenuto in alcun conto il lavoro già
fatto dall’Università di Udine;
- ha istituito un gruppo di lavoro, per un
nuovo Ptr, tutto interno alla regione e
peraltro nella stessa direzione che si
occupa anche delle grandi infrastrutture.
Riteniamo che quell’esperienza di ricerca
non possa essere rimossa in modo così
trasandato, nella forma e nella sostanza, e
non solo per rispetto dei colleghi che vi
hanno lavorato e dell’istituzione che si è
fatta carico di tale responsabilità. Vi è un
problema, a monte, di credibilità
scientifica della disciplina della
pianificazione che è strettamente legato
alla sua autonomia dalla azione politica. La
pianificazione può crescere, come disciplina
scientifica e, quindi, migliorare la sua
efficacia e utilità sociali, solo se i suoi
prodotti vengono discussi e vagliati in un
dibattito pubblico aperto e non condizionato
da pregiudizi o da interessi politici di
breve momento. La questione è di fondo ed ha
a che fare con l’etica della disciplina e di
chi ne porta le responsabilità, ma anche con
l’etica pubblica più in generale. I lavori
prodotti all’interno del mondo della
disciplina anche se congiunturalmente
possono non essere congeniali, per i più
diversi motivi, alla politica, non possono,
invece, mancare l’appuntamento con il
dibattito e il confronto tra gli studiosi e
gli addetti ai lavori.
Figura 1 - Rete insediativa e
policentrismo regionale in Friuli
Venezia Giulia |
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Con questo scritto cerchiamo di rispondere,
dunque, all’impegno del confronto intorno
alle matrici culturali di quell’ipotesi di
Ptrs, anche se quel documento,
ufficialmente, è tuttora chiuso nel
proverbiale cassetto.
I problemi di trasformazione territoriale,
in Friuli Venezia Giulia, nel prossimo
futuro sono connessi soprattutto al suo
ruolo internazionale e di cerniera con
l’Europa centro-orientale. Non sono temi
nuovi: già da alcuni decenni nella regione è
in corso un processo di progressiva
integrazione con l’area europea
centro-orientale. Tuttavia, la recente
apertura dell’Unione europea a nuovi paesi
dell’est e le prospettive di integrazione
infrastrutturali e trasportistiche connesse
con la realizzazione del TEN, costituiscono,
per il Friuli Venezia Giulia, delle grandi
opportunità. Al contempo, però, queste
trasformazioni epocali di ruolo e di assetto
ma anche di equilibrio interno tra le sue
parti, possono essere viste come una
minaccia per la stabilità e la qualità dei
suoi territori.
Noi riteniamo che questi processi vadano
governati con strumenti forti, credibili,
condivisi, atti a promuovere consenso e
fiducia reciproca, unità di intenti tra gli
attori di queste trasformazioni. La regione,
da questo punto di vista, può collocarsi
nello snodo critico tra grandi previsioni
europee e nazionali, da una parte, e tutela
dei valori di coesione e sostenibilità
interni alla regione, dall’altra. Questo
ruolo decisivo deve essere condotto in
maniera esplicita e non surrettizia o
reticente identificando, al loro giusto
livello di complessità, gli obiettivi, le
problematiche e gli strumenti. A questa
missione regionale era ed è saldamente
ancorato il lavoro del Dinc e in tale
prospettiva riteniamo che debba continuare a
lavorare.
Le matrici culturali dello studio presentato
alla regione nel 2003 possono essere
riassunte, quindi, in tre concetti chiave
che costituiscono anche i motivi conduttori
dei capitoli che seguono:
a) una idea policentrica di regione
basata su una rete di milieux
innovatori. Intorno a questa idea di regione
vengono identificati e aggregati gli
interessi territoriali delle diverse
aree e alle diverse scale;
b) una strategia di sviluppo regionale che
cerca di combinare interessi di
trasformazione e di integrazione con le reti
infrastrutturali trans-europee, con qualità
e valori territoriali e che si incentra sul
radicamento delle reti e sulla
reticolazione dei luoghi. Da questa
visione strategica vengono fatti
discendere gli obiettivi e i principali assi
d’azione;
c) un sistema di governo del territorio
regionale basato su una pluralità di
strumenti atti a costruire consenso intorno
alle azioni di piano, a garantire efficacia
attuativa ma anche compatibilità con i
diritti diffusi e con i valori del
territorio.
Intorno a questi tre assi ordinatori si è
sviluppata l’elaborazione del Ptrs.
Nei paragrafi che seguono se ne illustrano i
fondamenti teorici e l’uso che ne è stato
fatto nell’impostazione progettuale del
piano regionale.
Il modello interpretativo: la regione come
rete policentrica di milieux
innovatori
La regione contemporanea può essere
interpretata come un sistema territoriale
complesso (Lukesch, 2001) che comprende non
solo componenti in interazione dinamica tra
di loro (una componente territoriale
socio-culturale fatta di strutture sociali,
insediative, ma anche simboliche e di
identità; una componente territoriale
economico-tecnologica che comprende le
tecnostrutture insediative come i centri
produttivi, i trasporti, le reti energetiche
ecc.; una componente territoriale-biologica
che comprende i sistemi viventi in senso
proprio e che è fondamentale per la
riproduzione della bio-regione), ma anche
capacità, relativamente autonome, di
autoregolazione finalizzata (Camagni, 2003)
a obiettivi generali che, nell’attuale
contesto europeo, sono essenzialmente
diretti a bilanciare competitività e
coesione attraverso una organizzazione
policentrica del territorio (Espon, 2005;
Waterhout, 2001).
Nell’ottica di un sistema complesso e
policentrico, tuttavia, questa
autoregolazione non è una proprietà
intrinseca e oggettiva del sistema regionale
ma è una attività che va progettata e
mantenuta efficiente anche attraverso
continui processi di innovazione
politico-amministrativa. Uscendo dalla
metafora impersonale del sistema,
questo progetto intenzionale di
autoregolazione dipende in gran parte
dalla rete di attori (istituzionali e
non) che, a vario titolo, operano nel
e governano gli interessi nel sistema
stesso. In secondo luogo, se la regione è un
sistema complesso dotato, fino ad un certo
punto, anche di proprietà autoregolative,
una buona regolazione degli interessi deve
essere capace di rappresentare e restituire
adeguatamente la complessità del sistema: le
reti di interazione tra le componenti
strutturali del sistema e la rete di
interazione tra gli attori non solo devono
essere dello stesso livello di complessità
ma devono anche co-evolvere in continua
interazione tra di loro (Dematteis, Guarrasi,
1995).
La rete regionale dei milieu
locali costituisce quindi, nelle sue
molteplici articolazioni (morfologiche,
funzionali, organizzative, gestionali ecc.),
il paradigma su cui fondare la costruzione
di un modello di sviluppo regionale
policentrico (Fabbro, 2000). La regione
viene intesa, cioè, come il milieu
policentrico dei milieux
innovatori locali i quali, a loro volta,
ricomprendono sia componenti strutturali in
interazione dinamica tra di loro
(socio-culturali; economico-tecnologiche;
biologiche ecc.) sia capacità,
sufficientemente autonome, di decisione e
regolazione3.
Gli elementi del milieu regionale
sono allora:
- le reti orizzontali che connettono il
milieu regionale con il resto del mondo
(nella fattispecie le reti insediative,
quelle ambientali e quelle infrastrutturali
e dei trasporti);
- le reti di integrazione verticale che
esprimono le sinergie tra i nodi delle reti
ambientali, delle reti insediative e delle
reti dei trasporti;
- i nodi di interscambio tra le reti
orizzontali e le reti verticali tra cui
primeggiano i nodi urbani principali, veri e
propri commutatori dei flussi locali con i
flussi globali;
- i sistemi territoriali locali che
ricomprendono le sinergie locali tra nodi
insediativi, ambientali e dei trasporti;
- i grandi areali delle sottoregioni
socio-culturali che esprimono le diverse
composizioni tra elementi insediativi,
ambientali e infrastrutturali (i sistemi
urbani, le regioni rurali ecc.) e che
costituiscono anche le grandi matrici delle
unità di paesaggio locali.
Le definizioni presentate permettono di
rendere operativo il modello del milieu
regionale e di utilizzarlo sia in operazioni
d’analisi, sia in operazioni di carattere
progettuale per la definizione delle
strategie e la fissazione di regole d’uso
del suolo e di comportamento dei soggetti.
Il milieu regionale, in quanto
coevoluzione processuale tra reti
strutturali e reti di attori, è
certamente una metafora forte perché mira a
riconnettere interessi a più breve termine
con soluzioni progettuali a più lungo
termine. La sua forza, quindi, può stare
proprio nel fondare un dialogo pubblico
responsabile tra stakeholders regionali e
locali investiti direttamente del ruolo
di progettare la regione del futuro. La
costruzione del consenso intorno al piano,
quindi, non parte né da una aprioristica
definizione dei ruoli di ciascuno né dalla
mera registrazione degli interessi già in
gioco ma propone un frame concettuale
attraverso il quale i significati e gli
interessi più comuni possano essere anche
ridefiniti e rielaborati: conservare
serve se si vuol mantenere organizzazione
interna e stabilità nella regione in un
mondo globalizzato; trasformare si
deve se si vuol far fronte alle
perturbazioni che provengono continuamente
dall’esterno.
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Figura 2 - Le ottanta unità di
paesaggio in Friuli Venezia Giulia
Elaborazione arch. Moreno Baccichet |
Il piano territoriale regionale, in questa
prospettiva, opera come strumento di
governance chiamato:
- a definire gli ambiti generali di
conservazione e trasformazione;
- a governare l’interazione tra chiusura
autoreferenziale (sui luoghi) e apertura
verso l’esterno (sulle reti);
- ad agire sulle capacità di
apprendimento degli attori locali
cercando di provocare capacità interne e
locali di risposta e di auto-organizzazione.
La governance territoriale della
regione costituisce, quindi, il dispositivo
principale di costruzione del milieu.
Ma questo dispositivo non opera secondo un
sistema rigido di rapporto
obiettivi-mezzi (di tipo causalistico e
deterministico), ma in modo tale da far
apprendere al sistema un metodo
per operare in maniera più integrata,
flessibile, auto-apprenditiva in un mondo
sempre più complesso, incerto e
imprevedibile.
Il piano territoriale regionale è, quindi,
lo strumento di questa governance
territoriale e, come tale, non può che
implicare uno sforzo cooperativo dei
diversi attori – locali e regionali – per
far evolvere la regione senza ridurne
forzatamente la complessità e l’identità ma,
semmai, allargandone gli elementi
costitutivi della stessa.
Il frame progettuale: radicare le
reti, reticolare i luoghi
L’interpretazione meta-sistemica che si è
data del territorio regionale e l’approccio
al piano regionale come strumento di
governance, sono centrati sulla
dialettica, di natura sia fisica sia sociale
sia politica, tra reti e luoghi.
L’interazione e l’integrazione tra le reti –
anche tra reti eterogenee – e tra le reti e
i luoghi (i diversi paesaggi e le identità
culturali locali ecc.) vengono considerati,
infatti, le fonti principali sia di
conflitto sia di vitalità e creatività del
sistema regionale nel suo complesso.
Un primo passo consisterà dunque nel
riconoscere sia le singole reti regionali
sia le matrici fondamentali dei luoghi;
diventerà poi inevitabile porsi il problema
dell’interazione e dell’integrazione tra
reti-luoghi.
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Figura 3 - Rete ambientale in Friuli
Venezia Giulia
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Le reti
Si è detto che le principali reti regionali
sono quella ambientale, quella insediativa e
quella infrastrutturale. Ciascuna di queste
reti possiede delle proprie peculiari
caratteristiche oltre che, ovviamente, dei
nodi di interconnessione interni alla rete
stessa (Bonfanti, Sigura, 2006; Fabbro,
2006; Pedrocco, 2006). Le diverse reti, poi,
intersecandosi e sovrapponendosi tra di
loro, possono produrre, a loro volta,
problematici conflitti assieme a nuove
potenzialità morfogenetiche. Ma siccome
l’integrazione e ancora prima l’interazione,
non nascono naturalmente ma vanno
pensate e costruite come soluzioni ai
problemi che l’intersecarsi delle reti
produce, ecco che, allora, l’interazione e,
eventualmente, l’integrazione tra le reti,
diventa centrale per le politiche
territoriali regionali. Questa integrazione
può implicare soluzioni diverse. Soluzioni
estreme paiono essere, da una parte – quando
due o più reti si incontrano solo in pochi
punti – l’identificazione, in tali punti di
intersezione, di nuovi nodi multifunzionali;
dall’altra –quando due o più reti si
intrecciano tra di loro – una ridefinizione
del senso e della funzione di ampie parti
non solo della singola rete (come, per
esempio, nel caso di corridoi ambientali
interpretati come green-ways) ma
anche degli stessi territori interessati. È
del tutto evidente, quindi, che se le
politiche strategiche regionali sono rivolte
allo sviluppo, interazione e integrazione
delle reti, non debbono essere mai intese
come politiche settoriali ma sempre come
politiche territoriali integrate (Dematteis
e Governa, 2001). È del pari evidente anche
che, in presenza di reti molto diffuse sul
territorio, l’intreccio tra reti è di
gran lunga il caso più frequente. Ciò
significa che, fin dalla sua definizione
settoriale, ciascuna rete deve mettere
in evidenza gli elementi di potenziale
interfacciamento e integrazione con le altre
reti e deve, inoltre, sapersi, se del caso,
ridefinire, in modo tale da generare effetti
di integrazione che possano risultare
innovativi per le diverse reti coinvolte.
I luoghi
I luoghi sono i depositi di lungo periodo
della ricchezza di senso di un territorio,
il suo patrimonio culturale e identitario.
Ma sono anche una garanzia di stabilità
dello stesso territorio: come la varietà e
diversità biologica di un territorio ne
assicurano la stabilità in quanto sistema
vivente così la varietà paesaggistica e
culturale ne assicurano la stabilità in
quanto sistema culturale e sociale (Raffestin,
1999).
Il territorio regionale può, quindi, essere
interpretato anche come un mosaico di luoghi
dotati di valenze e varietà paesaggistiche
ancorché spesso minacciate dai processi di
deterritorializzazione (l’omologazione e la
omogeneizzazione che accompagnano i processi
di modernizzazione).
Le strategie per i luoghi mirano, quindi,
alla ricostruzione di processi di
differenziazione, oltre che di
valorizzazione, come risorsa
culturale-simbolica ed economica del
territorio regionale. Le politiche sono, in
questo caso, mirate a definire e promuovere
un interesse pubblico – ma anche privato –
nella tutela, recupero o gestione e
trasformazione guidata dei luoghi. Il piano
territoriale regionale, in questa
prospettiva, non si deve occupare tanto di
tutela paesistica che è materia di
altri strumenti, quanto di definire scenari
possibili affinché i luoghi, e non solo
quelli di eccellenza, non siano trascurati e
abbandonati ma siano risorse di senso e di
patrimonio per l’intera regione.
Il governo dell’interazione e,
eventualmente, l’integrazione tra le reti –
anche tra reti eterogenee – e tra le reti e
i luoghi (i diversi paesaggi e le identità
culturali locali ecc.), va considerata come
la missione principale del piano regionale
in quanto solo attraverso la sinergia tra le
reti e tra reti e luoghi è possibile
bilanciare le perturbazioni esterne (dei
mercati e dei flussi globali) e al contempo
conservare e riqualificare la coesione
interna del sistema. Anzi, si può andare un
po’ oltre: forse solo dalle morfogenesi –
non prevedibili a priori – che possono
scaturire da detta interazione, possono
emergere soluzioni territoriali innovative
(la regione come, appunto, milieu
innovateur innanzitutto nell’integrare
reti e luoghi).
In questo contesto, sembra dunque
proponibile uno scenario territoriale nel
quale ricombinare – secondo una logica, in
qualche misura, di specularità e reciprocità
tra luoghi e reti – la reticolazione
dei luoghi, da una parte, e il
radicamento territoriale e ambientale
dei nodi e delle reti strutturali,
dall’altra. Se, in altre parole, è
strategico, per i territori e per le moderne
regioni, prevedere reti, è ancor più
strategico il modo in cui le si progetta, le
si radica nel territorio, le si pone in
relazione con i luoghi (Dematteis e Governa,
2001).
|
Figura 4 - Reti infrastrutturali in
Friuli Venezia Giulia
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Quali i vantaggi sostanziali di una tale
visione progettuale?
Radicare le reti
è un indirizzo strategico che serve a
evitare due rischi:
1. quello che un territorio sia
semplicemente sorvolato dai flussi
(di persone, merci, capitali, informazioni
ecc.);
2. quello, complementare al primo, che i
nuovi investimenti in capitale fisso per la
produzione, movimentazione e
commercializzazione di beni, merci e
informazioni si traduca nel degrado di
risorse, valori identità già radicati nel
territorio e che ne fanno la differenza
rispetto ad altri territori e regioni.
Reticolare i luoghi
è un indirizzo strategico che serve a
evitare il rischio dell’abbandono dei luoghi
e dei paesaggi. I luoghi, infatti, per
conservarsi, devono continuamente ridefinire
il loro senso economico (la loro
attrattività) e la loro identità
culturale: un borgo storico o un
insediamento di montagna abbandonati
difficilmente possono essere fisicamente
recuperati se non sono reinseriti anche in
nuovi cicli di valorizzazione economica e
funzionale del territorio che li ospita in
modo da trattenere i vecchi abitanti o di
motivare l’attrazione di nuovi abitanti.
Avendo come punti di riferimento invarianti,
da una parte il modello spaziale
policentrico e, dall’altra, una strategia di
valorizzazione dei luoghi, è allora
possibile costruire anche politiche di
sviluppo infrastrutturale di grande scala.
Le trasformazioni dei territori, comprese
quelle indotte dalla realizzazione delle
grandi infrastrutture, si possono e si
devono fare per assicurare competitività al
sistema regionale ma:
a) alla luce di precise garanzie verso le
qualità e i patrimoni che i luoghi incarnano
fissando i criteri e regole di verifica
della compatibilità delle trasformazioni sia
con i valori da conservare sia con i
possibili rischi di degrado ambientale e
paesaggistico. Ma per poter fare queste
verifiche è necessario che valori e rischi
vengano conosciuti e preventivamente
registrati prima di decidere i progetti di
trasformazione. Vanno registrati, cioè, in
una Carta regionale della conoscenza
cui tutti i piani, programmi e progetti,
rivolti in qualche misura alla
trasformazione (compreso quindi il Ptr),
possano fare riferimento per le necessarie
verifiche di compatibilità (Properzi, 2005);
b) alla luce di progetti di territorio
(Clementi, 2002) atti a ricostruire, intorno
alla infrastruttura, un disegno policentrico
assieme a precise opportunità di sviluppo e
di riqualificazione ambientale.
Queste due condizioni di fondo rimandano ad
un sistema di governo del territorio che sia
capace di muoversi, al contempo, tra
garanzie (verso valori e diritti) e tensioni
trasformative.
Figura 5 - Ipotesi di piano
territoriale regionale strategico
del Friuli Venezia Giulia |
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Il sistema di governo tra interessi, diritti
e valori
Alcune questioni di fondo
Si è sostenuto, nei precedenti paragrafi,
che se l’obiettivo principale di una regione
è quello di realizzare programmi di sviluppo
in un quadro di sostenibilità, di coesione e
integrazione policentrica tra diversi
livelli e interessi territoriali, allora la
dialettica luoghi-reti è centrale e
dirimente. Si è detto, inoltre, che il
governo di questa dialettica è il tema
conduttore del piano territoriale regionale.
C’è, tuttavia, un’aporia di fondo in questo
ragionamento che è venuto il momento di
chiarire per evitare la facile evasione
nella governance come soluzione
taumaturgica a tutti i problemi di
regolazione che non si riescono a risolvere.
Reti e luoghi sono dimensioni eterogenee e
intrinsecamente intrattabili con
concettualizzazioni e strumenti unilaterali.
Il conflitto tra reti e luoghi è, infatti,
in una certa misura, l’esito inevitabile
della irriducibilità di queste due
dimensioni del territorio ad una soluzione
spaziale semplice. La dimensione degli
interessi e dell’utilità, tipica delle
reti, mal si combina, infatti, con la
dimensione dei valori, tipica dei luoghi. La
modernità utilitaristica e mercantilistica
dei primi mal si combina con le identità e i
valori trans-temporali dei secondi (Vallega,
2002).
In una prospettiva regolativa, inoltre,
interessi e valori si devono confrontare con
i diritti diffusi sul territorio, in parte
mutevoli nel tempo come le economie, gli
interessi, ma in parte profondamente
incorporati nel nomos della terra,
nelle costituzioni dello stato territoriale
quale il diritto inalienabile alla proprietà
privata dei suoli e la sua irriducibile
presenza, nel bene e nel male, in ogni
processo di trasformazione territoriale.
Per questa ragione si può ritenere che i
sistemi di governo territoriale che
privilegiano solo una delle tre dimensioni
di cui stiamo parlando (interessi, valori e
diritti) sono destinati al conflitto
radicale con le altre dimensioni e forse
anche al fallimento: privilegiare le reti e,
quindi, gli interessi di trasformazione ad
esse connessi (in vista di obiettivi di mera
competitività), significa andare ad un
conflitto, che può rivelarsi esiziale e
paralizzante, con valori e con diritti (se
non altro quelli di proprietà preordinati
agli espropri). Viceversa, alla luce di
quanto si è detto sulla natura del sistema
regionale, perseguire solo valori e diritti,
rende inerte e statico il sistema regionale
condannandolo al declino.
C’è la necessità, pertanto, in armonia con i
principi etico-politici europei, di
ricercare, attraverso i sistemi regionali di
governo del territorio, una compatibilità di
fondo e non occasionale tra interessi,
valori e diritti. Ciò significa, data la
natura eterogenea e conflittuale delle tre
dimensioni, non tanto unificare tutto in un
unico piano regionale inteso, nella migliore
delle ipotesi, come centro e sintesi dei tre
principi (sintesi che paralizzerebbe il
piano stesso a causa delle incoerenze di
fondo che si trascinerebbe dietro), quanto,
piuttosto, ricercare un “sistema plurale di
strumenti di governo del territorio”
(Fabbro, 2004).
In questo sistema plurale il piano delle
trasformazioni territoriali (programmatico,
strategico) assume, ovviamente, un ruolo
centrale ma non esaustivo del sistema di
regolazione. Il suo compito principale è sia
quello di costruire un ordine ed un
coordinamento spaziale alle diverse
intenzioni di trasformazione sia quello di
assicurare trasparenza ed efficacia ai
programmi e progetti di attuazione in un
quadro di compatibilità con i valori a lungo
termine e con i diritti diffusi. Non,
quindi, indipendenza delle diverse sfere di
influenza (degli interessi, dei diritti, dei
valori) e dei relativi strumenti, né
integrazione posticcia in un unico piano ma,
semmai, visione plurale degli strumenti e
dei poteri e ricerca continua di un
equilibrio tra di essi attraverso forme di
interazione e di controllo reciproco. Per
poter svolgere coerentemente questa
missione, la pianificazione regionale deve
superare sia l’incrementalismo sconnesso
del caso per caso, sia la visione
unilaterale e tolemaica del suo ruolo
e del suo piano.
In questa prospettiva, la pianificazione
regionale viene ad assumere, cioè, un ruolo
centrale e decisivo ma in un’ottica di
pluralismo degli strumenti come dei poteri
di pianificazione. Non ha più senso, cioè,
parlare di strumenti di pianificazione con
l’occhio alle impostazioni integraliste
del piano a cui siamo abituati come
pianificatori comunali o, al massimo,
provinciali. Si tratta, di superare la
visione tolemaica del piano come
summa e centro di tutto il sistema di
pianificazione che ci portiamo dietro
dall’esperienza comunale per pervenire ad
una visione, più copernicana, del
piano regionale come sistema di strumenti:
quelli rivolti alla conoscenza di fondo e
funzionali, tra l’altro, alla valutazione
ambientale strategica (per tutelare valori
ma anche diritti di cittadinanza); quelli
rivolti alla programmazione nazionale ed
europea e alla territorializzazione
delle reti infrastrutturali; quelli
attuativi con la negoziazione tra pubblico e
privato; quelli per la regolazione degli usi
del suolo ecc. Un sistema capace di
dialogare con coerenza al suo interno ma
anche di articolarsi nei nuovi poteri
territoriali che si richiama ad una visione
pluralista e di equilibrio tra i poteri
territoriali, da una parte, e tra le
funzioni istituzionali e quelle di governo,
dall’altra.
Piani, conoscenze, valutazioni
In un modello pluralista di governo del
territorio dobbiamo allora capire come il
piano territoriale regionale possa regolare
la dialettica reti-luoghi.
Si è detto che le trasformazioni
territoriali incidono pesantemente, per loro
natura, sui diritti individuali (in primo
luogo quelli di proprietà) e sui valori
collettivi (identità locali, qualità
territoriali ecc.). Il piano territoriale
regionale, a sua volta (benché non ne esista
una definizione legislativa e giuridica
univoca, se non nel senso del piano
territoriale di coordinamento della legge
urbanistica nazionale):
- crea disparità tra parti del territorio
favorendone alcune (e i relativi interessi)
rispetto ad altre;
- è socialmente doloroso perché
comporta costi certi (servitù,
limitazioni, espropri, impatti ecc.) in
misura superiore per alcune aree che per
altre; costi che, peraltro, incidono
spesso a fondo e stabilmente sui diritti
locali ad uno sviluppo autocentrato;
- è socialmente inviso quando tali costi
diventano elementi di certezza giuridica per
individui e comunità (i “diritti
soccombenti” come li chiama Luigi Mazza,
2003) non controbilanciati da previsioni di
sviluppo o di compensazione altrettanto
certe4.
È ovvio che ciascuno di questi problemi (per
non parlare delle loro combinazioni) si
riflette sull’equità del piano generando
difficoltà di consenso sociale alle
trasformazioni territoriali che questo
implica. A questo problema, che è problema
centrale di ogni pianificazione pubblica, si
può cercare di dare risposta solo cercando
di dare maggiori garanzie relativamente alla
qualità delle trasformazioni e alla equità
distributiva di costi e benefici nei diversi
territori. La strumentazione di
pianificazione del territorio può
rispondere, a tale esigenza di fondo,
facendosi carico più direttamente ed
esplicitamente di questo problema attraverso
il ricorso a quadri conoscitivi e a
procedure valutative riconosciuti come
validi e credibili. In altre parole,
l’equità e l’accettabilità sociale del piano
dipendono largamente dal grado di
indipendenza e neutralità che conoscenze e
valutazioni sono in grado di garantire
soprattutto rispetto alle previsioni
trasformative più difficili e problematiche.
Si possono avere, a questo proposito, tre
alternative di costruzione e gestione della
conoscenza e, conseguentemente, della
valutazione:
1. il quadro conoscitivo e le procedure
valutative vengono costruite dentro il
piano. Ma se detto quadro è interno al
piano, può risultare inevitabilmente
strumentale e subalterno alle previsioni
trasformative e, quindi, poco credibile. La
conoscenza finisce per assumere, cioè, un
valore giustificativo delle previsioni del
piano e la valutazione, per forza di cose,
rimane interna e subalterna al piano. Il
rischio è che soggetto valutatore e
oggetto valutato si confondano nello
stesso strumento e tendano alla
autogiustificazione delle scelte o,
peggio, a forme esiziali di collusione;
2. il quadro conoscitivo e le procedure
valutative vengono costruite fuori dal
piano. Se è costruito all’esterno del piano
ma all’interno di una filiera istituzionale
di pianificazione (regione, provincia,
comune), la titolarità della conoscenza
appartiene ad un sistema di soggetti più
ampio di quello del singolo soggetto
titolare del singolo piano. La valutazione,
inoltre, è svolta (unitariamente o
separatamente) da soggetti esterni al
singolo piano: si valutano, cioè, la
compatibilità o la coerenza delle previsioni
di un piano rispetto ad una conoscenza
esterna e preesistente al piano. Il singolo
piano può risultare più debole e meno
autonomo perché soggetto ad un quadro di
riferimento esterno, ma l’indipendenza della
conoscenza è, in questo caso, più garantita
anche se vi è comunque il rischio che si
stabilisca un rapporto burocratico o
gerarchico tra valutatore e
valutato (con un ritorno a controlli di
conformità burocratica);
3. può esserci, infine, una terza
possibilità. Intanto il quadro delle
conoscenze viene costruito in maniera
condivisa non solo dalla pluralità dei
soggetti dotati di competenze di
pianificazione (la conoscenza
istituzionale), ma anche dai soggetti che
custodiscono valori e diritti locali (la
conoscenza dei luoghi). La valutazione viene
demandata, inoltre, ad una sede terza
separata dalle sedi che producono i piani
previsivi in modo da avere le massime
garanzie di trasparenza e indipendenza della
valutazione. La valutazione riguarda,
inoltre, sia la compatibilità delle
previsioni trasformative con il quadro delle
conoscenze relative a valori, rischi e
diritti locali, di area vasta o regionale,
sia la coerenza delle previsioni
trasformative, appartenenti ai piani di
diverso livello, tra di loro.
Questo sistema potrebbe rivelarsi
particolarmente utile nel caso delle
previsioni di grande rilevanza e di grande
impatto su valori e diritti del territorio
come è, appunto, il caso delle grandi reti
infrastrutturali. È chiaro che, a questo
fine, sono necessarie sedi tecniche (di
conoscenza e valutazione) che finiscono per
assumere anche un ruolo istituzionale di
grande importanza o, viceversa, sedi
istituzionali che si devono attrezzare di
capacità tecniche (di costruzione di sistemi
di conoscenza condivisa e di implementazione
di procedure di valutazione) assolutamente
trasparenti e rigorose.
Conclusioni
Il sistema di pianificazione regionale
che scaturisce dalla discussione fin qui
condotta e che è stato proposto dal gruppo
di ricerca e pianificazione dell’Università
di Udine alla Regione Friuli Venezia Giulia
in occasione dell’elaborazione del Ptrs, è,
in ultima analisi, incentrato su:
1. un piano delle previsioni di
trasformazione del territorio regionale
incentrato su un progetto policentrico di
regione a sua volta strutturato intorno ad
alcune grandi direttrici ambientali e
infrastrutturali. La coerenza dei
progetti di territorio viene, quindi,
costruita sia intorno a questa visione
strutturale macro sia intorno a
politiche di governo locale che devono
mirare alla integrazione tra reti così
eterogenee e tra reti e luoghi;
2. un sistema di garanzie rispetto a valori,
rischi e diritti diffusi che consiste: in un
quadro di conoscenze costruito unitariamente
dai vari soggetti detentori di poteri di
pianificazione sul territorio e nella
condivisione con i soggetti territoriali
diffusi; in un sistema di valutazione della
compatibilità delle previsioni sub. 1 con il
sistema delle conoscenze sub 2., gestito da
un soggetto imparziale di alto profilo
istituzionale sulla base di protocolli
standard.
Questo approccio sembra preferibile agli
altri (sia quelli troppo liquidi
basati sui soli meccanismi di governance
sia quelli di tipo tolemaico che
incorporano tutto nello stesso strumento)
perché consente di:
a) liberare le previsioni trasformative
dalle zeppe indotte dagli intrecci
inestricabili con i vincoli giuridici;
b) liberare le conoscenze dalla
subordinazione al piano e, quindi, di
renderle più trasparenti e credibili;
c) riportare la valutazione in una sede
neutrale di vera garanzia istituzionale
verso i diritti diffusi e, soprattutto,
verso i diritti di coloro che soccombono a
seguito delle trasformazioni.
Siamo, in questo campo, forse solo alle
prime esperienze. Per quanto riguarda gli
aspetti tecnico-operativi e metodologici (le
carte della conoscenza condivisa; la
valutazione ambientale strategica) il
dibattito scientifico, le prime esperienze
legislative e la sperimentazione tecnica
sono già avviate. Siamo, invece, all’anno
zero per quanto riguarda il rilancio di un
ruolo delle istituzioni statali nello
svolgere il ruolo complesso sia dei
programmatori sia dei garanti delle
prestazioni.
Note
1
L’intero elaborato era stato volutamente
concepito come sintetico, argomentativo e
propositivo. L’output del piano era
costituito da dieci progetti di
territorio organizzati secondo un ordine
di priorità. L’impianto strategico era stato
richiesto esplicitamente dalla Giunta
regionale; i contenuti e le scelte erano una
proposta del gruppo di esperti. Il documento
aveva le caratteristiche di un preliminare
tecnico che andava approfonditamente
verificato e discusso ai vari livelli per
poi essere, eventualmente, rivisto e
ulteriormente sviluppato. La fine della
legislatura, nel 2003, ha interrotto il
processo.
2
Ha ribadito infatti, con una legge ad hoc
(30/2005) che la regione intende dotarsi di
un piano territoriale regionale improntato
al raggiungimento di numerosi e generali
obiettivi stabiliti in legge ma relativi ai
soli ambiti di esclusivo interesse
regionale.
3
Quello del milieu innovateur è un
paradigma generale dei processi di
innovazione territoriale nati dal basso,
sviluppato a partire dalla metà degli anni
ottanta sulla base delle ricerche di un
gruppo di studiosi di economia spaziale
riuniti nel Groupe de Recherche Europèen sur
les Milieux Innovateurs (Gremi). Una ampia
rassegna della letteratura e dei contribuiti
al dibattito sui milieux e sulle loro
implicazioni in termini di innovazione,
apprendimento, networking, e
governance si trova in Bramanti (1998).
4
La questione è stata a lungo sottolineata e
approfondita da Luigi Mazza a cui lavori
rimandiamo senza citarne alcuno in
particolare.
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