Da circa un decennio si è verificata in
Italia una fase di ripresa della
pianificazione territoriale regionale, un
processo concomitante con l’acquisizione di
un ruolo maggiormente significativo delle
regioni sia nell’ambito delle politiche
comunitarie (alla ricerca di efficacia
attraverso una loro maggiore
territorializzazione), che nell’ambito dei
processi di decentramento istituzionale e di
riforma del Titolo V della nostra
Costituzione.
I piani territoriali redatti in Italia negli
ultimi anni tentano di promuovere una
evoluzione rispetto alle passate esperienze,
prevalentemente poco operative e piuttosto
retoriche, enunciazione di proposte generali
o di indirizzo per strumenti da redigersi in
tempi successivi, sebbene sorrette da studi
anche di notevole consistenza. L’odierna
fase di sperimentazione non è facilmente
interpretabile per la diversità dei processi
a cui dà luogo nelle varie regioni,
diversità che, del resto, si riflette anche
nelle differenti denominazioni che lo
strumento di pianificazione territoriale
regionale ha acquisito nelle recenti leggi
regionali. Fra l’altro i testi legislativi
distinguono fra piani (piano territoriale
regionale, generale o di coordinamento o
piano di indirizzo territoriale o piano
urbanistico territoriale) e quadri (quadro
di riferimento regionale, quadro strutturale
regionale, quadro territoriale regionale).
Tuttavia questa distinzione non è netta: il
piano urbanistico territoriale dell’Umbria,
così come il piano territoriale regionale
generale del Friuli Venezia Giulia, sono
descritti dalle rispettive leggi regionali
come quadri di riferimento per la
pianificazione provinciale, comunale, di
settore o per le trasformazioni edilizie e
urbanistiche.
Verso forme di piano miste
Ad una molteplicità di denominazioni e forme
dello strumento urbanistico fanno riscontro
esperienze di pianificazione regionale
piuttosto disomogenee, che si configurano
come processi eclettici (Fabbro, 2003), per
quanto sia riconoscibile una comune tendenza
verso un approccio alla pianificazione più
negoziale e concertativo, dovuto anche
all’influenza dei principi di sussidiarietà
e copianificazione diffusi a più livelli
istituzionali.
La pianificazione territoriale si trova di
fronte alla necessità di operare in un
contesto in cui agiscono forme di
governance multilivello (reti
istituzionali e informali) e il piano
territoriale regionale sperimenta
l’approccio strategico alla pianificazione
come quello che, per la sua natura
politico-programmatica, è maggiormente utile
al governo del territorio in questo
contesto. Sono le stesse condizioni di
incertezza, complessità, frammentazione
istituzionale in cui si sviluppa la
decisionalità territoriale a determinare la
necessità di una forte sinergia cooperativa
fra attori differenti, pubblici e privati,
alle diverse scale. Naturalmente alla scala
regionale si pongono diversi problemi di
relazione con gli attori territoriali che è
più complesso individuare e coinvolgere se
si allarga l’inclusione anche agli attori
non istituzionali. Inoltre l’approccio
strategico presenta i rischi di una
insufficiente garanzia di obiettivi di
equità distributiva e di giustizia sociale e
di una possibile, pericolosa,
marginalizzazione di alcuni attori e
interessi (ad esempio quelli non
organizzati) e di esclusione di alcuni
valori (ad esempio quelli legati al futuro),
insiti nell’emergere delle contemporanee
forme di governance. Anche per
ridurre questi rischi e per contemplare
obiettivi molteplici a breve e lungo
termine, si sperimentano forme di
pianificazione in cui sono compresenti in
vari modi caratteri attribuibili sia ad un
approccio strategico che ad un approccio di
tipo strutturale.
Schematicamente si possono osservare,
dunque, due linee di tendenza nei recenti
piani regionali. La prima linea di tendenza,
più di rottura con il piano
conformativo-urbanistico del passato,
conduce verso un approccio strategico alla
pianificazione, che tenta di costruire a
monte del processo una visione di futuro
sulla base di scenari condivisi di
riferimento e di prospettiva, e a valle un
sistema concertato e multilivello di
implementazione, dialogando con la
pianificazione regionale di settore e di
altri livelli e con la programmazione
economica, nell’ambito di una attività di
concertazione relativa a specifiche
previsioni. Il piano, infatti, cerca di
derivare le sue strategie da una “visione
guida di orientamento dinamico degli attori”
(Regione Marche, 1998) e fonda sulla
costruzione del consenso rispetto a
specifici progetti e programmi di
territorio. La visione guida ambisce
soprattutto a riportare nel piano differenti
punti di vista, mentre il consenso su
progetti e programmi di territorio porta a
costruire accordi su quadri organici di
composizione di azioni e di differenti
interessi relativi alle azioni. Questo
percorso si basa su meccanismi di governance
territoriale che possano aiutare a garantire
una considerazione delle ragioni e degli
interessi dei territori alle diverse scale
non subordinata al piano regionale ed
un’apertura strutturata ed esplicita agli
interessi di attori pubblici e privati,
anche non istituzionali. L’approccio al
riconoscimento degli interessi è però di
tipo strategico nel senso che gli interessi
sono quelli che si presentano sul mercato
politico per promuovere progetti di
territorio, si accordano nell’ambito di
relazioni mutevoli di potere e costituiscono
la governance territoriale
multilivello. Alcune esperienze di
pianificazione territoriale (fra cui
l’esperienza campana) esplorano la
possibilità di riconoscere come
interlocutori attivi nel processo di
pianificazione strategica i sistemi
territoriali, concepiti come aggregazioni
locali di soggetti pubblici e privati,
istituzionali e non. In tali casi il piano
strategico promuove un processo di
interazione non tanto con i soggetti
forti o organizzati, ma con quelli che
riconosce come possibile risorsa endogena
per il processo di sviluppo regionale, in
sintonia con l’idea di regione come
costrutto intenzionale di una comunità di
sistemi territoriali.
La seconda linea di tendenza consolida un
approccio strutturale che, partendo da
un’etica di fondo di tipo neocontrattuale,
promuove obiettivi di equità distributiva e
giustizia sociale. In genere i piani
strutturali cercano di conciliare le ragioni
del territorio, dell’ambiente e del
paesaggio con i progetti di sviluppo locale,
le regole e l’azione progettuale (si veda
l’esempio del piano di indirizzo
territoriale della Toscana). Il piano in
questo caso propone una sottrazione alla
contrattazione negoziale del progetto di
alcuni interessi da tutelare e garantire,
elaborando una carta o statuto dei
luoghi come garanzia della
considerazione prioritaria degli interessi
connessi con rischi, criticità ambientali e
valori collettivi. Tali piani, considerando
insieme invarianti prescrittive e progetti
strategici per il futuro, si configurano
come un insieme di elementi caratterizzati
da natura, dinamiche e gradi di incertezza
diversi e incoerenti, che penalizzano a
volte le aspirazioni progettuali,
riducendosi ad una definizione di sistemi di
invarianti strutturali.
Entrambi gli approcci presentano dunque dei
punti critici: il primo, quello strategico,
dei rischi nei confronti di valori e
risorse; il secondo, quello strutturale,
delle incoerenze nel conciliare invarianti e
progetti strategici.
Si delinea allora la necessità di riflettere
su un approccio misto alla pianificazione,
strategico e strutturale-regolativo (Fabbro,
2004). Il piano, in questo caso, non è più
integralista, ma si articola in più
strumenti. Il piano strategico si occupa
solo degli assetti generali futuri; mentre
le conoscenze strutturali, relative a rischi
e valori, sono demandate alla Carta
regionale dei luoghi che serve a condurre
preliminarmente valutazioni di compatibilità
(compresa la valutazione ambientale
strategica) di tutti i piani e progetti di
territorio. In tale approccio si prospetta
una nuova interpretazione della conoscenza
come conoscenza indipendente dal progetto e
ricercata per produrre la Carta dei luoghi
come “carta delle regole” (Properzi, 2003),
in cui ci si accorda consensualmente su
aspetti essenziali da tutelare e valori da
proteggere, anche prima che si formino
interessi relativamente a specifici progetti
strategici.
Spunti innovativi nei recenti processi di
pianificazione territoriale regionale
Il ruolo e le responsabilità della
pianificazione territoriale e dei soggetti
ad essa preposti si ampliano e diventano
sempre più complessi in quanto le recenti
trasformazioni dei contesti socio-economici
e territoriali impongono una rivisitazione
dei modelli interpretativi, culturali e di
governo del territorio, un arricchimento
delle strategie di sviluppo e dei
conseguenti strumenti per perseguirle e
l’adozione di approcci alla pianificazione
capaci di implementare i principi integrati
che si sono diffusi a livello locale e
internazionale.
Riconoscere spunti innovativi in questo
senso nelle esperienze di pianificazione
regionale più recenti è un’attività relativa
e problematica nel senso che ripercorrendo
l’esperienza storica della pianificazione
territoriale italiana è possibile ritrovare
alcuni attuali aspetti evolutivi che nel
passato si erano già presentati in forme e
con modalità differenti.
Seppur con questa consapevolezza ci sembra
sia possibile evidenziare almeno quattro
aspetti innovativi nei recenti processi di
pianificazione regionale.
Un primo aspetto riguarda i riferimenti
conoscitivi e interpretativi che sono posti
a fondamento del progetto di piano
territoriale, nel tentativo di comporre uno
sfondo di riferimento condiviso
multidisciplinare. In proposito, nelle
più recenti esperienze, è possibile
delineare tre linee di tendenza, talvolta
compresenti.
In primo luogo si sminuisce l’esigenza di
costruire ad hoc per la redazione del
piano territoriale degli apparati analitici
originali e consistenti, come è avvenuto nel
passato, ma diventa sempre più importante
mettere a sistema quanto già è stato
prodotto per altri piani, in altre
occasioni, con lo scopo dichiarato di
condividere uno sfondo di riferimento comune
non solo fra differenti attori, ma anche fra
diversi strumenti di pianificazione, con
l’obiettivo di favorire una consultazione
interattiva su strategie e azioni
programmate all’interno delle varie
amministrazioni o dei vari settori. Si
utilizza, dunque, un patrimonio di
informazioni e di studi già prevalentemente
disponibile, promuovendo anche la coerenza
fra piani di tipo diverso. Si potrebbe
citare l’esempio del piano di indirizzo
territoriale della Toscana costruito in
sinergia con il piano regionale di
sviluppo con cui ha condiviso “una
comune interpretazione dello sfondo
regionale e della sua dinamica evolutiva e,
soprattutto, una comune rappresentazione dei
contesti regionali per grandi sistemi areali
e sottosistemi territoriali locali”. Ciò ha
anche consentito allo strumento di
pianificazione di non essere subordinato a
quello di programmazione, tanto da imporre
l’inefficacia delle previsioni contenute
negli strumenti attuativi del piano
settoriale regionale, se non inserite
nel piano di inquadramento territoriale
(Pit).
In secondo luogo si costruisce un
preliminare sfondo di riferimento
multidisciplinare condiviso fra vari attori.
È questo, per esempio, il caso sia del Pit
della Regione Marche, per il quale sono
state promosse delle consultazioni
territoriali attraverso lo svolgimento
di seminari tematici, che del piano
territoriale del Veneto, per il quale è
stata elaborata la Carta di Asiago,
esito del contributo interdisciplinare di
cinque saggi. Entrambe mirano a
costruire, seppure con modalità differenti,
“una rete di idee e di valutazioni comuni”
(Clementi, 1998a) come base per la
formazione dello strumento di
pianificazione, tentando di arricchire i
punti di vista presi in considerazione nel
processo.
In terzo luogo si assegna grande importanza
al carattere dinamico dell’analisi del
contesto territoriale. Si cerca, infatti, di
cogliere le situazioni in movimento, le
trasformazioni in corso, i processi in atto,
anche attraverso piani e progetti in itinere
(si veda il Rendiconto dei piani e
progetti all’opera del Pit Marche). A
proposito degli aspetti relativi alle
conoscenze e interpretazioni, il Pit Marche
viene descritto, ad esempio, come “una
macchina di conoscenze che evolve
dinamicamente perfezionando la propria
strumentazione di analisi dei processi
territoriali ed elaborando interpretazioni
mirate sulle tematiche selezionate come
prioritarie dal piano” (Clementi, 1998b).
Nel piano territoriale regionale (Ptr)
della Liguria questa funzione conoscitiva
dinamica è assegnata al Quadro
descrittivo che intende rispondere alla
domanda: “come sta cambiando la Liguria?,
piuttosto che a quella come è fatta la
Liguria?” (Biondi, 2004). Si propone in
questo modo una lettura non tradizionale del
territorio regionale, fondata sulla sua
“capacità di esprimere progetti”.
Un secondo aspetto innovativo riguarda la
costruzione di una visione di territorio
come base costitutiva del progetto di
piano. Nel caso del Pit Marche, ad esempio,
il progetto è stato impostato sulla
definizione di scenari di riferimento, sulla
costruzione di scenari di prospettiva e
sulla verifica dei livelli di coerenza per
arrivare ad una visione guida del piano
impostata su strategie condivise e
contestualizzate nei cantieri progettuali,
specifici luoghi della concertazione fra
regione, province ed enti locali, “aperti
all’ingresso di attori pubblici o privati
che intendano cooperare attivamente alla
crescita competitiva dei territori locali”.
Il piano è inteso come “un insieme di
strategie cooperative fondate su una visione
di insieme del territorio regionale e del
suo futuro”. La visione guida del Pit è
quella della Regione Marche come rete di
ambienti locali, che propone di “realizzare
un grande telaio integrato di infrastrutture
tecniche ed ecologiche per mettere in rete
gli ambienti locali (a dominante produttiva,
ambientale e urbana) e consentire a ognuno
di essi uno specifico e congeniale cammino
di sviluppo”. Tale visione ha la funzione di
orientare i diversi attori, istituzionali e
non, portatori di interessi. Con la visione
guida il Pit propone uno sfondo condiviso e
con i cantieri progettuali esso è orientato
all’azione fondata su una “costruzione
partecipata, volontaria e condivisa degli
ambienti locali”. La visione promuove
un’immagine del mutamento in cui i vari
attori possano riconoscersi e per cui
possano lavorare all’interno delle
istituzioni di appartenenza. In tal modo il
Pit si propone (Clementi, 1998a) come “una
occasione per elaborare un insieme di
progetti condivisi”, avvicinandosi più “ad
un testo dialogico, che a un repertorio di
prescrizioni”. Il Pit fonda, infatti, la sua
innovatività nella costruzione del dialogo e
di immagini condivise, più che nella
definizione di norme favorendo un approccio
progettuale, rispetto ad una impostazione
prescrittiva.
La visione strategica regionale consente
all’ente regione di confrontarsi con gli
altri soggetti istituzionali (e non),
superando un rapporto di tipo gerarchico,
per portare a convergenza diverse visioni di
sviluppo e diverse idee di futuro. In questo
senso il livello regionale può apparire come
quello ideale per una mediazione tra una
visione strategica globale (come lo
schema di sviluppo socio-economico, con
vaghi collegamenti alla realtà
fisico-spaziale e visioni locali
sub-regionali eccessivamente parziali
(Regione Lombardia, 2000). Nelle diverse
esperienze in corso sembra sia possibile
comunque intravedere delle differenze
sostanziali nella individuazione del
processo di formazione di tale visione.
Alcuni processi promuovono una visione che è
predisposta dalla regione per essere offerta
alla discussione degli altri attori locali (cfr.
Documento programmatico della Regione
Lombardia); altri processi, invece,
propongono una costruzione collettiva di
tale visione, basata su un approccio di
community visioning (cfr. Documento
programmatico territoriale per le
consultazioni della Regione Veneto).
Strettamente interrelato alla costruzione di
una visione di territorio è il
riconoscimento della centralità della
dimensione progettuale che si esprime
attraverso l’uso di diversi strumenti
progettuali in grado di concentrare le
azioni di piano su particolari temi o
particolari aree del territorio regionale
(ad esempio i cosiddetti campi complessi
del Ptr della Campania). Fra questi
strumenti acquista un ruolo rilevante e
innovativo l’uso del progetto pilota (come
nei casi della Campania e della Liguria).
Infatti, accanto ad una visione regionale
complessiva, le più recenti esperienze
individuano e selezionano temi o aree per i
quali si possa operare con approcci e
strumenti diretti e operativi, in
particolare quando si intuisce o si verifica
l’esistenza di un consenso diffuso. L’orientamento
al progetto, anche al livello
territoriale, è verificabile soprattutto nei
piani che promuovono un approccio strategico
alla pianificazione territoriale. Attraverso
la previsione di diverse modalità attuative
del Ptr, a volte già considerate dalla
legislazione regionale, a volte promosse nei
processi implementati (come nel caso dei
cantieri progettuali del Pit Marche), si
propone un’apertura del processo decisionale
in funzione di una migliore efficacia
attuativa, con forme di partecipazione
attiva di attori istituzionali e non,
pubblici e privati, che si vuole spingere a
cooperare. Si tenta in questo modo di
promuovere nel piano regionale una
“costruzione collegiale di progetti
territoriali”.
La centralità della dimensione progettuale
caratterizza, ad esempio, il piano
territoriale della Liguria che nel
Quadro strutturale prevede svariati
strumenti: i progetti di iniziativa
regionale riguardanti l’intero
territorio regionale, i progetti pilota
per particolari contesti, i progetti
integrati di ambito per il perseguimento
di particolari obiettivi e l’individuazione
di definiti ambiti di progetto e
aree di progetto. Attraverso il
Quadro strutturale e il Documento
degli obiettivi, il piano ligure si
fonda prevalentemente su una impostazione
progettuale che individua le strategie per
lo sviluppo del territorio regionale,
innescando una dinamica fra obiettivi e
progetti (Rocco, 2004).
L’uso di programmi di iniziativa regionale e
di progetti pilota è presente anche nel
processo del piano territoriale della
Campania. Questo piano ha dedicato
l’individuazione di uno dei suoi cinque
quadri di riferimento territoriale ai
cosiddetti campi territoriali complessi,
ovvero ai contesti critici in relazione ai
quali è necessario intervenire,
indipendentemente dai tempi della
programmazione territoriale. Fra questi
campi, che riguardano infrastrutture di
interconnessione di grande rilevanza o aree
di concentrazione di fattori di rischio1,
rientra il Programma di azioni per la
mitigazione del rischio Vesuvio composto
da una delibera-quadro, dodici azioni
integrate e un protocollo di intesa con il
Governo, che hanno dato luogo ad una
sperimentazione con un progetto pilota di
delocalizzazione di residenti da un’area
campione. Per tali campi progettuali la
Proposta di Ptr ipotizza la possibilità,
che andrà stabilita all’interno di
Conferenze di pianificazione, di un
intervento di pianificazione regionale,
coerente con regole di garanzia e di
partecipazione degli enti compresi in tali
ambiti.
Infine, nel Documento programmatico
di avvio del processo di costruzione del
piano territoriale della Regione
Lombardia il Ptr viene definito esso stesso
progetto di territorio, nel senso di
“strumento di programmazione che fissa
scelte e interventi strategici e che lascia
aperte, rispetto alla grande maglia definita
dagli elementi e dai criteri strutturali,
una gamma rilevante di opportunità
alternative di intervento”.
Infine, un ulteriore aspetto innovativo può
essere individuato nella inclusione ed
esplicitazione all’interno del piano del
momento valutativo in sintonia con gli
orientamenti comunitari. Nella
pianificazione territoriale si avverte,
infatti, l’esigenza di una valutazione
esplicita e trasparente che non sia solo di
tipo ambientale, ma di tipo integrato.
Il Pit delle Marche ha, ad esempio,
prefigurato un “tavolo unico delle
valutazioni intorno a cui radunare le
valutazioni propriamente territoriali,
quelle ambientali e, possibilmente, anche
quelle di costi-benefici almeno per i
progetti più rilevanti”. Il Ptr della
Liguria è invece accompagnato dalla
sperimentazione di un Rapporto ambientale
che si richiama alla Direttiva europea
42/2001 sulla valutazione strategica di
piani e programmi e adempie al Dpr 120/2003
in materia di valutazione d’incidenza. Il
Rapporto è stato concepito come verifica del
ruolo dell’integrazione interdisciplinare di
competenze diverse (ambientali e
socio-economiche) e del processo di
partecipazione, assunti come principi
fondamentali di un processo di
pianificazione indirizzato all’obiettivo
della sostenibilità e come strumento di
valutazione del rapporto con gli altri
strumenti di pianificazione settoriale (Minetti,
2004).
Ancora più interessante sembra il caso della
Regione Emilia Romagna che ha previsto una
valutazione di sostenibilità ambientale e
territoriale (Valsat)2 come
parte integrante del processo del Ptr. Con
essa si intende garantire in ogni fase del
processo di piano il perseguimento degli
obiettivi di integrazione fra aspetti
socio-economici e ambientali e di coesione
territoriale, derivante dagli indirizzi
comunitari, e corredare le scelte
strategiche regionali di indicatori di
scenario, di impatto e di risultato. La
regione ha già avviato il processo
valutativo relativo allo Schema di
sviluppo del territorio regionale
(Regione Emilia Romagna, 2005), documento
preliminare contenente gli obiettivi
generali e le linee strategiche per
l’aggiornamento del Ptr vigente, che
costituiscono la base di riferimento per il
processo di concertazione con i soggetti
istituzionali e le organizzazioni
socio-economiche nell’ambito delle
conferenze di pianificazione.
Tuttavia, nonostante l’interesse di queste
esperienze, non ancora molti processi di
piano hanno incluso pratiche valutative.
Infatti, sebbene sia forte in questo senso
l’influenza comunitaria, sembra evidente in
Italia l’assenza di una lunga tradizione
valutativa, la difficoltà di introdurre
indicatori e prestazioni e una certa
resistenza delle strutture tecniche degli
enti.
In effetti, tutti i fattori di innovazione
descritti si presentano in modo estremamente
differenziato nelle diverse esperienze di
pianificazione per l’incidenza del contesto
di riferimento regionale sull’andamento e
l’impostazione dei processi di piano. Il
contesto di riferimento incide in
particolare in relazione alla propria
tradizione di pianificazione di area vasta,
all’aggiornamento del riferimento
legislativo regionale e alla capacità di
dialogo e di costruzione di azioni
cooperative fra i diversi soggetti
territoriali in vari modi responsabili del
governo del territorio.
Note
1
In particolare i campi progettuali complessi
si riferiscono a “interventi e strategie di
riequilibrio e risanamento ambientale, di
bonifica di aree ad alto rischio e valore
paesistico, opere e interventi nel settore
delle infrastrutture (in particolare nel
campo dei trasporti e della mobilità),
pratiche per la protezione del territorio e
il ripristino di condizioni sociali e urbane
di sicurezza, in relazione ai rischi
naturali”, Regione Campania, Proposta di Ptr,
pag. 312.
2
La Valsat è prevista dalla Lr 20/2000.
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