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                                    Una grande rete di centri urbani è quella 
                                    che ci rassegna la rappresentazione 
                                    sinottica dell’attuale geografia della 
                                    Sicilia, palinsesto storico 
                                    dell’avvicendarsi di svariati popoli, 
                                    distillato di vissuti e politiche differenti 
                                    riscontrabili nei segni fisici che hanno 
                                    plasmato le geometrie del territorio. 
                                    
                                    Segni che di volta in volta, in siti 
                                    coincidenti o diversi, hanno avuto 
                                    molteplici significati: di luoghi di culto, 
                                    di rappresentazione, di difesa militare, di 
                                    affermazione del potere, di insediamenti a 
                                    prevalente funzione residenziale o 
                                    d’incontro e smistamento commerciali. Tracce 
                                    che ancora oggi è possibile rinvenire nella 
                                    geo-referenziazione topografica o nella 
                                    ricostruzione toponomastica, letteraria e 
                                    storiografica in genere, trasformati 
                                    comunque dagli usi successivi o cancellati 
                                    dal tempo e dall’incuria. 
                                    
                                    Segni che, al di là della più o meno agevole 
                                    identificazione e a prescindere dal loro 
                                    costituire o meno coscienti identità 
                                    locali delle attuali generazioni, non 
                                    portano più in sé i significati funzionali 
                                    originari e perciò sono soggetti a subire il 
                                    destino che le civiltà pragmatiche (e i loro 
                                    mercati) assegnano alle lingue morte: segni 
                                    a stento leggibili da pochi appassionati 
                                    cultori. 
                                    
                                    La Sicilia, dunque, appartiene ad una lunga 
                                    storia, causa ed effetto della sua ambita 
                                    posizione geografica di isola-incrocio1 
                                    e per questo crogiuolo di esperienze e 
                                    culture che, come il mare che la lambisce, 
                                    ad ogni ondata più o meno lunga hanno 
                                    lasciato una traccia sull’antico suolo. 
                                    
                                    Un’isola crocevia che nel suo divenire si fa
                                    altro: epifania di storie dallo 
                                    scenario più vasto che attingono 
                                    dall’immenso archivio del Mediterraneo 
                                    fondendosi in articolati paesaggi urbani e 
                                    territoriali; o pietrificata 
                                    dall’immobilismo e assuefatta a minime 
                                    condizioni di vita generando tessuti 
                                    indifferenziati; o illusa da effimeri 
                                    episodi produttivi dispensatori di 
                                    ricchezze, il cui effetto invece è stato di 
                                    distruzione di pregiati contesti 
                                    paesaggistici e di abbandono delle 
                                    agricolture tradizionali dalle quali sono 
                                    derivate quelle ricchezze che hanno 
                                    consentito di fornire ai centri antichi 
                                    architetture persino ridondanti2. 
                                    
                                    Alla stessa stregua della pur diffusa 
                                    archeologia nell’area della Magna 
                                    Grecia, anche i più complessi segni dei 
                                    nostri centri storici, sulle piazze dei 
                                    mercati globali e fondiari locali, sembrano 
                                    avviati verso progressive riduzioni 
                                    dimensionali e ineluttabili trasformazioni, 
                                    a prescindere dalla collocazione geografica 
                                    costiera o interna. 
                                    
                                    Per fronteggiare un simile trend, 
                                    occorrerebbe d’altro canto un forte 
                                    interesse socio-economico per il recupero di 
                                    funzioni del tutto desuete e anacronistiche, 
                                    quale talora indotto solo da eventi 
                                    traumatici: si pensi, in epoca bellica, allo 
                                    sfollamento delle grandi città in favore dei 
                                    più minuscoli e sperduti centri montani … in 
                                    ogni caso lontani dai principali mercati 
                                    e obiettivi militari (vedi Moravia, La 
                                    ciociara). 
                                    
                                    Governare in pace la crescita di un simile 
                                    interesse, senza ricorrere dunque a quella 
                                    sorta di traumi, presuppone comunque 
                                    l’assunzione di rendite economico-politiche 
                                    che in atto appaiono ben distanti dagli 
                                    usuali processi di crescita. 
                                    
                                    Il rischio, infatti, è che lo stesso 
                                    disinteresse di mercato, causa di 
                                    abbandono delle aree agricole e di degrado 
                                    del paesaggio, investa i nuclei antichi 
                                    delle città e ne cancelli memoria e 
                                    identità. 
                                    
                                    D’altronde questo è ciò che la cultura 
                                    globale tende a portare: un progressivo 
                                    appiattimento dei caratteri originari del 
                                    paesaggio e dell’insediamento urbano con la 
                                    graduale estinzione di attività economiche 
                                    tradizionali. Un processo che ha investito 
                                    appieno l’isola i cui effetti, come ombra 
                                    che avanza, si riscontrano nell’incapacità 
                                    di rinnovamento delle splendide 
                                    sopravvivenze di culture materiali 
                                    destinate, purtroppo, a soccombere sotto le 
                                    spinte di una tecnologia imperante e nello 
                                    spegnersi di piccole economie simbiotiche 
                                    con l’ambiente, ma poco produttive per il 
                                    vorace mercato mondiale. 
                                    
                                    Tuttavia, è nel mondo interno della Sicilia 
                                    che è possibile riscontrare patrimoni di 
                                    risorse naturali e culturali tali da 
                                    arginare gli effetti negativi del trend 
                                    globalizzato d’insostenibilità ambientale. 
                                    
                                    È in questo interno che sopravvivono 
                                    suggestivi spartiti per la memoria e 
                                    l’identità, impressi nei tessuti antichi 
                                    medievali, nel barocco delle costruzioni, 
                                    nelle piazze e nella natura che li pervade. 
                                    
                                    È nelle piccole città interne, concentrate 
                                    lungo i crinali e le zone più impervie, che 
                                    è possibile trovare le condizioni favorevoli 
                                    per avanzare ipotesi rifondative sia in 
                                    ambito disciplinare (e qui vale il 
                                    riferimento ai “municipi di uomini” di 
                                    Magnaghi, Scandurra, Borri e altri), che a 
                                    livello di politica economica, ispirate più 
                                    alle valenze qualitative e di civiltà della 
                                    nostra Costituzione che non a quelle 
                                    quantitative dei mercati globali. 
                                    
                                      
                                    
                                      
                                    
                                    Il sistema dei centri minori interni della 
                                    Sicilia orientale 
                                    
                                      
                                    
                                    L’ordito territoriale che la Sicilia ci 
                                    presenta è costituito da un insieme di paesi 
                                    e città raggrumati sulle creste dei monti, 
                                    sulle pendici dei colli o su ondulati 
                                    altipiani che si contrappongono a continuità 
                                    urbane costiere3 inframmezzate 
                                    dalle chiusure naturali dei promontori. 
                                    
                                    Le prime, nel loro essere città interne 
                                    sono chiuse, intente, come scrive 
                                    mirabilmente Sciascia, a “sottrarsi al mare 
                                    ed escluderlo dietro un sipario di alture o 
                                    di mura”; le seconde, invece, le città 
                                    del mare sono proiettate verso l’esterno 
                                    pronte a cogliere ciò che di nuovo si 
                                    affaccia all’orizzonte, senza pensare a ciò 
                                    che questa apertura può comportare in 
                                    termini di perdita dei caratteri originari e 
                                    per questo fatalmente compromesse da 
                                    pratiche di cementificazione spesso 
                                    devastanti. 
                                    
                                    Lasciandoci alle spalle le problematiche 
                                    connesse al sistema delle conurbazioni 
                                    costiere, il nostro intento è di occuparci 
                                    dei piccoli centri interni che rappresentano 
                                    l’ossatura portante dell’isola. Sono, 
                                    infatti, 333 i piccoli comuni con un numero 
                                    di abitanti minore o uguale a 20.000, contro 
                                    i 53 centri con popolazione maggiore a tale 
                                    soglia (comprendenti anche i 9 comuni 
                                    capoluogo di provincia) solitamente disposti 
                                    lungo la fascia costiera4 (Figura 
                                    1). 
                                    
                                      
                                        
                                          | 
                                             
                                            Figura 1 - Il sistema dei centri 
                                            urbani minori (bianco) rispetto ai 
                                            comuni maggiori (grigio)  | 
                                         
                                        
                                          | 
                                             | 
                                         
                                        
                                          | 
                                             
                                            
                                               | 
                                         
                                       
                                     
                                      
                                    
                                    Le brevi distanze che li separano lungo 
                                    crinali e impervie trazzere ne infittiscono 
                                    il sistema di nodi e non è certo un caso che 
                                    le catene dei Peloritani e dei Nebrodi, che 
                                    sovrastano il fronte tirrenico della 
                                    Provincia di Messina, incontrando quelle di 
                                    Enna e Palermo siano frammentate da 
                                    centinaia di piccoli territori comunali, i 
                                    cui nuclei insediativi sono sorti lungo le 
                                    antiche direttrici est-ovest (Messina-Palermo) 
                                    piegando a Randazzo verso Catania e 
                                    Siracusa-Ragusa, anche per soddisfare 
                                    esigenze di tipo militare avviate già in età 
                                    bizantina e ulteriormente ampliate durante 
                                    il periodo normanno. 
                                    
                                    Sono un sistema di insediamenti che si 
                                    trovano scaglionati lungo precise direttrici 
                                    viarie di collegamento fra la parte 
                                    occidentale e quella orientale dell’isola, 
                                    all’interno di un’area di grande importanza 
                                    economica e militarmente strategica, in cui 
                                    le sequenze dei centri con le loro torri di 
                                    avvistamento e i castelli fortificati 
                                    rappresentavano un osservatorio privilegiato 
                                    di controllo del territorio5. 
                                    
                                    Anche se la storia nel suo divenire ha 
                                    plasmato le trame urbane originarie di 
                                    questi piccoli centri è comunque possibile 
                                    leggere la primitiva conformazione del 
                                    nucleo insediativo stretto intorno ai 
                                    simboli del potere: il castello e l’abbazia, 
                                    quasi a sottolineare il rapporto di 
                                    sudditanza e il bisogno di protezione 
                                    individuale o collettivo. Un intrico di vie 
                                    e di vicoli si snoda rivelando nel selciato 
                                    l’impervietà dei sentieri di alta quota e su 
                                    di esso si affacciano file ordinate di 
                                    abitazioni. È un pulviscolo di case, ma 
                                    dietro le facciate, simili nel linguaggio 
                                    architettonico e formale, si svela il 
                                    travaglio continuo di intere generazioni 
                                    dipeso dal variare dei bisogni di chi le 
                                    abita (Figura 2). 
                                    
                                      
                                        
                                          | 
                                             
                                            Figura 2 - Il centro abitato di 
                                            Agira (En) con il castello che 
                                            domina il paesaggio  | 
                                         
                                        
                                          | 
                                             
                                               | 
                                         
                                        
                                          | 
                                                | 
                                         
                                       
                                     
                                      
                                    
                                    I luoghi dell’abitare insieme ai simboli del 
                                    potere politico e religioso e al sistema 
                                    viario danno vita così ad un insieme 
                                    armonico, frutto di un incontro (non privo 
                                    di tensioni e contrasti), tra l’uomo e la 
                                    natura, tra la cultura di una comunità e le 
                                    fattezze fisiche di un territorio. 
                                     
                                    
                                    Un’opera corale, dunque, coevolutiva, 
                                    cresciuta nei tempi storici sovrapposti ai 
                                    tempi geologici che acquista i plusvalori 
                                    infiniti sottolineati da Alberto Magnaghi6 
                                    e che solo un risvolto malinteso impedisce 
                                    di apprezzare proprio a chi in borsa 
                                    quotidianamente è aduso a rapide stime in 
                                    tempo reale. 
                                    
                                    In tal modo, la lettura della connessione 
                                    fra l’urbano e il rurale ci mostra un vasto 
                                    repertorio di città, fatto di casi diversi, 
                                    d’identità distinte, legate ai differenti 
                                    modi d’interazione tra le componenti 
                                    storiche, politiche e ambientali. 
                                    
                                    È il caso dei comuni di origine medievale 
                                    dove Arabi e Normanni hanno plasmato forme 
                                    urbane, spesso già esistenti ai tempi dei 
                                    greci e dei romani, nel rispetto di 
                                    morfologie utili sia alla difesa che alla 
                                    produzione dei beni economici in un rapporto 
                                    ancora leggibile che si esprime 
                                    proporzionalmente tra le parti, anche se non 
                                    più calibrato sul segno fisico delle mura 
                                    – ormai scomparse quasi del tutto – ma che 
                                    si fonda sul senso di appartenenza ancora 
                                    vivo nella memoria collettiva (Figura 3). 
                                    
                                      
                                        
                                          | 
                                             
                                            Figura 3 - Il nucleo urbano di 
                                            Gagliano Castelferrato (En) visto 
                                            dalla rocca del castello  | 
                                         
                                        
                                          | 
                                             
                                               | 
                                         
                                        
                                          | 
                                                | 
                                         
                                       
                                     
                                      
                                    
                                    Ma è ancora il caso dei comuni fondati nel 
                                    periodo del Viceregno7 (tra il XV 
                                    e il XIX secolo) con il sistema 
                                    politico-amministrativo della licentia 
                                    populandi che presentano, in genere, un 
                                    impianto viario a maglia ortogonale con 
                                    isolati a spina, i cui tipi edilizi 
                                    (case terrane e case solarate) 
                                    si ripetono quasi ossessivamente all’interno 
                                    del tessuto urbano, diversificato dalla 
                                    presenza di chiese e palazzi baronali a 
                                    testimonianza della redditività agricola 
                                    fornita dal contesto territoriale. Qui il 
                                    senso identitario di appartenenza sfuma 
                                    anche per motivi intrinseci alla fondazione 
                                    stessa della città. Popolazioni 
                                    diversificate, provenienti da varie parti, 
                                    vengono a costituire infatti i nuovi 
                                    abitanti della nuova città. 
                                    
                                    O il caso dei comuni ricostruiti dopo la 
                                    furia distruttrice del terremoto del 16938 
                                    che ha colpito la Sicilia orientale, le cui 
                                    forme urbane presentano una struttura 
                                    analoga a quella delle città di fondazione, 
                                    escludendo i casi di Avola e Grammichele a 
                                    schema radiocentrico. 
                                    
                                    Ma ad una sistematicità d’impianto delle 
                                    nuove città si contrappone un linguaggio 
                                    scenografico e fastoso: il barocco 
                                    siciliano. Modica, Scicli, Palazzolo Acreide, 
                                    Noto (che di quel barocco è unanimemente 
                                    riconosciuta come capitale), sono i centri 
                                    più rappresentativi di questo stile; e anche 
                                    tanti altri piccoli borghi, quelli posti 
                                    nelle zone più impervie dell’entroterra 
                                    siciliano, dal tessuto urbano 
                                    morfologicamente più articolato e complesso 
                                    portano in sé testimonianze edilizie e 
                                    urbanistiche di questo periodo artistico. 
                                    
                                    Questa sommaria classificazione, che 
                                    evidenzia una situazione molto variegata, ci 
                                    fa capire come non pare producente parlare 
                                    in generale di centri storici (nella 
                                    fattispecie minori), ma occorre 
                                    scendere al dettaglio conoscitivo di ciascun 
                                    nucleo urbano e del suo territorio, per 
                                    calibrare al meglio gli interventi, diretti 
                                    verso una riappropriazione sociale dei 
                                    valori della cultura materiale della 
                                    collettività9. 
                                    
                                    In tal modo, assume ulteriore significato il
                                    progetto locale di Magnaghi, quando 
                                    parla di elaborare trasformazioni del 
                                    paesaggio urbano e territoriale condivise e 
                                    rispettose della storia di formazione del 
                                    luogo stesso, finalizzate alla conservazione 
                                    dell’identità e del patrimonio esistente10. 
                                    
                                      
                                    
                                      
                                    
                                    Reti di antiche città, per qualità nuove 
                                    
                                      
                                    
                                    Il tema così articolato è ampio e complesso 
                                    e richiede una sinergia di azioni che, 
                                    partendo dalla conoscenza storica delle 
                                    trasformazioni della città e del suo 
                                    territorio, abbiano l’obiettivo di 
                                    rispettare e accrescere il patrimonio 
                                    culturale e ambientale presente. 
                                    
                                    La mancanza d’interventi sistemici sui 
                                    centri antichi non sembra dovuta tanto alla 
                                    complessità del tema (esaltata anzi dalla 
                                    ricchezza storica del dibattito), quanto 
                                    alle distrazioni prodotte nell’ultimo 
                                    mezzo secolo dall’incalzare della 
                                    modernizzazione e dalle apparenti 
                                    semplificazioni che la connotano in termini 
                                    di tecnologie.  
                                    
                                    Sotto questo profilo diventa emblematica 
                                    l’espressione usata da Gustavo Giovannoni 
                                    “Vecchie città, edilizia nuova” che inaugura 
                                    una prima stagione distintiva, ma anche 
                                    integrativa, dell’antico dal moderno. 
                                    
                                    Minore coscienza di tale complessità, fino a 
                                    scomparire quasi nell’arroganza di molte 
                                    cosiddette grandi opere, è quella che 
                                    imperversa ormai a partire dagli anni ’60 
                                    che, esaltando i caratteri legati alle più 
                                    settoriali difficoltà tecniche, economiche e 
                                    politiche, ha trascurato quelli culturali 
                                    inerenti il rapporto tra esistente e nuovo. 
                                    Da cosa nascerebbero le attuali esigenze di
                                    valutazioni d’impatto o della stessa 
                                    ineffabile sostenibilità dello sviluppo, 
                                    se non dalla presa d’atto di aver operato in 
                                    nome di quantità preclusive di ogni qualità 
                                    culturale? 
                                    
                                    Quello di centro storico è un 
                                    concetto che nella disciplina urbanistica 
                                    trova definizione solo da mezzo secolo, come 
                                    effetto delle crescite urbane seguite alla 
                                    fase della ricostruzione post-bellica. Prima 
                                    di allora, infatti, centri storici e città 
                                    coincidevano. Il perimetro della città, 
                                    cioè, corrispondeva generalmente con quello 
                                    del suo centro antico, specie nelle sedi più 
                                    piccole, la gran parte della quali, dopo 
                                    l’Unità d’Italia, non avevano avuto 
                                    pressanti esigenze di ampliamenti a 
                                    fini di salubrità e decoro degli spazi 
                                    urbani (legge 2359/1865)11. 
                                    
                                    Il destino sull’eventuale crescita dei 
                                    centri minori, infatti, è stato sempre 
                                    legato a quello delle produttività primarie 
                                    (agricole, zootecniche, marinare o 
                                    minerarie), ma anche a quello dei trasporti 
                                    dei beni prodotti per effetto delle relative 
                                    attività economiche. 
                                    
                                    Il mutato modello produttivo, introdotto dal 
                                    macchinismo industriale, ha modificato 
                                    progressivamente ogni processo e i nuovi 
                                    sistemi di trasporto (ferrovie e navi) hanno 
                                    indotto una prima forma di 
                                    globalizzazione dei mercati. Gli 
                                    originari vantaggi posizionali che 
                                    storicamente avevano determinato le scelte 
                                    insediative dei siti agricoli posti a quote 
                                    funzionali alle esigenze di difesa, ma anche 
                                    alle millenarie necessità di trasporto del 
                                    cavallo, si sono così trasformati in motivi 
                                    di svantaggio quando è subentrato il 
                                    cavallo-vapore. 
                                    
                                    È divenuto peraltro sempre più improbabile 
                                    un incremento demografico dei comuni montani 
                                    e collinari, ancorché più velocemente 
                                    raggiungibili grazie ai nuovi mezzi di 
                                    trasporto12. 
                                    
                                    In ogni caso, a dispetto di funzioni 
                                    storiche ed esigenze pratiche o di difesa 
                                    ormai desuete, i centri interni sono 
                                    sopravvissuti nonostante le trasformazioni 
                                    globalizzanti ne abbiano ridotto 
                                    progressivamente la vitalità multifunzionale 
                                    e tendano a farne (come per le periferie 
                                    urbane) luoghi di mera residenzialità. 
                                    
                                    Il prezzo pagato per la difficoltosa 
                                    accessibilità ai siti di produzione e di 
                                    servizi è tuttavia compensato da una più 
                                    naturale cadenza temporale degli eventi e 
                                    spesso anche da una migliore qualità 
                                    ambientale. Una migliore offerta 
                                    infrastrutturale, anzi, ne metterebbe a 
                                    rischio i residui caratteri multifunzionali 
                                    accelerando la perdita dei servizi rimasti: 
                                    ambulatori, ospedali, preture e persino 
                                    scuole che finirebbero per essere trasferiti 
                                    e concentrati negli insediamenti maggiori 
                                    più prossimi. Paradossalmente una migliore 
                                    accessibilità ai centri minori costituirebbe 
                                    ulteriore motivo di fuga e di depauperamento 
                                    della vitalità multifunzionale. 
                                    
                                    La complessità della tematica territoriale, 
                                    tesa per definizione a mettere al centro il 
                                    necessario riequilibrio che la tutela 
                                    costituzionale del paesaggio impone negli 
                                    effetti, non è stata tuttavia all’ordine del 
                                    giorno per quasi un secolo. 
                                    
                                    Potrebbe, dunque, apparire donchisciottesco 
                                    prendere di petto la difficoltà di simili 
                                    tematiche, se anche la più recente 
                                    legislazione (Codice dei beni culturali e 
                                    del paesaggio) sollecita verso una 
                                    necessaria azione di recupero del tempo 
                                    perduto e delle occasioni mancate13. 
                                    E non è un caso che la salvaguardia del 
                                    paesaggio agrario e dei siti d’importanza 
                                    storica, inclusi nel patrimonio Unesco, sia 
                                    vista come obiettivo specifico dei piani 
                                    paesaggistici a rimarcare l’univocità 
                                    d’intervento che riguarda la 
                                    riqualificazione di centri urbani e aree 
                                    agricole. 
                                    
                                    Ma anche una valutazione degli odierni danni 
                                    ambientali (oltre che dei costi sociali 
                                    prodotti dal trapianto migratorio e 
                                    dall’abbandono dei centri minori), come dei 
                                    conseguenti dissesti idrogeologici, 
                                    sollecita a considerare prioritaria una 
                                    politica di complessivo recupero su tutti i 
                                    fronti, sia pure nella consapevolezza dello 
                                    scomparso carattere sociale che ha 
                                    caratterizzato in genere l’intervento 
                                    pubblico. 
                                    
                                    Le svuotate aree centrali, montane e 
                                    collinari, la crescita indiscriminata delle 
                                    città costiere, la mutazione genetica di 
                                    città e territori multifunzionali divenuti 
                                    sedi di mero consumo (di beni e servizi 
                                    prodotti altrove) e immersi nel 
                                    deserto del progressivo abbandono agricolo, 
                                    rappresentano oggi il contesto complessivo 
                                    nel quale appare prioritario tentare un 
                                    recupero riqualificante in chiave di 
                                    sostenibilità ambientale14. 
                                    
                                    Se del resto l’immagine più significativa 
                                    della città è generalmente quella modellata 
                                    nel suo centro antico (più che nell’anonima 
                                    periferia compatta o diffusa), così 
                                    l’immagine che resta a livello di area vasta 
                                    è quella dei variegati paesaggi (di costa, 
                                    di valle, di collina o di montagna) che 
                                    fanno del territorio un unico grande 
                                    parco15. 
                                    
                                    Gli interventi, quindi, non possono essere 
                                    superficiali o puntuali, cioè non possono 
                                    effettuarsi più o meno estesi maquillage 
                                    edilizi o urbanistici, piuttosto bisogna 
                                    operare all’interno di una sistemica 
                                    strategia d’area vasta capace di 
                                    conseguire opportunità concrete e vantaggi 
                                    economici, a partire da una più articolata 
                                    disciplina degli usi delle indefinite e 
                                    sempre trascurate zone agricole. 
                                    Queste del resto, costituiscono la parte più 
                                    consistente del territorio siciliano (almeno 
                                    il 96%), e caratterizzano il contesto 
                                    paesistico dei tanti centri urbani che, 
                                    comunque tutti assieme, occupano appena il 
                                    restante 4% dei suoli.  
                                    
                                    La città, l’industria, l’infrastruttura, 
                                    cioè, vanno ricollocate nella dimensione 
                                    spaziale che è loro propria: l’ambito-costruito-eccezione, 
                                    all’interno del non-urbanizzato che diventa
                                    regola. 
                                    
                                    Risulterebbe, pertanto, più corretto 
                                    iniziare il cammino di riordino del 
                                    territorio dalle aree dove l’aspetto 
                                    edilizio resta diffuso, dove cioè 
                                    il costruito assume il ruolo 
                                    dimensionale di eccezione (che gli è 
                                    proprio nei fatti) ancorché nefastamente 
                                    metastatizzante (Figura 4). 
                                     
                                    
                                      
                                        
                                          | 
                                             
                                            Figura 4 - Il nucleo urbano di 
                                            Castiglione di Sicilia (Ct) visto 
                                            dall'Alcantara  | 
                                         
                                        
                                          | 
                                             
                                               | 
                                         
                                        
                                          | 
                                                | 
                                         
                                       
                                     
                                      
                                    
                                    L’odierna dequalificazione urbana, alla 
                                    quale s’intende contrapporre l’attribuzione 
                                    sistemica di nuove qualità, si spiega 
                                    come effetto di rinviati (se non trascurati) 
                                    approcci alle problematiche complesse della 
                                    città antica, da una parte, e del suo 
                                    contesto agricolo, dall’altra. 
                                    
                                    Non è dunque un caso che, in vista 
                                    dell’interesse dichiarato dal presente 
                                    saggio verso la riqualificazione dei centri 
                                    minori interni della Sicilia orientale, si 
                                    richiamino il non urbanizzato e le zone 
                                    agricole, perché ambedue legati da un 
                                    rapporto biunivoco.  
                                    
                                    Le qualità di un centro antico cioè, sono 
                                    insite già in assoluto nei suoi originari 
                                    rapporti con la campagna che lo circonda e 
                                    non possono essere accresciute nemmeno da 
                                    eventuali trasformazioni moderne del suo 
                                    contesto; e per converso le qualità 
                                    paesaggistiche di quest’ultimo non possono 
                                    comunque essere migliorate da trasformazioni
                                    moderne del centro storico (Figura 
                                    5). 
                                    
                                      
                                        
                                          | 
                                             
                                            Figura 5 - La chiesa medievale 
                                            Madonna di Lourdes alle porte di 
                                            Castiglione di Sicilia (Ct)  | 
                                         
                                        
                                          | 
                                             
                                               | 
                                         
                                        
                                          | 
                                                | 
                                         
                                       
                                     
                                      
                                    
                                    Il tema della riqualificazione urbana porta, 
                                    dunque, a mettere in discussione le forme 
                                    usuali, frammentarie e improvvisate 
                                    d’investimento delle scarse risorse 
                                    pubbliche e ad affrontare i percorsi della 
                                    complessa strategia sistemica, impervi per 
                                    esigenze di mercato oltremodo mutevoli e 
                                    sempre meno attente ai lenti processi di 
                                    crescita democratica. Mette pure in 
                                    discussione la prassi sinora seguita che ha 
                                    privilegiato il recupero delle città 
                                    maggiori preferibilmente del nord, dove i 
                                    mercati fondiari delle dismissioni 
                                    industriali imponevano risposte repentine. 
                                    Il problema riguarda al contrario le realtà 
                                    dei piccoli e medi centri urbani che 
                                    rappresentano il nerbo del paese e 
                                    soprattutto quelli del meridione, dove più 
                                    rilevanza ha la pratica dell’edificabilità 
                                    diffusa e della sostituzione viste come 
                                    uniche direzioni di risparmio, in assenza di 
                                    alternative economicamente rassicuranti.
                                     
                                    
                                    In un simile contesto, e lungi dal 
                                    riproporre le inadeguatezze procedurali e 
                                    applicative di una legislazione urbanistica 
                                    (in Sicilia ferma all’epoca delle grandi 
                                    espansioni degli anni ’60 e ’70), si 
                                    sostiene l’importanza strategica del piano, 
                                    almeno come scelta consapevole di priorità 
                                    improcrastinabili in un quadro complessivo 
                                    in cui gli investimenti trovino il loro 
                                    concerto nella tutela e valorizzazione delle 
                                    principali risorse territoriali collettive: 
                                    aria, acqua, suolo, patrimonio monumentale e 
                                    naturalistico (paesaggio). 
                                    
                                    Risorse territoriali che, superati gli 
                                    schemi dell’estetismo romantico connesso 
                                    all’originaria epistemologia contemplativa 
                                    di bellezze naturali, oggi rientrano 
                                    nel più compiuto concetto di paesaggio 
                                    tutelato dalla Costituzione, attualizzato 
                                    dal DLgs 490/1999 e ora anche dal Codice 
                                    Urbani16. Senza dire che nel 
                                    quadro della Convenzione europea dei beni 
                                    culturali (Firenze 2000) la salvaguardia 
                                    delle aree agricole diventa specifico 
                                    obiettivo di qualità alla stessa stregua dei 
                                    siti patrimonio dell’umanità. 
                                    
                                    Proprio queste considerazioni, che 
                                    riaccostano nuclei antichi e paesaggi di 
                                    contesto, sollecitano la ricerca di 
                                    soluzioni di riequilibrio. Emblematici a 
                                    tale proposito diventano i piccoli centri 
                                    interni siciliani che con la crisi del 
                                    modello insediativo metropolitano possono 
                                    costituire nuovi nodi territoriali di 
                                    riferimento in cui sperimentare azioni 
                                    d’intervento a specifici contenuti tematici 
                                    con l’obiettivo di far emergere le 
                                    specificità dei luoghi e innescare – anche 
                                    tramite un maggiore interesse turistico – 
                                    positive ricadute economiche sulle aree 
                                    coinvolte. 
                                    
                                    Ecco allora che Cerami, Sperlinga, Gagliano 
                                    Castelferrato, Agira, Centuripe (in 
                                    Provincia di Enna), Castiglione di Sicilia, 
                                    Maletto, Mirabella Imbaccari, Vizzini (in 
                                    Provincia di Catania), Capizzi, Cesarò, 
                                    Floresta (in Provincia di Messina), 
                                    Chiaramonte Gulfi, Giarratana, Monterosso 
                                    Almo (in Provincia di Ragusa), qui citati 
                                    come esempio degli almeno trecento comuni 
                                    siciliani minori, da città di appendice o 
                                    isolate periferie, sfruttando gli originari 
                                    percorsi che in tempi remoti li hanno resi 
                                    indispensabili centri di difesa o di 
                                    mercato, possono formare un nuovo sistema a 
                                    rete di riferimento in cui tentare 
                                    applicazioni significative di progetti 
                                    locali di sviluppo. Azioni pensate per 
                                    sottolineare gli aspetti peculiari degli 
                                    spazi e tali da coinvolgere ambiti assai 
                                    estesi e variegati, in modo da assumere i 
                                    connotati strategici di una vera e propria 
                                    pratica di governo del territorio (Figura 
                                    6). 
                                    
                                      
                                        
                                          | 
                                             
                                            Figura 6 - Panorama di Gagliano 
                                            Castelferrato (En)  | 
                                         
                                        
                                          | 
                                             
                                               | 
                                         
                                        
                                          | 
                                                | 
                                         
                                       
                                     
                                      
                                    
                                    Non si tratta, dunque, di garantire una mera 
                                    connettività tra isole dal valore 
                                    minacciato, ma di puntare verso un nuovo 
                                    scenario ecosistemico che riacquisisce 
                                    funzioni perdute, in un percorso maieutico 
                                    utile anche alla riflessione sui principi di 
                                    solidarietà costituzionale e di democrazia 
                                    compiuta17.  
                                    
                                      
                                    
                                      
                                    
                                    Note 
                                    
                                      
                                    
                                    
                                    1 
                                    Febbre L. (1966), La terra e l’evoluzione 
                                    umana, in “Studi su Riforma e 
                                    Rinascimento”, Einaudi, Torino.  
                                    
                                    
                                    2 
                                    L’abbandono e il degrado dei centri interni 
                                    di piccole e medie dimensioni, come effetto 
                                    del richiamo di concentrazioni industriali 
                                    (quando e dove queste ci sono state o sono 
                                    durate), o di altre forme di polarizzazione 
                                    terziaria, hanno fatto da contraltare 
                                    all’abbandono delle attività agricole, 
                                    generalmente povere, nelle impervie aree di 
                                    collina o di montagna e comunque sempre più 
                                    povere se confrontate alle redditività 
                                    promesse dall’industria e dal terziario. Il 
                                    caso di Gela, ad esempio, è emblematico. La 
                                    localizzazione costiera degli impianti 
                                    industriali per la raffinazione del petrolio 
                                    ha drenato le risorse umane interne del 
                                    capoluogo di provincia (Caltanissetta) che 
                                    ha visto decrescere nel tempo i suoi 
                                    abitanti (Gela conta una popolazione di 
                                    oltre 80.000 abitanti contro i 60.000 circa 
                                    di Caltanissetta). Lo stesso dicasi per le 
                                    aree industriali sorte nella Provincia di 
                                    Siracusa; a tal proposito racconta Giovanni 
                                    Campo: “La scoperta del petrolio e del 
                                    metano in Sicilia, dovuta alla tenacia di 
                                    Enrico Mattei (la cui tragica fine è 
                                    peraltro legata al suo ultimo volo 
                                    dall’aeroporto di Catania), con la speranza 
                                    di fornire al paese un’autonomia energetica, 
                                    offrì ai figli del contadino anche il 
                                    privilegio di non dovere emigrare: nel 1950, 
                                    a ridosso del relativo sito archeologico di 
                                    Megara Iblea sulla penisola di Magnisi, si 
                                    insedierà la Rasiom per la raffinazione del 
                                    greggio; e nel 1957 nasce lo stabilimento 
                                    Sincat per la lavorazione di calce e 
                                    cemento. La catabasi dai paesini 
                                    dell’interno verso questi nuovi paradisi del 
                                    lavoro al coperto e del reddito sicuro tutto 
                                    l’anno, ha dunque inizio …”.  
                                    
                                    
                                    3 
                                    Ci si riferisce: alle linee costiere 
                                    catanesi a nord e a sud, alla costa 
                                    tirrenica messinese, alla costiera 
                                    palermitana verso Trapani, alle marine 
                                    ragusane, ecc. per citare gli esempi più 
                                    eclatanti.  
                                    
                                    
                                    4 
                                    Cfr. Campo G. (2004), Anabasi di Sicilia, 
                                    vol. I, Prova d’Autore, Catania, pag. 37. 
                                    
                                    
                                    5 
                                    Per un ulteriore approfondimento 
                                    dell’argomento si veda Arcifa L., 
                                    Viabilità e politica stradale. La Sicilia 
                                    medievale, in Magnano di San Lio E., 
                                    Pagello E. (a cura di) (2004), “Difese da 
                                    difendere. Atlante delle Città Murate di 
                                    Sicilia e Malta”, Officine Grafiche Riunite, 
                                    Palermo. 
                                    
                                    
                                    6 
                                    Magnaghi A. (2000), Il progetto locale, 
                                    Bollati Boringhieri, Torino.  
                                    
                                    
                                    7 
                                    Come hanno evidenziato diversi studiosi 
                                    delle vicende urbanistiche della Sicilia di 
                                    cui si citano: Giuffrè M. (a cura di) 
                                    (1979), Città nuove di Sicilia XV-XIX 
                                    secolo, Vittorietti, Palermo; Sanfilippo 
                                    E. D. (1983), Le ragioni del recupero dei 
                                    centri minori meridionali, Officina, 
                                    Roma; Dato G, Modelli di recupero e 
                                    specificità meridionali: i problemi della 
                                    città meridionale, in Falini P. (a cura 
                                    di) (1986), “Il recupero rinnovato”, 
                                    Edizioni Kappa, Roma. 
                                    
                                    
                                    8 
                                    Si ricorda che i comuni rasi al suolo 
                                    completamente dal devastante terremoto 
                                    dell’11 gennaio del 1693 sono 25, mentre 
                                    quelli danneggiati più o meno gravemente 
                                    sono una trentina. 
                                    
                                    
                                    9 
                                    Cabianca V. e altri (1980), Il recupero 
                                    democratico delle città – Riappropriazione e 
                                    riuso sociale del territorio del capitale 
                                    maturo, Officina Edizioni, Roma. 
                                    
                                    
                                    10 
                                    Magnaghi A, op. cit, pag. 123. 
                                    
                                    
                                    11 
                                    Capo VII - Dei piani di ampliamento - 
                                    Art. 93: “I Comuni, per i quali sia 
                                    dimostrata l’attuale necessità di estendere 
                                    l’abitato, potranno adottare un piano 
                                    regolatore di ampliamento in cui siano 
                                    tracciate le norme da osservarsi nella 
                                    edificazione di nuovi edifizi, a fine di 
                                    provvedere alla salubrità dell’abitato e 
                                    alla più sicura, comoda e decorosa sua 
                                    disposizione”. 
                                    
                                    
                                    12 
                                    L’avvento della ferrovia, con la 
                                    localizzazione delle stazioni a quote basse 
                                    compatibili con le pendenze praticabili ha 
                                    ulteriormente penalizzato i comuni montani e 
                                    collinari, a dispetto delle storie di cui 
                                    ciascuno di essi fosse portatore ed è stato 
                                    spesso causa di sdoppiamenti insediativi 
                                    sulla costa, come effetto embrionalmente 
                                    urbanizzante dei siti delle stazioni. 
                                    Sono state stimolate anche le prime grandi 
                                    migrazioni siciliane verso i continenti più 
                                    lontani, così come più recentemente il 
                                    sistema autostradale è servito a rendere più 
                                    agevoli quelle verso i paesi europei. 
                                    
                                    
                                    13 
                                    Al di là delle contraddizioni che connotano 
                                    l’articolato del Codice (rispetto alle forti 
                                    aggregazioni proposte nel 1999 dal Testo 
                                    unico Melandri), non può trascurarsi 
                                    l’ordine concettuale attribuito al contenuto 
                                    del piano paesaggistico, specie se si 
                                    considera la generale dismissione persino 
                                    del termine piano. 
                                    
                                    
                                    14 
                                    È dunque ben altra, rispetto a quella delle 
                                    amnistianti proposte normative, la politica 
                                    di riordino del territorio (e dei suoi 
                                    contesti paesistici, marini, collinari o 
                                    montani) e di riqualificazione urbana nella 
                                    linea della sostenibilità ambientale dello 
                                    sviluppo. 
                                    
                                    
                                    15 
                                    In tal senso le vicende dei piani dei parchi 
                                    siciliani (Etna, Nebrodi, Madonie e 
                                    Alcantara) non paiono incoraggianti, né i 
                                    procedimenti burocratico-legislativi delle
                                    nuove suggestioni di sanatoria e 
                                    condono si rivelano strumenti appropriati ad 
                                    una lettura del territorio in chiave di 
                                    parco. 
                                    
                                    
                                    16 
                                    Ma se è vero che il paesaggio è bene 
                                    culturale imprescindibile, in quanto 
                                    connotante dell’identità sociale dei luoghi, 
                                    allora qualunque sua trasformazione va 
                                    assoggettata a preventiva verifica di 
                                    compatibilità con le linee di sostenibilità 
                                    ambientale e culturale, definite da un piano 
                                    strategico delle priorità d’investimento 
                                    delle risorse. 
                                    
                                    
                                    17 
                                    Campo G, op. cit, pagg. 17-24.  |