Il governo del territorio: un’economia e una
politica in movimento
Gli anni ’90 sono stati anni di forte
cambiamento, in cui sono maturati processi
di tipo politico, economico e istituzionale
che hanno modificato radicalmente la cultura
e gli approcci dell’urbanistica, oggetto di
un fertile dibattito. Termini come
negoziazione, concertazione e
partecipazione divengono sempre più
centrali nella pianificazione, mentre cresce
l’interesse verso politiche e progetti che
migliorino le performance dello
sviluppo, valorizzando le molteplici
specificità territoriali attraverso
l’attivazione di una pluralità di risorse,
di attori, di strumenti. Il principale
problema è rappresentato dal fatto che il
piano non si è posto, per molto tempo, come
elemento principale per l’individuazione di
percorsi attraverso cui le risorse
territoriali, ambientali e paesistiche di un
determinato contesto possano trasformarsi in
nuove opportunità di sviluppo.
La necessità di superare la rigidità del
sistema di pianificazione attuale spinge
verso una proliferazione di nuovi strumenti
e procedure, volti a formulare politiche
urbanistiche alternative a quelle vigenti, e
ha posto come centrale il nodo del rapporto
tra vecchie e nuove pratiche di
pianificazione. Le recenti proposte di
riforma della legge urbanistica nazionale e
molte leggi regionali approvate negli ultimi
anni, delineano il superamento del modello
di pianificazione gerarchico a cascata, a
favore di un modello reticolare in cui i
diversi strumenti urbanistici dovrebbero
interagire secondo rapporti orizzontali di
interdipendenza, e non più secondo rapporti
verticali di dipendenza.
Sarà interessante verificare se le regioni
(ma anche le province e i comuni), nel corso
dei prossimi anni, saranno capaci di
interpretare la pianificazione
effettivamente come una strategia di
sviluppo, come un concreto strumento di
mobilitazione di risorse e di operatori
economici. L’agenda delle priorità
strategiche è cosa diversa da un programma
urbanistico-territoriale. Le priorità si
debbono stabilire a partire dal contesto
territoriale, dalle sue caratteristiche
morfologiche e dalle occasioni connesse alle
sue risorse, per creare con il progetto
nuove sinergie fondate sulla contiguità
fisica e sulla connessione dei luoghi.
Inoltre, nell’ottica della nuova visione
eurocentrica, si tratta di riaffermare,
davanti ad ogni tendenza totalitaria, gli
ideali di una cultura capace di garantire
l’integrazione delle diverse componenti
entro un tutto coerente, nel rispetto delle
particolarità locali, regionali e nazionali.
Stanno cambiando alcuni riferimenti di fondo
che hanno ispirato, fino ad oggi, le
strategie dell’urbanistica e della
pianificazione territoriale. Il problema non
è il piano, ma piuttosto la pianificazione,
di cui il piano è parte: oggi, per il
futuro, può solo realizzarsi con un insieme
di politiche tra loro coordinate, tutte
finalizzate a definiti obiettivi.
Un piano, comunque lo si voglia intendere,
implica un progetto di trasformazione
dell’esistente e si prefigge di raggiungere
un certo stato futuro delle cose. Un piano
viene a costituirsi, nei confronti degli
attori sociali che coinvolge, come un
obbligo positivo (Karrer, 2004) a fare,
a compiere le azioni e le opere che si
ritengono necessarie a perseguire lo scopo
primario che lo determina. Ed è soltanto
attraverso forme trasparenti di
contrattazione con gli attori che si possono
perseguire scopi di interesse pubblico nelle
trasformazioni urbanistiche. Però, non
servono soltanto le previsioni del futuro,
servono soprattutto gli interventi sul
futuro.
La discussione delle politiche messe in atto
per fronteggiare i problemi sollevati
investe anche il tema dell’efficacia degli
strumenti urbanistici e di pianificazione
del territorio, riflettendo criticamente
sulle pratiche correnti, sulle differenze
introdotte dalle diverse leggi regionali e
sull’evoluzione nel tempo delle esperienze
fino ad oggi condotte. Visione strategica e
logica della sostenibilità sociale,
economica e urbanistica divengono i due
cardini fondamentali del piano, e non solo
perché in vario modo vengono introdotte
anche nella pianificazione principi a vario
titolo di carattere valutativo (ambientale,
economico, culturale, ecc.), ma perché
diviene compito principale del pianificare
l’individuazione di strategie per un assetto
dei territori, funzionalmente aderente a
obiettivi di sviluppo delle società e delle
economie locali.
L’intreccio tra dimensioni locali e
relazioni globali, la capacità dell’Unione
europea di offrire risorse per lo sviluppo
con forme di accreditamento dal basso, le
funzioni che un ruolo di frontiera
attribuisce alle regioni della periferia
pongono sotto una luce diversa le ragioni
del piano. Pertanto, l’innovazione più
significativa che modifica anche il modo di
intendere l’urbanistica, riguarda la
combinazione flessibile delle strategie di
programmazione dello sviluppo locale con
quelle di organizzazione degli assetti
territoriali e urbani, dalla quale potrebbe
prendere forma un codice nuovo; una
progettazione territoriale integrata capace
di coniugare urbanistica, ambiente, opere
pubbliche, economia, welfare.
La pianificazione, strumento di una volontà
politica determinata e lungimirante, deve
essere capace di rendere operativa la
strategia nell’ambito delle regole definite;
implica scelte coerenti con le regole per il
corretto uso delle risorse, suscettibili di
indurre trasformazioni territoriali (da
quelle dello sviluppo a quelle della
tutela). Senza un potere politico dotato di
strumenti efficaci diventa impossibile
guidare le forze dell’economia verso
obiettivi coerenti con gli interessi
generali.
Molto spesso si produce una divaricazione
tra la forma del piano e le decisioni
urbanistiche, ovvero le pratiche di
trasformazione urbana, assunte spesso
indipendentemente e talora in contraddizione
con il piano. La conseguenza di ciò deriva
da una progressiva separazione che si
delinea tra la legge e le pratiche, che ha
finito per influire sul processo di
pianificazione e svuotarlo di credibilità e
senso. Inoltre, in uno spazio reticolare, si
modifica la rigida distinzione che
caratterizzava la sfera del pubblico e del
privato e della natura giuridica dei
soggetti. Nella contemporaneità, tale
processo di trasformazione non consente più
di descrivere lo stato come
un’organizzazione piramidale, per cui il
potere centrale viene frantumato in un
sistema di governo che ha ad un estremo le
grandi istituzioni mondiali e continentali,
e dall’altro gli organi locali decentrati,
dal quartiere alla regione. Le decisioni
sono, quindi, il frutto di un’azione
continua di negoziazione tra apparati
pubblici che si sovrappone alle interazioni
tradizionali locali tra apparati pubblici e
privati.
Si tratta di confrontare uno scenario
probabile, desunto da una lettura delle
dinamiche in atto, e uno scenario
preferibile.
Le decisioni urbanistiche dovrebbero
articolarsi intorno a tre componenti; il
piano, come descrizione e riconoscimento
formale della realtà esistente e sede delle
decisioni regolate; le strategie, in quanto
programmi generali di trasformazione
espressi politicamente dai gruppi sociali,
utili alla valutazione della coerenza dei
progetti con un disegno complessivo di
cambiamento; i progetti, cioè proposte
operative di cambiamento, intese come
verifiche parziali dell’operatività delle
strategie complessive, che se accettate
diventano variante formale del piano (Mazza,
1997).
Bisogna, al contempo, dare alle grandi città
l’assetto metropolitano secondo modelli
istituzionali differenziati, pensati su
misura per ciascuna, senza necessariamente
imporre una scala uniforme. Questo perché il
nostro territorio non è una realtà unitaria,
ma una pluralità di parti eterogenee, non
riconducibili ad un unico modello
(macroregioni). “Si tratta di dar voce e
consistenza alle realtà esistenti, con le
loro articolazioni storicamente motivate”
(Benevolo, 1997); e se ciò fosse possibile,
vorrebbe dire che la diversità degli
ambienti antropizzati hanno ancora un futuro
e che non è inevitabile l’omologazione che
avanza in ogni parte del mondo (Benevolo,
1996).
Il problema sta nell’individuare gli
strumenti capaci di rappresentare e
proiettare nel futuro questa aspirazione. Si
tratta di ricostruire in forme moderne il
delicato equilibrio fra controllo pubblico e
pluralità di iniziative autonome che fanno
aumentare il disordine complessivo, e tutto
ciò lo si legge chiaramente nella forma del
paesaggio. Compete, quindi, ai tecnici
“offrire proposte utopistiche tecnicamente
fondate” (Benevolo, 1996).
È interessante ricordare la posizione di
Giuseppe Samonà, espressa nell’ultima
edizione ampliata del suo testo
L’urbanistica e l’avvenire della città negli
stati europei (1959), nel riprendere
alcuni temi con un accento che trasferisce
l’attenzione dagli Stati alle regioni: “Se …
l’Unione europea … cercherà di essere unita
dall’istanza di temperare i nazionalismi di
Stato e di stimolare l’autonomie di masse e
di gruppi tecnicamente definiti, si potrà
avere una regionalizzazione europea che
legherà fra loro i territori e le genti con
relazioni economiche poste su altre basi di
quelle del capitalismo della Nazione-Stato.
Allora la città dovrebbe preparare
diversamente, in senso tecnico e sociale, le
strutture del suo futuro sviluppo, che
sarebbe legato a una più autentica libertà
della persona e a un senso di partecipazione
forse più pieno, e incentrato su più ridotte
differenze di classe e di condizione
economica dei territori. La grande
dimensione e la piccola troverebbero una
integrazione più piena fra problemi generali
e particolari”. In tale ottica, si può
riconoscere una concezione del piano mirante
alla costruzione di strumenti per
riconoscere sistemi di differenze, con un
approccio che miri alla proposizione di
regole e progetti capaci di garantire
continuità agli insediamenti senza però
immobilizzarli.
Pertanto, volendo riassumere i temi del
dibattito urbanistico in atto, che si
prestano bene ad un dialogo serrato con gli
esiti di analoghe riflessioni raggiunti in
altri campi disciplinari, come quello
geografico, economico, sociologico, è
possibile individuare, in questi anni,
alcuni ambiti problematici. Si tratta di un
dialogo in pieno svolgimento, ricco di
spunti ma anche caratterizzato da esiti
discontinui; un aperto confronto che sta
conducendo ad una progressiva focalizzazione
dell’attenzione sui problemi ritenuti
fondamentali per le sorti dell’urbanesimo
postindustriale. Si tratta di proposte che
sanno di dover fare i conti con la
complessità delle società postindustriali e
che sono costrette a destreggiarsi alla
ricerca di un difficile equilibrio tra
pensiero globale e azione locale. Ma, al
tempo stesso, sono testimonianza di un
arcipelago di idee in costante movimento,
ricco di ambiguità ma interessato a
ripensare in modo radicale i paradigmi
dominanti dello sviluppo sociale e
territoriale (Magnaghi, 1990).
L’urbanistica di oggi non è più la
disciplina che regola lo sviluppo edilizio
dei nuclei urbani, ma si intreccia
strettamente alla pianificazione economica e
implica, per conseguenza, scelte politiche
di fondo. Il problema non è più
l’adattamento della città, ma il
coordinamento funzionale di più agglomerati
sociali, delle attrezzature territoriali, la
determinazione dei nuclei di
centralizzazione culturale e produttiva, la
tessitura di un’armatura di comunicazioni
infrastrutturali e telematiche. La stessa
città è in crisi: il suo costo è enorme, e
quasi tutti i suoi problemi non sono
risolvibili in termini di città, ma di
territorio. Purtroppo, nel rapporto tra
cultura e potere, di cui ogni soluzione
urbanistica è l’espressione, il potere ha
avuto molto spesso il sopravvento.
Anche in Sicilia, nel corso degli anni ’90,
nuovi processi hanno preso avvio e sembrano
mutare le prospettive del governo del
territorio. Da un lato, lo sviluppo di nuove
forme di intervento progettuale sia a scala
urbana (redazione e approvazione di
programmi di riqualificazione finanziati
dall’Unione europea), sia a scala
territoriale (patti territoriali in primis,
contratti d’area, tavoli d’intesa, ecc.),
sia attraverso il programma operativo
regionale 2000-2006, di programmazione dei
fondi strutturali comunitari, e la
formulazione e il finanziamento dei progetti
integrati territoriali. Dall’altro, la
decisione della Regione Sicilia di elaborare
un nuovo testo di legge urbanistica per
l’attuazione di una riforma radicale della
Lur 71/1978, con l’obiettivo di rinnovare il
sistema pianificatorio regionale, tendendo a
trasformare carattere e contenuti degli
strumenti urbanistici.
Una nuova legge urbanistica per la Sicilia1
Nel documento del Rapporto sulla
pianificazione urbanistica in Sicilia (Arta,
2003) si legge in principio che: “La realtà
è quella di un quadro territoriale
frammentato in tante visioni del futuro
quanti sono i comuni siciliani, ingessate e
condizionate peraltro, da attese e bisogni
pregressi suscitati da strumenti urbanistici
comunali maturati nella fase dell’espansione
e della crescita. In questo scenario
frammentato, una pianificazione strategica
inconsapevole, sotto forma di programmi
negoziali dal basso e progetti integrati
territoriali, spesso si rivela come
operazione aggiuntiva e non sostitutiva
delle ordinarie politiche urbane”.
Questa evoluzione del territorio è causa ed
effetto di una pluralità di strumenti che da
quasi 15 anni sono stati attivati in modo
parallelo, separato, e talvolta in conflitto
con le pratiche del piano urbanistico
tradizionale: patti territoriali, Prusst
(decreto LLpp 1169), progetti di iniziativa
comunitaria Leader, programmazione complessa
urbana di iniziativa nazionale del Dicoter (Priu,
Urban, progetti pilota, Stu, CdQ) e
regionali (Pru, Pii).
In questo clima di innovazione, tra le
diverse iniziative avviate dalla regione, si
colloca anche lo studio per un nuovo testo
di legge urbanistica regionale.
Il progetto di legge predisposto stabilisce
i principi fondamentali in materia di
governo del territorio nel rispetto
dell’ordinamento comunitario e nazionale e
della potestà legislativa della Regione
Sicilia. La legge si prefigge obiettivi di
governo, gestione, tutela, disciplina
dell’uso e delle trasformazioni del
territorio, anche nelle sue implicazioni di
natura paesistica, e si ispira ai principi
di sussidiarietà (orizzontale e verticale),
sostenibilità ambientale, sociale ed
economica, partecipazione alle scelte,
flessibilità del piano, semplificazione
normativa e procedurale, copianificazione
fra piani di settore, concertazione fra
attori ed enti territoriali e perequazione.
“La legge in discussione – sostiene
l’urbanista Giuseppe Gangemi del gruppo dei
saggi2 – é una legge che mira
solo al governo strategico del territorio.
Nella nuova legge urbanistica non c’è un
solo articolo che affidi mari e monti agli
stessi comuni che non li hanno tutelati”.
Non di meno, la nuova legge urbanistica
prevede che assieme alle vecchie leggi,
vengano pure mandati in pensione alcuni
vecchi modi di fare urbanistica, ad esempio,
impone una vera e propria rivoluzione per
ciò che riguarda l’assetto dei quadri
dirigenziali degli uffici dell’Assessorato
al territorio e del personale in previsione
dell’istituzione dell’Ufficio del piano
regolatore regionale e del sistema
informatico territoriale regionale, che
rappresenta la piattaforma informatica di
appoggio del piano regionale, che con i suoi
nodi telematici sparsi nelle varie province
consentirà, attraverso la messa in rete dei
progetti, di controllare la disponibilità
dei suoli. Sarà così un cervellone centrale
a verificare accavallamenti e priorità tra i
vari livelli di pianificazione: regionale,
provinciale, comunale e strategico. E non
solo. Il punto più ambizioso della nuova
legge urbanistica sarà quello di legare
pianificazione e disponibilità finanziaria.
Ogni progetto, infatti, prima di essere
approvato in sede di conferenza di piano,
verrà prima verificato all’interno del
documento di programmazione economico e
finanziario della Regione Sicilia.
Pertanto, gli obiettivi e i principi che la
nuova legge regionale deve perseguire,
nell’attuale situazione, sono:
- coprire il vuoto legislativo che potrà
nascere dall’abrogazione delle leggi
urbanistiche nazionali (standard, tipologie
di piani, salvaguardie, ecc.), conseguente
all’approvazione della legge quadro;
- riconsiderare il rapporto fra la regione e
l’ente locale;
- evitare lo spreco di risorse ambientali ed
edilizie.
Vi è, inoltre, una condizione essenziale che
occorre rispettare e cioè che il piano,
anziché essere un documento chiuso
con il procedimento approvativo, debba
essere inteso come scatola aperta da
cui togliere o immettere contenuti (come, ad
esempio, i piani di settore) con procedure
semplici anche se controllate. Il piano deve
contenere programmi, tempi e fasi di
attuazione ed essere aggiornato
periodicamente.
Il progetto di legge è articolato in 64
articoli, organizzati in dodici Titoli, che
identificano i diversi argomenti trattati.
In una prima parte (Titoli I e II) vengono
enunciati gli obiettivi, le finalità e i
principi della legge; vengono, quindi,
definite (Titolo III) le strutture tecniche,
la cui corretta organizzazione, in un
rapporto sinergico ai diversi livelli
regionale, provinciale e comunale,
costituisce condizione essenziale per il
raggiungimento delle finalità della legge e
per garantire una piena efficacia della
azione amministrativa di governo del
territorio.
Il corpo centrale del provvedimento (Titoli
IV, V, VI, VII e VIII) è dedicato alla
definizione dei contenuti tecnici e
normativi dei diversi strumenti di
pianificazione dei quali dovranno avvalersi
la regione, le province e i comuni e alla
precisazione dei relativi procedimenti
formativi.
Nei Titoli IX e X, con specifico riferimento
agli strumenti urbanistici comunali, è
affrontata la problematica delle dotazioni
territoriali (standard urbanistici) e sono
descritte le modalità di gestione del piano.
Infine, gli ultimi due titoli contengono
norme atte a regolare la fase di transizione
dall’attuale sistema normativo a quello
progettato e norme abrogative e finali.
Il piano territoriale regionale (Ptr)
dovrebbe mantenere il suo carattere di
indirizzo strategico e programmatorio del
governo regionale, fornendo un inquadramento
generale per le politiche di intervento, per
le principali opere infrastrutturali di
interesse regionale, per le principali
indicazioni in materia ambientale.
Il piano territoriale provinciale (Ptp)
assume grande rilevanza e diviene il
principale riferimento per l’intervento
territoriale alle diverse scale. Ad esso
vengono attribuiti compiti di definizione
generale del quadro conoscitivo
territoriale, dell’analisi e valutazione
delle risorse e dei vincoli, nonché la
definizione degli indirizzi di natura
strategica per le politiche di
trasformazione del territorio. Inoltre, il
Ptp dovrà avere il carattere e le
funzioni di piano strutturale nei confronti
della pianificazione comunale3,
specificando a scala provinciale indirizzi e
prescrizioni del Ptr e rappresentando per i
piani regolatori urbanistici (Pru) il
documento di programmazione, di
dimensionamento, di localizzazione delle
principali funzioni, delle infrastrutture e
degli impianti.
Il Pru viene inteso come strumento operativo
di regolamentazione degli usi del suolo e di
attuazione del Ptp e di coordinamento dei
diversi documenti di governo del territorio.
Per disciplinare, a livello di dettaglio,
parti del territorio comunale nelle quali si
debba procedere alla realizzazione di
interventi disposti dal Puc e/o dal Ptp e
per le quali il Puc non assuma contenuti
attuativi, i comuni o i privati possono
avvalersi dei piani urbanistici attuativi (artt.
36-38).
Il Titolo IX affronta il tema degli standard
urbanistici, in termini aggiornati rispetto
al quadro normativo vigente (artt. da 42 a
46). Lo standard è definito, oltre che
attraverso la tipologia e la quantità delle
aree per le infrastrutture e i servizi
pubblici, anche attraverso le loro
caratteristiche prestazionali, in termini di
accessibilità, di piena fruibilità e
sicurezza per tutti i cittadini di ogni età
e condizione. Al tradizionale standard,
riferito ai servizi e alle attrezzature, che
viene definito di qualità urbana, si
aggiunge poi lo standard di qualità
ambientale, che attiene alla limitazione
del consumo delle risorse non rinnovabili e
alla prevenzione dagli inquinamenti, alla
realizzazione di interventi di riequilibrio
e di mitigazione degli impatti negativi
determinati dall’attività umana, al
potenziamento delle dotazioni ecologiche e
ambientali.
Come afferma il prof. Salzano, a differenza
di molte altre leggi regionali recenti, la
proposta siciliana prevede opportunamente
che le scelte della pianificazione regionale
e provinciale abbiano “efficacia
prescrittiva e prevalente sugli strumenti
urbanistici comunali”: veri piani, cioè, e
non documenti strategici e d’indirizzo, o
addirittura dichiarazioni d’intenti. Le
determinazioni dei piani provinciali possono
essere modificate dalla pianificazione
comunale, ma la loro ammissibilità è
soggetta all’approvazione provinciale.
Per questo aspetto, in definitiva, la
proposta siciliana sembra del tutto coerente
con la novità più profonda e positiva
introdotta dalla legge Galasso (431/1985):
quella cioè di affidare la tutela del
paesaggio e dell’ambiente a tecniche e
procedure di pianificazione, anziché
soltanto all’arida geometria del vincolo
quantitativo. Certo, abrogare le norme di
tutela in attesa di piani ancora da avviare
può risultare un’imprudenza, se si tiene
conto degli interessi in gioco, ma la legge
prosegue e prevede specifiche norme di
salvaguardia (art. 60) in attesa della
formazione dei nuovi piani.
In realtà la legge urbanistica regionale
non è una legge da buttare (Salzano,
2006), stabilisce la pianificazione
territoriale e urbanistica e definisce gli
standard di qualità urbana e ambientale che
si intendono perseguire, nel rispetto delle
indicazioni contenute in specifici atti di
indirizzo e coordinamento regionali che
devono essere emanati dall’Assessorato
regionale al territorio e all’ambiente con
obbligo di dotazione quantitativa, anche
differenziata in base a criteri di
funzionalità prestazionale (art. 42). È
semmai criticabile la sottrazione al
Consiglio regionale della responsabilità di
approvare il Ptr, è insufficientemente
specificato il carattere strutturale della
pianificazione territoriale, ed è
discutibile l’ulteriore riduzione dei
momenti di controllo esterno. “Ma, se si
considera la proposta nel quadro della
legislazione urbanistica regionale di questi
anni la legge non sembra peggiore di altre,
anche considerate tra le migliori, come
quella emiliano-romagnola o quella toscana.
È certamente una legge migliorabile” (Salzano,
2006).
Personalmente non credo che sussistano dubbi
sull’imprenscindibilità della
pianificazione, della necessità di un
governo pubblico delle trasformazioni della
città e del territorio, ma credo sia vero
che i nuovi principi richiedano una nuova
battaglia per essere sostenuti e coniugati
nella nuova realtà sociale ed economica.
“L’auspicio è che il dibattito faccia
chiarezza e aiuti a comprendere e superare i
limiti veri distinguendoli dagli errori
presunti” (Salzano, 2006).
Note
1
Regione Sicilia, Assessorato regionale del
territorio e dell’ambiente, Progetto di
legge: Norme per il governo del
territorio, Palermo 12 giugno 2005.
2
Il riferimento è allo Studio per la
definizione di Linee guida per la Riforma
urbanistica regionale, redatto dai proff. B.
Gabrielli, G. Gangemi e G. Trombino,
presentato nel novembre 2003.
3
Regione Sicilia, Assessorato regionale del
territorio e dell’ambiente, Progetto di
legge: Norme per il governo del
territorio, Palermo 12 giugno 2005.
Bibliografia
Magnaghi A. (a cura di) (1990), Il
territorio dell’abitare, FrancoAngeli,
Milano.
Mazza L. (1997), Trasformazioni dei piani,
FrancoAngeli, Milano.
Benevolo L. (1997), L’Italia da
costruire. Un programma per il territorio,
Laterza, Bari.
Salzano E., 2006, Sicilia. Una legge
contestata. Limiti veri ed errori presunti
nel disegno di legge urbanistica regionale,
in www.eddyburg.it/article. |