Numero 12/13 - 2006

 

Le leggi urbanistiche regionali  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tante politiche, un piano


Gabriella Musarra


 

Negoziazione, concertazione, partecipazione, performance e strategie di sviluppo costituiscono alcuni dei nuovi paradigmi di un più efficiente ed efficace governo del territorio. Gabriella Musarra riassume gli aspetti salienti della proposta di legge urbanistica in discussione per la Sicilia, riaffermando la necessità di un governo pubblico delle trasformazioni della città e del territorio, pur tuttavia aperta alle innovazioni che consentano di affrontare i nuovi scenari apertisi nella società e nell'economia

 

 

Il governo del territorio: un’economia e una politica in movimento

 

Gli anni ’90 sono stati anni di forte cambiamento, in cui sono maturati processi di tipo politico, economico e istituzionale che hanno modificato radicalmente la cultura e gli approcci dell’urbanistica, oggetto di un fertile dibattito. Termini come negoziazione, concertazione e partecipazione divengono sempre più centrali nella pianificazione, mentre cresce l’interesse verso politiche e progetti che migliorino le performance dello sviluppo, valorizzando le molteplici specificità territoriali attraverso l’attivazione di una pluralità di risorse, di attori, di strumenti. Il principale problema è rappresentato dal fatto che il piano non si è posto, per molto tempo, come elemento principale per l’individuazione di percorsi attraverso cui le risorse territoriali, ambientali e paesistiche di un determinato contesto possano trasformarsi in nuove opportunità di sviluppo.

La necessità di superare la rigidità del sistema di pianificazione attuale spinge verso una proliferazione di nuovi strumenti e procedure, volti a formulare politiche urbanistiche alternative a quelle vigenti, e ha posto come centrale il nodo del rapporto tra vecchie e nuove pratiche di pianificazione. Le recenti proposte di riforma della legge urbanistica nazionale e molte leggi regionali approvate negli ultimi anni, delineano il superamento del modello di pianificazione gerarchico a cascata, a favore di un modello reticolare in cui i diversi strumenti urbanistici dovrebbero interagire secondo rapporti orizzontali di interdipendenza, e non più secondo rapporti verticali di dipendenza.

Sarà interessante verificare se le regioni (ma anche le province e i comuni), nel corso dei prossimi anni, saranno capaci di interpretare la pianificazione effettivamente come una strategia di sviluppo, come un concreto strumento di mobilitazione di risorse e di operatori economici. L’agenda delle priorità strategiche è cosa diversa da un programma urbanistico-territoriale. Le priorità si debbono stabilire a partire dal contesto territoriale, dalle sue caratteristiche morfologiche e dalle occasioni connesse alle sue risorse, per creare con il progetto nuove sinergie fondate sulla contiguità fisica e sulla connessione dei luoghi. Inoltre, nell’ottica della nuova visione eurocentrica, si tratta di riaffermare, davanti ad ogni tendenza totalitaria, gli ideali di una cultura capace di garantire l’integrazione delle diverse componenti entro un tutto coerente, nel rispetto delle particolarità locali, regionali e nazionali.

Stanno cambiando alcuni riferimenti di fondo che hanno ispirato, fino ad oggi, le strategie dell’urbanistica e della pianificazione territoriale. Il problema non è il piano, ma piuttosto la pianificazione, di cui il piano è parte: oggi, per il futuro, può solo realizzarsi con un insieme di politiche tra loro coordinate, tutte finalizzate a definiti obiettivi.

Un piano, comunque lo si voglia intendere, implica un progetto di trasformazione dell’esistente e si prefigge di raggiungere un certo stato futuro delle cose. Un piano viene a costituirsi, nei confronti degli attori sociali che coinvolge, come un obbligo positivo (Karrer, 2004) a fare, a compiere le azioni e le opere che si ritengono necessarie a perseguire lo scopo primario che lo determina. Ed è soltanto attraverso forme trasparenti di contrattazione con gli attori che si possono perseguire scopi di interesse pubblico nelle trasformazioni urbanistiche. Però, non servono soltanto le previsioni del futuro, servono soprattutto gli interventi sul futuro.

La discussione delle politiche messe in atto per fronteggiare i problemi sollevati investe anche il tema dell’efficacia degli strumenti urbanistici e di pianificazione del territorio, riflettendo criticamente sulle pratiche correnti, sulle differenze introdotte dalle diverse leggi regionali e sull’evoluzione nel tempo delle esperienze fino ad oggi condotte. Visione strategica e logica della sostenibilità sociale, economica e urbanistica divengono i due cardini fondamentali del piano, e non solo perché in vario modo vengono introdotte anche nella pianificazione principi a vario titolo di carattere valutativo (ambientale, economico, culturale, ecc.), ma perché diviene compito principale del pianificare l’individuazione di strategie per un assetto dei territori, funzionalmente aderente a obiettivi di sviluppo delle società e delle economie locali.

L’intreccio tra dimensioni locali e relazioni globali, la capacità dell’Unione europea di offrire risorse per lo sviluppo con forme di accreditamento dal basso, le funzioni che un ruolo di frontiera attribuisce alle regioni della periferia pongono sotto una luce diversa le ragioni del piano. Pertanto, l’innovazione più significativa che modifica anche il modo di intendere l’urbanistica, riguarda la combinazione flessibile delle strategie di programmazione dello sviluppo locale con quelle di organizzazione degli assetti territoriali e urbani, dalla quale potrebbe prendere forma un codice nuovo; una progettazione territoriale integrata capace di coniugare urbanistica, ambiente, opere pubbliche, economia, welfare.

La pianificazione, strumento di una volontà politica determinata e lungimirante, deve essere capace di rendere operativa la strategia nell’ambito delle regole definite; implica scelte coerenti con le regole per il corretto uso delle risorse, suscettibili di indurre trasformazioni territoriali (da quelle dello sviluppo a quelle della tutela). Senza un potere politico dotato di strumenti efficaci diventa impossibile guidare le forze dell’economia verso obiettivi coerenti con gli interessi generali.

Molto spesso si produce una divaricazione tra la forma del piano e le decisioni urbanistiche, ovvero le pratiche di trasformazione urbana, assunte spesso indipendentemente e talora in contraddizione con il piano. La conseguenza di ciò deriva da una progressiva separazione che si delinea tra la legge e le pratiche, che ha finito per influire sul processo di pianificazione e svuotarlo di credibilità e senso. Inoltre, in uno spazio reticolare, si modifica la rigida distinzione che caratterizzava la sfera del pubblico e del privato e della natura giuridica dei soggetti. Nella contemporaneità, tale processo di trasformazione non consente più di descrivere lo stato come un’organizzazione piramidale, per cui il potere centrale viene frantumato in un sistema di governo che ha ad un estremo le grandi istituzioni mondiali e continentali, e dall’altro gli organi locali decentrati, dal quartiere alla regione. Le decisioni sono, quindi, il frutto di un’azione continua di negoziazione tra apparati pubblici che si sovrappone alle interazioni tradizionali locali tra apparati pubblici e privati.

Si tratta di confrontare uno scenario probabile, desunto da una lettura delle dinamiche in atto, e uno scenario preferibile.

Le decisioni urbanistiche dovrebbero articolarsi intorno a tre componenti; il piano, come descrizione e riconoscimento formale della realtà esistente e sede delle decisioni regolate; le strategie, in quanto programmi generali di trasformazione espressi politicamente dai gruppi sociali, utili alla valutazione della coerenza dei progetti con un disegno complessivo di cambiamento; i progetti, cioè proposte operative di cambiamento, intese come verifiche parziali dell’operatività delle strategie complessive, che se accettate diventano variante formale del piano (Mazza, 1997).

Bisogna, al contempo, dare alle grandi città l’assetto metropolitano secondo modelli istituzionali differenziati, pensati su misura per ciascuna, senza necessariamente imporre una scala uniforme. Questo perché il nostro territorio non è una realtà unitaria, ma una pluralità di parti eterogenee, non riconducibili ad un unico modello (macroregioni). “Si tratta di dar voce e consistenza alle realtà esistenti, con le loro articolazioni storicamente motivate” (Benevolo, 1997); e se ciò fosse possibile, vorrebbe dire che la diversità degli ambienti antropizzati hanno ancora un futuro e che non è inevitabile l’omologazione che avanza in ogni parte del mondo (Benevolo, 1996).

Il problema sta nell’individuare gli strumenti capaci di rappresentare e proiettare nel futuro questa aspirazione. Si tratta di ricostruire in forme moderne il delicato equilibrio fra controllo pubblico e pluralità di iniziative autonome che fanno aumentare il disordine complessivo, e tutto ciò lo si legge chiaramente nella forma del paesaggio. Compete, quindi, ai tecnici “offrire proposte utopistiche tecnicamente fondate” (Benevolo, 1996).

È interessante ricordare la posizione di Giuseppe Samonà, espressa nell’ultima edizione ampliata del suo testo L’urbanistica e l’avvenire della città negli stati europei (1959), nel riprendere alcuni temi con un accento che trasferisce l’attenzione dagli Stati alle regioni: “Se … l’Unione europea … cercherà di essere unita dall’istanza di temperare i nazionalismi di Stato e di stimolare l’autonomie di masse e di gruppi tecnicamente definiti, si potrà avere una regionalizzazione europea che legherà fra loro i territori e le genti con relazioni economiche poste su altre basi di quelle del capitalismo della Nazione-Stato. Allora la città dovrebbe preparare diversamente, in senso tecnico e sociale, le strutture del suo futuro sviluppo, che sarebbe legato a una più autentica libertà della persona e a un senso di partecipazione forse più pieno, e incentrato su più ridotte differenze di classe e di condizione economica dei territori. La grande dimensione e la piccola troverebbero una integrazione più piena fra problemi generali e particolari”. In tale ottica, si può riconoscere una concezione del piano mirante alla costruzione di strumenti per riconoscere sistemi di differenze, con un approccio che miri alla proposizione di regole e progetti capaci di garantire continuità agli insediamenti senza però immobilizzarli.

Pertanto, volendo riassumere i temi del dibattito urbanistico in atto, che si prestano bene ad un dialogo serrato con gli esiti di analoghe riflessioni raggiunti in altri campi disciplinari, come quello geografico, economico, sociologico, è possibile individuare, in questi anni, alcuni ambiti problematici. Si tratta di un dialogo in pieno svolgimento, ricco di spunti ma anche caratterizzato da esiti discontinui; un aperto confronto che sta conducendo ad una progressiva focalizzazione dell’attenzione sui problemi ritenuti fondamentali per le sorti dell’urbanesimo postindustriale. Si tratta di proposte che sanno di dover fare i conti con la complessità delle società postindustriali e che sono costrette a destreggiarsi alla ricerca di un difficile equilibrio tra pensiero globale e azione locale. Ma, al tempo stesso, sono testimonianza di un arcipelago di idee in costante movimento, ricco di ambiguità ma interessato a ripensare in modo radicale i paradigmi dominanti dello sviluppo sociale e territoriale (Magnaghi, 1990).

L’urbanistica di oggi non è più la disciplina che regola lo sviluppo edilizio dei nuclei urbani, ma si intreccia strettamente alla pianificazione economica e implica, per conseguenza, scelte politiche di fondo. Il problema non è più l’adattamento della città, ma il coordinamento funzionale di più agglomerati sociali, delle attrezzature territoriali, la determinazione dei nuclei di centralizzazione culturale e produttiva, la tessitura di un’armatura di comunicazioni infrastrutturali e telematiche. La stessa città è in crisi: il suo costo è enorme, e quasi tutti i suoi problemi non sono risolvibili in termini di città, ma di territorio. Purtroppo, nel rapporto tra cultura e potere, di cui ogni soluzione urbanistica è l’espressione, il potere ha avuto molto spesso il sopravvento.

Anche in Sicilia, nel corso degli anni ’90, nuovi processi hanno preso avvio e sembrano mutare le prospettive del governo del territorio. Da un lato, lo sviluppo di nuove forme di intervento progettuale sia a scala urbana (redazione e approvazione di programmi di riqualificazione finanziati dall’Unione europea), sia a scala territoriale (patti territoriali in primis, contratti d’area, tavoli d’intesa, ecc.), sia attraverso il programma operativo regionale 2000-2006, di programmazione dei fondi strutturali comunitari, e la formulazione e il finanziamento dei progetti integrati territoriali. Dall’altro, la decisione della Regione Sicilia di elaborare un nuovo testo di legge urbanistica per l’attuazione di una riforma radicale della Lur 71/1978, con l’obiettivo di rinnovare il sistema pianificatorio regionale, tendendo a trasformare carattere e contenuti degli strumenti urbanistici.

 

 

Una nuova legge urbanistica per la Sicilia1

 

Nel documento del Rapporto sulla pianificazione urbanistica in Sicilia (Arta, 2003) si legge in principio che: “La realtà è quella di un quadro territoriale frammentato in tante visioni del futuro quanti sono i comuni siciliani, ingessate e condizionate peraltro, da attese e bisogni pregressi suscitati da strumenti urbanistici comunali maturati nella fase dell’espansione e della crescita. In questo scenario frammentato, una pianificazione strategica inconsapevole, sotto forma di programmi negoziali dal basso e progetti integrati territoriali, spesso si rivela come operazione aggiuntiva e non sostitutiva delle ordinarie politiche urbane”.

Questa evoluzione del territorio è causa ed effetto di una pluralità di strumenti che da quasi 15 anni sono stati attivati in modo parallelo, separato, e talvolta in conflitto con le pratiche del piano urbanistico tradizionale: patti territoriali, Prusst (decreto LLpp 1169), progetti di iniziativa comunitaria Leader, programmazione complessa urbana di iniziativa nazionale del Dicoter (Priu, Urban, progetti pilota, Stu, CdQ) e regionali (Pru, Pii).

In questo clima di innovazione, tra le diverse iniziative avviate dalla regione, si colloca anche lo studio per un nuovo testo di legge urbanistica regionale.

Il progetto di legge predisposto stabilisce i principi fondamentali in materia di governo del territorio nel rispetto dell’ordinamento comunitario e nazionale e della potestà legislativa della Regione Sicilia. La legge si prefigge obiettivi di governo, gestione, tutela, disciplina dell’uso e delle trasformazioni del territorio, anche nelle sue implicazioni di natura paesistica, e si ispira ai principi di sussidiarietà (orizzontale e verticale), sostenibilità ambientale, sociale ed economica, partecipazione alle scelte, flessibilità del piano, semplificazione normativa e procedurale, copianificazione fra piani di settore, concertazione fra attori ed enti territoriali e perequazione.

“La legge in discussione – sostiene l’urbanista Giuseppe Gangemi del gruppo dei saggi2 – é una legge che mira solo al governo strategico del territorio. Nella nuova legge urbanistica non c’è un solo articolo che affidi mari e monti agli stessi comuni che non li hanno tutelati”. Non di meno, la nuova legge urbanistica prevede che assieme alle vecchie leggi, vengano pure mandati in pensione alcuni vecchi modi di fare urbanistica, ad esempio, impone una vera e propria rivoluzione per ciò che riguarda l’assetto dei quadri dirigenziali degli uffici dell’Assessorato al territorio e del personale in previsione dell’istituzione dell’Ufficio del piano regolatore regionale e del sistema informatico territoriale regionale, che rappresenta la piattaforma informatica di appoggio del piano regionale, che con i suoi nodi telematici sparsi nelle varie province consentirà, attraverso la messa in rete dei progetti, di controllare la disponibilità dei suoli. Sarà così un cervellone centrale a verificare accavallamenti e priorità tra i vari livelli di pianificazione: regionale, provinciale, comunale e strategico. E non solo. Il punto più ambizioso della nuova legge urbanistica sarà quello di legare pianificazione e disponibilità finanziaria. Ogni progetto, infatti, prima di essere approvato in sede di conferenza di piano, verrà prima verificato all’interno del documento di programmazione economico e finanziario della Regione Sicilia.

Pertanto, gli obiettivi e i principi che la nuova legge regionale deve perseguire, nell’attuale situazione, sono:

- coprire il vuoto legislativo che potrà nascere dall’abrogazione delle leggi urbanistiche nazionali (standard, tipologie di piani, salvaguardie, ecc.), conseguente all’approvazione della legge quadro;

- riconsiderare il rapporto fra la regione e l’ente locale;

- evitare lo spreco di risorse ambientali ed edilizie.

Vi è, inoltre, una condizione essenziale che occorre rispettare e cioè che il piano, anziché essere un documento chiuso con il procedimento approvativo, debba essere inteso come scatola aperta da cui togliere o immettere contenuti (come, ad esempio, i piani di settore) con procedure semplici anche se controllate. Il piano deve contenere programmi, tempi e fasi di attuazione ed essere aggiornato periodicamente.

Il progetto di legge è articolato in 64 articoli, organizzati in dodici Titoli, che identificano i diversi argomenti trattati. In una prima parte (Titoli I e II) vengono enunciati gli obiettivi, le finalità e i principi della legge; vengono, quindi, definite (Titolo III) le strutture tecniche, la cui corretta organizzazione, in un rapporto sinergico ai diversi livelli regionale, provinciale e comunale, costituisce condizione essenziale per il raggiungimento delle finalità della legge e per garantire una piena efficacia della azione amministrativa di governo del territorio.

Il corpo centrale del provvedimento (Titoli IV, V, VI, VII e VIII) è dedicato alla definizione dei contenuti tecnici e normativi dei diversi strumenti di pianificazione dei quali dovranno avvalersi la regione, le province e i comuni e alla precisazione dei relativi procedimenti formativi.

Nei Titoli IX e X, con specifico riferimento agli strumenti urbanistici comunali, è affrontata la problematica delle dotazioni territoriali (standard urbanistici) e sono descritte le modalità di gestione del piano. Infine, gli ultimi due titoli contengono norme atte a regolare la fase di transizione dall’attuale sistema normativo a quello progettato e norme abrogative e finali.

Il piano territoriale regionale (Ptr) dovrebbe mantenere il suo carattere di indirizzo strategico e programmatorio del governo regionale, fornendo un inquadramento generale per le politiche di intervento, per le principali opere infrastrutturali di interesse regionale, per le principali indicazioni in materia ambientale.

Il piano territoriale provinciale (Ptp) assume grande rilevanza e diviene il principale riferimento per l’intervento territoriale alle diverse scale. Ad esso vengono attribuiti compiti di definizione generale del quadro conoscitivo territoriale, dell’analisi e valutazione delle risorse e dei vincoli, nonché la definizione degli indirizzi di natura strategica per le politiche di trasformazione del territorio. Inoltre, il Ptp dovrà avere il carattere e le funzioni di piano strutturale nei confronti della pianificazione comunale3, specificando a scala provinciale indirizzi e prescrizioni del Ptr e rappresentando per i piani regolatori urbanistici (Pru) il documento di programmazione, di dimensionamento, di localizzazione delle principali funzioni, delle infrastrutture e degli impianti.

Il Pru viene inteso come strumento operativo di regolamentazione degli usi del suolo e di attuazione del Ptp e di coordinamento dei diversi documenti di governo del territorio.

Per disciplinare, a livello di dettaglio, parti del territorio comunale nelle quali si debba procedere alla realizzazione di interventi disposti dal Puc e/o dal Ptp e per le quali il Puc non assuma contenuti attuativi, i comuni o i privati possono avvalersi dei piani urbanistici attuativi (artt. 36-38).

Il Titolo IX affronta il tema degli standard urbanistici, in termini aggiornati rispetto al quadro normativo vigente (artt. da 42 a 46). Lo standard è definito, oltre che attraverso la tipologia e la quantità delle aree per le infrastrutture e i servizi pubblici, anche attraverso le loro caratteristiche prestazionali, in termini di accessibilità, di piena fruibilità e sicurezza per tutti i cittadini di ogni età e condizione. Al tradizionale standard, riferito ai servizi e alle attrezzature, che viene definito di qualità urbana, si aggiunge poi lo standard di qualità ambientale, che attiene alla limitazione del consumo delle risorse non rinnovabili e alla prevenzione dagli inquinamenti, alla realizzazione di interventi di riequilibrio e di mitigazione degli impatti negativi determinati dall’attività umana, al potenziamento delle dotazioni ecologiche e ambientali.

Come afferma il prof. Salzano, a differenza di molte altre leggi regionali recenti, la proposta siciliana prevede opportunamente che le scelte della pianificazione regionale e provinciale abbiano “efficacia prescrittiva e prevalente sugli strumenti urbanistici comunali”: veri piani, cioè, e non documenti strategici e d’indirizzo, o addirittura dichiarazioni d’intenti. Le determinazioni dei piani provinciali possono essere modificate dalla pianificazione comunale, ma la loro ammissibilità è soggetta all’approvazione provinciale.

Per questo aspetto, in definitiva, la proposta siciliana sembra del tutto coerente con la novità più profonda e positiva introdotta dalla legge Galasso (431/1985): quella cioè di affidare la tutela del paesaggio e dell’ambiente a tecniche e procedure di pianificazione, anziché soltanto all’arida geometria del vincolo quantitativo. Certo, abrogare le norme di tutela in attesa di piani ancora da avviare può risultare un’imprudenza, se si tiene conto degli interessi in gioco, ma la legge prosegue e prevede specifiche norme di salvaguardia (art. 60) in attesa della formazione dei nuovi piani.

In realtà la legge urbanistica regionale non è una legge da buttare (Salzano, 2006), stabilisce la pianificazione territoriale e urbanistica e definisce gli standard di qualità urbana e ambientale che si intendono perseguire, nel rispetto delle indicazioni contenute in specifici atti di indirizzo e coordinamento regionali che devono essere emanati dall’Assessorato regionale al territorio e all’ambiente con obbligo di dotazione quantitativa, anche differenziata in base a criteri di funzionalità prestazionale (art. 42). È semmai criticabile la sottrazione al Consiglio regionale della responsabilità di approvare il Ptr, è insufficientemente specificato il carattere strutturale della pianificazione territoriale, ed è discutibile l’ulteriore riduzione dei momenti di controllo esterno. “Ma, se si considera la proposta nel quadro della legislazione urbanistica regionale di questi anni la legge non sembra peggiore di altre, anche considerate tra le migliori, come quella emiliano-romagnola o quella toscana. È certamente una legge migliorabile” (Salzano, 2006).

Personalmente non credo che sussistano dubbi sull’imprenscindibilità della pianificazione, della necessità di un governo pubblico delle trasformazioni della città e del territorio, ma credo sia vero che i nuovi principi richiedano una nuova battaglia per essere sostenuti e coniugati nella nuova realtà sociale ed economica. “L’auspicio è che il dibattito faccia chiarezza e aiuti a comprendere e superare i limiti veri distinguendoli dagli errori presunti” (Salzano, 2006).

 

 

Note

 

1 Regione Sicilia, Assessorato regionale del territorio e dell’ambiente, Progetto di legge: Norme per il governo del territorio, Palermo 12 giugno 2005.

2 Il riferimento è allo Studio per la definizione di Linee guida per la Riforma urbanistica regionale, redatto dai proff. B. Gabrielli, G. Gangemi e G. Trombino, presentato nel novembre 2003.

3 Regione Sicilia, Assessorato regionale del territorio e dell’ambiente, Progetto di legge: Norme per il governo del territorio, Palermo 12 giugno 2005.

 

 

Bibliografia

 

Magnaghi A. (a cura di) (1990), Il territorio dell’abitare, FrancoAngeli, Milano.

Mazza L. (1997), Trasformazioni dei piani, FrancoAngeli, Milano.

Benevolo L. (1997), L’Italia da costruire. Un programma per il territorio, Laterza, Bari.

Salzano E., 2006, Sicilia. Una legge contestata. Limiti veri ed errori presunti nel disegno di legge urbanistica regionale, in www.eddyburg.it/article.

 

 

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