L’inizio del processo di programmazione
economica e territoriale regionale può
essere ricondotto al 1952, anno in cui
vennero iniziati i primi studi propedeutici
alla redazione del piano territoriale di
coordinamento regionale. Da allora si è
passati attraverso una serie di tentativi
finalizzati a definire quadri di riferimento
per l’assetto fisico-funzionale e lo
sviluppo economico della regione, fino a
giungere ad oggi, momento particolare in
cui, con la Lr 16/2004, la regione si è
finalmente dotata di una legge urbanistica
quadro e il percorso di formazione del
piano territoriale regionale è in
avanzata fase di definizione1.
Anche le cinque province della Campania
hanno avviato il processo di formazione dei
rispettivi piani territoriali di
coordinamento (Ptc), pur procedendo con
fatica e dovendone rimodulare i contenuti
sulla base della nuova disciplina
urbanistica. In questa condizione del tutto
nuova, per quanto concerne i temi del
governo del territorio, è sembrato, quindi,
interessante esaminare i vari documenti di
programmazione economica e pianificazione
territoriale a livello regionale concepiti
nel tempo, a partire dall’inizio degli anni
’50, dalla Regione Campania. Sono state
ripercorse le principali iniziative in tema
di assetto e sviluppo del territorio e,
attraverso la lettura dei principali
documenti e piani, tutti arenatisi lungo il
loro iter di formazione senza pervenire ad
alcuna effettiva operatività, si evince
quanto la pianificazione territoriale nella
nostra regione sia stata spesso solo
enunciativa di proposte generali o di
semplice indirizzo. Non a caso tali
documenti di programmazione sono definiti
spesso come studi, indirizzi o
schemi piuttosto che piani. Il
sostanziale fallimento dell’attività
regionale, in tema di pianificazione e
programmazione economica e territoriale, è
evidenziato dalla periodica riformulazione
di una diagnosi in cui si ripetono termini
quali: squilibrio insediativo ed ecologico,
disoccupazione, arretratezza economica e
sociale, abusivismo, degrado ambientale.
Il primo documento istituzionale della
programmazione regionale in Campania è
rappresentato dallo Statuto, approvato con
legge 22 maggio 1971, n. 348, che dedica
alla programmazione il Titolo VIII, in cui
si afferma che “la Regione adotta la
programmazione come metodo fondamentale
nella sua attività legislativa,
amministrativa e di controllo, nel quadro
della programmazione nazionale”.
Il documento Novacco-Rossi Doria (1957)
I primi studi propedeutici alla redazione
del Ptc della Regione Campania furono
avviati nel 1952, presso il Provveditorato
alle opere pubbliche della Campania, per
iniziativa del Ministero dei LLpp e a cura
dell’Ufficio Ptc. Il lavoro si protrasse
fino al 1955 e venne sintetizzato in una
raccolta di relazioni, elaborazioni, dati
statistici, rappresentazioni cartografiche,
ecc. Nel 1956, a due anni dalla elaborazione
dello schema Vanoni2, e
sul binario di questo, fu redatto il
documento Novacco-Rossi Doria3
sulla base di vari studi elaborati in seno
al comitato per il Ptc campano. In sintesi,
il documento recepiva la logica di
sviluppo proposta dallo schema Vanoni,
cioè una impostazione politico-economica
fondata su grandezze aggregate e connessioni
globali, e riconfermava le scelte
localizzative di impianti produttivi nelle
zone interne più attrezzate e il
potenziamento di iniziative preesistenti.
Dal punto di vista territoriale, quindi, lo
schema proponeva la localizzazione
delle attività produttive nella regione in
coerenza con l’ipotesi di distribuzione dei
posti di lavoro e anticipava, quindi, la
successiva politica del riequilibrio4.
Il territorio regionale veniva suddiviso in
15 zone omogenee, delimitate per
struttura sociale, produttiva e urbanistica.
Tali zone omogenee erano localizzabili
schematicamente in tre fasce parallele alla
costa: la zona attiva, corrispondente
alla fascia costiera fra il Volturno e il
Sele, caratterizzata dalla presenza delle
aree più urbanizzate, in cui sono presenti
attività industriali, terziarie e di
agricoltura intensiva; la zona intermedia,
relativa alla parte centrale della regione,
con i capoluoghi di Benevento e Avellino,
agricola a media intensità; la zona
estensiva, costituita dalla zona interna
campana, prevalentemente montana,
accidentata e destinata ad una attività
agricola scarsamente produttiva (Figure 1
e 2).
Figura 1 - Documento Novacco-Rossi
Doria. Il territorio regionale
(1957) |
|
Fonte: Colletta M., 1979 |
Figura 2 - Documento Novacco-Rossi
Doria. Analisi e proposte per
l'intervento industriale (1957) |
|
Fonte: Colletta M., 1979 |
La proposta di piano urbanistico
intercomunale del comprensorio di Napoli
(1964)
La proposta di piano urbanistico
intercomunale del comprensorio di Napoli5
mira a far coincidere l’area metropolitana
di Napoli con il comprensorio individuato
dal consorzio per l’area di sviluppo
industriale della provincia napoletana
in modo da giustificare la scelta dell’intercomunalità.
La finalità della proposta è il riequilibrio
dei rapporti esistenti tra Napoli e il suo
hinterland scardinando lo sviluppo
radiocentrico mediante la localizzazione di
nuovi insediamenti industriali e
residenziali che individuano nuove
direttrici di sviluppo extraurbano da
realizzare anche mediante il rafforzamento
delle infrastrutture di trasporto.
Il piano urbanistico individua 9
comprensori: puteolano-giuglianese,
sarnese-nocerino, Napoli città, Villa
Literno, nolano, aversano, acerrano,
vesuviano, area nord di Napoli.
Il territorio maggiormente urbanizzato nel
piano è schematicamente costituito da due
strutture lineari ed un collegamento
trasversale. Le strutture lineari si
estendono da Pozzuoli a Castellammare, dove
si prevede una razionalizzazione con
destinazione a residenza e terziario, e da
Villa Literno a Nola, dove si propone il
rafforzamento con nuove localizzazioni di
attività e assi stradali. Il piano prevede,
infine, l’espansione residenziale e
industriale del capoluogo verso nord-est, il
centro direzionale nell’area contigua alla
stazione centrale di Napoli, nuove aree
residenziali 167 a Secondigliano e
Ponticelli, nuovi poli di sviluppo e di
riequilibrio a Mondragone e a Battipaglia (Figura
3).
Figura 3 - Piano del comune e del
comprensorio di Napoli - Schema
Piccinato (1964) |
|
Fonte: Regione Campania - Italtekna,
1986 |
Lo schema di sviluppo economico della
Campania (1969)
Con la costituzione, nel 1965, del
comitato regionale per la programmazione
economica della Campania (CrpeC)6,
si avvia in Campania una riflessione sugli
indirizzi da seguire in materia di assetto
del territorio. Il CrpeC formulò, quale uno
dei documenti che illustrasse tali
indirizzi, lo schema di sviluppo
economico regionale 1966-1970 (Sse)
cercando di affrontare in modo organico i
problemi della pianificazione regionale7.
Nell’agosto del 1969 il CrpeC approvava lo
Sse in cui si indicavano, appunto, i nuovi
criteri da perseguire per una struttura
economica della regione con caratteri
autopropulsivi8.
Lo Sse si proponeva, come obiettivo
principale, quello di garantire il massimo
livello di occupazione ed una più efficiente
distribuzione degli occupati nei vari rami
produttivi, con aumento nel settore
industriale e nel terziario, attraverso una
ristrutturazione delle attività produttive.
Tra di esse è considerata trainante
l’industria manifatturiera.
Lo Sse, inoltre, per quanto riguarda
l’assetto territoriale, si limitava soltanto
a formulare un quadro di riferimento
individuando le tendenze spontanee di
evoluzione degli insediamenti.
Ulteriori obiettivi dichiarati dello Sse
erano: il decongestionamento della fascia
costiera e l’integrazione geografica ed
economica dei territori interni.
Per l’area metropolitana di Napoli si
proponeva, tra l’altro, di contenere la
funzione residenziale e di inquadrare gli
effetti urbani degli agglomerati industriali
che gravano su Napoli in una prospettiva
regionale. Ciò avrebbe dovuto impedire una
ulteriore espansione a macchia d’olio
della città, puntando, viceversa, su assi
perpendicolari alla costa, ad esempio
sull’asse Napoli-Avellino per l’espansione
industriale.
Il piano territoriale di coordinamento della
Campania (1970)
I primi studi propedeutici alla redazione
del piano territoriale di coordinamento
(Ptc) della Regione Campania furono avviati
nel 1952, presso il Provveditorato alle
opere pubbliche della Campania, per
iniziativa del Ministero dei LLpp9
e a cura dell’Ufficio Ptc. Il lavoro si
protrasse fino al 1955 e venne sintetizzato
in una raccolta di relazioni, elaborazioni,
dati statistici, rappresentazioni
cartografiche, ecc. Nel 1956 si chiude lo
studio economico-urbanistico sul territorio
regionale.
Sulla scorta delle elaborazioni del
progetto ’8010 si giunge,
dopo 12 anni, a formulare le ipotesi di
assetto territoriale (Ipat) della
regione11. Le Ipat, sulla base
delle risoluzioni per l’elaborazione del
piano territoriale di coordinamento12,
si ponevano come obiettivo, pensato per un
periodo temporale di un trentennio, ancora
una volta quello di orientare il processo di
sviluppo verso l’interno della regione, in
maniera tale da promuovere una inversione di
tendenza alla concentrazione verso la costa.
La regione è articolata in sette nuove
entità territoriali o comprensori
autosufficienti dal punto di vista
funzionale.
Le Ipat si articolano in vari punti di
contenuto economico-urbanistico e, in
particolare, si rilevano due fasi: una
prima, di analisi delle caratteristiche
economiche e territoriali esistenti nella
regione; una seconda, che indica le scelte
politico-operative da attuare. Si va,
quindi, dalla conoscenza generale della
realtà regionale, dal punto di vista
geografico, demografico ed
economico-sociale, alle finalità e obiettivi
dell’ipotesi stessa, dall’aderenza delle
finalità proposte dal programma di
sviluppo economico 1965-1969 e
successive elaborazioni in materia di
pianificazione nazionale, al ridisegno
territoriale mediante nuovi elementi
strategici di intervento: quello di fondo
relativo alle zone interne e quello per
comprensori per le zone di pianura e
fondo valle. I comprensori sono
ulteriormente classificati in base alle
infrastrutture e alla consistenza delle
attrezzature produttive; sono collegati tra
loro mediante alcune direttrici principali e
altre secondarie da potenziare, o
realizzare, e da due nuove direttrici
interne ed un nuovo sistema infrastrutturale
metropolitano.
Presa coscienza delle problematiche presenti
nella regione, viene indicato l’obiettivo
principale, da perseguire in un quadro di
interventi futuri, consistente
nell’identificazione di un processo di
sviluppo proiettato verso le zone interne
della regione, al fine di promuovere una
inversione di tendenza rispetto alla
concentrazione verso la costa. Il meccanismo
di riequilibrio economico consisteva,
pertanto, nella decompressione della fascia
costiera e nel potenziamento delle strutture
produttive e urbane poste sulla direttrice
interna, dal confine con il Lazio al Vallo
di Diano, attraverso la creazione di aree
di concentrazione (Figura 4).
Figura 4 - Piano territoriale di
coordinamento della Campania -
Travaglini-Piccinato (1971) |
|
Fonte: Regione Campania - Italtekna,
1986 |
Le opzioni Cascetta (1974)
La proposta di indirizzi
politico-operativi per la programmazione
economica e territoriale della regione,
in breve opzioni Cascetta13,
si presenta come una istanza a rivedere le
precedenti esperienze sulla base di alcune
opzioni che riguardano innanzitutto: il
massimo potenziamento dell’occupazione; il
rafforzamento delle strutture produttive
esistenti; il perseguimento di uno sviluppo
armonico polisettoriale con valorizzazione
delle risorse interne alla regione. Nella
delibera di adozione della proposta
si ribadiva la necessità di avviare
immediatamente l’elaborazione del Ptc nel
quale fosse assicurata la necessaria
partecipazione delle autonomie locali al
processo di programmazione regionale. Il
documento, pur ribadendo la necessità di
rapportare la programmazione economica con
quella territoriale, nonché di uscire dalla
logica delle indicazioni generali per
pervenire alla formulazione di opzioni
meno astratte, non superava lo scollamento
tra dibattito politico e dinamica
territoriale reale, finendo per
puntualizzare, in definitiva, solo alcuni
obiettivi territoriali sui quali già
concordavano documenti programmatici e
dibattito politico.
Le opzioni ripropongono la
descrizione duale del territorio campano,
costituito, da un lato, dall’area
metropolitana napoletana (con Napoli, la
piana campana, la piana sarnese-nocerina e
caudina, la penisola sorrentino-amalfitana)
e, dall’altra, dalla rimanente parte del
territorio regionale. In tale area
metropolitana, i nuovi impianti produttivi
sarebbero stati localizzati nelle zone
marginali (aree a est dell’autostrada del
sole, Valle Caudina, Piana di Baiano, alta
valle del Sarno) in modo da riqualificare la
fascia costiera.
Con le opzioni si acquisiva
finalmente la coscienza della necessità di
una strategia regionale unitaria, superando
sterili enunciazioni di priorità tra la
conurbazione napoletana e le aree interne.
Esse recepivano l’indirizzo strategico
dell’organizzazione territoriale per
direttrici di sviluppo, introdotto dal CrpeC
nelle Ipat. La direttrice interna era
individuata partendo dalla media valle del
Volturno fino a raggiungere il Vallo di
Diano.
La prima opzione fondamentale lungo la quale
indirizzare il rilancio dello sviluppo della
regione riguarda l’esigenza di potenziare al
massimo l’occupazione nell’impiego delle
risorse disponibili finalizzato ad un
sostanziale miglioramento della struttura
produttiva regionale. Si riteneva che la
politica degli investimenti produttivi
dovesse essere accompagnata da una rigorosa
politica territoriale non disgiunta da una
razionalizzazione degli interventi di
localizzazione per evitare un accrescimento
degli squilibri peraltro già esistenti:
continuare a realizzare interventi
produttivi e servizi dove già esistevano
sarebbe equivalso a rinunciare
definitivamente al recupero e alla
riqualificazione di vaste parti del
territorio regionale.
Per lo sviluppo del turismo, sono in
buona parte riprese le indicazioni dei
comprensori turistici di cui al piano di
coordinamento degli interventi pubblici nel
Mezzogiorno14, privilegiando
le aree costiere del Cilento e prospettando
il rilancio della montagna, attraverso una
rete di attrezzature ricettive, sportive e
di svago da realizzare nelle stazioni
invernali del Matese, del Partenio, del
Terminio, del Cervialto, del Cervati e in
quelle estive del Taburno, degli Alburni e
del Gelbison. Un ruolo complementare ai
suddetti interventi finalizzati allo
sviluppo del turismo è assegnato alla
riqualificazione del porto di Salerno e
all’insediamento del complesso universitario
tra Avellino e Salerno nella Valle
dell’Irno.
L’aver voluto relazionare l’intera economia
del territorio a quella industriale, che
assurge al ruolo di protagonista anche in
una fase storica contrassegnata dalla crisi
energetica, costituisce forse il limite
fondamentale della politica economica
contemplata nelle opzioni (Figure
5 e 6).
Figura 5 - Opzioni Cascetta (1974) |
|
Fonte: Consiglio Regionale della
Campania, 1974 |
Figura 6 - Territorio regionale
campano ridisegnato secondo le
Opzioni Cascetta (1974) |
|
Fonte: Colletta M., 1979 |
Gli indirizzi di assetto territoriale (1982)
Per definire il programma degli interventi
finalizzati alla gestione del processo di
ricostruzione post-sisma nelle aree
terremotate nel novembre 1980 in Campania e
Basilicata, la Regione Campania elaborava, a
mezzo del comitato tecnico scientifico
(Cts), gli indirizzi di assetto
territoriale (Iat) previsti dalla legge
14.5.1981, n. 21915. Gli Iat
costituivano, dunque, il documento
programmatico per organizzare sul territorio
regionale i possibili investimenti, ordinari
e straordinari, nel quadro di una corretta
politica urbanistica e territoriale.
L’attenzione del Cts si concentrava su
alcuni settori fondamentali come la casa, i
beni culturali e il turismo, l’industria,
l’agricoltura, il sistema distributivo, la
rete dei trasporti, e procedeva a elaborare
l’inventario delle risorse disponibili nel
quinquennio 1982-1985 per definire le scelte
prioritarie e le aliquote dei fabbisogni che
era possibile soddisfare con le
disponibilità reali.
Il Cts individuava, in conseguenza, il
quadro di riferimento su cui impostare un
disegno di organizzazione urbanistica del
territorio, nel quale gli investimenti, di
cui alle risorse disponibili, potessero
garantire i seguenti risultati:
- dare inizio ad un processo di ricuciture e
di riqualificazione del sistema urbanistico
esistente in un’ottica territoriale;
- garantire il riequilibrio e lo sviluppo
economico e territoriale;
- consentire la creazione di strutture
gestionali di servizio e a sostegno dello
sviluppo;
- rendere possibile l’integrazione e la
razionalizzazione della rete dei trasporti
su rotaie e su gomma in un contesto
urbanistico generale;
- rendere possibile la ricostruzione in
chiave territoriale urbanistica delle
strutture urbane colpite dal sisma.
Le strategie di sviluppo degli Iat,
comunque, riguardavano con priorità le aree
colpite dal sisma, in modo da disincentivare
lo spopolamento di tali aree. Si promuovono
alcune infrastrutture civili, fra cui
l’interporto di Nola e il complesso
universitario fra Avellino e Salerno. Si
ipotizza la creazione di nuclei industriali
in posizione baricentrica rispetto ai bacini
di utenza e di traffico, lungo la nuova
direttrice Ofantina nell’area dell’epicentro
del sisma, e il trasferimento di alcune
localizzazioni produttive manifatturiere
nelle zone interne della regione, lungo la
direttrice Nola-Avellino, proseguendo per S.
Giorgio del Sannio e Grottaminarda (Figura
7).
Figura 7 - Ipotesi di assetto
territoriale della Campania (1982) |
|
Fonte: Giannattasio G., 1994 |
Il piano territoriale regionale per la
tutela paesistico-ambientale (1986)
La proposta di piano territoriale
regionale per la tutela
paesistico-ambientale (Ptrtpa)16
matura nel secondo semestre del 1986 con
l’obiettivo di avviare un processo di
pianificazione che consentisse di
ottemperare al disposto di cui all’art. 1
bis della legge 431/1985. Essa tendeva,
quindi, a formulare la strategia regionale
paesistico-ambientale orientata a definire
le strumentazioni atte a mobilitare
l’elaborazione dei piani degli ambiti
paesistici, attraverso piani di secondo
livello, intermedio fra regionale e
comunale.
La proposta di Ptrtpa muove dalla
considerazione che la tutela deve
esercitarsi attraverso una pianificazione da
elaborarsi secondo una metodologia che
anteponga la salvaguardia dei valori
paesistico-ambientali ad ogni altra
esigenza. Prevedeva la suddivisione del
territorio regionale in zone omogenee di
tutela, con relative specifiche norme
per le aree con particolari caratteristiche.
Individuava, in particolare, 7 spazi
paesistici17 e un insieme di
30 ambiti di tutela ambientale18,
perimetrati sulla base di indagini, ricerche
e studi che tenevano conto, oltre che degli
aspetti fisici e formali, anche delle
componenti storico-sociali, economiche e
ambientali dei diversi territori della
regione. Gli spazi e gli ambiti
costituiscono riferimento per ulteriori
eventuali analisi delle caratteristiche
ambientali, effettuate per sistemi e con
scomposizione per fattori, con la
predisposizione di relativi piani
integrativi che definiranno in dettaglio le
destinazioni d’uso del territorio con
riferimento a indicazioni, norme e
prescrizioni contenute nella proposta di
Ptrtpa (Figura 8).
Figura 8 - Proposta di piano
territoriale regionale per la tutela
paesistico-ambientale |
|
Fonte: Forte F., 1993 |
Il piano di assetto del territorio (1986)
Con il piano di assetto del territorio
(Pat)19 la Regione Campania
intendeva promuovere un modello di sviluppo
non più basato sui grandi insediamenti
industriali localizzati in prossimità delle
grandi agglomerazioni urbane, ma sulla
integrazione delle attività locali primarie,
secondarie e terziarie e sulla
industrializzazione a carattere avanzato
diffusa sul territorio. Tale modello era
finalizzato a creare nuovi poli
produttivi integrati nella realtà
regionale e interessare una fascia
territoriale intermedia comprendente i
capoluoghi di Caserta, Benevento, Avellino e
Salerno (Tetrapoli) proponendo,
dunque, il rafforzamento dell’area
intermedia della regione. La logica
dell’industrializzazione diffusa, già
presente nella legge 219/1981, è
accompagnata, nel Pat, dall’integrazione con
attività primarie e servizi.
Obiettivo centrale dichiarato del Pat è il
“riequilibrio economico e territoriale, nei
termini di decongestionamento e
razionalizzazione dell’area costiera, con
particolare riguardo a quella napoletana, e
di sviluppo più intenso delle zone interne;
riequilibrio da ottenere in una prospettiva
di generale sviluppo economico e di
miglioramento della qualità dell’ambiente”.
Il Pat individua complessivamente 8 aree
programma20. Le aree sono
individuate considerando la contiguità
territoriale, una soglia minima demografica
che garantisca la formazione di un
meccanismo di sviluppo relativamente
autonomo e il riconoscimento di componenti
di sviluppo compatibili con le
caratteristiche degli ambiti. Sono, inoltre,
coerenti con le delimitazioni dei comuni e
delle unità sanitarie locali (Usl).
Nel Pat non vi è, dunque, una strategia per
fasce a differente dotazione di risorse, ma
per ambiti, o aree programma, situati
per lo più in una sola provincia, con
l’esclusione dell’ambito intermedio di
riequilibrio che interessa tutte le province
campane. Si tenta di promuovere, quindi, una
politica regionale di sviluppo per
programmi organici riferiti ad aree
e non per programmi settoriali (Figure 9
e 10).
Figura 9 - Piano di assetto
territoriale (1986) |
|
Fonte: Forte F., 1993 |
Figura 10 - Piano di assetto
territoriale. L'area di riequilibrio
(1986) |
|
Fonte: Consiglio Regionale della
Campania, 1986 |
Il piano regionale di sviluppo (1990)
Il piano regionale di sviluppo (Prs)21
si propone di rappresentare un disegno di
programmazione nuovo e organico, uno
scenario delle grandi opzioni nel quale sono
precisate le istanze della società campana.
In esso si definiscono le linee di una
programmazione globale che considera tutti
insieme i fattori dello sviluppo:
territorio, ambiente, settori produttivi e
servizi.
Il Prs definisce gli obiettivi e le linee
strategiche alle quali dovranno attenersi i
programmi in corso e quelli futuri, mentre
appare poco operativo nel definire precise
opzioni di intervento.
Gli obiettivi del Prs sono: la
valorizzazione dell’agricoltura, principale
settore di base; l’aumento di competitività
dei sistemi industriali; la crescita
dell’apparato dei servizi; la
razionalizzazione e il completamento delle
reti idriche e acquedottistiche; la
valorizzazione dei patrimoni culturali,
storici e ambientali.
Il Prs presenta una parte dedicata agli
aspetti territoriali nella quale, ai fini
della programmazione dello sviluppo, sono
individuate delle unità territoriali che
esprimono l’aspirazione all’individuazione
di differenziate strumentazioni per lo
sviluppo delle specificità delle risorse
locali. Tali unità territoriali, facendo
riferimento a soggettualità
politico-amministrative, quali province e
comunità montane, consentono di ancorare la
programmazione su basi istituzionali. Sulla
base di tale impostazione, si propone
l’individuazione della metropoli
regionale, connessa al capoluogo, e di
unità territoriali per lo sviluppo (Uts)
costituite da: aree urbane (Napoli,
Caserta, Aversa, Nola, Vesuvio-Nocera-Sarno,
Salerno, Irpinia centrale, Sannio),
direttrici e unità ambientali di
raccordo (Taburno, Partenio, Penisola
sorrentino-amalfitana, Isole di Ischia,
Capri e Procida). Per ognuna delle Uts si
individuano specifiche finalità delle
politiche di sviluppo (Figura 11).
Figura 11 - Piano regionale di
sviluppo. Schema (1990) |
|
Fonte: Smarrazzo D., 1999 |
Valutazioni conclusive
Nel corso della sua ultra trentennale
attività legislativa, la Regione Campania ha
generalmente dimostrato un’attenzione del
tutto episodica ai temi, alle problematiche
e alle esigenze del governo del territorio.
Le trasformazioni realizzate nel corso degli
anni sul territorio regionale, e quelle
ancora in corso, sono avvenute in assenza di
una strategia di pianificazione di livello
regionale e di qualsiasi indirizzo di area
vasta.
Nel corso degli anni ’90 si registra una
ulteriore caduta di attenzione alla
pianificazione da parte della regione, la
quale limita la propria attività alla
formazione di piani di settore, proponendo
un approccio alla programmazione per
progetti, con pretesa di strategicità e
intersettorialità.
Più volte è stata anche avvertita la
necessità e l’urgenza di un inquadramento
programmatico dell’intervento pianificatorio
sul territorio. Ma le buone intenzioni sono
state sempre vanificate dalla scarsa
affezione che la regione ha mostrato per i
suoi stessi propositi.
Dai documenti esaminati traspare, pur con
tutti i limiti esposti, un positivo intento
di realizzare un profilo di interdipendenza
e di integrazione orizzontale tra
programmazione economica e pianificazione
territoriale. Nella realtà, tali
acquisizioni teoriche non trovano ancora
una verifica reale.
Anche il quadro di integrazione verticale
tra i livelli regionali e subregionali di
programmazione e pianificazione rimane
indefinito, data la debole connotazione
attribuita allo strumento del
comprensorio e l’assenza
dell’istituzione dell’ente intermedio che si
protrarrà fino alla legge 142/1990 di
riordino degli enti locali.
Le ragioni di tali carenze sono
riconducibili non solo ad una generica
arretratezza culturale, inefficienza
amministrativa, ma anche al forte
radicamento di una logica di intervento sul
territorio che preferisce agganciarsi
periodicamente alle emergenze e alle
opportunità piuttosto che fondarsi su
una sistematica attività di governo delle
dinamiche territoriali. Si tratta di una
logica che privilegia la spesa, vale
a dire la rapida spendibilità delle risorse
finanziarie straordinarie, elargite per le
differenti urgenze e occasioni, a scapito
della programmazione. È una logica che
ricorre alla predisposizione di elenchi
di opere piuttosto che di adeguati
strumenti di pianificazione e di coerenti
strategie di organizzazione e
riqualificazione territoriale.
Con la Lr 16/2004 e con l’adozione del Ptr,
come si diceva nell’introduzione, si è oggi
in una condizione nuova che lascia ben
sperare. Il Ptr non può essere, quindi, un
programma di interventi ma deve definire le
linee strategiche alle quali i programmi in
corso dovranno, per quanto possibile,
adeguarsi e in futuro ispirarsi. È però
necessario porre in essere una prassi
dinamica di pianificazione territoriale per
l’orientamento e la verifica delle decisioni
in un processo di
programmazione-attuazione che non può che
essere compiuto da un vasto insieme di piani
e programmi d’intervento. La Campania è,
come emerso dal presente excursus sui
tentativi di pianificazione, una regione
caratterizzata, da un lato, dal proverbiale
squilibrio tra zone interne e zone costiere
e, dall’altro, dall’egemonia dell’area
metropolitana di Napoli praticamente
sull’intero territorio regionale. Ma
all’interno di tale schema generale
l’articolazione è più variegata e i problemi
relativi a tali aree potranno essere
risolti, più credibilmente, mediante
opportuni stralci territoriali o tematici
dei Ptc delle cinque province campane. Il
Ptr dovrà assolvere al ruolo attivo di
conoscenza delle situazioni e di controllo
della coerenza fra le diverse iniziative di
intervento per un ordinato assetto
territoriale e uno sviluppo senza spreco di
risorse.
Note
1
La proposta di piano territoriale
regionale è stata adottata con
deliberazione di Gr n. 287 del 25.2.2005 e
pubblicata sul Burc numero speciale del
13.5.2005 con il titolo: “Lr 22 dicembre
2004, n. 16 – Norme sul governo del
territorio – Proposta di Piano
Territoriale Regionale – Adozione (con
allegati)”.
2
Lo schema Vanoni, così chiamato
abitualmente ma ufficialmente intitolato
schema di sviluppo dell’occupazione e del
reddito in Italia nel decennio 1955-1964,
è un documento di politica economica
nazionale mirato a risolvere i problemi di
disoccupazione, depressione meridionale e
sbilancio dei conti con l’estero.
3
Il documento Novacco-Rossi Doria, o
piano regionale della Campania, redatto fra
il 1956 e il 1957 e pubblicato fra il 1961 e
il 1962, più che un piano, è uno studio che
affronta contestualmente aspetti economici e
territoriali della Campania. La fonte di
riferimento è lo schema Vanoni.
4
Il documento venne poi indicato come
piano di tendenza, con previsioni,
proiettate al 1971, riferite a 400.000 nuovi
posti di lavoro in settori extragricoli e
400.000 emigrazioni di forze attive.
5
Il Ministero dei LLpp, con nota in data
26.6.1962, comunicava all’amministrazione
comunale di Napoli che, esaminato il Prg di
Napoli, adottato nel 1958 con deliberazione
del commissariato straordinario, riteneva
che tale Prg dovesse essere rielaborato. Nel
1964, su parte dell’area identificata come
zona attiva dal documento
Novacco-Rossi Doria, costituita da 96
comuni nelle province di Napoli, Salerno e
Caserta, fu così promossa una proposta di
piano urbanistico intercomunale del
comprensorio di Napoli, redatta da un
gruppo di lavoro coordinato da Luigi
Piccinato.
6
Con decreto del Ministero del bilancio
22.9.1964, pubblicato nella Gu n. 262 del
24.10.1964, era istituito, in ogni regione,
escluse quelle a statuto speciale, un
comitato regionale per la programmazione
economica (Crpe) con lo scopo di
collaborare con lo stesso Ministero ai fini
dell’attuazione della programmazione
economica nazionale. Il Crpe aveva, tra
l’altro, l’incarico di predisporre, secondo
le direttive del Ministero del bilancio, uno
schema di sviluppo economico regionale
(Sse) in cui inquadrare le Ipotesi di
assetto territoriale (Ipat). La
successiva Circolare congiunta da parte dei
Ministri del bilancio e dei LLpp del
23.7.1966 stabiliva, tra l’altro, che le
Ipat assunte dagli Sse dovessero essere
quelle da porre a fondamento della
elaborazione dei Ptc di cui alla legge
1150/1942, e precisava la procedura e le
modalità di formulazione di dette Ipat. I
Ptc, quindi, sarebbero stati elaborati sulla
base delle Ipat prescelte dai Crpe e
formati, nella loro definitiva stesura, dopo
l’intervenuta approvazione, da parte del
Cipe, degli Sse e, quindi, delle Ipat in
essi contenute.
7
Successivamente alla Circolare congiunta del
23.7.1966 e all’insediamento della
Commissione di studio per la redazione del
Ptc della Regione Campania, il CrpeC, nel
maggio 1967, esprimeva le proprie
indicazioni generali per la formulazione di
Ipotesi di assetto territoriale (Ipat)
ribadendo la necessità che una manovra di
uno sviluppo programmato prevalesse sulle
tendenze spontanee.
8
Lo schema di sviluppo economico regionale
1966-1970 è suddiviso nelle seguenti
parti: Parte prima: Condizioni,
Caratteristiche e obiettivi del processo di
sviluppo regionale. Capitolo I - Principali
condizioni per uno sviluppo equilibrato
dell’economia campana nel quadro dello
sviluppo del Mezzogiorno e dell’intera
economia nazionale. Capitolo II - Il
bilancio economico della Regione. Appendice.
Previsione demografiche. Capitolo III -
L’assetto territoriale. Parte seconda:
Prospettive e politiche a livello dei
settori produttivi. Capitolo IV -
L’agricoltura. Capitolo V - L’industria.
Capitolo VI - L’artigianato. Capitolo VII -
Le attività terziarie. Capitolo VIII - Le
attività turistiche. Parte terza: Le
politiche degli impieghi sociali. Capitolo
IX - L’istruzione e la ricerca scientifica.
Capitolo X - La sanità e l’assistenza.
Capitolo XI - Il trasporto e il sistema
portuale. Capitolo XII - La difesa e
conservazione del suolo.
9
Il Ministero dei LLpp dispone l’avvio, in
base all’art. 5 della legge 1150/1942, di
studi parziali e integrati per la
formulazione dei Ptc regionali. Le
commissioni di studio per la definizione
delle ipotesi di Ptc insediate nello stesso
anno, se da un lato ritrovano nello
schema Vanoni le assunzioni
metodologiche relativamente all’ipotesi di
sviluppo economico, dall’altro deducono i
criteri di analisi e classificazione dei
territori per fasce a differente dotazione
di risorse.
10
Progetto ’80 è la sigla con cui viene
comunemente denominato il documento
preliminare al programma economico nazionale
1971-1975, redatto nel 1969 dal
Ministero del bilancio e della
programmazione economica, che rappresentò il
primo e ultimo tentativo di avviare nel
nostro paese un processo di programmazione
economico e territoriale a scala nazionale.
11
Le ipotesi di assetto territoriale (Ipat)
della Regione Campania furono promosse, nel
1968, dal Provveditorato alle OOpp e redatte
sulla base delle indicazioni formulate dal
CrpeC, nel 1967, circa le direttive da
seguire per la redazione del Ptc; del
programma economico nazionale; delle
elaborazioni del progetto ’80. Le
Ipat, elaborate dalla Commissione di studi (Travaglini-Piccinato)
e presentate al Provveditorato alle OOpp,
ove furono ampiamente discusse e arricchite
da ulteriori contributi, furono inviate, nel
1969, al CrpeC che le approvò nel 1970,
esprimendo il proprio parere nelle
risoluzioni per l’elaborazione del piano
territoriale di coordinamento. La Giunta
regionale le adottava nel 1971.
12
In esse si sottolineava come, per perseguire
obiettivi di integrazione dei territori
interni nel processo di sviluppo, di
qualificazione in senso metropolitano
dell’area costiera incentrata su Napoli e di
articolazione policentrica dell’armatura
urbana e industriale regionale, fosse
necessario prevedere, nei territori interni,
delle direttrici di sviluppo come
elementi propulsivi e vitalizzanti a
sostegno degli assi infrastrutturali di
collegamento a lungo raggio.
13
Con la costituzione del primo governo
regionale in Campania, nel 1971 si avvia un
dibattito sull’assetto del territorio che
sfocia più tardi nella proposta degli
indirizzi politico-operativi per la
programmazione economica e territoriale
della regione, documento
politico-programmatico nato dall’accordo
interpartitico della giunta di
centro-sinistra e approvato con delibera
della Giunta regionale nella seduta del
21.6.1974. La proposta è nota come
opzioni Cascetta, dal nome del
presidente della Giunta regionale, Vittorio
Cascetta, che aveva varato tale documento
politico-programmatico.
14
Il piano di coordinamento degli
interventi pubblici nel Mezzogiorno
predisposto, ai sensi dell’art. 1 della
legge 717/1965, dalla Cassa per il
Mezzogiorno sulla base delle direttive
espresse per la definizione del primo
programma quinquennale di sviluppo economico
nazionale, costituisce il primo
documento ufficiale nel cui ambito viene
proposta una strategia unitaria di
interventi, volti a configurare una politica
globale del territorio delle regioni del
Mezzogiorno.
15
In seguito al sisma del 23.11.1980, la
Regione Campania, con delibera di Giunta
regionale n. 309 del 7.1.1981, come previsto
dal titolo VIII della legge 219/1981, si
dota di un comitato tecnico scientifico
(Cts), come organismo consultivo, con il
compito di definire gli indirizzi necessari
per avviare il piano territoriale di
riferimento per la utilizzazione delle
risorse finanziarie rese disponibili dalla
stessa legge 219/1981. Gli indirizzi di
assetto territoriale (Iat) predisposti
dal Cts, furono approvati dalla Giunta
regionale il 24.8.1981 e formalizzati nella
risoluzione del Consiglio regionale
dell’aprile 1982.
16
La Giunta regionale della Campania, nella
seduta del 15.12.1986, adottava la proposta
del Ptrtpa per il Consiglio regionale.
L’adozione avveniva con sostanziali
stravolgimenti, finendo per arenarsi
nell’esame degli organi consiliari. Il
Governo regionale ha, nel 1989, riproposto
la formazione degli specifici piani dei 30
ambiti paesistici, a suo tempo individuati,
attribuendo priorità alla formazione dei
piani paesistici nelle aree dichiarate di
notevole interesse pubblico con i DDmm del
28 marzo 1985 (Galassini). I piani
paesistici riguardanti tali territori furono
consegnati alla Regione Campania dalla
società incaricata Infratecna spa.
17
Il Ptrtpa individua spazi paesistici
definiti e delimitati in base a elementi
naturali, le cui interazioni condizionano i
tipi vegetali e le basi per la vita sociale,
naturale e vegetale: 1. Cilento e Vallo di
Diano; 2. Sele e Calore Salernitano; 3.
Tammaro e Ofanto; 4. Taburno e Calore
Beneventano; 5. Golfo di Napoli; 6. Matese;
7. Regi Lagni, Volturno e Mazzoni.
18
Il Ptrtpa individua ambiti di tutela
ambientale, caratterizzati da relazioni
di contiguità ad una o più direttrici
fondamentali che rappresentano gli assi
portanti dei rapporti formali e visivi: 1.
Golfo di Salerno; 2. Piana del Sele; 3.
Alburni; 4. Cilento; 5. Alto Calore
Salernitano; 6. Vallo di Diano; 7. Alto e
Medio Sele; 8. Ofanto; 9. Alto Calore e Alto
Sabato; 10. Ufita; 11. Sistema appenninico (Terminio-Cervialto);
12. Picentini; 13. Tammaro; 14. Valle di
Benevento; 15. Taburno; 16. Isclero-Valle
Caudina; 17. Regi Lagni; 18. Valle del Sarno;
19. Penisola sorrentino amalfitana; 20.
Vesuvio; 21. Area Napoletana ad alta
concentrazione urbana; 22. Isole; 23. Area
Flegrea; 24. Matese; 25. Telese; 26. Alto
Volturno; 27. Tifatini; 28. Medio Volturno;
29. Basso Volturno - Foce Garigliano; 30.
Roccamonfina - Aurunci.
19
Il Pat, redatto dalla Italtekna su incarico
della Regione Campania nel 1986, trae
origine dall’art. 35 della legge 219/1981 ed
è connesso ai progetti regionali di
sviluppo redatti, ai sensi di tale
legge, con riferimento all’area epicentrale
Campana, all’area interna del Sannio,
all’area metropolitana di Napoli e di
Salerno. Il Pat è definito nel disegno di
legge n. 200, di iniziativa della Giunta
regionale, di cui alla delibera 97 del
26.6.1996, avente ad oggetto “Normativa di
attuazione del Piano di Assetto
Territoriale” come documento fondamentale
del Ptr, atto intermedio della politica di
programmazione regionale e quadro di
riferimento e orientamento.
20
Le aree programma o ambiti
territoriali sono: l’area di
concentrazione di Napoli e Salerno; l’area
forte programmatica di riequilibrio
comprendente i centri urbani di Caserta,
Benevento e Avellino; le due aree
cerniera del Basso Volturno Aurunci e
del Basso Sele e Tusciano, le tre aree
interne Alifana e del Matese, dell’Alto
Sannio e dell’Arianese e Monti Picentini;
l’area marina e montana del Cilento e Vallo
di Diano.
21
Il piano regionale di sviluppo (Prs)
fu approvato con delibera di Giunta
regionale n. 33 dell’1.3.1990. Il Prs si
inquadra nella strategia del secondo
triennio del programma triennale di
intervento della legge 64/1986 verso
grandi progetti strategici promuovendo
iniziative di vasto respiro.
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