La lettura delle politiche e delle scelte
adottate per il territorio metropolitano di
Napoli negli ultimi cinquanta anni definisce
un quadro conoscitivo che contribuisce alla
comprensione dei fenomeni di saldatura
urbana recentemente verificatisi tra Napoli
e i comuni limitrofi.
Se le azioni effettuate per il territorio
metropolitano coinvolgono e definiscono
l’assetto urbanistico della città,
attraverso lo studio di processi teorici e
pratici a scala territoriale, è possibile
rintracciare gli strumenti per una lettura
dei processi di trasformazione attualmente
in atto.
Nel rilevare che già agli inizi degli anni
Trenta del secolo scorso, nei programmi di
espansione e di trasformazione del
territorio venivano delineate le
intenzionalità di definire azioni su vasta
scala1, il punto di partenza per
l’analisi dell’area napoletana è il piano
regolatore di Luigi Piccinato del 1939. Nel
piano l’estensione delle problematiche ad
una dimensione territoriale costituiva uno
dei principi base: “un piano regolatore che
abbia come primo obiettivo una messa a punto
di tutte le questioni, dalle più generali
alle particolari, deve affrontare prima di
ogni altro tema quello di un piano
regionale, come quello che inquadra in sé e
misura ogni altro problema urbanistico e
cittadino”2. Inoltre,
all’esigenza di inquadrare le problematiche
napoletane in un piano territoriale, si
accompagnava la consapevolezza della
necessità di una organizzazione
amministrativa costruita “su un organico
complesso di disposizioni di leggi che
permetta di assoggettare al piano regolatore
regionale i singoli organismi amministrativi
che ora reggono, separati gli uni dagli
altri, i vari comuni della regione
napoletana”3.
Dunque, già alla fine degli anni Trenta,
appariva chiara l’esigenza di
contestualizzare la città nel suo territorio
predisponendo precise linee di sviluppo e di
espansione che limitassero
contemporaneamente situazione di
soffocamento e di uso intensivo e
distruttivo delle aree libere.
Il dibattito sulla politica territoriale in
Campania e sulle scelte da operare rispetto
alla crescita del sistema industriale
riprenderà in modo più esplicito
contestualmente all’approvazione della legge
634/1957 che avvierà la politica statale
straordinaria per il Mezzogiorno. Tuttavia,
della necessità di inquadrare le scelte per
la città in un programma a scala
territoriale si era parlato in concomitanza
alla redazione del piano regolatore tra il
1954 e il 1958 durante l’amministrazione
Lauro. In relazione alle previsioni
demografiche e alla necessità di
reperire aree per la nuova edificazione
all’esterno del territorio comunale venne
proposta la redazione di un piano
intercomunale. Il piano, incentrato sulla
localizzazione dei nuovi insediamenti
edilizi, prevedeva la creazione di una
“città satellite” a Cuma4 per una
popolazione di 470.000 abitanti e per
un’estensione di 1.875 ettari. Il piano, pur
non approvato, in qualche modo segnò l’avvio
di una politica speculativa sul territorio
dei Campi flegrei.
Nell’immediato dopoguerra il territorio
dell’area napoletana presentava una
struttura fortemente polarizzata dalla
concentrazione di attività economiche e
produttive nel centro urbano di Napoli. Ad
una configurazione del sistema
infrastrutturale storicamente monocentrico e
convergente verso la città, si era
accompagnato un processo di espansione
dell’urbanizzazione lungo le arterie
principali e in corrispondenza delle nuove
infrastrutture viarie: “i nuovi interventi
elevano l’accessibilità di vaste aree, ma
sempre in riferimento a quelle centrali
tradizionali estendendo così le periferie
residenziali fino a decine di chilometri dai
centri urbani dominanti. … Sono gli anni in
cui inizia la saturazione residenziale,
edilizia, industriale di Napoli:
l’urbanizzazione si intensifica notevolmente
nella periferia sconvolgendo la struttura
degli antichi casali agricoli napoletani. …
Le funzioni urbane permangono tuttavia nel
capoluogo e l’area napoletana comincia a
configurarsi come una vasta conurbazione tra
le più squalificate”5.
Nel 1961, in relazione all’art. 21 della
legge 634/1957 che prevedeva l’istituzione
dei Consorzi delle aree di sviluppo
industriale, costituita l’Asi di Napoli,
furono avviati gli studi per la formazione
del piano del comprensorio di competenza. La
scelta di attuare interventi settoriali di
piani industriali comportava una riflessione
sul ruolo dei piani urbanistici regionali6
ma soprattutto poneva la questione del ruolo
dei consorzi industriali rispetto alle
dinamiche di riordino e sviluppo
territoriale.
Intanto, tra il 1962 e il 1964,
l’amministrazione comunale di Napoli
affidava l’incarico ad una commissione,
presieduta da Luigi Piccinato, di redigere
un documento programmatico che definisse gli
indirizzi e le strategie per il riordino
urbanistico del territorio comunale.
Venne dunque redatto lo Schema del piano
comprensorio di Napoli7: un
programma unitario, a scala territoriale,
attuabile attraverso una riorganizzazione
delle infrastrutture viarie ed una
ridistribuzione coordinata delle zone
industriali e dei servizi urbani le cui
linee strategiche comprendevano la
decompressione e riqualificazione funzionale
della fascia costiera, la crescita di un
sistema industriale decentrato rispetto alla
città, la promozione dell’articolazione
metropolitana8.
Figura 1 - Schema intercomunale
(1958) |
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Dopo circa un anno, nella prima relazione al
piano, veniva denunciato lo squilibrio
economico, sociale e urbanistico tra la
città e il territorio attiguo. Occorreva
creare le condizioni per invertire i
processi di congestionamento all’interno
della città e lungo la fascia costiera: “la
città prevista dal Piano Regolatore e dal
Piano Comprensoriale si configura come una
grande area metropolitana organizzata nel
territorio circostante, che avrà come
capisaldi uno sviluppo aperto, distribuito
da nord-ovest a sud-est nella fascia
dell’entroterra, collegato con la fascia
costiera principalmente con un sistema
urbano facente capo, da nord-est al sistema
portuale, alle zone direzionali e alla
attuale compagine cittadina”9. Un
programma unitario, dunque, attuabile
attraverso una riorganizzazione delle
infrastrutture viarie e una ridistribuzione
coordinata delle zone industriali e dei
servizi urbani: “vengono inoltre fissati per
il territorio urbano alcuni obiettivi
fondamentali: la decompressione edilizia con
diminuzione drastica delle densità fino ad
allora consentite; una struttura viaria
adeguatamente aperta che impedisca
l’espansione a macchia d’olio; un sistema di
infrastrutture per collegare il porto
all’entroterra; la realizzazione di
attrezzature collettive e di servizi; il
risanamento conservativo e la valorizzazione
del centro storico”10.
In particolare, per poter ripristinare una
situazione di equilibrio e con l’obiettivo
di decongestionare la città e la zona
costiera, occorreva fondare il modello di
sviluppo urbano ed economico lungo due linee
parallele: la prima da Pozzuoli a
Castellammare secondo un processo di
riordino e riqualificazione delle
preesistenze, la seconda, parallela e
interna, come fascia di sviluppo lungo la
quale dislocare una rete di aree
residenziali e produttive, poste ad una
distanza dal mare e dalla città, tale da
evitare fenomeni di conurbazione: “si
esprimeva, in sostanza una logica
complessivamente tesa alla organizzazione,
ad una certa distanza nell’interno, di una
struttura insediativa sufficientemente forte
e integrata da sfuggire alla gravitazione
insediativa verso il capoluogo e da mettere,
anzi, in essere una propria capacità di
attrazione, anche al fine di tutelare il
residuo patrimonio agricolo e ambientale più
a ridosso delle aree conurbate”11.
Le due strutture parallele avrebbero dovuto
essere collegate da strutture relazionali e
insediative.
Gli interventi infrastrutturali previsti
dallo schema comprensoriale erano quindi:
- l’asse a scorrimento veloce, parallelo
alla fascia costiera, Villa Literno-Nola;
- un tronco autostradale a est del Vesuvio;
- l’ampliamento e potenziamento del tronco
autostradale Napoli-Pompei;
- la realizzazione di un nuovo sistema a
scorrimento veloce nella zona urbana (la
tangenziale);
- il completamento del tronco Lago
Patria-Melito fino all’innesto con la
Napoli-Bari;
- il potenziamento del tronco
Qualiano-Cancello Arnone al fine di
garantire il collegamento tra i due assi
est-ovest.
Rispetto al sistema su ferro le scelte
puntavano ad una integrazione delle
connessioni tra i sistemi esistenti della
rete delle Ferrovie dello Stato, della
Circumvesuviana, della Circumflegrea e della
Cumana, con l’obiettivo di creare una rete
metropolitana urbana. Inoltre, era prevista
la creazione di un tronco di collegamento
tra il ramo ferroviario Caserta-Salerno e il
ramo Napoli-Aversa-Roma.
La localizzazione degli insediamenti
residenziali e industriali era prevista
secondo questo schema:
- un’area industriale ed una residenziale
nel territorio di Giugliano;
- due aree industriali e cinque aree
residenziali lungo l’asse di scorrimento
Napoli-Marcianise;
- un’area industriale ed una residenziale a
sud di Pomigliano d’Arco;
- tre aree industriali e due aree
residenziali tra Pompei e Nocera Inferiore.
Figura 2 - Proposta di assetto
territoriale regionale (1964) |
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È importante evidenziare come attraverso le
indicazioni espresse nel progetto a scala
territoriale venissero precisate le
indicazioni strategiche per la definizione
del piano regolatore per Napoli: la
realizzazione di un sistema di connessioni
infrastrutturali tra città e territorio, la
riduzione della densità edilizia del centro
urbano, l’incremento delle dotazioni di
attrezzature, il potenziamento dei servizi e
delle attività direzionali e turistiche, il
risanamento del centro storico.
Oltre che definire le strategie per il piano
regolatore, lo schema per il comprensorio
individuava una serie di orientamenti che
furono recepiti nel piano Asi di Napoli
approvato nel 1968. In particolare vennero
recepite le indicazioni localizzative e
infrastrutturali con un correttivo indotto
dalla localizzazione dell’Alfa Sud a
Pomigliano d’Arco12. Gli
interventi previsti furono suddivisi in
sette agglomerati così localizzati: Caivano
(293 ha), Acerra (268 ha) e Nola-Marigliano
(388 ha) lungo l’asse Aversa-Nola al confine
con la Provincia di Caserta; Giugliano (113
ha) e Arzano (80 ha) nel settore nord-ovest;
Pomigliano d’Arco (301 ha) nel nord-est;
infine, più verso il salernitano,
l’agglomerato della foce del Sarno (66 ha).
Le scelte operate per la localizzazione
delle Asi implicavano una serie di
conseguenze che comportarono effetti di
ulteriore centralizzazione di Napoli
rispetto al territorio. In effetti, la
validità di piano territoriale del piano
dell’area di sviluppo industriale era stata
definita dal Ministero solo per il settore
delle localizzazioni industriali e delle
infrastrutture connesse; pertanto venivano a
definirsi vaste zone agricole da
infrastrutturare che diventavano in questo
modo i poli di attrazione dell’edilizia
speculativa. Come osserva Alessandro Dal
Piaz: “dal momento che il piano regolatore
dell’area di sviluppo industriale non
considerava in alcun modo i problemi della
riqualificazione urbana degli aggregati
insediativi preesistenti, o quelli
dell’adeguamento al loro interno di
attrezzature e servizi o quelli dello
sviluppo di moderne attività terziarie
opportunamente diffuse secondo un reticolo
equilibrato, esso finiva – al di là delle
proiezioni nel territorio di nuove
localizzazioni produttive – per rafforzare
il ruolo dominante di Napoli, il cui potere
polarizzante veniva confermato e anzi
esaltato”13.
Figura 3 - Localizzazione aree Asi
(1968) |
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Tra il 1966 e il 1969 venne elaborata da una
nuova commissione, coordinata da Luigi
Piccinato, la Proposta di assetto
territoriale regionale14 per
conto del Provveditorato alle opere
pubbliche. Articolato in due fasi, una di
analisi delle caratteristiche economiche e
territoriali, una di indicazione delle
scelte politiche da attuare, lo schema
proponeva una nuova distribuzione
demografica sull’intero territorio
regionale, indicando processi di sviluppo
per invertire la tendenza della
concentrazione demografica dalla fascia
costiera all’interno. Si proponeva, quindi,
un assetto del territorio strutturato in una
forma di policentrismo: entità
territoriali o comprensori, aree
urbanizzate autosufficienti e integrate,
organicamente relazionati da canali di
connessione. La Proposta presentava
alcuni limiti e venne criticata perché
ritenuta estranea ad un’effettiva
valutazione e valorizzazione delle risorse
territoriali. Inoltre, venne evidenziato la
mancanza di un approfondimento circa la
definizione del comprensorio e soprattutto
la mancanza di una definizione precisa della
natura e, quindi, degli obiettivi e dei
ruoli, dei canali di collegamento15.
Tuttavia i contenuti della Proposta
furono ripresi e approfonditi nello studio
per lo Schema del piano generale del
comprensorio di Napoli, disposto dal
Provveditorato alle opere pubbliche nel
1970. Lo schema era articolato secondo tre
parti: il sistema degli squilibri, il
sistema dei criteri di intervento e
il sistema degli interventi operativi.
L’assetto del territorio del comprensorio di
Napoli veniva dunque analizzato attraverso
gli squilibri tra la concentrazione della
popolazione e la localizzazione delle
componenti residenziali e di servizio. Oltre
ad una consapevolezza del potenziamento del
ruolo di Napoli rispetto al territorio, si
denunciava un aggravarsi dello squilibrio
tra carico demografico e capacità
insediativa del territorio. Rispetto ad una
previsione all’anno 2000 di 4.115.000
abitanti, la domanda di aree di nuova
urbanizzazione per il soddisfacimento della
domanda abitativa e di servizi risultava
pari al 24% dell’area comprensoriale.
Il sistema dei criteri di intervento si
basava sul principio del riequilibrio
dimensionale e distributivo della
popolazione attraverso una limitazione della
crescita edilizia nei centri maggiori ed un
potenziamento di insediamenti residenziali,
industriali e di servizio nel settore
nord-est del comprensorio: “il criterio di
riequilibrio urbanistico proposto si fondava
su un meccanismo di sviluppo integrante le
componenti secondo un disegno globale di
distribuzione della popolazione, di
destinazione d’uso del territorio, di
definizione della rete cinematica ponendo,
come limite allo sviluppo degli
insediamenti, vincoli territoriali
riguardanti le zone di fondamentale e
particolare importanza agricola, le zone
turistiche e quelle di particolare interesse
storico-ambientale”16.
Sulla base di questa linea strategica gli
interventi operativi erano articolati
secondo un sistema policentrico di unità
territoriali (subcomprensori) con funzioni
di riequilibrio e di “dimensioni tali da
garantire l’effetto città e costituire
quindi degli operatori di primo livello nel
meccanismo delle interrelazioni
comprensoriali”17.
Figura 4 - Il programma
straordinario per le aree esterne
alla città di Napoli (1980) |
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Con la suddivisione in sub-comprensori si
sarebbe venuto a creare un sistema di unità
territoriali connesse in cui Napoli
costituiva il polo terziario; le
attrezzature di primo livello, localizzate
secondo una direzione nord-sud (strutture
spinali), dovevano essere collegate da
reti di interscambio alle funzioni di
secondo livello dei singoli comprensori; la
realizzazione di strutture urbanistiche,
caratterizzate da relazioni tra residenza e
industria, avrebbe innescato l’effetto
città. Il comprensorio dunque era inteso
come sistema policentrico in cui la
riorganizzazione e lo sviluppo
dell’industria costituivano gli elementi
capaci di orientare la localizzazione di
residenza e servizi e quindi in grado di
orientare le forme di riequilibrio
territoriale: “la priorità veniva quindi
attribuita agli interventi finalizzati allo
sviluppo produttivo industriale e quindi
alle opere infrastrutturali; successivamente
si sarebbero dovute realizzare le strutture
spinali di residenza e servizi, quindi la
ristrutturazione degli abitati esistenti”18.
Nel mese di giugno del 1974 la giunta
regionale approvò la Proposta degli
indirizzi politico-operativi per la
programmazione economica e territoriale
della Regione Campania. Si trattava di
un documento politico-programmatico voluto
dalla giunta di centro sinistra in cui
venivano delineate le principali strategie
di sviluppo economico e di valorizzazione,
conservazione e razionalizzazione delle
risorse territoriali. Rispetto a Napoli e
alla sua area metropolitana le proposte
puntavano ad una riqualificazione attraverso
la localizzazione delle aree industriali
lungo la fascia esterna della città,
l’articolazione policentrica delle attività
terziarie e la riorganizzazione del sistema
infrastrutturale.
In particolare le tematiche relative alla
politica dei trasporti verranno approfondite
in relazione alla convinzione che
costituivano una componente primaria nella
definizione dei programmi di riequilibrio
economico e territoriale. Già agli inizi
degli anni Settanta la regione aveva
proposto come linee di intervento
l’organizzazione e l’incremento del sistema
infrastrutturale, la riorganizzazione dei
servizi e della gestione dei servizi e il
rilancio del sistema ferroviario.
Figura 5 - Il progetto del sistema
delle strade nel Programma
straordinario (1980) |
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Agli inizi degli anni Settanta fu approvato
il Piano comprensoriale dei trasporti
redatto dal Comune di Napoli, correlato alle
indicazioni espresse nei precedenti piani
comprensoriali, costituiva uno strumento di
riferimento per la riqualificazione del
centro urbano di Napoli, per il recupero del
centro storico e per la riorganizzazione
delle periferie. Il sistema era impostato
principalmente sulle interrelazioni tra
Napoli, le nuove città di Aversa e Nola, il
nuovo centro direzionale e gli insediamenti
industriali delle Asi. All’interno della
città, si prevedeva la realizzazione di
sistemi su ferrovie metropolitane veloci, ad
alta frequenza, automatizzate, oltre ad un
sistema di autostrade urbane ed extraurbane
strutturato in base alle direzioni
prevalenti. A scala territoriale l’obiettivo
era sempre il riequilibrio demografico e
organizzativo rispetto al predominante ruolo
fisico e funzionale di Napoli sul suo
territorio: “la rete comprensoriale è
interessata dalla trasformazione
dell’attuale sistema centrato su Napoli, in
un assetto policentrico orientato secondo
due direttrici di insediamento, quella
costiera e quella interna, la prima
derivante dalla strutturazione della realtà
esistente, la seconda originata dalla stessa
azione di riequilibrio che trova concretezza
in una serie di insediamenti allineati lungo
la direttrice Nola-Aversa-Teano. Tra queste
due direttrici dovrebbero stabilirsi delle
relazioni trasversali, tra cui quelle
nord-sud attorno all’asse baricentrico
Napoli-Caserta, lungo il quale insediare il
Centro Direzionale Regionale”19.
La politica territoriale agli inizi degli
anni Ottanta veniva fortemente condizionata
dalle vicende legate al terremoto del
novembre 1980. Alle già evidenziate
problematiche dell’area napoletana si
aggiungeva la necessità di localizzare i
nuovi insediamenti abitativi previsti dal
programma di ricostruzione20.
I danni e le conseguenze del terremoto del
23 novembre 1980 costrinsero
l’amministrazione comunale a trovare le
soluzioni allo stato di emergenza che si era
venuto a creare: 147.000 sfollati, 6.810
edifici inagibili, 4.675 ordinanze di
sgombro, 300 strade chiuse al traffico, 200
scuole occupate dagli sfollati.
Il primo atto legislativo approvato, il
decreto n. 776 del 26 novembre 1980,
convertito nella legge 22 dicembre 1980, n.
874, affidava al commissario straordinario
per le zone terremotate il compito di
provvedere alla installazione di alloggi
temporanei da destinare alle famiglie senza
tetto, disponendo anche alla realizzazione
delle necessarie infrastrutture, e di
provvedere alla concessione di contributi
per un importo pari a dieci milioni di lire
per il ripristino di abitazioni o di parti
di condominio sinistrate.
In relazione a questi atti si aprì un
dibattito sulle scelte urbanistiche da
adottare. In particolare l’Istituto
nazionale di urbanistica evidenziava la
necessità di individuare le possibili zone
di espansione edilizia nell’ambito di un
programma di sviluppo urbanistico
dell’intera area napoletana. Si riteneva,
infatti, opportuno che le aree di espansione
fossero individuate fuori dell’area del
comune, opportunamente distribuite sul
territorio e prevedendo una forma di accordo
tra i comuni per l’attuazione di strumenti
pianificatori a scala sovracomunale. Tra gli
studi elaborati in quegli anni anche il
documento elaborato dal Cresme21,
Proposta per Napoli, definiva
l’importanza dell’estensione della strategia
di intervento alla scala metropolitana e
individuava nella realizzazione delle nuove
residenze uno degli elementi atti ad
attivare la riorganizzazione
urbano-territoriale della conurbazione
napoletana. In particolare, in relazione al
sistema della mobilità esistente e
programmata, furono individuate due
alternative per la localizzazione dei nuovi
insediamenti. Una prima ipotesi considerava
la possibilità di realizzare un sistema
insediativo lineare lungo la ferrovia Villa
Literno-Pozzuoli associato alla futura
possibilità di un collegamento metropolitano
con Napoli e i comuni della fascia
vesuviana, nonché all’ipotesi di
realizzazione di un parco naturale e
archeologico nei Campi Flegrei. La seconda
soluzione proponeva la realizzazione dei
nuovi insediamenti, anche in una logica di
riconnessione e riorganizzazione degli
insediamenti esistenti, in corrispondenza
della tratta della linea della
Circumvesuviana Napoli-Baiano verso i comuni
più interni di Cimitile e Baiano. Da un
punto di vista operativo e gestionale si
proponeva di istituire un organismo a cui
affidare l’integrale gestione delle
operazioni sia nella prima fase di nuova
espansione sia nella seconda fase di
riqualificazione dell’esistente.
In una fase convulsa dovuta al post
terremoto, in attuazione al titolo della
legge 219/1981, venne redatto il programma
per l’Intervento straordinario per la
ricostruzione dell’area napoletana che,
oltre a definire localizzazione e dimensioni
dei nuovi insediamenti abitativi, si poneva
l’obiettivo di attivare un programma di
riqualificazione e riequilibrio
dell’hinterland napoletano.
Rispetto alla problematica dell’area a cui
estendere l’intervento, venne adottata la
perimetrazione individuata dal Comitato
tecnico scientifico regionale che
comprendeva la Provincia di Napoli, escluso
le Usl e la penisola sorrentina, e alcuni
comuni della Provincia di Caserta. Questa
scelta confermava in qualche modo la volontà
di spingere l’espansione verso l’interno a
nord di Napoli e limitare la congestione
della fascia costiera. L’intero programma
trovava il suo riferimento strategico e
operativo negli Indirizzi di assetto del
territorio approvati dalla giunta
regionale nel mese di agosto del 1981. Le
linee di intervento proponevano la
ricucitura e la riqualificazione del sistema
urbanistico territoriale; l’utilizzo di
strumenti e finanziamenti straordinari per
la realizzazione degli interventi
infrastrutturali necessari; una
riorganizzazione a scala locale e regionale
del reinsediamento della popolazione.
Il territorio napoletano fu diviso in
quattro sub-aree: l’area di Pozzuoli e di
Giugliano, la direttrice aversana, la
direttrice nolana e l’area vesuviana. È
importante evidenziare come i criteri in
base ai quali vennero individuati i comuni
per la localizzazione dei nuovi insediamenti
furono definiti secondo un ragionamento a
scala regionale. I fattori presi in
considerazione furono: “lo stato della
strumentazione urbanistica dei comuni
dell’area napoletana, in prevalenza dotati
di soli Programmi di Fabbricazione, spesso
obsoleti; le condizioni di degrado dei
centri urbani e di compromissione di estese
aree agricole circostanti; i fenomeni di
congestione urbana e di traffico, di
precarietà del sistema idrogeologico in più
casi, e più generalmente di carenze di
infrastrutture idriche e fognanti, di idonei
collegamenti cinematici con la città di
Napoli; la preoccupazione di non
condizionare con scelte di emergenza quelle
che avrebbero potuto essere future opzioni
di riequilibrio e di assetto
socio-urbanistico dell’area napoletana, pure
allo studio da parte della Regione e
comunque auspicate dalla L. 219 stessa
all’art. 35 sui Programmi Regionali di
Sviluppo; la commistione, senza soluzione di
continuità, dei comuni di «corona» alla
città di Napoli, con connotazioni di degrado
e nello stesso tempo di imperfette
caratteristiche «urbane», che sollecitano
forti interventi riqualificativi; lo stato
di operatività dei Piani di Zona «167» nella
prevalenza dei comuni dell’area napoletana,
dovuto al loro sovradimensionamento, alla
carenza di adeguate assegnazioni
finanziarie, nonché a irrisolti problemi
infrastrutturali”22.
I successivi anni Ottanta furono
caratterizzati da vicissitudini politiche
incerte e da un dibattito urbanistico
vincolato più a posizioni politiche e
interessi economici che non ad un programma
culturale che completasse il ragionamento
sulla città e l’area metropolitana avviato
negli anni Sessanta. Alla fine degli anni
Ottanta l’hinterland napoletano già
presentava una situazione di forte crescita
edilizia a cui non si è accompagnato un
incremento o anche solo un adeguamento delle
funzioni alla nuova dimensione.
Note
1
In particolare ci si riferisce
all’esperienza di Adriano Olivetti per il
piano regolatore della Valle d’Aosta del
1934 considerato uno dei primi piani estesi
alla scala provinciale in cui si esprimeva
l’esigenza di correlare la nuova espansione
urbana alle organizzazioni territoriali
dell’industria e della agricoltura.
2
Relazione al Piano Regolatore della città
di Napoli, Napoli, 1936, p. 19.
3
Relazione al Piano Regolatore della città
di Napoli, Napoli, 1936.
4
“Il Monte Nuovo, il lago d’Averno, il lago
Fusaro, l’acropoli e la città antica di Cuma,
la pineta di Licola, il Monte Ruscello, i
crateri del Campiglione, la via Campana
antica, venivano letteralmente sommersi
dalla marea edilizia che senza soluzione di
continuità, si abbatteva implacabilmente
«sul territorio a più alto prestigio
culturale d’Italia», cancellando le più
insigni testimonianze archeologiche, le più
celebri bellezze naturali e paesistiche e
gli aspetti scientificamente più
interessanti dei fenomeni vulcanici e delle
caratteristiche geologiche dei Campi Flegrei”.
In De Lucia V. E., Jannello A. (1976),
L’urbanistica a Napoli dal dopoguerra ad
oggi: note e documenti, in
“Urbanistica”, n. 65, p. 31.
5
It. Urb. 80. Rapporto sullo stato
dell’urbanizzazione in Italia, “Quaderni
di Urbanistica Informazioni, n. 8, 1990, p.
231.
6
Già alla fine degli anni Cinquanta il
Ministero dei lavori pubblici aveva promosso
gli studi per un piano regionale della
Campania. Il lavoro fu condotto da Nello
Novacco e Manlio Rossi Doria e costituisce
il primo documento in cui veniva analizzata
in modo sistematico e unitario le realtà
insediative e l’organizzazione produttiva.
Rispetto ad una situazione di squilibrio e
arretratezza, le analisi e le indicazioni di
Novacco e Rossi Doria si ponevano come “una
proposta, in sostanza, di razionalizzazione
delle tendenze spontanee in riferimento al
metodo e alla logica dello «schema Vanoni»,
finalizzata all’impostazione di un
coordinamento unitario alla scala regionale
delle scelte urbanistico-edilizie degli enti
locali, di un’ipotesi di consequenzialità
(anche sul piano delle priorità)
nell’organizzazione degli interventi
pubblici, di un quadro di limiti e
salvaguardie a garanzia delle risorse
paesistico ambientali più importanti”. In
Dal Piaz A. (1985), Napoli 1945-1985.
Quarant’anni di urbanistica, Napoli, p. 50.
7
Cfr. Cerami G., Forte F. (1983), L’area
metropolitana di Napoli. Metodologie e
indirizzi per il piano dell’area napoletana,
Napoli.
8
Lo schema proposto da Piccinato faceva
riferimento ai contenuti dello studio di
Novacco e Rossi Doria.
9
Relazione del Piano del comprensorio del
Comune di Napoli del 28 gennaio 1964.
10
De Lucia V. E., Jannello A., op. cit.,
p. 36.
11
Dal Piaz A. (1985), Napoli 1945-1985.
Quarant’anni di urbanistica, Napoli, p.
55.
12
“Per il piano regolatore di sviluppo
industriale dell’area di Napoli, l’obiettivo
della decompressione funziona
sostanzialmente da alibi subdolo e
mistificatorio. Di quale decompressione si
tratti, è facile comprenderlo già
dall’esplicita affermazione circa il ruolo
di baricentro regolatore da assegnare
all’Alfa Sud di Pomigliano d’Arco: un
baricentro che si colloca a poco più di 10
km dalla costa e dal centro della città di
Napoli e che chiude definitivamente la
lungamente riaffermata prospettiva di
apertura verso l’interno”. In De Lucia
V. E., Jannello A. (1976), L’urbanistica
a Napoli dal dopoguerra ad oggi: note e
documenti, in “Urbanistica”, n. 65, p.
47.
13
Dal Piaz A. (1985), Napoli 1945-1985.
Quarant’anni di urbanistica, Napoli, p.
53.
14
La proposta venne presentata nel 1969 al
Comitato regionale di programmazione
economica che espresse parere favorevole nel
1970.
15
“La pianificazione regionale, in definitiva
affrontata con il bagaglio concettuale e
strumentale della pianificazione urbanistica
(standard e zonizzazione, sia pure in
versione sui generis), con il
risultato di produrre elaborazioni
inefficaci e astratte e, di riflesso, di
contribuire involontariamente alla
svalutazione che, con ben altra interessata
consapevolezza, forze diverse tentavano di
condurre nei confronti della pianificazione
urbanistica attaccandone sul piano culturale
proprio l’apparato concettuale e
strumentale”. In Dal Piaz A. (1985),
Napoli 1945-1985. Quarant’anni di
urbanistica, Napoli, p. 64.
16
Cerami G., Forte F. (1983), L’area
metropolitana di Napoli. Metodologie e
indirizzi per il piano dell’area napoletana,
Napoli, p. 76.
17
Relazione Schema del Piano Generale del
Comprensorio di Napoli in Cerami G.,
Forte F., op.cit., p. 77.
18
Cerami G., Forte F., op.cit, p. 78.
19
Cerami G., Forte F., op.cit, p. 88.
20
“Il rigonfiamento della periferia napoletana
si lega alla vivace dinamica demografica di
un’area che già racchiude contingenti di
popolazione in eccesso e, più di recente,
alle conseguenze indotte dal sisma del 1980,
che ha spinto alla realizzazione di un vasto
parco di alloggi in buona parte accentrato
su spazi relativamente prossimi al nucleo
centrale. … Sembra l’avvio di un’ulteriore
fase di colmata progressiva di ogni
interstizio, ancora libero, in presenza di
un decentramento che resta soprattutto
residenziale, alimentato oggi, più che nel
passato, dall’acuirsi dei problemi della
metropoli partenopea”. In Viganoni L. (1992)
(a cura di), Città e metropoli
nell’evoluzione del Mezzogiorno, Milano,
p. 20.
21
Il gruppo di tecnici che elaborò il
documento era coordinato da Vezio De Lucia.
22
Dal terremoto al futuro. La ricostruzione
a Napoli, vol. 1, Napoli, 1991, p. 183.
Le Figure 1, 2 e 3 sono
tratte da: De Lucia V. E., Jannello A.
(1976), L’urbanistica a Napoli dal
dopoguerra ad oggi: note e documenti, in
“Urbanistica”, n. 65.
Le Figure 4 e 5 sono tratte
da: Dal terremoto al futuro. La
ricostruzione a Napoli, volumi 1-2,
Napoli, 1991. |