Numero 5 - 2002

 

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Per una dimensione efficiente della pianificazione urbanistica


Roberto Gerundo


 

Ultima innovazione della sezione recensioni è riservata alla presentazione dei quaderni di approfondimento che si affiancano alla rivista, trattando temi monografici o riportando atti di convegni o cataloghi di mostre o quant'altro non esaustivamente riproducibile nel suo corpo. Di seguito si riporta l'introduzione predisposta da Roberto Gerundo al primo numero di Schede di  , dedicato ad una mostra sulla ricostruzione di Berlino, organizzata da Giovanni Giannattasio presso l'Università di Salerno, nel marzo 2003

 

è una rivista semestrale nata sul finire del 2000, redatta dal gruppo di tecnica e pianificazione urbanistica del Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Salerno ed edita dalla Provincia di Salerno.

Il progetto editoriale ha puntato a dare vita ad un giornale di pianificazione urbanistica e organizzazione del territorio, ormai al suo sesto numero, cui affiancare, di lì a qualche anno, con una collana di quaderni che avrebbe dovuto riportare monografie, saggi, sintesi di ricerche, atti di convegni e quant’altro necessitasse di uno spazio ampio ed articolato, in testi ed immagini, non ospitabile integralmente nella griglia preordinata della rivista.

Con il presente volume, primo delle Schede di    , si è data concretezza operativa, a tale progetto.

Quali sono gli obiettivi del percorso avviato, sia con la rivista madre sia con Schede? Di duplice natura: culturale e disciplinare.

La sfida culturale ha inteso proporre l’Università quale soggetto dotato di un’interfaccia con il territorio, con capacità di ascolto dinamica e pluridisciplinare oltre che della tradizionale interpretazione, spesso accademicamente unilaterale, dei fenomeni territoriali.

Ciò si è reso possibile anche attraverso forme di partecipazione e diffusione dell’informazione che       e con essa le sue Schede sapranno realizzare, ricorrendo alle infinite potenzialità della rete, collocando i relativi materiali su internet ed accompagnandoli con forme di coinvolgimento telematico quali forum, mailing list, community, newsletter.

Per quanto attiene agli aspetti disciplinari, lo stesso nome della rivista delinea un filone di ricerca che scaturisce da una specifica esigenza: individuare l’estensione ottimale di un territorio da assoggettare a particolari previsioni di assetto urbanistico e la necessaria efficacia di queste ultime. Il richiamo alla vastità dell’area da assoggettare ai piani urbanistici non vuole, nel nostro caso, avallare il semplicistico rimando ad inquadramenti sempre più dilatati, quale fittizia garanzia volta a meglio sopportare le incertezze interpretative e previsionali derivanti dalla intrinseca complessità dei sistemi urbani e territoriali.

Al contrario, intende spingere nella ricerca di una dimensione minima efficiente, caratteristica dei territori oggetto di determinate ipotesi di intervento.

Si tratta di tentare la costruzione di una tassonomia della sussidiarietà nella pianificazione urbanistica.

Negli ultimi 50 anni, i processi di governo del territorio si sono appoggiati, riuscendo a sopravvivere, alla dimensione amministrativa comunale.

Il piano regolatore generale ha così trovato capillare diffusione a livello nazionale a differenza del piano territoriale di coordinamento, frenato dall’incerta dimensione di riferimento.

Per quest’ultimo, il definitivo decollo è potuto avvenire solo nel 1990, con il riordino delle autonomie locali, all’interno del quale si fa coincidere univocamente l’ambito amministrativo provinciale con l’oggetto della pianificazione territoriale di coordinamento.

Di tale certezza, come era stato mezzo secolo prima per il piano regolatore generale, non si è tratto o trarrà che giovamento, almeno in una prima fase di regolamentazione di territori sino ad oggi contraddittoriamente governati.

Concettualmente, tuttavia, non si può non convenire su quanto si sia dovuto arretrare, nel corso di tutti questi anni, sul versante della efficiente individuazione e conseguente pianificazione di ambiti territoriali che avrebbero necessitato di essere regolamentati contestualmente, anche se al di fuori delle rigide delimitazioni amministrative comunali e provinciali.

Il piano regolatore generale è stato costretto ad ignorare le indispensabili integrazioni funzionali che, nei contesti metropolitani ma, sempre più spesso, anche a limitata densità abitativa, sono richieste dalla conformazione e dalla organizzazione pregressa del territorio.

Le stesse trasformazioni subcomunali, talvolta autonomamente prevedibili senza timore di una mancata verifica di superiore congruenza, sono state ritardate nella esplicazione di loro benefici effetti.

A ben vedere, i rimedi a tali insufficienze strategiche del piano regolatore generale furono offerti, già in origine, dalla stessa legge 1150/1942, istitutiva dell’attuale modello di governo del territorio.

I piani regolatori generali intercomunali e le varianti parziali avrebbero dovuto dare flessibilità allo strumento, migliorandone l’efficacia in condizioni particolari.

I primi non vennero frequentati, se non molto raramente, dalle amministrazioni comunali, mentre le seconde furono smodatamente utilizzate senza sufficienti verifiche di coerenza al contorno.

Nel corso degli anni ’90 si è cercato di rimediare attivando la pianificazione territoriale di coordinamento a livello provinciale e la programmazione urbana complessa estesa a porzioni di territorio comunale.

 

 

A partire dal 1993, con la riforma legislativa che ha portato alla elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle province, gli interventi urbanistici sulle città, nella maggior parte dei casi limitati a loro parti, ha subito una fase di eccezionale accelerazione, seguita, con un certo distacco temporale, dovuto alla maggiore complessità delle problematiche e ad una inadeguatezza organizzativa a produrre atti di pianificazione territoriale, dalla elaborazione di politiche di assetto alla scala vasta. 

Il peso politico ed anche culturale dei sindaci dei maggiori comuni italiani, tradottosi nel movimento di opinione denominato “le cento città”, ha determinato un forte ammodernamento urbano, a cominciare dai capoluoghi di provincia.

Ciò ha fatto registrare un formidabile passo in avanti nei livelli di qualità dell’amministrazione dell’urbanistica da riconoscere pienamente, ma ha parimente determinato una nuova stagione di neocentralismo urbano e metropolitano, sospinto dal compimento della prima fase di vita di molti insediamenti abitativi realizzati nella prima metà del secolo scorso, oltre che dal processo di dismissione dell’apparato industriale, la cui espansione era culminata con il verificarsi del miracolo italiano che aveva prodotto il boom economico nell’immediato dopoguerra.

Le strategie del riequilibrio territoriale, così come formulate negli anni ’60, sono state di fatto accantonate per densificare le grandi città di ulteriori attrattori territoriali che avrebbero dovuto, viceversa, essere oggetto di ricollocazione nelle aree periferiche ed interne, con il ruolo di nuove centralità antagoniste.

Al giro di boa dell’appena trascorso decennio, si assiste ad una nuova fase di politiche urbanistiche foriere degli auspicati riequilibri: da un lato, le province tendono a riconquistare uno spazio di autorevolezza ipotizzando nuovi assetti territoriali nei loro piani di coordinamento; dall’altro, l’esercito delle mille città di medie dimensioni, in competizione con le grandi, si è attivato per la conquista di nuove funzioni, nella attribuzione dei ruoli urbani sul territorio provinciale e regionale.

Con l’area vasta si tende a definire, quindi, il dominio delle politiche urbanistiche che utilizzano varie modalità di strumenti di pianificazione per favorire l’organizzazione equilibrata, sinergica e complementare, del territorio.

Il primo numero di Schede di  è dedicato ad una mostra sulla ricostruzione di Berlino, a valle della riunificazione delle due germanie, organizzata da Giovanni Giannattasio, anche nel ruolo di primo responsabile scientifico della collana.

Una ricostruzione che, come sempre, ripropone il dilemma concettuale fra centro e periferia, fra concentrazione e riequilibrio.

 

 

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