è una rivista semestrale nata sul finire del 2000, redatta dal
gruppo di tecnica e pianificazione
urbanistica del Dipartimento di Ingegneria
Civile dell’Università di Salerno ed
edita dalla Provincia di Salerno.
Il
progetto editoriale ha puntato a dare vita
ad un giornale di pianificazione
urbanistica e organizzazione del territorio,
ormai al suo sesto numero, cui affiancare,
di lì a qualche anno, con una collana di
quaderni che avrebbe dovuto riportare
monografie, saggi, sintesi di ricerche, atti
di convegni e quant’altro necessitasse di
uno spazio ampio ed articolato, in testi ed
immagini, non ospitabile integralmente nella
griglia preordinata della rivista.
Con il presente volume, primo delle Schede di
, si è data concretezza operativa, a tale progetto.
Quali sono gli obiettivi del percorso avviato, sia con la rivista madre
sia con Schede? Di duplice natura:
culturale e disciplinare.
La sfida culturale ha inteso proporre l’Università quale soggetto
dotato di un’interfaccia con il
territorio, con capacità di ascolto
dinamica e pluridisciplinare oltre che della
tradizionale interpretazione, spesso
accademicamente unilaterale, dei fenomeni
territoriali.
Ciò si è reso possibile anche attraverso forme di partecipazione e
diffusione dell’informazione che
e con essa le sue Schede
sapranno realizzare, ricorrendo alle
infinite potenzialità della rete,
collocando i relativi materiali su internet
ed accompagnandoli con forme di
coinvolgimento telematico quali forum,
mailing list, community, newsletter.
Per quanto attiene agli aspetti disciplinari, lo stesso nome della
rivista delinea un filone di ricerca che
scaturisce da una specifica esigenza:
individuare l’estensione ottimale di un
territorio da assoggettare a particolari
previsioni di assetto urbanistico e la
necessaria efficacia di queste ultime. Il
richiamo alla vastità dell’area da
assoggettare ai piani urbanistici non vuole,
nel nostro caso, avallare il semplicistico
rimando ad inquadramenti sempre più
dilatati, quale fittizia garanzia volta a
meglio sopportare le incertezze
interpretative e previsionali derivanti
dalla intrinseca complessità dei sistemi
urbani e territoriali.
Al contrario, intende spingere nella ricerca di una dimensione
minima efficiente, caratteristica dei
territori oggetto di determinate ipotesi di
intervento.
Si tratta di tentare la costruzione di una tassonomia della
sussidiarietà nella pianificazione
urbanistica.
Negli ultimi 50 anni, i processi di governo del territorio si sono
appoggiati, riuscendo a sopravvivere, alla
dimensione amministrativa comunale.
Il piano regolatore generale ha così trovato capillare diffusione a
livello nazionale a differenza del piano
territoriale di coordinamento, frenato
dall’incerta dimensione di riferimento.
Per quest’ultimo, il definitivo decollo è potuto avvenire solo nel
1990, con il riordino delle autonomie
locali, all’interno del quale si fa
coincidere univocamente l’ambito
amministrativo provinciale con l’oggetto
della pianificazione territoriale di
coordinamento.
Di tale certezza, come era stato mezzo secolo prima per il piano
regolatore generale, non si è tratto o
trarrà che giovamento, almeno in una prima
fase di regolamentazione di territori sino
ad oggi contraddittoriamente governati.
Concettualmente, tuttavia, non si può non convenire su quanto si sia
dovuto arretrare, nel corso di tutti questi
anni, sul versante della efficiente
individuazione e conseguente pianificazione
di ambiti territoriali che avrebbero
necessitato di essere regolamentati
contestualmente, anche se al di fuori delle
rigide delimitazioni amministrative comunali
e provinciali.
Il piano regolatore generale è stato costretto ad ignorare le
indispensabili integrazioni funzionali che,
nei contesti metropolitani ma, sempre più
spesso, anche a limitata densità abitativa,
sono richieste dalla conformazione e dalla
organizzazione pregressa del territorio.
Le stesse trasformazioni subcomunali, talvolta autonomamente
prevedibili senza timore di una mancata
verifica di superiore congruenza, sono state
ritardate nella esplicazione di loro
benefici effetti.
A ben vedere, i rimedi a tali insufficienze strategiche del piano
regolatore generale furono offerti, già in
origine, dalla stessa legge 1150/1942,
istitutiva dell’attuale modello di governo
del territorio.
I piani regolatori generali intercomunali e le varianti parziali
avrebbero dovuto dare flessibilità allo
strumento, migliorandone l’efficacia in
condizioni particolari.
I primi non vennero frequentati, se non molto raramente, dalle
amministrazioni comunali, mentre le seconde
furono smodatamente utilizzate senza
sufficienti verifiche di coerenza al
contorno.
Nel corso degli anni ’90 si è cercato di rimediare attivando la
pianificazione territoriale di coordinamento
a livello provinciale e la programmazione
urbana complessa estesa a porzioni di
territorio comunale.
A partire dal 1993, con la riforma legislativa che ha portato alla
elezione diretta dei sindaci e dei
presidenti delle province, gli interventi
urbanistici sulle città, nella maggior
parte dei casi limitati a loro parti, ha
subito una fase di eccezionale
accelerazione, seguita, con un certo
distacco temporale, dovuto alla maggiore
complessità delle problematiche e ad una
inadeguatezza organizzativa a produrre atti
di pianificazione territoriale, dalla
elaborazione di politiche di assetto alla
scala vasta.
Il peso politico ed anche culturale dei sindaci dei maggiori comuni
italiani, tradottosi nel movimento di
opinione denominato “le cento città”,
ha determinato un forte ammodernamento
urbano, a cominciare dai capoluoghi di
provincia.
Ciò ha fatto registrare un formidabile passo in avanti nei livelli di
qualità dell’amministrazione
dell’urbanistica da riconoscere
pienamente, ma ha parimente determinato una
nuova stagione di neocentralismo urbano e
metropolitano, sospinto dal compimento della
prima fase di vita di molti insediamenti
abitativi realizzati nella prima metà del
secolo scorso, oltre che dal processo di
dismissione dell’apparato industriale, la
cui espansione era culminata con il
verificarsi del miracolo italiano che
aveva prodotto il boom economico
nell’immediato dopoguerra.
Le strategie del riequilibrio territoriale, così come formulate negli
anni ’60, sono state di fatto accantonate
per densificare le grandi città di
ulteriori attrattori territoriali che
avrebbero dovuto, viceversa, essere oggetto
di ricollocazione nelle aree periferiche ed
interne, con il ruolo di nuove centralità
antagoniste.
Al giro di boa dell’appena trascorso decennio, si assiste ad una
nuova fase di politiche urbanistiche foriere
degli auspicati riequilibri: da un lato, le
province tendono a riconquistare uno spazio
di autorevolezza ipotizzando nuovi assetti
territoriali nei loro piani di
coordinamento; dall’altro, l’esercito
delle mille città di medie
dimensioni, in competizione con le grandi,
si è attivato per la conquista di nuove
funzioni, nella attribuzione dei ruoli
urbani sul territorio provinciale e
regionale.
Con l’area vasta si tende a definire, quindi, il dominio delle
politiche urbanistiche che utilizzano varie
modalità di strumenti di pianificazione per
favorire l’organizzazione equilibrata,
sinergica e complementare, del territorio.
Il primo numero di Schede di è dedicato ad una mostra
sulla ricostruzione di Berlino, a valle
della riunificazione delle due germanie,
organizzata da Giovanni Giannattasio, anche
nel ruolo di primo responsabile scientifico
della collana.
Una ricostruzione che, come sempre, ripropone il dilemma concettuale
fra centro e periferia, fra concentrazione e
riequilibrio.
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