Un rapporto sul monitoraggio dell’economia e
del territorio
Le politiche di sostegno alle attività produttive rappresentano un
campo di sempre maggiore interesse per le
istituzioni e un aspetto rilevante della
politica per lo sviluppo in molti paesi
europei. In Italia, poi, la lunga tradizione
delle politiche per il meridione, combinata
con i numerosi interventi in supporto delle
attività industriali diffusisi a partire
dagli anni ‘70, ha determinato un corpo di
interventi estremamente complesso, con una
molteplicità di strumenti normativi che
spesso si sovrappongono e si intrecciano.
La capacità di progettare, di analizzare e di valutare progetti di
singole imprese, o di sostenere programmi
complessi per lo sviluppo locale,
costituiscono un modo attivo per partecipare
alla crescita economica generale del paese
nel suo insieme e di singole porzioni di
territorio.
Le molte politiche di agevolazione del sistema economico nazionale
proposte dallo Stato, vede quest’ultimo
impegnato, nei suoi vari livelli di governo,
a conferire un premio a fronte di
un’attività che dovrebbe tendere verso un
obiettivo considerato di interesse
collettivo.
La
complessità degli obiettivi posti alle
politiche di intervento, la presenza di un
elevatissimo numero di strumenti operativi
di aiuto, le difficoltà di adattamento dei
diversi meccanismi in un sistema articolato
come quello italiano e, infine, le molte
carenze di natura informativa, rende
opportuni e utili una riflessione autonoma e
un approfondimento di analisi sulla materia
da parte di un’istituzione indipendente.
Organizzata da Mps Merchant del gruppo Mps, si è tenuta a
Napoli, il 17/5/2002, la presentazione del 2°
rapporto monitoraggio economia territorio
(Met) nell’ambito di un convegno dal
titolo Le politiche per le attività
produttive. Le regioni e i nuovi strumenti.
Il rapporto ha raccolto analisi sistematiche sulle politiche di
sostegno alle attività produttive in
Italia. Si tratta di un osservatorio
indipendente che analizza, per le venti
regioni italiane, tutti i principali
interventi nazionali e regionali con i
relativi flussi di spesa, effettivi e
stimati, per il periodo 2000-2001.
In occasione del convegno sono stati proposti approfondimenti che
riguardano quattro aspetti. Innanzitutto,
sono stati analizzati gli interventi
realizzati e la concorrenza tra i diversi
strumenti. Un secondo aspetto ha riguardato
gli interventi attuati dalle regioni e le
tipologie di strumenti utilizzati.
L’ottica regionale è dovuta non solo alla
necessità di tener conto di una struttura
produttiva caratterizzata da una
straordinaria varietà di condizioni tra le
regioni, ma anche all’opportunità di dar
conto della trasformazione istituzionale
avvenuta nel corso degli ultimi anni, con il
progressivo decentramento dei poteri
culminato con i cosiddetti decreti Bassanini,
(DLgs 112/1998 e DLgs 123/1998), che hanno
portato alla più rilevante forma di
decentramento esplicita dei poteri nel campo
della politica economica dalla costituzione
delle regioni. A seguito di tale
decentramento, anche gli interventi a
sostegno delle attività produttive sono
divenuti, con alcune eccezioni non
marginali, competenza delle regioni. Un
terzo approfondimento è relativo alle
misure orientate al sostegno del capitale di
rischio delle imprese. Il quarto aspetto è
incentrato sulle cosiddette politiche di spin-off
tecnologico con le quali si favorisce la
diffusione di pratiche innovative dai centri
di ricerca e dalle università verso imprese
nuove o già operative. Il quadro
internazionale, infine, è offerto dal
contributo del Direttore degli aiuti di
Stato della Commissione europea, che ha
fornito un’analisi relativa
all’evoluzione degli strumenti nei
principali paesi europei e degli indirizzi
comunitari in materia.
Le attività, cui si è fatto riferimento, richiedono la presenza di
nuove competenze con elevate qualificazioni,
che possono essere sviluppate solo in gruppi
caratterizzati dalla contemporanea
attenzione alla singola impresa e al sistema
sociale ed economico nel suo insieme.
Gli istituti finanziari capaci di inserirsi in questi segmenti sono in
grado di cogliere nuove opportunità di
mercato attraverso la presenza in servizi
moderni e in forte espansione, ma anche di
proporsi come soggetti capaci di promuovere
lo sviluppo, contemperando armonicamente
interessi microeconomici e interesse
collettivo.
Decentramento amministrativo e sistema degli
incentivi alle imprese
Il decentramento
Il processo di riforma amministrativa, avviato sotto la duplice forma
di decentramento e semplificazione, con la
legge 59/1997 è proseguito con i decreti
attuativi DLgs 112/1998 e DLgs 123/19981.
In sostanza, con tali DLgs, il Governo ha
assolto a un duplice obiettivo:
1. provvedere a trasferire, in parte, la titolarità dell’indirizzo e
della gestione delle politiche di sostegno
alle imprese e alle amministrazioni
pubbliche fisicamente più vicine alle
attività produttive;
2. porre i presupposti di una razionalizzazione dei sistemi di sostegno
alle attività economiche, orientandoli
verso una standardizzazione delle procedure
agevolative.
L’obiettivo è quello di porre ordine a un sistema dei regimi di
aiuto alle imprese estremamente
frastagliato, con ben più di 1.500 modalità
di organizzazione delle forme di sostegno
previste, una pluralità di soggetti
coinvolti nella gestione della attuazione e
non poche sovrapposizioni di competenze tra
Stato, regioni, enti locali e istituti di
promozione (Caprioli E., 1998). Con il Dpcm
26/5/2000, infine, sono stati individuati i
beni e le risorse umane, finanziarie,
strumentali e organizzative da trasferire
alle regioni per l’esercizio delle
funzioni in materia di incentivi alle
imprese.
Il sistema degli incentivi alle imprese
La distribuzione regionale degli interventi risente in misura
sostanziale dell’orientamento dello
strumento; si tratta, in gran parte, di
aiuti che operano in deroga al trattato di
Roma, che ha fissato le linee per la
concorrenza all’interno dell’attuale
Unione europea (Ue), e possono, quindi,
rivolgersi alle aree in ritardo di sviluppo
o al sostegno di specifiche attività.
È naturale, quindi,
una distribuzione fortemente concentrata
nelle regioni meridionali, con la
significativa eccezione delle politiche per
l’innovazione e la ricerca che vedono
un’accentuata specializzazione delle
regioni a maggior grado di sviluppo.
Per gli interventi relativi alle norme nazionali è possibile proporre
un raggruppamento nelle seguenti sei
tipologie:
1. norme storiche e settoriali: si tratta di interventi che si
riferiscono a norme risalenti a periodi
lontani e che ancora erogano; interventi che
agiscono semplicemente su un bonus riferito
ai tassi di interesse per gli affidamenti;
e, infine, interventi per la riconversione
produttiva: si tratta, in generale, di
interventi di dimensione relativamente
modesta, ad eccezione della legge 64/1986
che costituisce il secondo intervento, in
ordine di importanza riferita alle
erogazioni, del periodo considerato2;
2. fasce deboli e microimpresa: si tratta dell’intervento a
sostegno dell’imprenditorialità giovanile
nel Mezzogiorno, legge 44/1986, largamente
prevalente in termini quantitativi, e di
quello a sostegno dell’imprenditoria
femminile3;
3. innovazione e ricerca: gli interventi compresi in questa
categoria sono quelli riferiti alla legge
46/1982, sia relativi al fondo per
l’innovazione tecnologica sia al fondo
ricerca applicata, quelli della legge
317/1991 e quelli della 488/1992 ricerca4;
4. automatici con credito di imposta: sono considerati gli
interventi della legge 266/1997, art. 8,
quelli della 140/1997 e della 341/1995, art.
2: considerando determinante per il
raggruppamento la modalità applicativa
rispetto all’obiettivo indicato5;
5. programmazione negoziata: in questa categoria sono compresi i
tre strumenti principali con riferimento
agli aiuti alle imprese: patti
territoriali (legge 662/1996 art. 2), contratti
d’area (legge 662/1996 art. 2, comma
203) e contratti di programma (legge
488/1992, art. 1, comma 3);
6. legge 488/1992 industria: si tiene separato l’intervento di
gran lunga più importante dal punto di
vista quantitativo.
È il caso di chiarire subito che l’obiettivo degli aiuti dovrebbe
essere proprio quello di accompagnare le
imprese al superamento del meccanismo degli
aiuti stessi.
Gli strumenti sono nazionali, regionalizzati e regionali (in senso
proprio). Le regioni si sono affermate come
il soggetto fondamentale di sostegno alle
imprese. La scelta degli strumenti regionali
si è orientata molto verso i contributi,
conto interessi o conto capitale, piuttosto
che partecipazioni a capitali di rischio,
spesso considerate operazioni di
salvataggio.
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Fig. 1 -
Planimetria cantieri Armstrong
(Pozzuoli, Na) |
Da sottolineare come l’offerta per le imprese sia molto ampia con un
alto numero di interventi per regione; è da aggiungere, però, che
la domanda non sembra seguire l’articolazione dell’offerta.
Per quanto riguarda il quadro finanziario, con riferimento alla
dinamica dei flussi totali erogati, considerando, quindi, sia gli
interventi basati sulle norme a carattere nazionale che quelli a
valere su specifiche norme regionali, il passaggio dall’anno 2000
al 2001 registra, tuttavia, un fortissimo (+37%) incremento delle
erogazioni (prestito d’onore, legge 488/1992, credito
d’imposta). Si tratta di un incremento straordinario che porta il
totale delle erogazioni nell’anno 2001 per l’intero territorio
nazionale a 10.167 miliardi di lire a fronte di 37.378 miliardi di
lire di investimenti attivati.
La distribuzione regionale delle risorse è rimasta sostanzialmente
invariata da un anno all’altro; nel 2001 il 57% è destinato alle
regioni del sud, per un totale di 5.817 miliardi di lire, ed è
prevalentemente distribuito (41%) in tre regioni: Campania (16%),
Sicilia (14%), Puglia (11%). Il restante 43% è distribuito nel
centro nord, con particolare incidenza della Lombardia (10%) e del
Piemonte (6%) ed una media del 2% per le altre regioni.
Nonostante al sud il credito costi più che al nord e sia troppo
razionato, il tasso di natalità di imprese nel Mezzogiorno negli
ultimi tempi è superiore di quello del nord.
La legge 488/1992 ha raggiunto livelli di aiuto altissimi che rendono
non conveniente il ricorso agli strumenti regionali, a meno che
questi ultimi non copino pedissequamente la norma nazionale. Tale
legge, occupandosi di industria e servizi6, turismo7
e commercio8 è, infatti, la normativa più nota, ma fino
al 1992 la disposizione di riferimento per gli interventi nel
Mezzogiorno era la legge 64/1986, che si muoveva con una certa
lentezza, con programmi di investimento di medio lungo periodo e con
la disponibilità di consistenti risorse finanziarie che non sempre
riuscivano a tradursi in utilizzo.
All’interno dello scenario di riferimento europeo è, inoltre,
avvenuto il passaggio dall’intervento straordinario nel
Mezzogiorno, simboleggiato dalla legge 64/1986, alla nuova fase
dell’intervento ordinario nelle cosiddette aree depresse9
con la legge 488/1992, che diventa il modello di normativa
agevolativa che si accorda con gli indirizzi comunitari, con
concessioni in base alla localizzazione territoriale, calcolo degli
incentivi secondo un sistema uniformato ed in base ad intensità
massime. L’incentivo è giustificato dal fatto che, per la
collettività, è conveniente modificare le scelte degli investitori
in favore di localizzazioni in aree depresse, e per questo
essa è disposta a devolvere risorse in favore di iniziative in
queste aree.
La principale innovazione della 488/1992 è rappresentata dal passaggio
da un sistema di agevolazioni a pioggia a un altro razionato
sulla base di un meccanismo d’asta consentendo, in tal
modo, di costruire un sistema di agevolazioni che mette a confronto
i progetti, premiando i più meritevoli e con
apprezzabile ricaduta occupazionale.
Gli sviluppi recenti della politica Ue degli aiuti
di Stato
Occorre, innanzitutto, fare una distinzione netta fra gli aiuti
europei e gli aiuti di Stato.
Gli
aiuti europei, infatti, sono quelli che fanno ricorso ai
cosiddetti fondi strutturali per l’attivazione delle
politiche regionali nell’Ue.
Gli aiuti di Stato (AdiS), invece, fanno riferimento agli artt.
87 e 88 del Titolo IV del Trattato Ce di Amsterdam10
“Norme comuni sulla concorrenza, sulla fiscalità e sul
ravvicinamento delle legislazioni” che riguardano, appunto, gli
aiuti concessi dai singoli Stati alle imprese. Il motivo per cui la
Ue, mediante la Commissione europea, segue con grande attenzione
questa problematica è chiaramente espresso al paragrafo I
dell’art. 87: “salvo deroghe contemplate dal presente trattato,
sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui
incidono sugli scambi tra gli Stati membri, gli aiuti concessi dagli
Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che,
favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di
falsare la concorrenza”.
Infatti, grazie agli strumenti di sostegno pubblico predisposti a loro
favore, certe imprese o certi settori produttivi nazionali fruiscono
di situazioni concorrenziali più favorevoli non sulla base di
fattori economici, come le risorse tecnologiche o umane o i mezzi
economici più rilevanti, ma esclusivamente grazie all’intervento
dello Stato.
Tale intervento esogeno modifica le regole del gioco e pone
queste imprese o questi settori in una situazione più favorevole di
quella che si sarebbe creata se i meccanismi del libero gioco della
concorrenza fossero stati pienamente operanti.
Le iniziative di solidarietà in materia di sviluppo dell’economia
regionale sono attuate innanzitutto a livello regionale e nazionale,
mentre l’Ue svolge, mediante la propria politica di aiuti
strutturali, una funzione sussidiaria. Il contributo dei fondi
strutturali si concretizza, fra l’altro, nel cofinanziamento
dei regimi di aiuto per investimenti produttivi concepiti ed attuati
a livello nazionale e regionale11.
La regola è chiara ma non è facile da applicare: gli aiuti,
nella misura in cui incidono sugli scambi tra gli Stati membri, non
sono ammessi, salvo esplicite deroghe al divieto degli aiuti12.
La dottrina e l’esperienza hanno individuato quattro elementi precisi
caratterizzanti gli aiuti che ricadono sotto la disciplina
comunitaria: trasferimento di risorse statali, vantaggio economico,
selettività, incidenza sulla concorrenza e sugli scambi.
Gli sviluppi recenti della politica degli AdiS hanno determinato, da
parte del Consiglio, una presa di posizione sull’entità degli
aiuti trattando esplicitamente il tema della riduzione degli stessi
per un miglior funzionamento del mercato interno. In particolare, il
Consiglio si è assunto l’impegno di promuovere la concorrenza e
ha fatto appello agli Stati membri per ridurre il livello generale
degli aiuti e spostare l’enfasi dal sostegno di imprese
individuali o di settori al perseguimento di obiettivi generali di
interesse comunitario, come l’occupazione, lo sviluppo regionale,
l’ambiente, la formazione o la ricerca.
Un riscontro statistico mette in evidenza come, di fatto, nell’Ue sia
già in corso una riduzione e un riorientamento degli aiuti. Si
registra un’evoluzione degli obiettivi e degli strumenti e
l’aumento di importanza degli aiuti per fini orizzontali
(intersettoriali), quali, appunto, la ricerca e sviluppo
(R&S) e l’ambiente13.
Il ruolo della Commissione è quello di accompagnare e incoraggiare la
riduzione degli aiuti, migliorando la trasparenza attraverso la
promozione del controllo reciproco e lo stimolo del dibattito
pubblico sulla loro efficacia, favorendo, nel medio periodo,
l’abbandono delle misure inefficaci.
La Commissione, inoltre, è favorevole ad un approccio che punta alla
necessità di una valutazione più approfondita dell’impatto degli
aiuti e della loro efficacia sin dalla loro concezione; si ritiene
essenziale procedere ad una più sistematica valutazione ex ante
dei risultati attesi da un certo intervento e dei costi in termini
di perdita di ricchezza e di spreco di risorse dovuto a posizioni di
rendita. Tale valutazione deve essere fatta dallo stesso Stato
membro, che dovrebbe procedere ad un riesame periodico
dell’insieme degli incentivi e della loro interazione. La
Commissione, dal canto suo, non può procedere al posto dello Stato
membro ad una valutazione caso per caso dell’efficacia attesa
dell’aiuto ma ha il dovere di predisporre un quadro di analisi
chiaro rispetto al quale procede essenzialmente ad un controllo di
conformità.
La valutazione va riferita al principio di additività (o aggiuntività)
degli interventi, secondo cui gli aiuti vengono concessi solo quando
l’imprenditore, senza di essi, non farebbe l’investimento,
ovvero gli aiuti sono giustificati dalla capacità di promuovere
iniziative che non sarebbero state avviate in assenza di una
politica in tal senso.
L’incentivazione, infatti, è cosa diversa dal sostegno,
in quanto il primo deve determinare meccanismi in grado di innescare
investimenti, mentre il secondo è caratterizzato dalla mancanza di
regole a causa dei numerosissimi strumenti esistenti, a livello
nazionale e regionale.
Si pone, tra l’altro, il problema di quale sia la interrelazione fra
misure nazionali e interventi regionali, posta la ormai acquisita
autonomia regionale e l’ampliamento delle relative competenze.
L’impressione è che non si tratti altro che di una sommatoria di
interventi piuttosto che di un organico complesso di misure, per cui
ci si chiede se le autorità nazionali e regionali abbiano
effettuato riflessioni sulla coerenza di tali regimi e sul loro
impatto globale in relazione all’effettivo sviluppo economico
regionale. Una prima soluzione potrebbe essere quella per cui gli
AdiS vengano utilizzati solo quando è strettamente indispensabile.
L’evoluzione dell’economia e delle priorità politiche impone alla
Commissione di aggiornare costantemente il quadro normativo per
adattarsi alle nuove emergenze ed accompagnare il cambiamento: le
nuove linee direttrici per gli aiuti in favore dell’ambiente,
oltre che prevedere una più alta intensità per gli aiuti in favore
degli investimenti realizzati a scopi ambientali, prendono in esame
dettagliatamente gli aiuti alle energie rinnovabili, alla produzione
combinata di elettricità e di vapore, al risparmio di energia e per
il trattamento dei rifiuti, per il recupero delle zone inquinate o
per la rilocalizzazione di imprese per ragioni ambientali. In questo
quadro globale caratterizzato da grande dinamismo, per quanto
riguarda l’Italia, si osserva come l’evoluzione degli aiuti
registri una tendenza stabile alla riduzione.
Per quanto concerne gli obiettivi perseguiti tramite gli aiuti si nota
che quelli concessi per le piccole e medie imprese (Pmi) e R&S e
l’ambiente, cioè quelli a fini orizzontali, sono andati
lievemente aumentando. La maggior parte degli aiuti per il settore
manifatturiero resta tuttavia concentrata sugli obiettivi regionali,
cioè sugli interventi in favore degli investimenti nelle regioni
assistite, coincidenti con l’obiettivo 1 e, in parte, con
l’obiettivo 2 dei fondi strutturali.
Lo sviluppo regionale resta la priorità degli aiuti. Per l’Italia,
il Mezzogiorno, nonostante tassi di crescita superiori a quelli del
centro nord nella seconda metà degli anni ‘90, resta una priorità
per il divario importante da colmare nei confronti di quella realtà.
Tutte le regioni meridionali sono rientrate nell’obiettivo 1 dei fondi
strutturali e, sulla base della deroga all’art. 87 3 a) del
trattato, sono state definite ammissibili agli aiuti a finalità
regionale, potendo così godere, fino al 2006, di aiuti in favore
degli investimenti produttivi delle grandi imprese, ma anche di
intensità più elevate per tutti i tipi di aiuto orizzontale.
Si è visto come, a livello nazionale, gli strumenti principali della
politica di sviluppo sono i provvedimenti per l’emersione, la
legge 488/1992 e gli aiuti in favore degli investimenti sotto forma
di crediti di imposta (legge Visco). A tali interventi principali si
aggiungono altre misure, quali, ad esempio, gli incentivi
automatici, gli aiuti capitari, gli interventi per il sostegno
dell’imprenditorialità giovanile e gli interventi in favore della
ricerca (fondo per l’innovazione tecnologica e fondo per la
ricerca applicata), nonché numerosi interventi de minimis14.
Gli aiuti regionali
Gli aiuti a finalità regionale sono quelli che hanno come obiettivo
specifico lo sviluppo di alcune aree particolari. L’aiuto
regionale, in particolare, ha come oggetto o l’investimento
produttivo o la creazione di posti di lavoro connessa con
l’investimento; tale tipologia è, senza dubbio, quella di maggior
importanza in termini di risorse ed anche di maggior notorietà.
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Fig. 2 -
Cantieri
Armstrong |
Gli aiuti regionali sono caratterizzati dal fatto di dover essere
concentrati, perché, come afferma la Commissione, se “fossero
generalizzati e diventassero la regola, verrebbe meno il loro
carattere di incentivo e si annullerebbe il loro impatto
economico”. Per tali motivi la Commissione ritiene che, in via di
prima approssimazione, la “copertura totale degli aiuti regionali
nell’Unione europea deve rimanere inferiore al 50% della
popolazione comunitaria”15.
La Commissione, per concludere, ha approvato singolarmente questi ed
altri strumenti. Tuttavia essa non ha una visione precisa degli
effetti delle interrelazioni tra loro, della loro reale sinergia o
degli eventuali sprechi e si augura che vi sia da parte delle
autorità nazionali una visione centrale dell’insieme degli
strumenti, del loro utilizzo e della loro efficacia.
La tendenza dell’Ue a ridurre gli aiuti, che non significa
necessariamente minor sostegno all’industria, è destinata a
continuare: si tratta di un’evoluzione positiva che deve essere
accompagnata, in pratica, da una maggiore efficacia degli stessi, in
modo da ridurre gli sprechi, tagliare interventi inefficaci o
inefficienti o distorsivi o inutili, favorire il raggiungimento
degli obiettivi di bilancio e affiancarsi meglio alle politiche
divenute essenziali, prima fra tutte lo sviluppo sostenibile sul
piano ambientale.
È necessario impostare una nuova politica di incentivazione permanente
per l’imprenditoria locale basata sul capitale umano, sulle
risorse naturali e culturali, sulla promozione delle agglomerazioni
di imprese. Gli aiuti alle imprese devono essere accompagnati
dall’indispensabile rafforzamento delle infrastrutture nuove e
tradizionali e da riforme strutturali.
La programmazione negoziata
Gli interventi riconducibili agli strumenti della programmazione
negoziata (patti territoriali, contratti d’area e contratti
di programma)16 hanno registrato una riduzione del
31%. Tale arretramento trova riscontro nell’andamento diffuso di
tutte le regioni meridionali, a differenza della legge 488/1992 che
distribuisce i suoi incrementi coerentemente con il disegno della
norma e, quindi, con una larga prevalenza proprio nelle regioni
meridionali.
I contratti d’area (Cdia) hanno registrato una contrazione
delle erogazioni rispetto al 2000 di oltre il 60%, sia pure con
un’incidenza quantitativamente modesta. Forse è stato l’impatto
negativo dei contratti di programma (Cdip) con -68,3%
connesso alle problematiche amministrative, ma nel 2002 tali
erogazioni dovrebbero riprendere. Un incremento delle erogazioni è
stato, al contrario, registrato per i patti territoriali (Pt).
Tali strumenti sono comparsi sulla scena delle politiche a favore dello
sviluppo d’impresa a partire dalla seconda metà degli anni
novanta. La peculiarità di questo nuovo gruppo di interventi è
rappresentata dal fatto che l’obiettivo non è il nuovo
investimento inteso in modo isolato, che punti tout court a
una crescita delle imprese beneficiate ma, piuttosto, lo sviluppo
del territorio su cui l’impresa opera, l’aumento delle sue
capacità di fare sistema, cioè di generare e utilizzare
esternalità, lo sviluppo della sua capacità di competere, la
valorizzazione delle risorse in esso presenti.
Una semplice azione di incentivazione a favore delle imprese in molte
realtà locali non è sufficiente ad avviare nuovi processi di
sviluppo locale. I nuovi fenomeni di crescita economica, come
mostrano le recenti esperienze, sono fortemente correlati con la
capacità di esprimersi da parte di determinati contesti locali
responsabilizzati, frutto della cooperazione tra impresa, sindacato,
amministrazioni locali, autonomie funzionali associazionismo e, in
generale, i saperi locali.
È proprio in tali contesti che le variabili istituzionali, le scelte
infrastrutturali, la pianificazione urbanistica comunale, i
programmi di sviluppo provinciale e regionale assumono rilievo
notevole ai fini dello sviluppo, in maniera analoga ad altre
variabili: quelle economiche e finanziarie, quelle tecnologiche,
quelle legate allo sviluppo del capitale umano.
La strada facile delle agevolazioni, quindi, sebbene importante,
non dovrebbe rappresentare la sola leva per agire sullo sviluppo
d’impresa. Lo scambio tra incentivi pubblici e investimenti
privati, infatti, non è sufficiente a generare nuovo sviluppo.
È necessario, invece, che, in sede locale, si affermi e si consolidi
un ambiente favorevole allo sviluppo, in cui prevalgano
impegni comuni, fiducia reciproca, atteggiamenti cooperativi. Il
rapporto tra impresa e operatore pubblico, in queste condizioni, può
trasformarsi in una relazione di tipo multidirezionale
(un patto e un contratto, appunto) in cui, avendo
chiaro un obiettivo comune e una sequenza di azioni ritenute
necessarie al suo perseguimento, vengono specificati: il ruolo
assunto da ciascuno dei diversi attori; gli impegni reciproci tra
questi; i tempi di ciascuna fase o azione; le risorse in gioco; gli
effetti attesi.
L’intervento pubblico non si limita alla sola previsione di
incentivi, ma un ruolo importante dovrebbe essere svolto dalle
azioni di infrastrutturazione volte a migliorare il contesto
territoriale in cui operano le imprese. Questa può essere
considerata una conseguenza della particolare configurazione di tali
strumenti e sui relativi meccanismi di attuazione dei tipi di azioni
previsti.
La scelta delle imprese verso cui indirizzare il contributo pubblico
deriva anche dal rapporto che intercorre tra impresa e territorio,
ovvero dal modo in cui la crescita della singola realtà produttiva
risulta essere funzionale allo sviluppo del contesto ambientale in
cui essa opera. In definitiva, la finalizzazione del contributo non
avviene esclusivamente sulla base dell’investimento proposto
dall’impresa.
All’insieme degli strumenti della programmazione negoziata,
nel periodo 1998-2002, lo Stato ha destinato 17.353 miliardi di
lire, comprensivi sia delle somme destinate alle imprese sia delle
risorse finalizzate alle infrastrutture. Di questi, più di 9.419
miliardi sono stati finalizzati ai Pt, 4.320 ai Cdia, mentre i
restanti 3.615 sono andati ai Cdip (Turatto R., 2001).
Si tratta di risorse che, oltre a derivare dalle disponibilità a
favore di questi strumenti previste dalle leggi di istituzione,
fanno riferimento ai riparti finanziari susseguitisi a partire dal
1996 del fondo istituito dalla legge 208/1998 a favore delle aree
depresse.
Patti territoriali
I Pt, dopo una lunga fase di avvio, hanno assunto una precisa veste
normativa a seguito della deliberazione Cipe del 21/3/1997.
Tali strumenti si configurano come un accordo per la promozione dello
sviluppo locale in ambito subregionale; l’accordo dà attuazione a
un programma di interventi di varia natura, tra loro integrati, nei
settori industriali, agroindustriali, dei servizi, del turismo e
delle infrastrutture17.
Premessa indispensabile all’operatività del Pt è che sia definito
l’obiettivo di sviluppo locale a cui l’intervento è
finalizzato; devono essere, inoltre, definite le attività e gli
interventi da realizzare, i relativi soggetti attuatori, i temi e i
modi di attuazione, il piano finanziario e i piani temporali di
spesa relativi ai diversi interventi18.
I Pt siglati nelle aree in ritardo di sviluppo possono concorrere
all’assegnazione delle risorse che il Cipe ha destinato alla
promozione di questi strumenti.
La scelta dei Pt da finanziare avviene secondo una procedura di tipo
valutativo tesa a scegliere le proposte che maggiormente rispondono
agli obiettivi dello strumento. La cifra massima a disposizione per
ogni Pt finanziato è di 100 miliardi di lire. Non più del 30% di
essa può essere destinato a infrastrutture, mentre il resto delle
risorse è riservato a incentivi a favore delle imprese.
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Fig. 3 -
Cantieri
Armstrong da via Domiziana |
A tutt’oggi il numero delle iniziative, cui questo tipo di intervento
ha dato vita, è ragguardevole tanto da interessare una parte
rilevante della realtà del paese, specie se si considerano solo le
aree in ritardo di sviluppo19. Tale risultato è, al
tempo stesso, il prodotto e la causa di una modifica dello strumento
avvenuta lungo il processo di definizione dello stesso. Lo strumento
è stato, infatti, inizialmente concepito non come una semplice
incentivazione a favore delle imprese che vogliono fare nuovi
investimenti, essendo già elevato il numero di strumenti rivolti a
questo scopo, ma finalizzato alla creazione di processi di cooperazione
locale.
L’idea era quella di concentrare, verso selezionati segmenti
emergenti del tessuto economico e sociale di un territorio, un
articolato sistema di interventi fatto di nuovo capitale sociale e
di aiuti all’investimento.
Le conseguenze inevitabili sotto il profilo delle procedure di accesso
e della valutazione di una modalità così configurata si riflettono
sulle decisioni: decidere se un intervento di questa natura merita,
oppure no, il finanziamento pubblico necessita di un esame attento
della realtà territoriale in questione, delle dinamiche in atto,
delle potenzialità inespresse e anche delle strategie complessive
previste nel Pt. L’esigenza è quella di dare vita a un
sofisticato meccanismo di valutazione cui sottoporre una limitata
quantità di proposte da trattare con attenzione. La difficoltà
della valutazione, infatti, risiede nel capire, al di là della
capacità delle singole imprese di dar corso agli investimenti, se
gli attori locali sono in grado di dar vita a un’iniziativa che sa
trasformarsi in un processo di crescita del territorio nel suo
complesso, intervenendo sul livello di cooperazione tra gli attori
locali del territorio dato, naturalmente facendo forza anche su una
serie di decisioni di investimento delle imprese20.
Tra i Pt approvati si distinguono quattro gruppi di iniziative:
- 112 Pt di prima generazione il cui iter ha preso avvio tra il
1995 e il 1998;
- 167 Pt di seconda generazione, scaturiti dal tre bandi indetti
nel biennio 1998-1999, le cui regole di presentazione sono state
stabilite con la deliberazione Cipe del luglio 1998;
- 110 Pt europei per l’occupazione finanziati a valere sul
Fondi strutturali 1994-1999;
- 191 Pt agricoli approvati a seguito del bando dell’aprile
2000.
Dei 9.419 miliardi assegnati allo strumento restavano da approvare
benefici per ulteriori 1.700 miliardi21 (Turatto R.,
2001).
Se si escludono, per motivi di non omogeneità, i Pt europei per
l’occupazione, l’analisi sull’operatività dello strumento
si limita a 51 iniziative, costituite da 12 Pt di prima generazione
approvati nel 1998 e da 39 Pt di seconda generazione approvati nel
199922.
Nulla è ancora possibile circa indicazioni sulla loro efficacia, a
causa del poco tempo intercorso dall’avvio delle iniziative e le
informazioni disponibili. È, invece, possibile analizzare la
situazione dal punto di vista dell’operatività amministrativa di
questo strumento, che può dirsi buona23.
Per misurare l’operatività dello strumento le erogazioni non vanno
messe a confronto con il complesso dei finanziamenti, ma solo con
quella parte di investimento che si prevede realizzata alla data in
cui il confronto viene eseguito24.
Quanto ai motivi del ritardo accumulato, in una prima fase essi debbono
essere imputati alle difficoltà di gestione amministrativa dello
strumento: per i Pt di prima generazione il tempo intercorso tra
l’approvazione e l’avvio delle erogazioni è stato di oltre 18
mesi. Nel tempo, tuttavia, le procedure sono state messe a punto:
con i Pt di seconda generazione la durata della fase di avvio si
colloca entro una dimensione più contenuta. Restano, invece,
irrisolti i problemi di attuazione che spesso i Pt incontrano in
sede locale a causa delle inadempienze delle imprese beneficiarie e,
soprattutto, per problemi di natura autorizzativa sollevati dagli
enti locali.
La notevole incertezza sul futuro del Pt è strettamente legata al
mutato quadro politico a livello nazionale. Tuttavia, i rilevanti
impegni sottoscritti nel corso degli ultimi mesi indicano come il
peso di questo tipo di azioni sia destinato a crescere di importanza
nei prossimi anni, quantomeno sotto il profilo dei trasferimenti a
favore delle imprese a valere sul bilancio dello Stato25
(Turatto R., 2001). Per contro, incombe il momento in cui si darà
corso alle previsioni di trasferimento alle regioni sancito con il
DLgs 112/1998, i cui modi e tempi non sono però ancora definiti.
Contratti d’area
Il Cdia, a differenza del Pt, costituisce uno strumento di intervento
di carattere mirato, diretto ad intervenire sulle aree colpite da
crisi occupazionale con un’azione di promozione e localizzazione
di nuove attività imprenditoriali26. Tale istituto, così
come il Pt, prevede una serie di impegni, da parte di più soggetti,
in cui sono specificati gli obiettivi che si intendono perseguire,
le attività e gli interventi da realizzare, le responsabilità di
ciascuno dei diversi soggetti, i tempi e i modi di realizzazione, il
responsabile dell’attuazione e del coordinamento, i costi e le
risorse finanziarie. Viene individuato anche in questo caso un
responsabile unico, titolare del coordinamento, con poteri
sostitutivi.
Per favorire la realizzazione degli investimenti e l’accordo tra le
amministrazioni pubbliche sull’accelerazione delle procedure, le
parti sociali sottoscrivono delle intese che fanno parte integrante
del Cdia.
Lo Stato, a fronte dell’impegno sottoscritto dalle parti, si impegna
a concedere una serie di agevolazioni a favore delle imprese;
l’ammontare finanziario dell’intervento è definito in sede di
accordo27.
Per quel che riguarda le erogazioni, come per i Pt, anche l’avvio di
questa strumentazione ha dovuto scontare una lunga fase di messa a
punto dei meccanismi amministrativi.
Superata una parte delle difficoltà, restano invece ancora irrisolti
alcuni problemi di attuazione che lo strumento incontra in sede
locale, e questo sia per ritardi da parte delle imprese
beneficiarie, sia per motivi riconducibili all’operato proprio
delle amministrazioni locali28.
Il governo ha spesso manifestato la volontà di porre un termine a
questo tipo di iniziative, per cui anche il futuro di questo
strumento è incerto; si è ritenuto esaurito il compito di una
strumentazione nata, di fatto, per far fronte alle forti difficoltà
occupazionali createsi in alcuni specifici contesti territoriali per
effetto dei fenomeni di deindustrializzazione risalenti alla prima
metà degli anni novanta.
Tra
l’altro, anche le indicazioni che provengono
dal dibattito in corso sul trasferimento alle
regioni della programmazione negoziata danno
l’impressione di andare in questo senso. Non
sembra esserci ancora una decisione univoca
sul destino di questo strumento, anche se i
trasferimenti cui darà seguito nei prossimi
anni non saranno per nulla trascurabili. Tutti
gli strumenti di politica per lo sviluppo
sono, infatti, caratterizzati da una forte
dinamica inerziale: anche in questo caso, così
come per i Pt, i rilevanti impegni
sottoscritti fino a poco tempo fa
richiederanno un certo periodo per esaurire il
dispiegamento dei propri effetti (Turatto R.,
2001).
Contratti di programma
Il Cdip nasce nell’ambito dell’intervento straordinario per il
Mezzogiorno, come strumento a favore delle imprese, con la legge
64/1986, per confluire, alla metà degli anni novanta, nella
programmazione negoziata. L’obiettivo dello strumento è quello di
favorire la realizzazione di progetti integrati di grande dimensione
nelle aree depresse del paese. Si tratta, cioè, di iniziative in
cui, oltre a un investimento strettamente industriale possono essere
realizzati interventi complementari di tipo infrastrutturale, oppure
attività collegate alla ricerca e alla formazione. La specificità
di questo tipo di azione è rappresentata dal fatto di prefigurare
attività ed interventi significativi, in grado di incidere
profondamente sugli equilibri economici e sociali dei territori su
cui vanno a dispiegarsi.
L’istituto prevede la stipula di un accordo tra la parte pubblica e
quella privata, per cui, da un lato, la parte pubblica si fa carico
di una serie di incentivi, la parte privata, dall’altro, si
obbliga a mettere in campo una o più azioni di investimento.
Le risorse destinate a questo strumento derivano dal fondo per le aree
depresse29.
Il futuro di questo strumento sembra avere un destino comune agli altri
strumenti della programmazione negoziata (Turatto R., 2001). Le
iniziative del governo, da un lato, hanno dato vita a forme di
compartecipazione delle regioni al finanziamento dell’Istituto,
dall’altro, hanno successivamente prefigurato, mediante
l’approvazione di un apposito schema, il trasferimento delle
competenze in materia alla società Sviluppo Italia, senza tuttavia
definire le modalità operative con cui dovrebbe avvenire tale
trasferimento.
Puntare sui distretti
Si è detto dell’incertezza che incombe sul futuro degli strumenti
della programmazione negoziata. La doccia fredda definitiva sul
destino dei Pt è arrivata di recente30 da parte di
Giuseppe De Rita, segretario del Censis e padre della programmazione
negoziata dello sviluppo. Per De Rita lo sviluppo attraverso i Pt
sarebbe dovuto essere opera delle imprese, ma le amministrazioni
locali non hanno coinvolto i privati: l’idea va rivista; occorre
cambiare metodo. Il testimone deve passare dai politici alle
imprese. I Pt sono stati spesso nelle mani degli amministratori
locali, quelli che lui definisce società di mezzo; le imprese erano
rappresentate dalle associazioni industriali, dai direttori che
chiedevano la realizzazione di questa o quell’area industriale, ma
mancavano gli attori principali, gli imprenditori, i quali stanno
sul mercato per realizzare profitti, non per concertare. Gli
imprenditori hanno preferito la legge 488/1992, cioè gli incentivi
alle proprie imprese piuttosto che favorire un sistema complessivo
di sviluppo. Insomma, un intervento nel Mezzogiorno che si
riproponeva quasi allo stesso modo di quello interrotto per legge. E
il futuro non sarà quello di trasferire le competenze dei Pt alle
regioni: “Lo Stato non ha saputo far meglio che passare il cerino
agli enti regionali, non credo funzionerà”.
|
Fig. 4 -
Cantieri
Armstrong da ovest |
Il distretto industriale (Di) non è una suggestione teorica; da
tempo i Di rappresentano un progetto che ha dato i suoi risultati in
determinate aree del paese; nel nord est ci sono le geo-community,
che hanno consentito di creare dei circoli virtuosi tra imprese con
caratteristiche diverse, ma appartenenti ad uno stesso contesto
geografico.
Si tratta della più importante peculiarità riconosciuta del sistema
produttivo italiano: la sua struttura dimensionale sbilanciata verso
la microdimensione; la specializzazione settoriale; la distribuzione
territoriale, contraddistinta da crescenti squilibri, determinati
anche da vincoli istituzionali e infrastrutturali; le difficoltà ad
adeguarsi, con la necessaria efficacia e tempestività, ai rapidi
cambiamenti tecnologici che ne condizionano le dinamiche evolutive,
a conferma di una complessità inimmaginabile fino a poco tempo fa.
Ma questa promessa di sviluppo per un sistema eterogeneo di imprese
locali necessita di strumenti per il marketing, per il trade,
per la commercializzazione dei prodotti e l’acquisizione delle
materie prime, della centralizzazione di alcune funzioni aziendali
che solo una geo-community consente. Insomma, è fondamentale
il fatto che si operi su un territorio geografico comune per poter
collaborare tra imprese, nella convenienza reciproca dei diversi
imprenditori.
Il periodo di difficoltà attraversato dalla nostra economia e la
correlativa ristrutturazione dell’apparato produttivo, consentono,
quindi, di proporre un nuovo modello di sviluppo, più incentrato
sulla piccola e media impresa e sull’organizzazione in sistema
delle aree locali.
Da un punto di vista legislativo, lo Stato ha iniziato a raccogliere
questa sfida con una serie di norme che vanno a precisare il
concetto di Di e le politiche attive per avviarlo, rimettendo poi
all’iniziativa delle regioni la sua effettiva operatività; in
particolare si fa riferimento all’art. 36 della legge 317/1991 ed
al decreto attuativo del Ministro dell’industria del 21/4/199331.
L’iniziativa spetta ora alle regioni, che però, come sempre avviene
nel caso di innovazioni, stanno affrontando l’argomento a velocità
diverse e comunque con notevole ritardo.
Nelle intenzioni del legislatore, l’istituzione dei Di rappresenta la
prima fase di un nuovo modello di politica economica, in base al
quale vengono trasferite dallo Stato alle regioni talune competenze
in materia di promozione industriale.
Il Di esprime la possibilità, per numerose piccole imprese
geograficamente concentrate, di organizzare la produzione in modo
efficiente, integrato e coordinato. La stessa società locale,
attraverso istituzioni, ma anche valori, conoscenze e comportamenti,
agisce sull’organizzazione della produzione.
La scelta della localizzazione di un’impresa rappresenta, da sempre,
uno dei più importanti fattori critici che può influenzare, in
misura anche notevole, il successo dell’iniziativa nel tempo. La
disponibilità delle risorse essenziali per il funzionamento delle
attività aziendali (materie prime e manodopera specializzata
innanzitutto), l’esistenza di un sistema produttivo efficiente e
di una cultura imprenditoriale nell’area prescelta, la presenza di
una rete d’infrastrutture, da quelle viarie e ferroviarie a quelle
telematiche, la vicinanza ai mercati di sbocco delle produzioni
realizzate o, quantomeno, la presenza di organismi ed attività che
in qualche modo agevolino il collegamento fra le aree manifatturiere
e quelle di consumo, la diffusione di un sistema di servizi reali,
idoneo a supportare la risoluzione delle problematiche gestionali di
un’impresa moderna, sono tutti esempi di fattori che vanno
considerati nel momento in cui si deve individuare l’area in cui
insediare la sede operativa di un’attività economica.
Il valore del Di come entità di carattere socio-economico non trova la
sua coerenza solo in una logica di definizione territoriale, ma si
esplicita in un insieme di categorie analitiche discriminanti:
- le caratteristiche della comunità locale, intesa come sistema
omogeneo di valori, di esperienze, di capacità professionali, che
fornisce quella che Marshall chiama atmosfera industriale;
- la popolazione di piccole imprese, ciascuna specializzata in
una fase del progetto produttivo complessivo che caratterizza il Di;
- le risorse umane, prioritarie per lo sviluppo della produzione
e della specializzazione produttiva;
- il mercato, tale da stimolare le capacità di sviluppo del Di,
rendendolo sempre più attento alle innovazioni di prodotto e di
processo, ed obbligandolo all’integrazione tra le sue varie
componenti aziendali, per evitare il determinarsi della perdita di
competitività e l’accumulo di ritardi incolmabili nei confronti
dei Di più dinamici.
Le imprese nascono e si formano nel Di non casualmente, ma grazie al
radicamento con il territorio, la sua cultura, le sue esperienze
storiche e sociali.
Nel Di possono essere massimizzati i vantaggi di una politica di
effettiva integrazione fra le imprese, finalizzata al risparmio
negli approvvigionamenti e all’incremento nelle opportunità di
sbocchi commerciali per i prodotti finali.
Ma nel Di c’è un qualcosa di più: il prodotto riceve una sorta di
marchio territoriale che lo rende diverso, distinguibile da quello
proveniente da altre zone o distretti, gli conferisce un’immagine
con tratti suoi peculiari.
Nelle
regioni dell’Italia meridionale alcuni dei fattori in precedenza
citati presentano valenza negativa, tant’è che il sistema
produttivo continua a rafforzarsi nelle aree forti del paese e ad
indebolirsi nelle aree economicamente più arretrate.
Le agevolazioni finanziarie che hanno caratterizzato l’intervento
straordinario nel Mezzogiorno dal dopoguerra ad oggi non sono
riuscite a smuovere flussi soddisfacenti d’investimenti.
L’obiettivo di tali agevolazioni, interessanti sia le iniziative
industriali che, più recentemente, le attività di servizi, tra
l’altro, era anche quello di compensare le diseconomie originate
proprio dalle modalità di presentazione dei fattori localizzativi
nelle regioni del sud Italia.
Tale aspetto è stato ritenuto talmente rilevante dal legislatore che,
tra gli interventi infrastrutturali, largo spazio è stato riservato
alla creazione di aree di sviluppo industriale in cui dovevano
essere predisposte gran parte delle infrastrutture di base
essenziali per l’insediamento di attività produttive.
Valutazioni conclusive
La normativa di sostegno al sistema produttivo si è stratificata nel
corso degli anni e necessita di una radicale semplificazione.
La proliferazione degli strumenti di agevolazione alle imprese ha
prodotto una matassa non facile da dipanare a causa, da un lato,
della complessità della materia, dall’altro, per la non linearità
con cui troppo spesso sono stati ideati ed attuati interventi
agevolativi: il risultato è una estesa situazione di
sovrapposizione e similitudine delle norme su cui occorre
intervenire con una decisa azione di riordino e razionalizzazione.
Da una apposita indagine, condotta nell’ambito del rapporto
presentato all’inizio, emerge come le richieste delle imprese, per
un complessivo 75%, riguardano: flessibilità, fiscalità, e
semplificazione delle procedure.
La linea di tendenza che si va affermando è quella secondo cui la
gamma degli strumenti debba essere funzionale alla segmentazione
delle esigenze, senza duplicazioni o inutili ridondanze e,
soprattutto, rafforzare l’assistenza strutturale alle imprese
nelle fasi di policy design.
Una possibile riforma dovrà prevedere un disegno di politica
industriale articolato con una gamma di strumenti che limiti le
sovrapposizioni tra diversi interventi che insistono sugli stessi
obiettivi e su identiche tipologie di imprese e di attività. La
gamma degli strumenti deve essere realmente funzionale alla
segmentazione della domanda, e cioè alle esigenze delle imprese,
con una coerente allocazione delle risorse (Brancati R., 2002).
Una prima ipotesi di lavoro è rappresentata dalla opportunità di
accentuare gli interventi verso due estremi: le aree di esclusione
economica e quelle di innovazione tecnologica.
Uno dei motivi di grande interesse della programmazione negoziata
è rappresentata dal fatto che se una stessa tipologia di impresa
presenta una domanda di agevolazione di un progetto imprenditoriale
all’interno di un Pt può sperare in un incremento di redditività
più che doppio rispetto alla legge 488/1992 ordinaria; la stessa
impresa avrebbe maggiori benefici dal Pt rispetto a un’impresa che
introduce innovazioni (legge 46/1982 Fit). L’utilità sociale
attribuita dal policy maker ai progetti inseriti nella programmazione
negoziata è superiore a quella di progetti dedicati
all’introduzione di innovazioni.
Una politica di aiuti moderna dovrebbe privilegiare interventi in grado
di massimizzare la probabilità di finanziare attività aggiuntive,
e non solo quelle con speranza di vita maggiore; una tale tendenza
può solo essere rafforzata da un contesto di finanza pubblica
severo e nel rispetto degli impegni comunitari (Brancati R., 2002).
Da tenere sempre presente che uno degli aspetti più significativi
nello sviluppo di un paese, in termini di competitività e
occupazione, risiede nella capacità di gestire il percorso
innovativo, cioè di trasferire tempestivamente i nuovi
risultati della ricerca in prodotti tecnologici vendibili ed in
servizi innovativi, di metabolizzare in tempi rapidi le nuove
competenze e tecnologie, nell’industria e nei servizi, al fine di
aumentarne la produttività, migliorare la qualità sociale del
prodotto.
|
Fig. 5 -
Cantieri
Armstrong cannone |
Occorre, per concludere, una soluzione strutturale per le politiche
dello sviluppo. È necessario, cioè, sostituire i programmi di
sussidio a larga scala con un approccio più selettivo, che utilizzi
pacchetti coordinati di misure. Tali forme di aiuto devono trovare
sede all’interno di politiche territoriali che si orientino
soprattutto all’offerta di servizi collettivi, cioè di beni
pubblici, finanziati mediante le imposte, a migliorare la qualità
dell’organizzazione industriale o a costituire capitale umano e
sociale, così da generare vantaggi comparativi per il cluster
delle imprese localizzate in un’area. Si tratta di aiuti indiretti
alle imprese locali piuttosto che di sussidi. L’imprenditorialità
e lo sviluppo endogeno sono spesso latenti e sono necessarie
condizioni di contesto per incoraggiarle, in modo da liberare
energie e risorse e avviare dinamiche di sviluppo locale.
Sarà compito della pianificazione urbanistica valutare gli impatti e
gestire le proiezioni territoriali di questi processi.
[1]
La
legge 59 del 15/03/1997 “Delega al Governo per il conferimento di
funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della
Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”
(cosiddetta Bassanini I), interessa anche per il sostegno alle
attività produttive e, in particolare, il settore degli incentivi
alle imprese e delle agevolazioni finanziarie.
Il
decreto attuativo della vasta materia delle politiche di sostegno
alle imprese è il DLgs 112 del 31/03/1998 “Conferimento di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli
enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997,
n.59”, integrato dal DLgs 443 del 29/10/1999.
Il
DLgs 123 del 31/03/1998 riguarda “Disposizioni per la
razionalizzazione degli interventi di sostegno pubblico alle
imprese, a norma dell’art.4, comma 4, lettera c) della legge 15
marzo 1997, n.59”, con cui il Governo emanava l’intervento di
riordino, ridefinizione e razionalizzazione degli interventi di
sostegno pubblico alle imprese.
2 Si ricordano le leggi: 902/1996, 598/1994, 64/1986,
181/1989, 808/1985, 675/1997, 341/1995 art.2.
3
Per un quadro completo si ricordano le leggi: 44/1986, 215/1992,
236/1993.
4
Per un quadro completo si ricordano le leggi: 46/1982 – Fondo
rotativo per l’innovazione tecnologica (Fit), 46/1982 - Fondo
rotativo per ricerca applicata (Fra), 488/1992 Ricerca.
5
Per un quadro completo si ricordano le leggi: 266/1997 art.8,
140/1997, 341/1995 art.1, credito di imposta 388/2000.
6
Legge 488/1992
Incentivi agli investimenti nelle aree depresse
Settore industria e servizi
Sono ammesse alle agevolazioni:
- imprese estrattive e manifatturiere, operanti in
una delle attività comprese nelle sezioni C e D della
Classificazione delle attività economiche Istat;
- imprese di produzione e distribuzione di energia
elettrica, di vapore e acqua calda (sezione E - Istat 1991 -
limitatamente ai codici 40.1 e 40.3);
- imprese di costruzioni (sezione F della stessa
classificazione Istat);
- società fornitrici di servizi reali che svolgono le
attività comprese nell'allegato i.
Le imprese devono
essere già costituite (quelle di servizi nella forma di società
regolari) e iscritte al Registro delle imprese alla data di
presentazione del modulo di domanda (per le imprese individuali non
ancora operanti è sufficiente la titolarità di partita Iva;
l'iscrizione al Registro delle imprese deve comunque avvenire ed
essere comprovata entro la trasmissione della documentazione finale
di spesa) e devono trovarsi nel pieno e libero esercizio dei propri
diritti, non essendo sottoposte a procedure concorsuali o
amministrazione controllata. Ai fini del mantenimento delle
agevolazioni concesse tutti i soggetti richiedenti devono trovarsi
in regime di contabilità ordinaria o optarvi entro il periodo
d'imposta successivo.
Sono previste limitazioni o esclusioni dalle agevolazioni
per alcuni settori regolamentati dalla normativa comunitaria
(siderurgia, cantieristica navale, fibre sintetiche, industria
automobilistica, settore agroalimentare, fatta salva l’esistenza,
per quest'ultimo settore di piani regionali di sviluppo rurale,
autorizzati dalla Commissione Europea, a fronte dei quali sarà
verificata la compatibilità delle singole iniziative da ammettere
agli interventi agevolativi).
Territori ammissibili
Aree considerate ammissibili agli interventi del Fondi
Strutturali della Ue (ob.1, ob.2 e phasing out) o ammesse
alla deroga prevista dall'art. 87.3.c. dei Trattato Ue.
Iniziative ammissibili
Nuovo Impianto
Ampliamento: iniziativa che, attraverso un incremento
dell'occupazione, sia volta ad accrescere la capacità di produzione
dei prodotti esistenti o ad aggiungerne altra relativa a prodotti
nuovi (ampliamento orizzontale) e/o a creare nello stesso
stabilimento una nuova capacità produttiva a monte o a valle dei
processi produttivi esistenti (ampliamento verticale).
Ammodernamento: iniziativa volta ad apportare innovazioni nell'impresa
con l'obiettivo di conseguire un aumento della produttività e/o un
miglioramento delle condizioni ecologiche legate ai processi
produttivi.
Ristrutturazione: programma diretto alla razionalizzazione dei processi
produttivi, all'aggiornamento del prodotto, al miglioramento di
carattere gestionale e/o organizzativo, all'adeguamento degli
impianti e/o del prodotto a nuove normative tecniche, comunitarie
e/o nazionali.
Riconversione: programma diretto ad introdurre produzioni appartenenti a
comparti merceologici diversi attraverso la modificazione dei cicli
produttivi degli impianti esistenti.
Riattivazione: ripresa dell'attività di un'unità produttiva della
quale sia accertato un permanente stato di inattività. Ai fini
della concedibilità delle agevolazioni, è necessario che i
soggetti che determinano le scelte e gli indirizzi dell'impresa
richiedente siano diversi da quelli dell'impresa titolare dell'unità
inattiva.
Trasferimento: iniziativa volta a rispondere alle esigenze di
cambiamento della localizzazione degli impianti che, qualora non
riconducibile ad una delle tipologie precedenti, siano determinate
da decisioni e/o ordinanze emanate dall'amministrazione pubblica
centrale e locale anche in riferimento a piani di riassetto
produttivo e urbanistico, viario, o a finalità di risanamento e di
valorizzazione ambientale debitamente accertata.
Ciascuna
domanda di agevolazioni deve essere correlata ad un programma di
investimenti che non può riguardare più di una sola unità
produttiva e che deve essere organico e funzionale ovvero idoneo a
conseguire gli obiettivi produttivi, economici ed occupazionali
prefissati dall'impresa ed indicati nella domanda di agevolazione.
(Descrizione tratta da: MPS Merchant, Guida ai servizi
2002).
7
Legge 488/1992
Incentivi agli investimenti nelle aree depresse
Settore turismo
Soggetti beneficiari
1) Imprese turistiche che svolgono attività di gestione
delle strutture ricettive e annessi servizi (alberghi, motels,
villaggi-albergo, residenze turistico alberghiere, campeggi,
villaggi turistici, alloggi agro-turistici, esercizi di
affittacamere, case e appartamenti per le vacanze, case per ferie,
ostelli per la gioventù, rifugi alpini).
2) Agenzie di viaggio e turismo (imprese che esercitano
attività di produzione, organizzazione di viaggi e soggiorni,
intermediazione nei predetti servizi o anche entrambe le
attività, ivi compresi i compiti di assistenza e accoglienza ai
turisti).
3)
Imprese che gestiscono le ulteriori attività indicate dalle singole
Regioni (altre strutture ricettive o strutture diverse dalle
ricettive purché individuate da norme regionali, programmi di
intervento o regimi di aiuto, regionali o nazionali notificati e
approvati dalla Commissione Ue).
Le imprese devono essere già costituite e iscritte al
Registro delle imprese alla data di presentazione del modulo di
domanda (per le imprese individuali non ancora operanti è
sufficiente la titolarità di partita Iva; l'iscrizione al Registro
delle imprese deve comunque avvenire ed essere comprovata entro la
trasmissione della documentazione finale di spesa) e devono trovarsi
nel pieno e libero esercizio dei propri diritti, non essendo
sottoposte a procedure concorsuali o amministrazione controllata. Ai
fini del mantenimento delle agevolazioni concesse tutti i soggetti
richiedenti devono trovarsi in regime di contabilità ordinaria o
optarvi entro il periodo d'imposta successivo.
Per richiedere le agevolazioni, i predetti soggetti, devono
sostenere programmi di investimento organici e funzionali
nell'ambito di unità locali dagli stessi gestite anche se non di
proprietà.
Territori ammissibili
Aree considerate ammissibili agli interventi del Fondi
Strutturali della Ue (ob.1, ob.2 e phasing out) o ammesse
alla deroga prevista dall'art. 87.3.c. del Trattato Ue.
Iniziative ammissibili
a) Realizzazione di una nuova unità locale
b) Ampliamento: iniziativa che, attraverso un
aumento dell'occupazione e degli altri fattori produttivi, sia volta
ad accrescere la potenzialità delle strutture esistenti.
c) Ammodernamento: iniziativa che consiste nel
miglioramento organizzativo, funzionale, estetico e/o tecnologico
della struttura esistente, da realizzare anche attraverso interventi
di ristrutturazione in senso lato (ma non di manutenzione) e di
adeguamento alle prescrizioni normative vigenti.
d) Riconversione: è qualificabile come
riconversione l'iniziativa attraverso la quale si passa da
un'attività funzionante, anche non ammissibile, ad un'altra diversa
e ammissibile che presenti maggiori possibilità di mercato, come
rilevabile dal business plan, compatibilmente con i vincoli edilizi,
urbanistici e di destinazione d'uso degli immobili funzionali alla
nuova attività.
e) Riattivazione: iniziativa consistente
nell'utilizzo di una struttura esistente, per la quale sia accertato
un permanente stato di inattività, per lo svolgimento di un'attività
ammissibile uguale o funzionalmente analoga a quella svolta
precedentemente. Si intende permanente lo stato di inattività
protratto per almeno i due anni precedenti la data di presentazione
del Modulo di domanda.
Qualora la nuova attività non sia uguale o funzionalmente
analoga alla precedente, tanto da non consentire il prevalente
utilizzo della struttura preesistente, l'iniziativa è da
classificare come nuovo impianto; qualora lo stato di inattività
non sia permanente, l'iniziativa viene classificata, a
seconda delle caratteristiche del programma, di ampliamento o di
ammodernamento, nel caso di attività uguale o funzionalmente
analoga alla precedente, di riconversione, nel caso di attività
diversa da quella precedente.
I soggetti che determinano le scelte gestionali devono
essere diversi da quelli titolari della struttura inattiva.
Per le iniziative di riattivazione possono essere ammesse
alle agevolazioni le spese di manutenzione funzionali al ripristino
dell'attività, purché capitalizzate.
f) Trasferimento: iniziativa volta a rispondere alle
esigenze di cambiamento della localizzazione che, qualora non
riconducibili ad una delle tipologie di iniziative suddette, siano
determinate da decisioni e/o ordinanze emanate dall'Amministrazione
pubblica centrale e locale anche in riferimento ai piani di
riassetto produttivo e urbanistico, viario, o a finalità di
risanamento e di valorizzazione ambientale debitamente accertata.
Ciascuna domanda di agevolazioni deve essere correlata ad
un programma di investimenti che non può riguardare più di una
sola unità produttiva e che deve essere organico e funzionale
ovvero idoneo a conseguire gli obiettivi produttivi, economici ed
occupazionali prefissati dall'impresa ed indicati nella domanda di
agevolazione.
(Descrizione tratta da: MPS Merchant, Guida ai servizi
2002).
8
Legge 488/1992
Incentivi agli investimenti nelle aree depresse
Settore commercio
Territori ammissibili
Aree considerate ammissibili agli interventi del Fondi
Strutturali della Ue (ob.1, ob.2 e phasing out) o ammesse
alla deroga prevista dall'art. 87.3.c. del Trattato Ue.
Iniziative ammissibili
A) Esercizi di vendita al dettaglio classificati esercizi
dì vicinato: realizzazione di un nuovo impianto o
ampliamento, ristrutturazione o trasferimento di un'unità locale
esistente;
B) Esercizi commerciali di vendita al dettaglio
classificati media struttura o grande struttura, esercizi
commerciali di vendita all'ingrosso o centri di distribuzione, attività
di vendita per corrispondenza o di commercio elettronico: realizzazione
di un nuovo impianto, ampliamento, o trasferimento di un'unità
locale esistente;
C) fornitura di servizi complementari realizzazione
di un nuovo impianto, ampliamento, ammodernamento, ristrutturazione,
riconversione, riattivazione o trasferimento di un'unità locale
esistente.
Con riferimento agli esercizi di vendita al dettaglio
classificati esercizi di vicinato, agli esercizi commerciali di
vendita al dettaglio classificati media struttura o grande
struttura, agli esercizi commerciali di vendita all'ingrosso o ai
centri di distribuzione, alle attività di vendita per
corrispondenza o di commercio elettronico, si considera:
- ampliamento il programma che sia volto ad accrescere la potenzialità
di un'unità locale esistente attraverso l'incremento
dell'occupazione e, limitatamente agli esercizi commerciali di
vendita al dettaglio nonché a quelli di vendita all'ingrosso ed ai
centri di distribuzione, l'incremento significativo della superficie
di vendita, per i primi, o della superficie totale, per
gli altri, dell'unità locale non inferiore al 20% di quella
preesistente;
- ristrutturazione il programma che sia volto alla
modifica della formula distributiva e/o delle merceologie trattate
nell'unità locale esistente;
- trasferimento il programma volto a rispondere alle
esigenze di cambiamento della localizzazione delle unità locali
determinate da decisioni e/o ordinanze emanate dall'amministrazione
pubblica centrale e locale anche in riferimento a piani di riassetto
urbanistico, viario, o a finalità di risanamento e di
valorizzazione ambientale debitamente accertata.
Con riferimento alla fornitura di servizi complementari
si considera:
- l'ampliamento il programma che sia volto ad
accrescere la potenzialità di una unità locale esistente
attraverso l'incremento dell'occupazione;
- ammodernamento il programma che sia volto ad
apportare innovazioni nell'impresa con l'obiettivo di conseguire un
aumento della produttività e/o un miglioramento delle condizioni
ecologiche;
- ristrutturazione il programma diretto alla
razionalizzazione dei processi produttivi, alla riorganizzazione, al
rinnovo, all'aggiornamento tecnologico dell’impresa;
- riconversione il programma diretto a sostituire i
prodotti esistenti tramite l'introduzione di produzioni appartenenti
a comparti merceologici diversi attraverso la modificazione dei
cicli produttivi degli impianti esistenti;
- riattivazione il programma che ha come obiettivo
la ripresa dell'attività di insediamenti produttivi inattivi;
- trasferimento il programma volto a rispondere alle
esigenze di cambiamento della localizzazione degli impianti
determinate da decisioni e/o da ordinanze emanate
dall'amministrazione pubblica centrale e locale anche in riferimento
a piani di riassetto produttivo e urbanistico, viario, o a finalità
di risanamento e di valorizzazione ambientale debitamente accertata.
Ciascuna domanda di agevolazioni deve essere correlata ad
un programma di investimenti che può riguardare una sola unità
locale e che deve essere organico e funzionale, da solo idoneo, cioè,
a conseguire gli obiettivi produttivi, economici ed occupazionali
prefissati dall'impresa ed indicati nella domanda di agevolazione.
(descrizione tratta da: MPS Merchant, Guida ai servizi
2002).
9
Le leggi agevolative italiane a finalità regionale si applicano
soltanto nelle aree depresse del territorio nazionale, ossia
il loro intervento è circoscritto a zone geografiche delimitate. La
definizione di area depressa è quella introdotta dalla legge
488 del 23/12/1999, art.26, comma 16, dove si dice che, a decorrere
dal 01/01/2000, per aree depresse si intendono “quelle
individuate dalla Commissione delle Comunità europee come
ammissibili agli interventi dei fondi strutturali, obiettivi 1 e 2,
quelle ammesse, ai sensi dell’articolo 6 del regolamento (CE)
n.1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, al sostegno
transitorio degli obiettivi 1 e 2 e quelle rientranti nella
fattispecie dell’articolo 87, paragrafo 3, lettera c), del
trattato che istituisce la Comunità europea, come modificato dal
trattato di Amsterdam, di cui alla legge 16 giugno 1998, n.209,
previo accordo con la Commissione, nonché, ferme restando le
limitazioni previste dalla normativa comunitaria in materia di aiuti
di Stato, la regione Abruzzo. Con la stessa decorrenza dal 1°
gennaio 2000 e con le stesse limitazioni in materia di aiuti di
Stato:
1.
il richiamo contenuto in disposizioni di legge e di regolamento, ai
territori dell’obiettivo 1 deve intendersi riferito alle regioni
Abruzzo e Molise;
2.
il richiamo ai territori dell’obiettivo 2 deve intendersi anche
nelle aree ammesse, ai sensi dell’articolo 6 del regolamento (CE)
n.1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, al sostegno
transitorio a titolo dell’obiettivo 2;
3.
il richiamo ai territori dell’obiettivo 5-b deve intendersi
riferito alle aree ammesse, ai sensi dell’articolo 6 del
regolamento (CE) n.1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, al
sostegno transitorio a titolo dell’obiettivo 2”.
10
La gestione dei fondi strutturali è, tra l’altro, di
competenza di Direzioni generali (Dg) differenti da quella degli
Adis e, precisamente: Dg Politica regionale (Fesr); Dg Occupazione e
affari sociali (Fse); Dg Agricoltura (Feoga).
11
Il regolamento (Ce) n.1260/99 sui fondi strutturali per il
periodo 2000-2006 contiene una serie di disposizioni relative alla
valutazione degli Adis nell’ambito dei nuovi programmi.
12
I paragrafi 2 e 3 dell’art.87 specificano un certo numero di casi
in cui gli Adis possono essere considerati ammissibili, in deroga al
divieto. L’esistenza delle deroghe presuppone la presenza di un
controllo, a monte, degli aiuti condotto dalla Commissione europea.
Le disposizioni di deroga maggiormente rilevanti riguardano
gli aiuti destinati:
- a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il
tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave
forma di disoccupazione (art.87.3.a);
- ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune
regioni economiche, semprechè non alterino le condizioni degli
scambi in misura contraria al comune interesse (art.87.3.c).
Il controllo nel settore degli Adis si basa su un sistema
di autorizzazione preventiva, tramite il quale la Commissione
stabilisce se un determinato aiuto previsto da uno Stato membro può
beneficiare della deroga. In base a questo sistema tutti i nuovi
aiuti, o le modifiche a misure già esistenti, devono essere
notificati alla Commissione, fatta eccezione degli aiuti contemplati
dalla regola del de minimis (vedi nota 11).
13
Le norme orizzontali contengono la posizione della
commissione rispetto a determinate categorie di aiuti validi su
tutto il territorio comunitario. Gli orientamenti adottati dalla
Commissione in questi anni riguardano gli aiuti: alle piccole e
medie imprese, alla ricerca e sviluppo, per la tutela
dell’ambiente, per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese
in difficoltà, all’occupazione, alle imprese nei quartieri urbani
svantaggiati, alla formazione professionale.
14
Rientrano nel de minimis quegli aiuti, di qualsiasi natura e
forma, il cui importo non supera i 100.000 euro su un periodo di tre
anni. Il termine de minimis deriva dall’espressione latina de
minimis non curat proetor.
15
Per l’applicazione concreta dei regimi di aiuto si fa riferimento
alla carta degli aiuti a finalità regionale, di cui si
riporta la definizione: l’insieme formato, da un lato, dalle
regioni di uno Stato membro ammesse a beneficiare delle deroghe agli
aiuti e, dall’altro, dai massimali d’intensità degli aiuti
all’investimento iniziale o alla creazione di posti di lavoro
approvati per ciascuna di esse.
Gli stati membri, a norma dell’art.88, paragrafo 3, del
trattato, notificano il progetto di carta regionale e la Commissione
la adotta; inoltre, per “garantire la coerenza tra le decisioni
della Commissione adottate nel quadro della politica della
concorrenza e le decisioni relative alle regioni ammissibili al
beneficio dei Fondi strutturali, il periodo di validità delle carte
regionali corrisponde, in linea di massima, al calendario degli
interventi dei Fondi strutturali”.
16
Vedi Turatto R., 2001.
17
Regolamentazione dell’istituto del Patto Territoriale
Delibera Cipe del 21/03/1997
Descrizione
Il patto territoriale è l'accordo tra soggetti
pubblici e privati per l'attuazione di un programma di investimenti
nei settori dell'industria, agroindustria, servizi, turismo ed in
quello dell'apparato infrastrutturale, tra loro integrati.
Il patto è finalizzato allo sviluppo di aree territoriali
delimitate a livello subregionale e rappresenta la conclusione di un
processo di concertazione dal basso tra gli attori locali nel quale
viene esaltato il ruolo del partenariato sociale.
Soggetti interessati
I patti territoriali possono essere promossi da:
a) enti locali;
b) altri soggetti pubblici operanti a livello locale;
c) rappresentanze locali delle categorie imprenditoriali e
dei lavoratori interessate;
d) soggetti privati.
I patti possono, inoltre, essere sottoscritti da:
- regione o provincia autonoma nel cui territorio ricadono
gli interventi;
- banche o finanziarie regionali;
- consorzi di garanzia collettiva fidi;
- consorzi di sviluppo industriale operanti nel territorio
oggetto del patto.
I soggetti firmatari sono vincolati al rispetto degli
impegni assunti per la realizzazione degli interventi di rispettiva
competenza. La regione deve inserire il patto tra le azioni e le
iniziative attuative dei programmi regionali, compresi quelli di
rilevanza comunitaria; le banche e le finanziarie regionali, nei
limiti dei loro statuti, assumono l'impegno a sostenere
finanziariamente gli interventi produttivi per la parte di
investimenti non coperta da risorse proprie o da finanziamenti
pubblici; gli enti locali e gli altri soggetti pubblici
sottoscrittori si impegnano, in particolare, a dar attuazione alla
legge 241/1990 (trasparenza amministrativa) e a tutte le altre norme
di semplificazione ed accelerazione procedimentale.
I soggetti promotori devono, inoltre, provvedere ad
individuare, tra quelli pubblici, il soggetto responsabile ovvero a
costituire, a tal fine, società miste o a partecipare alle stesse.
Il soggetto responsabile provvede tra l'altro a:
- rappresentare in modo unitario gli interessi dei soggetti
sottoscrittori;
- attivare risorse finanziarie per consentire
l'anticipazione c/o il cofinanziamento di eventuali contributi
statali, regionali e comunitari (compresa la promozione dei ricorso
alle sovvenzioni globali);
- attivare le risorse tecniche ed organizzative necessarie
alla realizzazione del patto;
- assicurare il monitoraggio e la verifica dei risultati;
- verificare il rispetto degli impegni e degli obblighi dei
soggetti sottoscrittori;
- verificare e garantire la coerenza di nuove iniziative
con l'obiettivo di sviluppo locale a cui è finalizzato il patto;
- promuovere la convocazione di conferenze di servizi;
- assumere ogni altra iniziativa utile alla realizzazione
del patto.
Settori
Il patto può avere come oggetto interventi nei settori
dell'industria, agroindustria, servizi, turismo, apparato
infrastrutturale, tra loro integrati.
Aree territoriali
Il patto territoriale può essere attivato in tutto il
territorio nazionale, fermo restando che le specifiche risorse
destinate dal Cipe sono riservate ai patti attivabili nelle aree
depresse ammissibili agli interventi dei fondi strutturali (ob.1,
Ob.2 e deroga ex art. 87.3.c del Trattato di Roma).
Contenuto del patto territoriale
Il patto territoriale deve indicare:
- lo specifico e primario obiettivo di sviluppo locale cui
è finalizzato ed il suo raccordo con le linee generali della
programmazione regionale;
- il soggetto responsabile;
- gli impegni e gli obblighi di ciascuno dei soggetti
sottoscrittori per l'attuazione del patto;
- le attività e gli interventi da realizzare con
l'indicazione dei soggetti attuatori, dei tempi e delle modalità di
attuazione;
- il piano finanziario e i piani temporali di spesa
relativi a ciascun intervento e attività da realizzare.
(descrizione tratta da: MPS Merchant, Guida ai servizi
2002).
18
I firmatari dell'accordo designano inoltre un responsabile unico,
con poteri di coordinamento al quale vengono affidati i poteri
sostitutivi in caso di ritardi e inadempienze. Esso è responsabile
della spesa e risponde agli obblighi di monitoraggio e di reporting.
19
Tali iniziative sono 180, per un ammontare complessivo di risorse
pubbliche assegnate pari a oltre 7.700 miliardi di lire. (Turatto
R., 2001).
20
Non vi è stata la valutazione complessiva delle iniziative di Pt,
per la quale l'amministrazione aveva anche stilato dei criteri, in
quanto quasi tutte le proposte di Pt presentate entro il 1999 sono
state finanziate.In considerazione dell'alta vantaggiosità degli
incentivi offerti, e in assenza, appunto, di segnali di selettività,
è stata forte la spinta ad elaborare proposte che poco rispondevano
allo spirito dello strumento. La valutazione dei Pt si è così
risolta in un'analisi parziale di tipo microeconomico: è stato dato
rilievo alla congruenza tecnico-amministrativa delle singole azioni
di investimento e all'affidabilità dei beneficiari, come per la
488/1992, con criteri, per giunta, molto discutibili imposti per la
valutazione di merito; nessun rilievo è stato riservato, viceversa,
a ciò che doveva rappresentare la peculiarità qualificante del Pt,
cioè la sua capacità di intervenire sul livello di cooperazione
tra gli attori locali in un dato territorio. L'inevitabile
conseguenza di tutto ciò è stata che, sebbene con alcune pregevoli
eccezioni, lo strumento si è progressivamente trasformato,
assumendo l'aspetto di una forma alternativa di aiuto alle imprese,
diversa dalla legge 488/1992 solo per quel che riguarda le procedure
di accesso ai benefici e la generosità degli aiuti. (Turatto R.,
2001).
21
Si trattava tuttavia di risorse che il Cipe aveva già riservato al
finanziamento delle altre proposte di Pt la cui istruttoria aveva
avuto conclusione entro il 1999 (si trattava di 7 iniziative) e alla
copertura degli oneri di incentivazione alle imprese inseriti in
iniziative che avevano preso vita nelle aree terremotate di Umbria e
Marche e nelle aree colpite dagli eventi alluvionali del 2000, il
cui iter istruttorio si concludeva nel maggio del 2001. Solo una
parte delle 180 iniziative approvate era, dunque, operativa.
L'approvazione di 28 Pt generalisti e dei 91 Pt agricoli,
per un complesso di oltre 3.460 miliardi di lire, avveniva negli
ultimi giorni del 2000. Nel
gennaio 2001 risultavano in via di emanazione i relativi decreti di
concessione. (Turatto R., 2001).
22
L'intervento di politica industriale attraverso tali iniziative ha,
quindi, interessato un complesso di 2.169 imprese. Le agevolazioni
concesse ammontano a 2.538 miliardi di lire per un valore
complessivo degli investimenti agevolati pari a 6.123 miliardi di
lire. Il finanziamento medio concesso ammonta, dunque, a circa 1,1
miliardi di lire. (Turatto R., 2001).
23
Le erogazioni finanziarie effettuate al novembre 2000 ammontavano a
549 miliardi di lire. La cifra sembra modesta, specie se la si
confrontata con i 12.538 miliardi di lire di agevolazioni concesse.
Il confronto tra queste due grandezze non è però corretto:
infatti, mentre le agevolazioni concesse fanno riferimento
all'intero costo di progetti che si sviluppano su un periodo di più
anni, le erogazioni, invece, rappresentano la quantità di risorse
trasferite ai beneficiari e relative esclusivamente alla parte di
investimenti realizzati. (Turatto R., 2001).
24
Un esercizio di valutazione di questo tipo è stato realizzato dal
Ministero del tesoro ipotizzando una durata del ciclo di
realizzazione dell'investimento lunga poco meno di tre anni. E'
stato così valutato che i 549 miliardi di lire di erogazione a cui
era stato dato corso alla fine dello scorso anno ammontano a circa
il 50% delle erogazioni potenziali. La percentuale di erogazione
sarebbe stata evidentemente molto maggiore se si fosse tenuto conto
della situazione dei 10 Pt europei per l'occupazione. (Turatto
R., 2001).
25
Anche alcune estrapolazioni, effettuate rispetto ai dati relativi
alle iniziative approvate, portano a prevedere che nei prossimi anni
le erogazioni mediamente prodotte da questo strumento si aggireranno
intorno ai 2.000 miliardi di lire. (Turatto R., 2001).
26
Regolamentazione dei Contratti d'area
Delibera Cipe 21 marzo 1997
Descrizione
Il contratto d'area costituisce lo strumento operativo,
espressione del partenariato sociale, funzionale alla realizzazione
di un ambiente economico favorevole all'attivazione di nuove
iniziative imprenditoriali e alla creazione di nuova occupazione nei
settori dell'industria, agroindustria, servizi e turismo, attraverso
condizioni di massima flessibilità amministrativa ed in presenza di
investimenti qualificati da validità tecnica, economica e
finanziaria, nonché di relazioni sindacali e di condizioni di
accesso al credito particolarmente favorevoli.
Soggetti interessati
Soggetti promotori
L'iniziativa del contratto d'area è assunta d'intesa dalle
rappresentanze dei lavoratori e dei datori di lavoro ed è
comunicata alle regioni interessate.
Soggetti sottoscrittori
I contratti d'arca sono sottoscritti dai rappresentanti
delle amministrazioni statali e regionali interessate, dagli enti
locali territorialmente competenti, nonché, da rappresentanti dei
lavoratori e dei datori di lavoro, dai soggetti imprenditoriali
titolari dei progetti di investimento proposti e dai soggetti
intermediari che abbiano i requisiti per attivare sovvenzioni
globali da parte dell'Ue. Il contratto d'arca può essere
sottoscritto da altri enti pubblici, anche economici, da società a
partecipazione pubblica e da banche o altri operatori finanziari.
Responsabile unico
Il responsabile unico del contratto d'area è individuato
tra i soggetti pubblici firmatari dell'accordo ed ha il compito di
coordinare, indirizzare e verificare l'attività dei responsabili
delle singole attività ed interventi programmati.
Il responsabile unico presenta una relazione semestrale
sullo stato di attuazione del contratto evidenziando i risultati
raggiunti e le azioni di verifica e monitoraggio svolte.
Settori
Il patto può avere come oggetto interventi nei settori
dell'industria, agroindustria, servizi, turismo, apparato
infrastrutturale, tra loro integrati.
Aree territoriali
Le aree industriali nelle quali può essere stipulato il
contratto d'arca devono essere interessate da gravi crisi
occupazionali e ricadere nell'ambito:
a) di aree di crisi situate nei territori di cui agli
obiettivi 1, 2 e 5b, nonché di quelle individuate con decreto del
Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali in attuazione al Dl
20/5/1993, n.148, convertito dalla legge 19/7/1993, n.236, oggetto
dell'attività del Comitato per il coordinamento delle iniziative
per l'occupazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri
indicate con decreto dei Presidente del Consiglio dei Ministri
adottato su proposta dei Ministro dell'Economia e delle Finanze;
b) di aree di sviluppo industriale o nuclei di
industrializzazione situati nei territori di cui all'obiettivo 1,
ovvero di aree industriali realizzate ai sensi dell'art.32 della
legge 219/1981.
Contenuto del contratto d'area
Il contratto d'area deve indicare:
a) gli obiettivi inerenti la realizzazione delle nuove
iniziative imprenditoriali e gli eventuali interventi
infrastrutturali funzionalmente connessi alla realizzazione ed allo
sviluppo delle iniziative stesse;
b) le attività e gli interventi da realizzare, con
l'indicazione dei soggetti attuatori, dei tempi e delle modalità di
attuazione;
c) il responsabile unico dell'attuazione e del
coordinamento delle attività e degli interventi;
d) i costi e le risorse finanziarie occorrenti per i
diversi interventi a valere sulle specifiche somme destinate dal
Cipe, su altre risorse pubbliche nei limiti previsti dalle normative
di settore, nonché, di quelle reperite tramite finanziamenti
privati.
Il contratto d'area deve altresì contenere un'intesa tra
le parti sociali qualificata dagli obiettivi e dai contenuti
indicati nell'accordo per il lavoro sottoscritto il 24 settembre
1996 ed un accordo fra le amministrazioni e gli enti pubblici
coinvolti nell’attuazione del contratto.
(Descrizione tratta da: MPS Merchant, Guida ai servizi
2002).
27
A favore di questo strumento il Cipe ha assegnato dal 1998 a oggi
oltre 3.720 miliardi. Le iniziative cui è stato dato vita in questo
periodo ammontano a 17. A questi vanno sommati 8 protocolli
aggiuntivi con cui si e provveduto a rifinanziare Cdia in essere. Il
numero di imprese che hanno beneficiato dell'intervento è di 486. A
loro favore sono andate risorse derivanti dalla legge 488/1992 (per
circa 430 miliardi di lire), ma anche risorse assegnate dal Cipe
agli interventi di programmazione negoziata, derivanti dal fondo a
favore delle aree depresse istituito dalla legge 208/1998. In questo
caso di tratta di circa 3.144 miliardi di lire. Nel complesso, gli
inventivi approvati ammontano a oltre 3.500 miliardi, per un
ammontare medio di finanziamento pari a circa 7,3 miliardi di lire.
(Turatto R., 2001).
28
Valutazioni condotte dal Ministero del tesoro relativamente alla
percentuale di erogazioni effettuate in rapporto a quelle
prevedibili sulla base di un'ipotesi di avanzamento dei lavori
congruente con le ipotesi di progetto, indicano che questo valore si
colloca attorno al 58%.(Turatto R., 2001).
29
Tali risorse ammontano, per l'intero periodo 1998-2003, a oltre
4.200 miliardi di lire, mentre ammontano a circa 3.000 miliardi di
lire le agevolazioni approvate. Negli ultimi due anni questo
strumento è stato oggetto di un arresto, per cui le attività
collegate allo strumento sono state esclusivamente quelle relative a
erogazione di agevolazioni riguardanti iniziative in corso di
attuazione, la cui approvazione risale ad alcuni anni fa.
L'amministrazione ha poi comunicato la chiusura della gran parte dei
Cdip attivati prima del 1996, così come l'avanzato stato di
realizzazione di quelli avviati tra il 1996 e il 1998. La situazione
si è poi rimessa in moto con l'approvazione, nel luglio 1999, di
sette nuovi contratti per un onere di incentivazione di oltre 481
miliardi di lire, e, nel dicembre successivo, di un'ulteriore
iniziativa per 10 miliardi. Nel 2000 le erogazioni hanno dato vita a
un flusso di trasferimenti pari a 678 miliardi di lire. (Turatto R.,
2001).
30
In occasione di un convegno organizzato dalla Scuola di
organizzazione aziendale (Sdoa) della Fondazione Genovesi a
Salerno.
31
Dal punto di vista teorico l'importanza del concetto di
distretto industriale nella moderna organizzazione dell'impresa e
della produzione risale al primo Novecento ed ai tempi degli
economisti Marshall e Keynes. Per la sua definizione
statistico-analitica e normativa si veda Sforzi F, 1997 e Brusco S.,
Paba S., 1997.
Bibliografia
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Brusco S., Paba S. (1997), Per una storia dei distretti industriali
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Dormal Marino L. (2002), Sviluppi recenti della politica degli aiuti di
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Scharpf F. W. (1999), Governare l’Europa, Il Mulino.
Signorini F. (a cura) (2000), Lo sviluppo locale. Un’indagine della
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Turatto R. (2001), La programmazione negoziata, in Brancati R. (a
cura), “Le politiche industriali nelle regioni. Realtà e
valutazione. Rapporto Met 2001”, Donzelli editore, Roma.
Viesti G. (2000), Come nascono i distretti industriali, Edizioni
Laterza, Bari.
Monte dei Paschi di Siena - Mps Merchant, Guida ai servizi 2002.
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