L’analisi ha lo scopo di ricostruire flussi e meccanismi di un mondo
molto articolato e largamente carente di
approfondimenti sistematici, quello degli
aiuti di Stato alle imprese.
Il campo degli incentivi alle imprese è relativamente
frequentato per quanto riguarda la
descrizione delle norme e l’indicazione
dei meccanismi di accesso (aspetti per i
quali esiste una domanda di informazioni da
parte delle imprese stesse); sono quasi del
tutto assenti elementi ed informazioni
coerenti sul piano economico-finanziario.
L’ottica regionale è dovuta non solo alla necessità di tener conto
di una struttura produttiva caratterizzata
da una straordinaria varietà di condizioni
tra le regioni, ma anche all’opportunità
di dar conto della trasformazione
istituzionale avvenuta nel corso degli
ultimi anni (cosiddetti decreti Bassanini),
per la quale gli interventi a sostegno delle
attività produttive sono divenuti, con
alcune eccezioni non marginali, competenza
delle regioni.
Occuparsi dei dettagli, come fondamento necessario del disegno
di politica economica trova la sua
giustificazione nel modo in cui operano le
azioni della politica economica per lo
sviluppo. Spesso il disegno della politica e
le analisi si concentrano sulle idee di
fondo e sulle impostazioni generali delle
misure. Il problema, tuttavia, è dato dal
fatto che le idee - anche quelle buone -
hanno scarso peso nella politica economica e
che tutto dipende dai processi e dai
meccanismi di premio/sanzione che si mettono
in moto.
La rilevazione compiuta presso le amministrazioni si è basata sulla
raccolta diretta di informazioni
quantitative e qualitative per una
ricostruzione completa del quadro attuativo1.
Una schematica descrizione dei punti essenziali
Gli aiuti alle imprese sembrano godere di un diffuso grado di consenso.
Le forze sociali vedono con favore molte
delle misure adottate, alcune delle quali
sono specificamente orientate a singole
categorie o gruppi. Le amministrazioni hanno
sviluppato forme tecniche di assegnazione
dei fondi in grado di garantire un
accettabile livello di trasparenza, di tranquillità
amministrativa ed anche di una rapidità
gestionale capace di consentire
un’adeguata utilizzazione (ove del caso)
dei fondi comunitari.
In un sistema considerato, nel suo insieme, con soddisfazione, esigenze
particolari vengono risolte al margine.
Non si toccano i meccanismi in essere, che
continuano la loro vita, mentre si
aggiungono provvedimenti ad hoc
destinati, almeno formalmente, a quel
bisogno.
La logica cumulativa sopra descritta, già segnalata con riferimento
agli anni precedenti, si è confermata nel
corso del 2001: sono rimasti attivi tutti
gli strumenti già operativi in precedenza e
se ne sono aggiunti almeno due di grande
importanza. Da un lato è stato attivato il
credito di imposta previsto dalla legge
finanziaria (oltre 1070 miliardi di lire
erogati nel solo secondo semestre
dell’anno), dall’altro l’attuazione
della cosiddetta legge Tremonti/bis ha
modificato sensibilmente (accrescendola) la
convenienza degli interventi che risultavano
cumulabili con essa.
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Fig. 1 - Produzione industriale e prodotto interno lordo in Italia
(variazioni % tendenziali)
Fonte: CEr, Congiuntura Campania - Indagine sulle
imprese della Regione 1/2002,
Regione Campania - Assessorato
attività produttive |
L’incidenza delle regioni come soggetto della politica di sostegno
alle imprese si è caratterizzata per
diversi aspetti. Un primo aspetto riguarda
la gestione degli interventi regionalizzati
(dalla Sabatini alla legge 317/1991, dagli
interventi di Artigiancassa a quelli della
legge 341/1995) che utilizzano il fondo
unico: essa è stata caratterizzata dalla
continuità (stessi strumenti e stessi
soggetti gestori nazionali) con
differenziazioni tra regioni pressoché
nulle. Un secondo aspetto ha interessato il
ricorso al finanziamento aggiuntivo di
strumenti nazionali (in primo luogo la legge
488/1992) per la gestione di interventi
cofinanziati dai fondi strutturali della Ue.
Un terzo aspetto riguarda gli interventi
specifici a valere su interventi disegnati e
normati dalle stesse regioni:
complessivamente tali interventi sono stati
relativamente ridotti sul piano quantitativo
(meno dell’8% del totale) ed appiattiti su
una gamma di strumenti modesta se comparata
con l’esperienza passata.
Sul piano quantitativo si è registrato un eccezionale incremento delle
risorse erogate (+37% sull’anno
precedente). Gli oltre tremila miliardi in
più sono stati legati non solo ai nuovi
bandi della legge 488/1992 (che solo in
parte hanno trovato riflessi sulle
erogazioni dell’anno), ma anche
all’incidenza del credito di imposta e
alle attività di sostegno della
microimpresa.
L’incidenza degli interventi appare particolarmente rilevante in
molte regioni. Se si confrontano le risorse
con tutti i principali indicatori economici
(valore aggiunto, investimenti e, in alcuni
casi, occupazione) il peso degli aiuti di
Stato appare particolarmente significativo.
La struttura dell’offerta di politiche non si è modificata
sostanzialmente rispetto all’anno
precedente con l’unica eccezione citata
del credito di imposta. Gli strumenti
utilizzati in modo largamente prevalente
sono quelli tradizionali di natura
finanziaria orientati al sostegno degli
investimenti. La differenza di allocazione
più significativa riguarda l’arretramento
relativo dell’importanza degli interventi
a sostegno delle attività innovative e
della ricerca (che comunque crescono
leggermente in valore assoluto).
Relativamente sorprendente è il successo ed il livello di erogazioni
raggiunto dall’intervento di sostegno alle
microimprese (il cosiddetto prestito
d’onore) che è divenuto in tutte le
regioni meridionali una delle misure
principali, oltre a coinvolgere un numero di
operatori straordinario con oltre 150.000
domande alla fine del 2001.
Non può essere trascurato il fatto che interventi come il prestito
d’onore e, a maggior ragione, il
credito di imposta determinano problemi
significativi di pianificazione finanziaria.
Sono interventi per i quali la logica di
sportello (utile per ridurre alcune
distorsioni) accompagnata da una ridotta o
nulla selettività porta ad una sostanziale
impossibilità di controllo dei flussi. Nel
caso del credito di imposta, soprattutto,
l’entità finanziaria diviene nota solo ex
post.
Va rilevato come le modifiche nella distribuzione delle risorse
rispecchino le variazioni nelle convenienze
relative degli strumenti, almeno per quelli
che avevano sostituti possibili.
Le regioni, nonostante il rilievo istituzionale assunto nella materia,
sembrano caratterizzarsi per un ruolo
autonomo e specifico relativamente modesto.
Se si confrontano i dati del 2001 con
un’analisi analoga dei primi anni ’90 le
regioni presentano un ruolo
quantitativamente uguale (se si escludono i
provvedimenti nazionali regionalizzati). Sul
piano qualitativo, del resto, le regioni
avevano avuto un ruolo decisivo nella
sperimentazione di nuovi strumenti. Il
commento degli analisti negli anni ottanta,
particolarmente rivolto alle regioni
centro-settentrionali, esaltava - in
contrapposizione agli onerosi e considerati
poco efficaci interventi delle politiche
meridionalistiche - l’efficacia di
interventi innovativi e poco onerosi.
Tre erano le aree di sperimentazione di maggiore interesse avviate
dalle regioni: i servizi alle imprese, la
partecipazione al capitale di rischio e il
sostegno alla localizzazione delle attività.
La struttura attuale delle politiche
regionali risulta appiattita su strumenti
finanziari in tutto simili a quelli
nazionali o a quelli regionalizzati con una
riduzione di tutte e tre le aree di attività
indicate.
Rimane lo spazio rilevante destinato alle garanzie fidejussorie. Si
tratta, comunque, di esperienze fortemente
frammentate in un numero enorme di
operatori, con forti dubbi sull’efficacia.
Un aspetto essenziale è costituito dal costo per il contribuente. In
proposito si sono compiute semplici
simulazioni ed i risultati sono coerenti con
le aspettative. Se si approssima il costo
per il contribuente con il tempo di recupero
(ovvero una stima del tempo necessario perché
i flussi di imposte e contributi aggiuntivi
ripaghino gli incentivi erogati) si nota
come tale tempo sia relativamente breve (tra
i tre e i sei anni di attività).
Il recupero effettivo dipende sostanzialmente da due aspetti: la
speranza di vita delle imprese finanziate e,
soprattutto, il grado di aggiuntività. Se,
per ipotesi, si fosse in una situazione in
cui tutti gli investimenti finanziati
fossero stati comunque realizzati nella
stessa misura anche in assenza di aiuti
pubblici, il tempo di recupero (corretto per
l’aggiuntività) diventerebbe infinito e
l’intervento pubblico inutile.
Andrebbero, quindi, privilegiati interventi in grado di massimizzare la
probabilità di finanziare attività
aggiuntive (non solo quelle con speranza di
vita maggiore), posto che altri interventi,
ancorché rapidi e trasparenti, siano almeno
inutili.
L’andamento tendenziale sembra essere verso un ulteriore aumento dei
flussi. Norme che hanno operato solo per sei
mesi nel corso del 2001 saranno attive per
l’intero anno, alcuni sistemi di
convenienze saranno accresciuti (legge
488/1992), proseguirà la crescita
esponenziale del prestito d’onore
relativa alle erogazioni, per citare solo
gli aspetti quantitativamente più
rilevanti.
La tendenza quantitativa non può essere sostenuta a lungo:
vincoli di bilancio ed obblighi comunitari
portano inevitabilmente verso la ricerca di
forme di intervento quantitativamente meno
onerose e possibilmente più efficaci.
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Fig. 1 - Indice dei prezzi al consumo in Italia (variazioni % a tre
mesi annualizzate)
Fonte: CEr, Congiuntura Campania - Indagine sulle
imprese della Regione 1/2002,
Regione Campania - Assessorato
attività produttive |
Le modifiche a un sistema complesso e fortemente radicato nelle
preferenze degli imprenditori non possono
essere, probabilmente, radicali, ma tre
aspetti per una riforma da prevedere possono
essere segnalati:
1. va previsto un disegno di politica industriale articolato con
una gamma di strumenti che limiti le
sovrapposizioni tra diversi interventi che
insistono sui medesimi obiettivi e su
identiche tipologie di imprese e di attività.
La gamma degli strumenti deve essere
effettivamente funzionale alla segmentazione
delle esigenze delle imprese (la domanda)
con un’allocazione delle risorse coerente.
Va probabilmente ridotto, relativamente, lo
spazio degli interventi generalisti e,
soprattutto, il loro eccezionale livello di
aiuto che rischia di spiazzare e
rendere non convenienti tutte o quasi tutte
le altre forme di intervento;
2. alcuni principi guida ed un’assistenza strutturale alla fase di policy
design sarebbe opportuna vista la scarsa
attenzione posta, in diverse occasioni, alla
definizione dei dettagli che
costituiscono i vantaggi degli strumenti. Ciò
appare particolarmente rilevante nel caso di
numerosi interventi regionali. Con livelli
di aiuto elevati, come quelli possibili
nelle aree obiettivo 1, teoria e prassi
portano alle medesime conclusioni. Per
ridurre i problemi di selezione avversa e di
azzardo morale tipici di queste forme di
intervento, la via da percorrere è quella
della attenzione fortissima agli aspetti
contrattuali. La loro definizione, peraltro,
può prescindere da strutture amministrative
e gestionali relativamente deboli;
3. andrebbe accentuato e stimolato in modo particolare l’orientamento
verso strumenti innovativi in grado di
accrescere il grado di aggiuntività degli
interventi.
Con riferimento a quest’ultimo aspetto - associato alla cronica
sottocapitalizzazione delle imprese italiane
e meridionali - vanno guardati con
particolare attenzione gli interventi sul private
equity. Nella materia i tentativi
operati, in modo particolare dalle regioni,
sono stati spesso deludenti. Il tipo di
gestione è stato prevalentemente diretto,
ovvero operato attraverso partecipazioni
prese direttamente dalle finanziarie
regionali. Dalle informazioni disponibili i
risultati sembrano indicare forti necessità
di cambiamenti. Ad interventi di salvataggio
generalizzato di aziende in squilibrio
strutturale si associano altri interventi
per i quali, all’estremo opposto, le
imprese selezionate sono quasi tutte sane e
poco rischiose (che presumibilmente non
avrebbero avuto alcun problema neppure sul
mercato privato).
L’intervento nel campo del private equity, anche approfittando
della situazione macroeconomica (ridotti
tassi dell’interesse e prospettive di
crescita) andrebbe visto in modo più esteso
con interventi di politica industriale che
sostengano le azioni delle strutture
finanziarie private, in particolare di
quelle strutture specializzate (che
potrebbero essere anche utilizzate nella
fase di policy design). Almeno tre
aree di sostegno indiretto al private
equity sono ipotizzabili da parte
dell’operatore pubblico (anche attraverso
le stesse finanziarie a partecipazione
pubblica) per promuovere una maggior
diffusione di tali interventi con
l’obiettivo di contenere la redditività
minima richiesta ed abbassare la soglia
dimensionale caratteristica:
1. accrescere le disponibilità di fondi per società di private
equity disposte ad operare nel
territorio con l’utilizzazione di risorse
pubbliche o con meccanismi di incentive (per
esempio fiscali);
2. accollarsi una percentuale dei rischi con garanzie di entità
relativamente ridotta, ma di facile e rapida
escussione;
3. copertura finanziaria dei servizi di consulenza. Posto che la
funzione di screening delle proposte
e quella di assistenza nella fase gestionale
rappresentano due delle caratteristiche di
maggior interesse degli interventi dei
privati nel campo, il pagamento di uno o di
entrambe i servizi potrebbe avere
l’effetto di ridurre la dimensione
caratteristica degli interventi;
4. facilitare ed agevolare i meccanismi di collocamento non solo per le
offerte pubbliche, ma anche per le altre
forme. Alcune forme contrattuali adottate
con l’impegno contrattuale al riacquisto
basato sul valore del patrimonio netto, se
associate a garanzie, potrebbero essere
sperimentate.
Il quadro generale
Gli aiuti alle imprese sembrano godere di un diffuso grado di consenso.
Esplorare in modo rigoroso le ragioni di un
tale consenso non è scopo di questa
analisi, ma alcune ipotesi possono
ugualmente essere avanzate con l’obiettivo
di fornire un quadro di riferimento generale
al cui interno collocare le analisi puntuali
che costituiscono l’ossatura del rapporto.
Dopo le grandi difficoltà coincidenti con la crisi dell’intervento
straordinario nel Mezzogiorno, si è giunti
alla definizione di nuovi meccanismi di
allocazione dei fondi per gli aiuti alle
imprese e alla diffusione di ulteriori nuovi
strumenti capaci di soddisfare le numerose
richieste degli operatori. Nuovi strumenti
ed interventi si sono andati ad affiancare
ai vecchi, sostanzialmente tutti attivi con
la sola eccezione di quelli abrogati per il
Mezzogiorno, secondo una stratificazione
cumulativa. Questi aspetti si sono anche
accompagnati al rallentamento marcato dei
tassi di crescita dell’economia e al
progressivo decentramento dei poteri
culminato con i cosiddetti decreti Bassanini
(DLgs 112 e 113/1998) che hanno portato la
più rilevante forma di decentramento
esplicita dei poteri nel campo della
politica economica dalla costituzione delle
regioni.
Il grado di consenso, peraltro, trova alcune giustificazioni.
Le forze sociali vedono con favore molte delle misure adottate, alcune
delle quali sono specificamente orientate a
singole categorie o gruppi; raramente gli
aiuti alle imprese sono gli argomenti delle
contrapposizioni. Si può anzi sostenere che
alcuni interventi di carattere difensivo
trovano la loro giustificazione anche come
atipici ammortizzatori sociali).
Le amministrazioni hanno sviluppato forme tecniche di assegnazione dei
fondi in grado di garantire un accettabile
livello di trasparenza, di tranquillità
amministrativa ed anche di rapidità
gestionale capace, oltretutto, di consentire
un’adeguata utilizzazione, ove del caso,
dei fondi comunitari.
Non trattandosi di una componente maggioritaria della spesa pubblica,
il rigore fiscale non si concentra in modo
particolare su questi aspetti ed il fatto
che le spese siano prevalentemente legate a
investimenti e a ricerca porta in modo quasi
naturale ad un atteggiamento pregiudiziale
favorevole.
Questi aspetti, presenti in modo diffuso sul territorio nazionale,
trovano forza particolare nelle regioni
maggiormente impegnate nei programmi
comunitari e in quelle con maggiori
difficoltà a rispettare i tempi di
realizzazione delle attività.
In un contesto così favorevole, è utile fornire un quadro coerente
degli interventi con analisi il più
possibile puntuali e di merito.
Le fonti dei dati utilizzati sono state le amministrazioni competenti
per le informazioni economiche e finanziarie
e le fonti normative per condizioni e
procedure. Si sono analizzati tutti gli
strumenti principali orientati al settore
industriale e a quello dei servizi (ad
eccezione di turismo, commercio e
trasporti).
L’offerta
In un sistema considerato, nel suo insieme, con favore, esigenze
particolari vengono risolte al margine. Non si
toccano i meccanismi in essere, che continuano
la loro vita, mentre si aggiungono provvedimenti
ad hoc destinati, almeno formalmente, a
quel bisogno.
La logica cumulativa sopra descritta, già segnalata con riferimento
agli anni precedenti, si è confermata nel corso
del 2001 disegnando un sistema di offerta di
interventi di aiuto alle imprese molto
articolato: sono rimasti attivi tutti gli
strumenti già operativi in precedenza e se ne
sono aggiunti almeno due di grande importanza.
Da un lato è diventato operativo il credito di
imposta previsto dalla legge finanziaria del
2000 (oltre 1070 miliardi di lire erogati nel
solo secondo semestre del 2001), dall’altro
l’attuazione della cosiddetta legge Tremonti/bis
ha modificato sensibilmente (accrescendola) la
convenienza degli interventi che risultavano
cumulabili con essa.
Nella Tabella 1 è riportato il numero degli strumenti attivi
nel biennio 2000-2001, divisi per interventi
regionali e nazionali. Tra questi ultimi sono
comprese le norme nazionali oggetto del
decentramento previsto dai decreti Bassanini.
Si nota come si tratti di una numerosità altissima con un valore medio
di oltre 28 provvedimenti2 in
ciascuna regione (30 nelle regioni del
Mezzogiorno); la variabilità è marcata con un
valore minimo nel caso della Val d’Aosta (13)
e massimo in Sicilia (41). Secondo le attese si
rileva come la numerosità degli interventi
nazionali risulti più elevata nelle aree
depresse, mentre gli interventi promossi dalle
regioni risultano più diffusi nel centro-nord3.
La sola numerosità degli strumenti non consente di tracciare un quadro
significativo delle politiche attuate;
l’aspetto di maggior rilievo è costituito dai
flussi di risorse e dagli investimenti connessi
(questi ultimi, come detto, in larga misura
stimati4).
Come si potrà notare, nella grave mancanza di informazioni che
caratterizza il sistema degli aiuti di Stato
italiani, l’attenzione prevalente
dell’analisi - che si è tradotta anche in
stime laddove il dato ufficiale non era
disponibile - è stata concentrata sulle
erogazioni. Le erogazioni effettive
rappresentano, da un lato, l’afflusso di
risorse confrontabile con le grandezze
macroeconomiche, dall’altro si tratta dei
flussi legati agli investimenti realizzati. Le
scelte di investimento avvengono in un momento
precedente - questo aspetto viene studiato
attraverso l’analisi delle convenienze -,
mentre l’altra grandezza finanziaria tipica di
queste analisi, rappresentata dagli impegni, non
considera i problemi nelle fasi di completamento
dell’intervento.
Con riferimento alla dinamica dei flussi totali erogati, considerando
quindi sia gli interventi basati sulle norme a
carattere nazionale che quelli a valere su
specifiche norme regionali, il passaggio
dall’anno 2000 al 2001 registra un incremento
superiore al 37%. Si tratta di un incremento
straordinario che porta le erogazioni ai massimi
livelli. Il totale delle erogazioni per
l’intero territorio nazionale ammonta,
infatti, nell’anno 2001 a 10.167 miliardi di
lire a fronte di 37.378 miliardi di investimenti
attivati.
È importante osservare come la distribuzione regionale delle risorse
sia rimasta sostanzialmente invariata da un anno
all’altro; nel 2001, il 57% è destinato alle
regioni del sud, per un totale di 5.817 miliardi
di lire, ed è prevalentemente distribuito (41%)
in tre regioni, la Campania (16%), la Sicilia
(14%) e la Puglia (11%). Il restante 43% è
distribuito nel centro nord, con la particolare
incidenza della Lombardia (10%) e del Piemonte
(6%) ed una media del 2% per le altre regioni.
Le quote regionali delle erogazioni complessive presentano variazioni
percentuali significative per cinque regioni
(Calabria, Sicilia, Trentino Alto Adige,
Basilicata e Campania) che dal 2000 al 2001
segnalano incrementi superiori al 50% (all’80%
se si considerano solamente le prime due) per un
totale di 1.786 miliardi di lire, il 65% del
differenziale totale tra i due anni considerati.
Il forte incremento dei valori per le regioni
meridionali è largamente atteso visto che
l’incremento dipende in misura quasi totale
dagli incrementi delle erogazioni per la legge
488/1992, per il prestito d’onore e per
l’introduzione del credito di imposta, tutti
interventi prevalentemente o esclusivamente
rivolti alle regioni meridionali.
Le uniche flessioni registrate riguardano l’Emilia Romagna,
l’Umbria e la Valle d’Aosta con un
decremento medio del 14% ed un totale di 79
miliardi di lire di risorse perse rispetto
all’anno precedente.
Gli strumenti nazionali
Le norme nazionali sono state suddivise nelle seguenti 7 tipologie, per
una valutazione comparativa delle erogazioni nel
biennio:
1. norme storiche e settoriali: (902/1996; 598/1994; 64/1986; 181/1989;
808/1985; 675/1997; 341/1995 art. 2);
2. interventi per le fasce deboli e la microimpresa: (44/1986;
215/1992; 236/1993, 608/1996);
3. politiche per l’innovazione e la ricerca: (46/1982 Fit; 46/1982
Far; 488/1992 ricerca);
4. interventi automatici e credito di imposta: (266/1997 art. 8;
140/1997; 341/1995 art. 1; credito di imposta -
388/2000);
5. programmazione negoziata (662/1996 art. 2 patti territoriali;
662/1996 art. 2 C. 203 contratti d’area;
488/1992 art. 1 C. 3 contratti di programma);
6. legge 488/1992;
7. interventi regionalizzati ad eccezione di quelli automatici:
(49/1995 art. 1; 317/1991 artt. 5, 6, 8, 12, 17,
23, 34; 1329/1965; 949/1952; 240/1981).
L’analisi offre diversi spunti di riflessione:
- le norme storiche e settoriali si caratterizzano per una
sostanziale continuità nel 2001 rispetto al
2000 facendo segnare una crescita dell’erogato
molto modesta, pari allo 0,63%;
- anche le erogazioni relative agli interventi regionalizzati si
mantengono entro margini di crescita
relativamente modesti (+7,4%);
- al contrario, gli strumenti rientranti nella categoria delle fasce
deboli e microimprese fanno registrare
importanti aumenti (+63,8%) nel corso di un solo
anno. Ciò è sostanzialmente dovuto ad una
crescita modesta delle erogazioni della legge
44/1986, ad una crescita percentuale più
marcata (ma dimensionalmente contenuta) della
legge 236/1993 e, soprattutto, della legge
608/1996 il cui erogato è cresciuto, nel 2001,
rispetto all’anno precedente del 172%
raggiungendo i 409 miliardi5. La
legge per l’imprenditorialità femminile, al
contrario, registra un calo apprezzabile delle
erogazioni (passate da 73.2 miliardi del 2000 a
49.8 mld nel 2001);
- per quanto riguarda gli interventi automatici e il credito di
imposta, l’incremento del volume delle
erogazioni è stato elevatissimo, +153,7%. La
crescita è essenzialmente dovuta alle
erogazioni del 2001 del credito di imposta ed
alle variazioni incrementali della 266/1997 art.
8 (+96%), a fronte di rilevanti contrazioni dei
volumi erogati dalla 140/1997 (-45%) e di un
modesto incremento fatto registrare dalla
341/1995 art. 1 (+1,7%);
- un rilevante incremento delle erogazioni rispetto al 2000 si registra
anche per la legge 488/1992 (+111,7 %), grazie
agli effetti del nuovo bando associati al
trascinamento dai periodi precedenti;
- gli interventi nei settori della ricerca e dell’innovazione
sono cresciuti di oltre il 21%, grazie
all’importante volume di erogazioni generate
dalla legge 488/1992 e dall’incremento delle
erogazioni (+18%) della 46/1982 Far. La
componente relativa al finanziamento
dell’innovazione tecnologica (46/1982 Fit) ha
fatto registrare nel 2001 una riduzione delle
erogazioni nella misura del 5,4%;
- una riduzione di oltre il 31% è stata registrata negli interventi
riconducibili alla programmazione negoziata
(patti territoriali, contratti d’area e
contratti di programma). L’art. 2 c. 203 della
662/1996 - Contratti d’area – ha, infatti,
registrato una contrazione delle erogazioni
rispetto al 2000 di oltre il 60%, sia pure con
un’incidenza quantitativamente modesta. Forte
è stato l’impatto negativo dei contratti di
programma (488/1992 art. 1 c. 3) con -68,3%
connesso alle problematiche amministrative (nel
2002 tali erogazioni dovrebbero riprendere). Un
incremento delle erogazioni è stato al
contrario registrato per l’art. 2 della
662/1996 - Patti territoriali.
L’approfondimento a livello regionale dell’analisi consente di
cogliere le differenziazioni tra le diverse aree
geografiche della dinamica appena segnalata;
- le norme storiche e settoriali presentano un quadro di
generalizzata crescita delle erogazioni nelle
regioni del centro-nord con l’eccezione
dell’Umbria (-39,4%), dell’Abruzzo (-15,7%)
e del Molise (-15,6%).
Da segnalare la flessione delle regioni meridionali e, in modo
particolare, della Calabria (-27,5%);
- gli interventi per le fasce deboli e le microimprese
evidenziano la crescita delle regioni
meridionali, legata alla diffusione del prestito
d’onore, con variazioni importanti
(Sardegna +200,4%; Sicilia +88,6%; Puglia +78%;
Basilicata +70,8%; Calabria +59.8%). Nelle
regioni settentrionali si hanno, viceversa,
flessioni legate al calo delle erogazioni per
l’imprenditorialità femminile con valori
accentuati in Liguria (-55.6%), in Piemonte
(-44,3%), in Veneto (-39.3). In controtendenza
si segnala la forte crescita della Lombardia, ma
a dimensioni di erogato molto modeste;
- nel campo dell’innovazione e della ricerca si registra una
crescita delle erogazioni nelle regioni
meridionali con valori significativi in Sicilia
(+118,9%) e in Basilicata (+151,3%). Fa
eccezione la Puglia che si segnala per una
flessione del 32,6%. La dinamica della Calabria
va ridimensionata in considerazione dei livelli
di partenza, sostanzialmente nulli.
Nelle regioni settentrionali si hanno
forti incrementi in Piemonte (+37,8%), Liguria
(31,6%), Veneto (20%) e Lombardia (19,6%). Tra
le regioni centrali si segnalano l’Umbria
(87%), l’Abruzzo (72,6%) e la Toscana (29,5%);
- la struttura normativa degli interventi automatici e del credito
di imposta dà anche conto, almeno in parte,
della distribuzione territoriale con una ovvia esplosione
dei valori per le regioni meridionali. La
dinamica maggiore si ha in Calabria (2053,4%, la
regione ove maggiore era il vantaggio indotto
dalla normativa), in Sicilia (1984,9%), in
Sardegna (905,1%), in Molise (667,0%) e in
Campania (439,7%). Anche nel centro-nord si
hanno incrementi con l’eccezione di Emilia
Romagna (-95,2%), Umbria (-86,7%) e Veneto
(-14,6%);
- l’arretramento della programmazione negoziata trova
riscontro nell’andamento diffuso di tutte le
regioni meridionali;
- la legge 488/1992 distribuisce i suoi incrementi coerentemente con il
disegno della norma e, quindi, con una larga
prevalenza nelle regioni meridionali.
Gli strumenti delle regioni
L’incidenza delle regioni nel campo delle politiche per le attività
produttive si caratterizza per diversi aspetti.
Un primo aspetto riguarda la gestione degli interventi regionalizzati6
(dalla Sabatini alla legge 14/1997, dagli
interventi di Artigiancassa a quelli della legge
341/1995) che utilizzano il fondo unico: essa è
stata caratterizzata dalla continuità (stessi
strumenti e stessi soggetti gestori nazionali)
con differenziazioni tra regioni pressoché
nulle.
Un secondo aspetto ha interessato il ricorso al finanziamento
aggiuntivo di strumenti nazionali (in primo
luogo la legge 488/1992) per la gestione di
interventi cofinanziati dai fondi strutturali
della Ue.
Un terzo aspetto riguarda gli interventi specifici a valere su
interventi disegnati e normati dalle stesse
regioni: complessivamente tali interventi sono
stati relativamente ridotti sul piano
quantitativo (meno dell’8% del totale nel
2001) ed appiattiti su una gamma di strumenti
modesta se comparata con l’esperienza passata.
Il primo e il terzo aspetto saranno approfonditi con informazioni e
dati analitici, mentre il finanziamento
aggiuntivo di altri provvedimenti nazionali (per
esempio la legge 488/1992) si ritrova nei dati
nazionali di riferimento.
Il ruolo delle regioni nel campo degli aiuti di Stato viene quindi
analizzato attraverso due distinte linee di
attività7: una prima è riferita
alle norme regionalizzate con i decreti
Bassanini, ed una seconda ai provvedimenti a
valere sulle norme proprie delle regioni.
Andamento degli interventi regionalizzati
Per quanto riguarda gli interventi regionalizzati, l’analisi si è
soffermata sulla disamina dei flussi delle
erogazioni relative a due dei principali
strumenti normativi: la legge 1329/1965 (Sabatini)
e la legge 949/1952 unitamente alla 240/1981
(interventi Artigiancassa). Nel 2001 il volume
totale delle erogazioni è cresciuto rispetto
all’anno precedente di oltre il 22%.
Per un quadro più significativo si è considerato un intervallo
temporale più esteso che comprende il periodo
1997-2001. Si tratta di un quinquennio che può
consentire qualche considerazione su eventuali
variazioni quantitative intervenute nel periodo
di profonda trasformazione istituzionale.
Va rilevato l’andamento altalenante dei flussi finanziari nel
quinquennio 1997-2001 legato alle vicende del
finanziamento specifico delle norme: -20% nel
1998, +21% nel 1999, -18% nel 2000, e +22,5% nel
2001. Complessivamente, nel periodo 1997-2001 le
erogazioni hanno fatto registrare una flessione
del 2,8%. Non si possono trarre considerazioni
di particolare significato, ma certamente questa
componente degli interventi facenti capo alle
regioni non ha registrato incrementi.
Sul piano della distribuzione territoriale degli interventi, si
evidenziano, per alcune regioni, valori
complessivi di crescita molto marcati quali: la
Sicilia +459%, la Basilicata +200%, la Calabria
+135% e la Lombardia +115%. All’estremo
opposto si registrano cali sensibili per tre
regioni a statuto speciale (Trentino Alto Adige,
Val d’Aosta e Sardegna).
Per quanto riguarda le regioni meridionali (con l’eccezione della
citata Sardegna) si è avuto un diffuso e forte
incremento legato in modo particolare alla
crescita delle erogazioni della Sabatini cui si
è accompagnato un andamento positivo, ma meno
diffuso, per l’Artigiancassa (con crescita
relativamente inferiore per la Calabria e la
Sardegna).
Un aspetto di particolare rilievo è rappresentato dall’osservazione
dei dati relativi alle regioni non comprese
nell’obiettivo 1 delle aree depresse definite
dalla Ue.
In tutte queste regioni, con poche eccezioni, si sono avute forti
contrazioni nelle erogazioni complessive degli
interventi in esame e, in modo particolare,
della legge Sabatini. Le eccezioni, con
dinamiche positive, sono rappresentate dal
Piemonte e dalla Lombardia (con valori in
crescita sensibile per Sabatini e Artigiancassa),
l’Emilia Romagna (crescita solo per la
Sabatini) e il Friuli Venezia Giulia (crescita
solo per Artigiancassa).
Non si hanno informazioni sulle ragioni di tali andamenti
differenziati, ma è ragionevole presumere che
le regioni obiettivo 1 abbiano utilizzato
ampiamente tali interventi per l’attuazione
dei programmi operativi comunitari della
programmazione 1994-1999.
L’andamento degli interventi regionali
Gli interventi a valere su leggi regionali presentano, a seconda delle
differenti scelte strategiche di politica
industriale adottate e delle risorse
disponibili, pesi diversi sulle erogazioni
totali. Complessivamente si può evidenziare che
nel passaggio dall’anno 2000 al 2001
l’incidenza degli interventi regionali sul
totale ha subito una flessione del 2,6%,
confermando una sostanziale tendenza, da parte
delle regioni, all’utilizzo di provvedimenti
nazionali quali fonte primaria per il disegno
delle strategie di aiuto alle imprese. Del
totale generale delle erogazioni, per l’anno
2001, solo il 7,6% proviene da norme regionali.
Nel dettaglio, tra il 2000 ed il 2001, per quattordici regioni si è
avuto un decremento del peso degli interventi
regionali sul totale pari, in media, al 5%. Di
queste, particolarmente evidenti risultano la
Valle d’Aosta (-15%), la Liguria (-13%), il
Friuli Venezia Giulia (-9%) e la Lombardia
(-8%).
Per le rimanenti sei regioni si registrano incrementi pari, in media,
al 2%, con l’eccezione dell’Emilia Romagna
(5%) e del Veneto (3%).
Nel corso del 2001, le regioni del centro nord hanno utilizzato gli
strumenti regionali per una quota media pari al
20% delle risorse totali destinate agli aiuti di
Stato in quei territori, la stessa quota si
riduce al 4% per le regioni del sud.
Nel complesso, sembrerebbe evidente una maggiore tendenza
all’utilizzo di norme regionali da parte delle
regioni a statuto speciale, con la sola
eccezione della Sicilia. In queste regioni, tali
norme, contribuiscono per il 42% delle risorse
totali erogate, con punte massime del 90% per il
Trentino Alto Adige e del 68% per la Valle
d’Aosta.
Particolarmente basse le quote di incidenza degli interventi regionali
per il Molise (0,4%), la Sicilia (1,8%) e
l’Umbria (3,3%).
L’approfondimento relativo alle politiche regionali per lo sviluppo
industriale comporta la disamina e la
ricognizione di un ampio e qualitativamente
variegato numero di strumenti normativi che
governano il mercato atipico del sostegno
pubblico, a livello locale, delle attività
produttive.
La preliminare analisi dei volumi delle erogazioni (con esclusione
delle quote di erogazioni relative alle
garanzie) registrati nelle regioni nel 2000 e
nel 2001, evidenzia una sostanziale stabilità
giacché, dai 754,7 mld. del 2000, si è passati
ai 768,7 mld. erogati nel 2001, con una
variazione incrementale del tutto modesta pari a
circa l’1,9%.
Più nel dettaglio, a fronte di questa complessiva situazione di
stabilità, va registrata una crescita (+7,7%)
delle erogazioni per interventi in conto
capitale ed una contrazione delle erogazioni per
gli interventi in conto interessi (-9,5%).
Sul fronte delle garanzie, invece, si registra una sensibile
contrazione (-30,80%) rispetto all’anno
precedente. Le elaborazioni evidenziano,
infatti, il passaggio da un erogato pari a 80,1
mld nel 2000, ad un erogato di 55,5 mld nel
2001.
Il quadro d’insieme evidenzia una forte dinamicità nel rapporto tra
offerta e domanda di strumenti di politica
industriale localizzati. Importanti sono,
infatti, le variazioni, incrementali o
decrementali, nelle erogazioni generate nella
quasi totalità delle regioni.
Sul piano degli incrementi percentuali, le variazioni più rilevanti
sono riscontrabili in Toscana (+400,5%), Puglia
(+132,1%), Calabria (+159,8%) e Veneto
(+118,7%), mentre le contrazioni più
significative si verificano in Sicilia (-54,5%),
Umbria (-52,5%), Marche (-45,6%) e Basilicata
(-41,4%).
Nel caso delle erogazioni per garanzie fidi, la dinamicità riscontrata
negli interventi in conto capitale e conto
interessi si attenua a favore di una maggiore
stabilità giustificata dalla assenza nel 2001
di interventi di questo tipo in gran parte delle
regioni. Permangono tuttavia variazioni
significative sul piano dell’incremento delle
erogazioni rispetto all’anno precedente in
Lombardia (+73,5%) ed Emilia Romagna (+44,7%) e
variazioni altrettanto importanti in termini
decrementali in Sardegna (-100%), Veneto
(-81,3%), Lazio (-49,0%), Sicilia (-48,3%) e
Friuli Venezia Giulia (-42,9%).
In questo scenario, rileva l’approfondimento sulle dinamiche delle
singole regioni per la verifica non solo
numerica, ma anche qualitativa, degli interventi
a livello locale ed anche per valutare la
eventuale propensione ad una specializzazione
settoriale, sia nelle singole regioni che in
gruppi regionali aggregati per omogeneità
geografica o politico-amministrativa.
Da questo punto di vista, dunque, la specificità delle politiche
regionali offre interessanti spunti di
riflessione laddove, nella ricognizione degli
strumenti normativi operanti a livello locale,
si persegue l’obiettivo di una valutazione
degli orientamenti e delle scelte strategiche
del policy maker.
L’analisi della componente regionale delle politiche industriali
pertanto, è stata svolta soffermando
l’attenzione su quegli elementi che consentono
di evidenziare, per ciascuna regione, o per
gruppi di regioni, una tendenza vuoi alla
specializzazione settoriale in alcune specifiche
aree di sviluppo, vuoi alla definizione di
precise strategie di intervento a sostegno di
alcuni settori economico-produttivi definiti.
Il quadro d’analisi derivato dalla ricognizione delle erogazioni
regionali consente di identificare il livello di
specializzazione e di incidenza degli strumenti
disponibili a livello locale classificando gli
interventi regionali in 5 macro settori che
rappresentano le principali modalità attuate
nei 175 interventi censiti: politiche per la
localizzazione, politiche dei servizi, politiche
basate su garanzie fidejussorie offerte alle
imprese, misure basate sulla partecipazione al
capitale di rischio e, infine, incentivi
finanziari (conto capitale, conto interessi e
finanziamenti agevolati per investimenti).
La Tabella 8 sintetizza il risultato dell’analisi effettuata
segnalando, per il biennio, il valore delle
erogazioni effettuate e l’incidenza
percentuale, rispetto al totale annuale
dell’erogato, degli interventi con riferimento
ai macro settori definiti.
Prevale, su scala nazionale, sia nel 2000 (72,2%) che nel 2001 (82,2%)
l’impiego di strumenti finanziari, peraltro
cresciuto di oltre il 12% nel 2001.
Sempre su scala nazionale è da rilevare la bassissima incidenza delle
misure di partecipazione al capitale di rischio
(2000: 0,21%, 2001: 0,23%). Variazioni marginali
riguardano gli altri settori identificati.
L’approfondimento dell’analisi a livello regionale consente di
verificare il grado di eterogeneità relativa
tra le singole amministrazioni locali. La
Lombardia prevale nella utilizzazione di
strumenti attuativi di politiche di
localizzazione facendo registrare un erogato
complessivo nel biennio superiore ai 108 mld.
Nel settore delle politiche dei servizi il
primato spetta al Piemonte con oltre 28 mld.
complessivamente erogati. La Toscana è la
regione che si contraddistingue per l’adozione
di interventi che implicano il ricorso a
garanzie fidejussorie.
1 Il quadro teorico e metodologico, nonché il dettaglio dei commenti e
delle informazioni statistiche relative ai
singoli interventi, è presentato nel volume Le
politiche per le attività produttive, a
cura di Raffaele Brancati, Donzelli Editore,
Roma 2002.
2 Per provvedimenti si intendono linee di intervento. Ciò vuol
dire che una singola legge può avere molti
provvedimenti se prevede articoli che
differenziano gli strumenti per tipologia di
azioni o altro.
3 Va segnalato come il livello regionale scelto fa includere la regione
anche se la norma prevede interventi solo in
piccole porzioni del territorio.
4 Il dettaglio delle stime è riferito nelle singole tabelle analitiche.
In linea generale, dove non si avevano dati
ufficiali (o dove questi erano palesemente
errati) si è applicato il rapporto
Investimenti/agevolazioni delle proposte
approvate o, dove anche questa informazione
fosse mancante, da interventi considerati
omogenei. Si tratta, quindi, di valori puramente
indicativi, ma utili per offrire una dimensione
di riferimento.
5 I valori si riferiscono anche ai mutui concessi considerati al valore
dei benefici scontati.
6 Con i decreti legislativi 112 e 113 del 1998.
7 Va rilevato che, nel caso di interventi in cui la regione destina
fondi al finanziamento di leggi nazionali (i.e.
legge 488/1992), per esempio a valere sui
programmi operativi delle regioni meridionali, i
valori sono stati considerati nella norma
nazionale per evitare duplicazioni.
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