Numero 5 - 2002

 

le politiche per le attività produttive

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nuova programmazione e sviluppo territoriale. Una vecchia novità


Adriano Giannola


 

Dal primo intervento straordinario, con la nuova programmazione si torna a discutere sui temi del riequilibrio territoriale nel nostro paese. Fra apparenti rotture e sostanziali continuità, si può nutrire una certa fiducia a valle di oltre un decennio di incapacità dello Stato di incidere sulla crescita del sistema economico meridionale. Adriano Giannola descrive gli strumenti della contrattazione programmata, dei contratti d'area e dei patti territoriali, cogliendone gli aspetti innovativi di razionalizzazione dei localismi, in cui l'applicazione del principio di sussidiarietà governa l'incertezza fra nuovo sviluppo e valorizzazione delle vocazioni pregresse

 

Dopo il buio che ha caratterizzato gli anni ‘90, i fatti hanno riproposto prepotentemente l’esigenza di riannodare il filo interrotto delle politiche di sviluppo che si pensava di aver archiviato decretando per legge la fine del cosiddetto intervento straordinario.

Dal 1998 la nuova programmazione (Np) tornando a confrontarsi con il problema degli squilibri territoriali del nostro paese, ripropone - anche se molti suoi esegeti vorrebbero esorcizzarlo - l’irrisolto tema del governo del dualismo. La Np si muove proponendo una serie di strumenti e definendo compiti e ruoli dei tanti attori potenzialmente coinvolti che si inquadrano in un disegno eclettico di rivisitazione del passato. E così, i temi ed i capisaldi classici della politica di sviluppo riprendono ordinatamente il loro posto.

Dunque, la programmazione riappare con un abito nuovo. Non è - questa - cosa di poco conto. Tra forma e sostanza c’è una relazione tutt’altro che superficiale. Questo aspetto va segnalato e valutato per poter giudicare poi dell’efficacia che la nuova forma ha per realizzare gli obiettivi di una strategia che non è né nuova né vecchia ma è - semmai - l’unica percorribile. Infatti alle innovazioni della prassi corrispondono forti elementi di continuità che collegano - fatte le debite proporzioni - la Np al messaggio originario del primo intervento.

Proprio la continuità che si cela dietro alle apparenti rotture consente di dare una qualche fiducia alla stagione della Np ed alla possibilità che essa offre di riaprire il circuito della riflessione su contenuti e forma del progetto da realizzare.

Gli elementi di continuità sono sostanziali: mentre si nega il dualismo, lo si rimette al centro dell’analisi; si predica lo sviluppo locale per riabilitare l’intervento esterno sdoganandolo dalla demonizzazione del recente passato; in nome del superamento della straordinarietà torna in auge il concetto di aggiuntività e della specialità delle procedure. Il tutto in un contesto operativo che mentre decentra, entro confini e canoni rigidamente codificati, affida al centro la valutazione ex ante ed ex post di congruità degli interventi.

 

 

Nuova e vecchia programmazione

 

Per capire quanto è nuova la Np occorrerebbe - e non è certo questa la sede per farlo - definire puntualmente il profilo della vecchia; parlare dei danni del vecchio intervento, del ruolo della spesa pubblica più in generale e della singolare e semplicistica smemoratezza che su questi aspetti caratterizza i programmatori che si aggirano oggi nelle stanze del Tesoro.

Fig. 1 - I consumi privati in Europa (variazioni tendenziali)

 

Si tributa un omaggio formale ai risultati della prima stagione dell’intervento straordinario per condannarlo poi in nome della progressiva inefficacia dell’ultimo ventennio dimentichi che tale inefficacia è proprio la conseguenza - costantemente denunciata - dell’incapacità di innovare nel disegno strategico che fino allora aveva inserito l’intervento a sud in una prospettiva di sostegno dello sviluppo complessivo. È proprio la cancellazione di fatto delle politiche di intervento straordinario, e la loro sostituzione con il flusso di spesa ordinaria - dalla fiscalizzazione degli oneri sociali, alle varie emergenze Mezzogiorno - che ha segnato l’infausta esperienza degli anni ‘80. Secondo la parola d’ordine allora dominante, era in atto una intensa stagione di sviluppo autopropulsivo, nasce allora un localismo autoreferenziale che fa a meno dell’assistenza e si celebra per la prima - ma non ultima - volta la fine del dualismo.

La scoperta di uno sviluppo autopropulsivo che non c’era ha fornito una non innocente copertura ad una strategia politica che a tutti i livelli, locali e centrali, ha progressivamente sostituito alla tradizione offertista dell’intervento una disinvolta mistura di stato sociale, sussidi alle imprese e spesa in opere pubbliche, tanto più apprezzate quanto più motivate da endemiche emergenze.

Il risultato è stato dieci anni perduti in cui è caduta verticalmente la capacità dello Stato di incidere per unità di spesa sulle possibilità di crescita del sistema.

La priorità - non la novità - che la Np individua e si impegna a praticare è proprio quella di rilanciare una politica dell’offerta, qualificata e aggiornata, con ciò legittimando nuovamente il ruolo dell’intervento pubblico nel Mezzogiorno.

Cessato l’intervento straordinario, occorre, dunque, avviare una riflessione su come attivare per via ordinaria politiche di sviluppo sostenibili e a misura del problema Mezzogiorno.

Qual è la strategia oggi possibile ed utile? La risposta sta nell’attivare gli attori istituzionali ordinari, innescando comportamenti che nell’avvicinarsi al funzionamento normale, conseguano di fatto un risultato straordinario.

 

 

Le tre gambe della Np

 

Le tre linee operative della Np sono la contrattazione programmata; i contratti d’area; i patti territoriali. Lo strumento pattizio si affianca alle tradizionali politiche dei fattori - incentivi al capitale ed al lavoro - e dei servizi reali che in qualche misura si coordinano o si integrano in esso.

 

Contratti di programma

 

L’origine di questo strumento è tutt’altro che recente, essa vien fatta risalire, di norma, alla legge 64/1986 di riforma dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno che prevedeva l’istituto dell’accordo di programma, cioè il concorso di più amministrazioni per iniziative integrate a carattere interregionale. In effetti la categoria del contratto di programma è già nella relazione previsionale e programmatica del 1968 nella quale il Ministro del bilancio e della programmazione propone di stabilire un sistema di consultazioni governo-imprenditori concernenti le iniziative che questi intendevano adottare e rendendo note, per contro, le opere infrastrutturali che l’amministrazione pubblica sarebbe stata disposta a predisporre. Questi elementi trovano una veste formale già nella legge 853/1971 nella quale, oltre al varo ufficiale dei contratti di programma e della programmazione negoziata, troviamo la definizione dei cosiddetti progetti speciali che, per la prima volta, attribuisce un ruolo speciale ed attivo alle neonate regioni. La precisazione e formalizzazione di questi strumenti, inclusa la possibilità di applicare il contratto di programma a consorzi di piccole e medie imprese, prosegue nei successivi interventi, in particolare la legge 183/197).

La ratio del contratto di programma rimane sostanzialmente immutata negli oltre trenta anni di esistenza. L’arricchimento odierno di questo strumento sta nell’enfasi, finora con risultati limitati, sulle possibilità di favorire la delocalizzazione nel Mezzogiorno di parti significative di distretti industriali.

 

Contratti d’area

 

Questa tipologia di intervento, è una delle novità formali della Np. Più che rispondere all’esigenza di promuovere lo sviluppo, esso fa fronte ad esigenze per così dire difensive o di consolidamento di realtà esistenti e che versano in condizioni critiche.

Forse questo spiega perché in sede di presentazione ufficiale della Np questo strumento non viene citato come particolarmente rilevante.

Fig. 2 - La crescita del Pil in Italia

Fonte: CEr, Congiuntura Campania - Indagine sulle imprese della Regione 2/2002, Regione Campania - Assessorato attività produttive

 

Il contratto d’area deve farsi carico di favorire le esigenze di ristrutturazione e riconversione delle aree di crisi industriale. Il fine è soprattutto quello di realizzare più favorevoli (per le imprese) relazioni industriali così da consentire significativi riduzioni nel costo del lavoro.

Il conseguimento degli obiettivi di riduzione del costo del lavoro è demandato a quella varietà di strumenti che rappresentano tutta la batteria dei provvedimenti invocati a riforma del mercato del lavoro meridionale (e non solo) e da alcuni considerati come l’ingrediente principale se non unico di una politica di sviluppo possibile. Essi investono in primo luogo il modello di contrattazione: deroghe dai contratti di categoria e intensificazione di forme più flessibili di rapporti di lavoro. La logica è del tutto coerente all’impostazione - cara ad esempio alla Banca d’Italia - che non solo come misura di breve periodo ma in un’ottica di strategia complessiva propugna con decisione una politica di ampliamento dei già consistenti differenziali salariali e - di fatto - normativi in ossequio ad una profezia secondo la quale questa flessibilità rappresenta l’ingrediente essenziale per la promozione dello sviluppo in aree dominate dal fenomeno della disoccupazione di massa e del lavoro irregolare.

 

I patti territoriali

 

Questo è lo strumento aggiuntivo sul quale la Np fa leva per conseguire un rinnovamento dell’intervento territoriale. Esso intende promuovere accordi tra agenti rappresentativi pubblici e privati in territori delimitati - in genere la scala è provinciale o sub-provinciale - per “la realizzazione di interventi coordinati e integrati ... che innalzino la redditività privata e sociale”. Allo stato attuale sono interessati a questo tipo di esperienza praticamente tutti i comuni eleggibili nelle zone dell’obiettivo 1. Dal che si desume che uno strumento apparentemente selettivo nello specifico, di fatto è molto vicino ad una versione aggiornata del cosiddetto intervento a pioggia.

L’obiettivo è non solo o non tanto quello di fare massa critica con progetti coordinati su base locale, ma di sviluppare per loro tramite una rete di rapporti fiduciari che consenta di fare sistema, mettere in rete forze ed agenti tradizionalmente isolati o per lo meno legati da relazioni lasche, non di rado improntate a reciproca diffidenza.

La forza di persuasione che dovrebbe facilitare il raggiungimento di questo intento teorico è dato dal collegare la possibilità di accedere a consistenti aiuti pubblici subordinatamente al fatto che i diversi soggetti operanti nell’area si impegnino a sviluppare reti di relazioni simili a quelle dei distretti industriali. È uno strumento diretto in prima istanza ai residenti, teso cioè a mutare comportamenti e strategie di agenti non proprio ottimali per lo sviluppo dell’ambiente in virtuosi operatori dello sviluppo. Ma è anche uno strumento che ambisce - grazie alla capacità di rendere progressivamente attrattivo il territorio - a richiamare dall’esterno operatori che sono portatori naturali di quelle virtù che si tenta di inculcare - negli indigeni - con la sovrastruttura pattizia.

Sui patti vi sono molteplici punti di vista che nel mentre condividono un generale apprezzamento di base, si distinguono poi per giungere a considerazioni e conclusioni anche molto divergenti.

Figura 3 - Clima di fiducia delle famiglie in Italia

(valori destagionalizzati e depurati dai fattori erratici)

Fonte: CEr, Congiuntura Campania - Indagine sulle imprese della Regione 1/2002, Regione Campania - Assessorato attivitàproduttive

 

Le maggiori riserve derivano dalla complessità oggettiva del procedimento decisionale e di gestione, preoccupazione legittimata dalla tradizione di scarsa efficienza delle amministrazioni pubbliche del Mezzogiorno nonché di resistenze tutt’altro che marginali alla logica del cambiamento. D’altra parte proprio il mutamento del contesto è un obiettivo (per certi versi il principale obiettivo), per cui si parla di costruzione di un ordine negoziato e di una cooperazione indotta laddove regna il disordine e la frammentazione sociale. In questa prospettiva i 100 miliardi di finanza Cipe (la dotazione massima di risorse pubbliche che un patto può veder riconosciuta) più che trasferimenti sono il premio elargito ai territori che vogliono cambiare le regole del gioco e della governance.

 

 

Il modello e le strategie di sviluppo

 

La Np si ispira, come si diceva, ad una razionalizzazione del localismo, contemperato da una - crescente - richiesta di sussidiarietà rivolta, con progressione che è importante sottolineare, sempre di più all’esterno. In ciò vi è una realistica e ponderata correzione degli elementi deteriori dominanti negli anni ‘80 e, al contempo, una valutazione problematica dell’esperienza dell’intervento straordinario rispetto alla quale la Np si pone come evoluzione piuttosto che come rottura.

Di aver recuperato ciò va dato atto alla Np; essa, non diversamente dall’enfasi modernizzatrice degli anni ‘50, si propone di riformare la società.

Ma proprio sul versante della visione strategica, il confronto con il passato non depone decisamente a favore della Np.

Allora la strategia puntava ad un mutamento netto e radicale, da qui la difficoltà di avere un approccio localistico. Si confidava, non a torto, nella capacità di un intervento che incidesse profondamente sui dati di struttura - riforma agraria, infrastrutturazione, prima, industrializzazione poi - mettendo anche in conto i costi di questa distruzione creatrice.

Era chiaro il ruolo dell’intervento all’interno di un preciso quadro di riferimento: l’offerta - illimitata - di lavoro alimentata - via riforma agraria - dall’emigrazione dal settore arretrato a quello avanzato; il ruolo delle politiche di preindustrializzazione che, allentando i vincoli dell’offerta, forniscono al contempo un valido e sicuro sostegno alla domanda; la sostituzione della politica regionale a quella tariffaria realizzata con la politica di industrializzazione che assolve al delicato compito di preparare l’industria nazionale alla sfida che il varo del mercato comune europeo pone dal 1957 in poi. Tutto ciò per ricordare che l’analisi costi-benefici non era circoscritta allo scacchiere del Mezzogiorno e che grazie a queste condizioni il meridionalismo ha trovato, per la prima volta nella storia unitaria, un terreno concreto per svolgere un ruolo di cruciale importanza. L’intelligenza di allora fu quella di cogliere questa opportunità cercando di gestire al meglio le sue implicite contraddizioni.

Questa esigenza di definire un chiaro percorso strategico complessivo oggi è del tutto assente. Il ruolo assegnato al sud è limitato alla difficile missione di fare sempre più da solo o per dirla in altri termini, di essere compatibile con i vari patti di stabilità. Un ruolo, quindi, da assolvere in negativo. Oggi l’obiettivo è quello del recupero e consolidamento di un precario equilibrio, ufficialmente per far evolvere e sprigionare le energie latenti di una promettente società locale. È in questo tratto che di fatto accetta acriticamente di identificare le ragioni dello sviluppo in vocazioni locali di un nord e di un sud tra loro sempre più divaricanti, che sta l’aspetto certo, interessante e originale ma anche più fragile, contraddittorio e limitante della Np.

 

 

 

 

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