Dopo il buio che ha caratterizzato gli anni ‘90, i fatti hanno
riproposto prepotentemente l’esigenza di
riannodare il filo interrotto delle
politiche di sviluppo che si pensava di aver
archiviato decretando per legge la fine del
cosiddetto intervento straordinario.
Dal 1998 la nuova programmazione (Np) tornando a confrontarsi
con il problema degli squilibri territoriali
del nostro paese, ripropone - anche se molti
suoi esegeti vorrebbero esorcizzarlo -
l’irrisolto tema del governo del
dualismo. La Np si muove proponendo una
serie di strumenti e definendo compiti e
ruoli dei tanti attori potenzialmente
coinvolti che si inquadrano in un disegno
eclettico di rivisitazione del passato. E
così, i temi ed i capisaldi classici della
politica di sviluppo riprendono
ordinatamente il loro posto.
Dunque, la programmazione riappare con un abito nuovo. Non è - questa
- cosa di poco conto. Tra forma e sostanza
c’è una relazione tutt’altro che
superficiale. Questo aspetto va segnalato e
valutato per poter giudicare poi
dell’efficacia che la nuova forma ha per
realizzare gli obiettivi di una strategia
che non è né nuova né vecchia ma è -
semmai - l’unica percorribile. Infatti
alle innovazioni della prassi corrispondono
forti elementi di continuità che collegano
- fatte le debite proporzioni - la Np al
messaggio originario del primo intervento.
Proprio la continuità che si cela dietro alle apparenti rotture
consente di dare una qualche fiducia alla
stagione della Np ed alla possibilità che
essa offre di riaprire il circuito della
riflessione su contenuti e forma del progetto
da realizzare.
Gli elementi di continuità sono sostanziali: mentre si nega il
dualismo, lo si rimette al centro
dell’analisi; si predica lo sviluppo
locale per riabilitare l’intervento
esterno sdoganandolo dalla demonizzazione
del recente passato; in nome del superamento
della straordinarietà torna in auge il
concetto di aggiuntività e della specialità
delle procedure. Il tutto in un contesto
operativo che mentre decentra, entro confini
e canoni rigidamente codificati, affida al
centro la valutazione ex ante ed ex
post di congruità degli interventi.
Nuova e vecchia programmazione
Per capire quanto è nuova la Np occorrerebbe - e non è certo questa
la sede per farlo - definire puntualmente il
profilo della vecchia; parlare dei danni del
vecchio intervento, del ruolo della
spesa pubblica più in generale e della
singolare e semplicistica smemoratezza che
su questi aspetti caratterizza i
programmatori che si aggirano oggi nelle
stanze del Tesoro.
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Fig. 1 - I
consumi privati in Europa
(variazioni tendenziali) |
Si tributa un omaggio formale ai risultati della prima stagione
dell’intervento straordinario per
condannarlo poi in nome della progressiva
inefficacia dell’ultimo ventennio
dimentichi che tale inefficacia è proprio
la conseguenza - costantemente denunciata -
dell’incapacità di innovare nel disegno
strategico che fino allora aveva inserito
l’intervento a sud in una prospettiva di
sostegno dello sviluppo complessivo. È
proprio la cancellazione di fatto delle
politiche di intervento straordinario, e la
loro sostituzione con il flusso di spesa
ordinaria - dalla fiscalizzazione degli
oneri sociali, alle varie emergenze
Mezzogiorno - che ha segnato
l’infausta esperienza degli anni ‘80.
Secondo la parola d’ordine allora
dominante, era in atto una intensa stagione
di sviluppo autopropulsivo, nasce allora un
localismo autoreferenziale che fa a meno
dell’assistenza e si celebra per la
prima - ma non ultima - volta la fine del
dualismo.
La scoperta di uno sviluppo autopropulsivo che non c’era ha fornito
una non innocente copertura ad una strategia
politica che a tutti i livelli, locali e
centrali, ha progressivamente sostituito
alla tradizione offertista
dell’intervento una disinvolta mistura di
stato sociale, sussidi alle imprese e spesa
in opere pubbliche, tanto più apprezzate
quanto più motivate da endemiche emergenze.
Il risultato è stato dieci anni perduti in cui è caduta verticalmente
la capacità dello Stato di incidere per
unità di spesa sulle possibilità di
crescita del sistema.
La priorità - non la novità - che la Np individua e si impegna a
praticare è proprio quella di rilanciare
una politica dell’offerta, qualificata e
aggiornata, con ciò legittimando nuovamente
il ruolo dell’intervento pubblico nel
Mezzogiorno.
Cessato l’intervento straordinario, occorre, dunque, avviare una
riflessione su come attivare per via
ordinaria politiche di sviluppo sostenibili
e a misura del problema Mezzogiorno.
Qual è la strategia oggi possibile ed utile? La risposta sta
nell’attivare gli attori istituzionali
ordinari, innescando comportamenti che
nell’avvicinarsi al funzionamento normale,
conseguano di fatto un risultato
straordinario.
Le tre gambe della Np
Le tre linee operative della Np sono la contrattazione programmata; i
contratti d’area; i patti territoriali. Lo
strumento pattizio si affianca alle
tradizionali politiche dei fattori -
incentivi al capitale ed al lavoro - e dei
servizi reali che in qualche misura si
coordinano o si integrano in esso.
Contratti di programma
L’origine di questo strumento è tutt’altro che recente, essa vien
fatta risalire, di norma, alla legge 64/1986
di riforma dell’intervento straordinario
nel Mezzogiorno che prevedeva l’istituto
dell’accordo di programma, cioè il
concorso di più amministrazioni per
iniziative integrate a carattere
interregionale. In effetti la categoria del
contratto di programma è già nella
relazione previsionale e programmatica del
1968 nella quale il Ministro del bilancio e
della programmazione propone di stabilire un
sistema di consultazioni
governo-imprenditori concernenti le
iniziative che questi intendevano adottare e
rendendo note, per contro, le opere
infrastrutturali che l’amministrazione
pubblica sarebbe stata disposta a
predisporre. Questi elementi trovano una
veste formale già nella legge 853/1971
nella quale, oltre al varo ufficiale dei
contratti di programma e della programmazione
negoziata, troviamo la definizione dei
cosiddetti progetti speciali che, per
la prima volta, attribuisce un ruolo
speciale ed attivo alle neonate regioni. La
precisazione e formalizzazione di questi
strumenti, inclusa la possibilità di
applicare il contratto di programma a
consorzi di piccole e medie imprese,
prosegue nei successivi interventi, in
particolare la legge 183/197).
La ratio del contratto di programma rimane sostanzialmente immutata
negli oltre trenta anni di esistenza.
L’arricchimento odierno di questo
strumento sta nell’enfasi, finora con
risultati limitati, sulle possibilità di
favorire la delocalizzazione nel Mezzogiorno
di parti significative di distretti
industriali.
Contratti d’area
Questa tipologia di intervento, è una delle novità formali della Np.
Più che rispondere all’esigenza di
promuovere lo sviluppo, esso fa fronte ad
esigenze per così dire difensive o di
consolidamento di realtà esistenti e che
versano in condizioni critiche.
Forse questo spiega perché in sede di presentazione ufficiale della Np
questo strumento non viene citato come
particolarmente rilevante.
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Fig. 2 - La
crescita del Pil in Italia
Fonte: CEr, Congiuntura Campania - Indagine sulle
imprese della Regione 2/2002,
Regione Campania - Assessorato
attività produttive |
Il contratto d’area deve farsi carico di favorire le esigenze di
ristrutturazione e riconversione delle aree
di crisi industriale. Il fine è soprattutto
quello di realizzare più favorevoli (per le
imprese) relazioni industriali così da
consentire significativi riduzioni nel costo
del lavoro.
Il conseguimento degli obiettivi di riduzione del costo del lavoro è
demandato a quella varietà di strumenti che
rappresentano tutta la batteria dei
provvedimenti invocati a riforma del mercato
del lavoro meridionale (e non solo) e da
alcuni considerati come l’ingrediente
principale se non unico di una politica di
sviluppo possibile. Essi investono in primo
luogo il modello di contrattazione: deroghe
dai contratti di categoria e
intensificazione di forme più flessibili di
rapporti di lavoro. La logica è del tutto
coerente all’impostazione - cara ad
esempio alla Banca d’Italia - che non solo
come misura di breve periodo ma in
un’ottica di strategia complessiva
propugna con decisione una politica di
ampliamento dei già consistenti
differenziali salariali e - di fatto -
normativi in ossequio ad una profezia secondo
la quale questa flessibilità rappresenta
l’ingrediente essenziale per la promozione
dello sviluppo in aree dominate dal fenomeno
della disoccupazione di massa e del lavoro
irregolare.
I patti territoriali
Questo è lo strumento aggiuntivo sul quale la Np fa leva per
conseguire un rinnovamento dell’intervento
territoriale. Esso intende promuovere
accordi tra agenti rappresentativi pubblici
e privati in territori delimitati - in
genere la scala è provinciale o
sub-provinciale - per “la realizzazione di
interventi coordinati e integrati ... che
innalzino la redditività privata e
sociale”. Allo stato attuale sono
interessati a questo tipo di esperienza
praticamente tutti i comuni eleggibili nelle
zone dell’obiettivo 1. Dal che si desume
che uno strumento apparentemente selettivo
nello specifico, di fatto è molto vicino ad
una versione aggiornata del cosiddetto
intervento a pioggia.
L’obiettivo è non solo o non tanto quello di fare massa critica con
progetti coordinati su base locale, ma di
sviluppare per loro tramite una rete di
rapporti fiduciari che consenta di fare
sistema, mettere in rete forze ed agenti
tradizionalmente isolati o per lo meno
legati da relazioni lasche, non di rado
improntate a reciproca diffidenza.
La forza di persuasione che dovrebbe facilitare il raggiungimento di
questo intento teorico è dato dal collegare
la possibilità di accedere a consistenti
aiuti pubblici subordinatamente al fatto che
i diversi soggetti operanti nell’area si
impegnino a sviluppare reti di relazioni
simili a quelle dei distretti industriali.
È uno strumento diretto in prima istanza ai
residenti, teso cioè a mutare
comportamenti e strategie di agenti non
proprio ottimali per lo sviluppo
dell’ambiente in virtuosi operatori dello
sviluppo. Ma è anche uno strumento che
ambisce - grazie alla capacità di rendere
progressivamente attrattivo il territorio -
a richiamare dall’esterno operatori che
sono portatori naturali di quelle virtù che
si tenta di inculcare - negli indigeni - con
la sovrastruttura pattizia.
Sui patti vi sono molteplici punti di vista che nel mentre condividono
un generale apprezzamento di base, si
distinguono poi per giungere a
considerazioni e conclusioni anche molto
divergenti.
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Figura
3 - Clima di fiducia delle famiglie
in Italia
(valori
destagionalizzati e depurati dai
fattori erratici)
Fonte: CEr,
Congiuntura Campania - Indagine
sulle imprese della Regione 1/2002,
Regione Campania - Assessorato
attivitàproduttive |
Le maggiori riserve derivano dalla complessità oggettiva del
procedimento decisionale e di gestione,
preoccupazione legittimata dalla tradizione
di scarsa efficienza delle amministrazioni
pubbliche del Mezzogiorno nonché di
resistenze tutt’altro che marginali alla
logica del cambiamento. D’altra parte
proprio il mutamento del contesto è un
obiettivo (per certi versi il principale
obiettivo), per cui si parla di
costruzione di un ordine negoziato e
di una cooperazione indotta laddove regna il
disordine e la frammentazione sociale. In
questa prospettiva i 100 miliardi di finanza
Cipe (la dotazione massima di risorse
pubbliche che un patto può veder
riconosciuta) più che trasferimenti sono il
premio elargito ai territori che
vogliono cambiare le regole del gioco e
della governance.
Il modello e le strategie di sviluppo
La Np si ispira, come si diceva, ad una razionalizzazione del
localismo, contemperato da una - crescente -
richiesta di sussidiarietà rivolta,
con progressione che è importante
sottolineare, sempre di più all’esterno.
In ciò vi è una realistica e ponderata
correzione degli elementi deteriori
dominanti negli anni ‘80 e, al contempo,
una valutazione problematica
dell’esperienza dell’intervento
straordinario rispetto alla quale la Np si
pone come evoluzione piuttosto che come
rottura.
Di aver recuperato ciò va dato atto alla Np; essa, non diversamente
dall’enfasi modernizzatrice degli anni
‘50, si propone di riformare la società.
Ma proprio sul versante della visione strategica, il confronto con il
passato non depone decisamente a favore
della Np.
Allora la strategia puntava ad un mutamento netto e radicale, da qui la
difficoltà di avere un approccio
localistico. Si confidava, non a torto,
nella capacità di un intervento che
incidesse profondamente sui dati di
struttura - riforma agraria,
infrastrutturazione, prima,
industrializzazione poi - mettendo anche in
conto i costi di questa distruzione
creatrice.
Era chiaro il ruolo dell’intervento all’interno di un preciso
quadro di riferimento: l’offerta -
illimitata - di lavoro alimentata - via
riforma agraria - dall’emigrazione dal
settore arretrato a quello avanzato; il
ruolo delle politiche di
preindustrializzazione che, allentando i
vincoli dell’offerta, forniscono al
contempo un valido e sicuro sostegno alla
domanda; la sostituzione della politica
regionale a quella tariffaria realizzata con
la politica di industrializzazione che
assolve al delicato compito di preparare
l’industria nazionale alla sfida che il
varo del mercato comune europeo pone dal
1957 in poi. Tutto ciò per ricordare che
l’analisi costi-benefici non era
circoscritta allo scacchiere del Mezzogiorno
e che grazie a queste condizioni il
meridionalismo ha trovato, per la prima
volta nella storia unitaria, un terreno
concreto per svolgere un ruolo di cruciale
importanza. L’intelligenza di allora fu
quella di cogliere questa opportunità
cercando di gestire al meglio le sue
implicite contraddizioni.
Questa esigenza di definire un chiaro percorso strategico complessivo
oggi è del tutto assente. Il ruolo
assegnato al sud è limitato alla difficile
missione di fare sempre più da solo
o per dirla in altri termini, di essere
compatibile con i vari patti di stabilità.
Un ruolo, quindi, da assolvere in negativo.
Oggi l’obiettivo è quello del recupero e
consolidamento di un precario equilibrio,
ufficialmente per far evolvere e sprigionare
le energie latenti di una promettente
società locale. È in questo tratto che di
fatto accetta acriticamente di identificare
le ragioni dello sviluppo in vocazioni
locali di un nord e di un sud
tra loro sempre più divaricanti, che sta
l’aspetto certo, interessante e originale
ma anche più fragile, contraddittorio e
limitante della Np.
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