Numero 5 - 2002

 

l'attività amministrativa regionale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Direttive in materia di accordo di programma


a cura di

Roberto Gerundo


 

Con il presente numero, si dà avvio alla rubrica sull’attività amministrativa della Regione Campania nei settori della pianificazione urbanistica e territoriale, evidenziando l’insieme delle determinazioni riguardanti i processi di governo del territorio. Roberto Gerundo si sofferma, con taglio tecnico-urbanistico, sulle direttive in materia di accordo di programma, riprese da una nota di carattere tecnico-legale nella sezione giurisprudenza. Si riportano, inoltre, il regolamento della Lr 19/2001 ed il parere di conformità reso ad un comune del salernitano concernente la reiterazione dei vincoli urbanistici preordinati all’espropriazione

 

Con deliberazione 25 ottobre 2002, n. 4854, pubblicata sul Burc n. 58 del 25 novembre 2002, la Giunta regionale della Campania ha emanato le “Direttive regionali in materia di Accordo di Programma - Approvazione testo (con allegati)”.

Esse si collocano, meritoriamente, nell’ambito dell’attività amministrativa regionale volta a supportare l’operato degli enti locali, in primis i comuni, con l’intento di chiarire, indirizzare, suggerire, uniformare le prassi correntemente adottate. Ulteriore obiettivo, più ostico da conseguire ma non meno meritorio, consiste nell’innovare interpretazioni consolidate e, a volte, riduttive o eccessivamente burocratiche o prudenziali, inaugurando dinamiche nuove e percorsi operativi virtuosi, principalmente resi tali da una maggiore snellezza e velocità rispetto al passato.

La capacità di innovazione sarà, tuttavia, assoggettata al duplice giudizio di merito e metodo.

Il primo, conseguente agli esiti qualitativi prodotti; il secondo, derivante dalla ammissibilità formale dell’innovazione, in grado di resistere in sede di contenzioso innanzi alla giustizia amministrativa. Ad esempio, la realizzazione di un insediamento alberghiero lungo la costiera sorrentina, in luogo di un impianto per la produzione di cemento dismesso da molti decenni, in località Pozzano nel Comune di Castellammare di Stabia, ha resistito sotto il profilo della legittimità amministrativa, ma ha dato pessima prova quale contributo alla valorizzazione paesistica dei luoghi, determinandone, viceversa un ampiamente riconosciuto depauperamento.

Ne consegue che la soluzione amministrativa, apparentemente neutrale, finisce con l’essere coinvolta nel giudizio sugli esiti concreti delle modifiche territoriali che ha contribuito a determinare, in particolare, quando ha avuto un taglio innovativo.

Le direttive in questione si orientano decisamente verso la seconda prospettiva, ponendo al centro la potenzialità dell’accordo di programma (AdiP) in grado di determinare “le eventuali e conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici”, così come previsto dal 4° comma, dell’art. 34 del DLgs 267/2000 che lo recepisce dalla precedente legge 142/1990.

Per strumenti urbanistici si intendono, naturalmente, la vasta gamma dei piani comunali, generali ed attuativi, ma anche i piani territoriali di coordinamento ed i piani territoriali paesistici (Ptp).

La prima innovazione sta nell’avere inglobato negli strumenti urbanistici i Ptp. Questi ultimi sono piani ascrivibili alla tipologia delle cosiddette pianificazioni separate, volti a tutelare i beni paesistici che ricomprendono, per i quali vi è una presunzione di oggettiva qualità, che deve essere preservata.

Analogamente per i piani dei parchi e delle riserve naturali, in cui tale qualità consiste nell’equilibrio eco-biologico di ambienti scarsamente antropizzati o per i piani di bacino idrografico, nei quali è il suolo pericoloso l’oggetto della qualità da cui tutelarsi, che le direttive regionali non citano, tuttavia, esplicitamente.

Le oggettive qualità individuate e gli usi del suolo ammessi in tali piani sono, per alcuni versi, obbligati: la flora e la fauna di una riserva naturale deve essere tutelata al pari di un lago, come non può essere alterata una zona instabile, se non per rimuovere i rischi conseguenti.

Gli strumenti urbanistici comunali scelgono liberamente come utilizzare il suolo, nei limiti imposti dalle normative quadro e dai piani preposti alla sua tutela sovraordinata, a mezzo dei tre strumenti citati.

Per fare un esempio ai limiti del paradosso, i Faraglioni a Capri sono un bene da tutelare in quanto inclusi in un Ptp o non costituiscono uno scoglio insuperabile ricorrendo ad un AdiP?

È evidente che con l’AdiP si pensava ad uno strumento agile che consentisse di applicare procedure molto più snelle in luogo di una giudicata farraginosa, vale a dire la variazione delle destinazioni d’uso incluse nei piani comunali. Ma non modificando le regole al contorno alle quali essi avrebbero dovuto comunque fare riferimento.

Il problema sta, evidentemente, nella limitata o quasi nulla autorevolezza che hanno, in Campania, i piani di tutela paesistica ed ambientale, per cui, se essi individuano porzioni di territorio di particolare pregio o pericolosità, la circostanza può non di rado essere riconosciuta come poco credibile.

Ma allora sarebbe meglio rendere credibili le previsioni di tali piani - attività, per altro, in corso da parte della Regione Campania -e varare una norma urbanistica transitoria che autorizzasse il ricorso ad AdiP nelle more della loro revisione. Così facendo, viceversa, anche se e quando diventeranno credibili, i Ptp e gli altri strumenti di tutela e difesa del suolo potranno continuare ad essere violati.

Peraltro, l’approccio adottato non sembra comunque poter incidere sulla madre di tutti i piani paesistici della Campania, vale a dire il piano urbanistico-territoriale della penisola sorrentino-amalfitana, in quanto vigente in forza di una legge regionale e non di un atto amministrativo quali sono, di norma, i piani comunali e sovracomunali.

Ulteriore innovazione interpretativa su cui si cimentano le direttive regionali consiste nella definizione dell’oggetto dell’AdiP.

Prendendo le mosse dalla dizione “di opere, di interventi o di programmi di intervento”, riportate al comma 1 dell’art. 34 del DLgs 267/2000, ne fa discendere che “l’accordo può senz’altro essere promosso per la definizione e l’attuazione di iniziative ad ampio raggio, quali, ad esempio, programmi di industrializzazione, piani integrati di intervento, piani di insediamenti produttivi, piani di riassetto territoriale, progetti a sostegno dell’occupazione”, come si evince dai preliminari considerata alle direttive, nel cui testo, sono sinteticamente travasati in termini di “ivi compresi gli strumenti di pianificazione attuativi”.

Gli strumenti di pianificazione attuativi del Prg sono, tradizionalmente, i piani particolareggiati di esecuzione, i piani di lottizzazione convenzionata, i piani di edilizia economica e popolare, i piani degli insediamenti produttivi e i piani di recupero, citati nell’ordine cronologico che ne ha scandito l’introduzione nel quadro normativo statale. Ad essi si aggiunge l’ampia gamma dei cosiddetti programmi urbani complessi, attivati a far data dai primi anni ’90, almeno per la componente degli stessi in grado di incidere sugli assetti urbanistici modificando le previsioni degli strumenti di pianificazione vigenti.

Non a caso, questi ultimi sono stati rinominati programmi e non piani, in quanto il fattore tempo, nell’attuazione degli interventi previsti assume particolare risalto, mentre nei piani attuativi tradizionali, esso scandisce l’arco temporale di efficacia dello strumento, oltre il quale la proprietà privata dei suoli non è più comprimibile, ad esempio ai fini spropriativi. Quest’ultima rimane assoggettata al quadro regolamentare in termini di assetto planovolumetrico del suolo definito dal piano attuativo che, essendo a tempo indeterminato, non li ascrive alla categoria dei programmi.

Prendiamo ad esempio un Pip. Una volta vigente, si deve provvedere all’esproprio dei suoli nell’arco dei successivi dieci anni, pena la decadenza del piano e la retrocessione dei suoli ad aree sprovviste di piano regolatore generale. Qualora l’acquisizione delle aree fosse effettuata nei tempi prefissati, il comune procedente potrà assegnare le aree ed articolarne la trasformazione edilizia nei tempi e modi che riterrà opportuni, in pratica secondo ampia discrezionalità politica ed amministrativa, nel rispetto, ovviamente, del quadro normativo generale.

Ciò assume esplicita evidenza nel caso primigenio del piano particolareggiato di esecuzione, per il quale i nuovi assetti infrastrutturali devono essere attuati nell’arco del decennio, “rimanendo soltanto fermo a tempo indeterminato l’obbligo di osservare nella costruzione di nuovi edifici e nella modificazione di quelli esistenti gli allineamenti e le prescrizioni di zona stabiliti dal piano stesso”. Poiché oggetto dell’AdiP può essere un piano attuativo, anche in variante al Prg, ne consegue che un territorio potrebbe teoricamente essere regolamentato, progressivamente e nella sua interezza, per piani di dettaglio, evitando il ricorso alla pianificazione ordinaria.

Condizione inammissibile, solo considerando il quadro di riferimento statale e regionale che impone formalmente la unitarietà della pianificazione urbanistica del territorio comunale, anche se perseguibile in via gradata, con procedure integrative di quelle canoniche. Naturalmente, l’ipotesi appena formulata costituisce un paradosso, ma è procedendo per paradossi che si riescono a valutare eccessi di potere annidabili in procedure amministrative.

Si potrebbe obiettare come la conclusione di un AdiP sia subordinata alla sussistenza di un interesse generale, circostanza che va, tuttavia, sempre più sfumando, attesa la tendenza politica e culturale in atto di associare in modo integrato interessi pubblici e privati nei processi di trasformazione del territorio.

Direttive regionali in materia di accordo di programma - Deliberazione di Gr del 25 ottobre 2002, n. 4854

(Burc n. 58 del 25 settembre 2002)

 

 

La pianificazione urbanistica è fallita, fu rilevato negli anni passati, non senza ragione, poiché perseguiva in astratto interessi pubblici, senza conseguire nella pratica interessi circoscritti.

Si pensi, ad esempio, alle teorie sulla perequazione urbanistica che ne sono scaturite.

Ne deriva che la cura degli interessi privati è di fatto rientrata, in sede di pianificazione urbanistica, fra i più generali interessi collettivi cui mirare, per cui il recupero di un centro storico, di proprietà privata, è ascrivibile al perseguimento di un interesse pubblico, la lottizzazione di suoli, con creazione di attrezzature, di un comparto urbano fatiscente può esserlo parimente, come lo è la creazione di occupazione che scaturisce da un piano di insediamento di aziende, rigorosamente a capitale privato che legittimamente intendono perseguire il profitto imprenditoriale.

Regolamento per l’attuazione della legge regionale 19/2001

Deliberazione di Gr del 31 ottobre 2002, n. 5261

 

 

Le direttive regionali riservano, giustamente, molto spazio alla procedura di conclusione dell’AdiP, ritenendo di applicarvi le procedure indicate dagli artt. 14 e successivi della legge 241/1990 e sue modifiche ed integrazioni.

Ciò in forza della ricorrenza del termine “conferenza” contenuto al comma 3 dell’art. 34 del DLgs 267/2000, che le direttive assimilano alla “conferenza di servizi” di cui alla citata legge 241/1990.

A sostegno di tale interpretazione ricorrono ad una sentenza della Corte dei Conti che rileva come l’AdiP costituisca la “specie di un istituto in via generale introdotto nell’ordinamento dalla legge 241 del 7/8/1990 …” (crf. CC, sez. contr. Stato, sent. n. 30 del 10/4/2000).

Certo è che le due normative richiamate non si citano, pur avendone avuto tutto il tempo, per oltre dieci anni dalla loro iniziale formulazione. Inoltre, entrambe non accennano minimamente a piani urbanistici, tanto meno attuativi, fra gli oggetti della loro attenzione.

La legge 241/1990, si dilunga su “progetti di particolare complessità”, su progetti preliminari o definitivi, su valutazioni di impatto ambientale, ma giammai fa riferimento a strumenti di pianificazione né accenna al potere di variare gli stessi in sede di conferenza di servizi.

Miscelando le due procedure si sarebbe dovuto praticare, per usare una metafora insiemistica, una intersezione delle normative e non l’unione. Ad esempio, l’AdiP definito dal DLgs 267/2000 precisa che esso è subordinato al “consenso unanime del presidente della Regione, del presidente della Provincia, del sindaco e delle altre amministrazioni interessate”.

Limitazione che cade nel corpo delle direttive regionali, applicandosi le disposizioni della legge 241/1990.

È buona norma, in casi di studio complessi come il presente, riguardare l’operato di altre regioni italiane.

Nella legislazione urbanistica recente, approvata a valle delle leggi 142 e 241/1990, spiccano i richiami all’AdiP nel caso di Umbria, Lazio, Emilia Romagna, Liguria, nelle cui norme quadro ci si limita a riproporlo per la realizzazione di opere o programmi di intervento e non di piani urbanistici attuativi.

Altre regioni, fra cui Lombardia, Calabria e Puglia, indicano nell’AdiP lo strumento, obbligatorio o possibile, per l’approvazione, anche in variante agli strumenti urbanistici generali, di programmi urbani complessi.

Decreto del Presidente della Giunta Regionale della Campania n. 758, del 22 ottobre 2002

 

 

Da ultimo, Toscana, Basilicata e Liguria istituiscono gli accordi di pianificazione, vale adire procedure all’interno delle quali si provvede ad approvare o variare strumenti di pianificazione generali o attuativi.

Dall’esame della citata legislazione regionale emerge, inoltre, l’ampia attenzione riservata alle procedure di partecipazione o di diffusione dell’informazione inerente ai contenuti degli AdiP e degli accordi di pianificazione.

Aspetto che le direttive regionali ignorano, rimandandole agli ordinari meccanismi di partecipazione al procedimento amministrativo, in generale, ed a quello espropriativo, in particolare, che nulla hanno a che vedere con quella che una volta veniva definita, forse con eccessiva enfasi, la costruzione sociale del piano.

Rilevandosi, per altro, che mentre nel caso dell’approvazione con AdiP di un piano attuativo conforme al piano urbanistico generale, i potenziali interessati sarebbero ben individuabili, coincidendo, ad esempio, con i relativi proprietari immobiliari, qualora sia in variante ad esso, gli interessati al procedimento amministrativo sarebbero tutti coloro che risultano abilitati a proporre osservazioni ad una variante al Prg adottata.

Come mai tante regioni, fra le quali alcune di riconosciuta tradizione nella gestione del territorio, si preoccupano di provvedere con norme proprie al fine di perseguire risultati che la Regione Campania ha ritenuto di centrare con un mero atto amministrativo?

E, probabilmente, la domanda da porsi è anche un’altra.

Cosa succederà quando tutti i comuni chiederanno a province e regione di sottoscrivere un’AdiP per uno qualsiasi dei piani attuativi in variante anche sostanziale ai propri Prg, brandendo un facilmente sostenibile interesse pubblico e accampando il diritto che vengano attuate le direttive rese ufficiali? Quale sarà il distinguo per l’amministrazione regionale e per quella provinciale per procedere e non?

Meglio sarebbe stato, viceversa, anche qualora determinata ad utilizzare l’AdiP per approvare piani attuativi, che la Regione Campania vi fosse ricorsa adducendo ragioni di straordinaria urgenza, da motivare politicamente, operando sui rarissimi casi che avrebbe ritenuto di individuare o riconoscere.

 

 

 

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