Sulle innovazioni nell’organizzazione del sistema produttivo in
termini organizzativi ed economici così
come sulle nuove tecnologie abbiamo molte
ricerche, una vasta letteratura e teorie
abbastanza affermate. Si registra un
considerevole ritardo quando passiamo
all’avanzamento degli studi e delle
proposte nel campo dell’organizzazione
dello spazio in urbanistica ed edilizia. La
stagione di focalizzazione degli interessi
sui parchi tecnologici sembrava presentare
un nuovo modello di sito industriale
rinnovato prevalentemente dall’affermarsi
delle nuove tecnologie, ma quel tempo si è
consumato con la rapidità di una moda
passeggera, mancando del sostegno di
impegnativi programmi e politiche pubbliche
paragonabili a quelle francesi. Alla fine
sappiamo poco sull’impatto sul territorio
e sui modelli spaziali realizzati anche di
quanto, in modo frammentario e limitato, si
è fatto. Anzi pare che l’urbanistica
odierna, irretita dal fondamentalismo
ecologico, sancendo ed estremizzando la
crisi dell’industria, ne abbia esaltato
gli aspetti di negativo impatto ambientale
insieme al tramonto come fondamentale
attività economica.
Le svolte radicali non colgono più complessi processi evolutivi che
riposizionano certamente la manifattura
tanto nell’economia come nel territorio e
richiedono creatività di idee per
realizzare al meglio la svolta in atto. In
questo modo abbiamo perso il passo con gli
altri paesi che, nel frattempo, elaboravano
insediamenti come gli industrial park
o le technopole, mentre ci ritroviamo
con le domande degli operatori di un insieme
di servizi ed infrastrutture carenti o
inesistenti. Per ottenere aree industriali,
oggi, nella Regione Campania bisogna
rivolgersi prevalentemente ai nuclei Asi,
con tutte le difficoltà che questo
comporta. Il loro modello urbanistico,
concepito in funzione dell’intervento
straordinario, è stato determinante per
sostenere il processo di industrializzazione
del Mezzogiorno basato sui grandi impianti
di base e sull’attrazione di imprese
esterne. La svolta nella politica
industriale nella direzione dello sviluppo
locale e della valorizzazione delle piccole
e medie imprese, rende quello strumento di
organizzazione dello spazio, di norme e di
procedure, obsoleto.
Ho dedicato il laboratorio di progettazione urbanistica dell’anno
accademico 2000-2001 (Università di Napoli
Federico II), allo studio delle esigenze
delle nuove aziende e di quale implicazione
comportavano nel disegno di due nuclei della
Provincia di Napoli (Caivano e Acerra).
Questo lavoro si è potuto avvalere delle
discussioni che si sviluppavano
nell’attuazione del Pto del nord-est della
Provincia di Napoli, dove le difficoltà
insediative delle imprese partecipanti al
programma erano evidenziate durante il
processo ed elaborate criticamente dal
confronto tra i vari soggetti e,
successivamente, della fase di consultazione
per la definizione del documento di
orientamento strategico del progetto
integrato territoriale (Pit) della Città
del fare, in cui era condotta una
diagnosi delle criticità del territorio e
selezionati gli obiettivi prioritari di
sviluppo. Questo radicamento nei problemi
locali permetteva una consultazione molto
pragmatica della letteratura e della
pianificazione più avanzata che si
trasformava in una serie di proposte molto
dettagliate di ridisegno delle aree libere e
degli spazi comuni all’interno dei nuclei
insieme ad una riconsiderazione dei loro
rapporti con il contesto urbano e
infrastrutturale, pubblicate nel volumetto Il
sistema locale che produce. Linee guida per
la progettazione dei parchi industriali nel
Pit. Ci aspettiamo, quindi, che si possa
avere al più presto una ulteriore ricaduta
pratica in attuazione del programma
operativo regionale (Por) della
Campania. Principi e progetti espressi in
questa pubblicazione si propongono di
orientare la progettazione nell’ambito del
Pit in termini indicativi, ovvero cercando
di persuadere per la natura delle soluzioni
offerte. Anche se potrebbe apparire tale per
la forza dell’abitudine, non si tratta di
un piano normativo, ma un insieme aperto di
idee, intese a presentare problemi e
stimolare ulteriori elaborazioni ed
avanzamenti: infatti, stiamo muovendo i
primi passi della riforma delle aree
industriali e sarebbe auspicabile che questa
riflessione si aprisse il più possibile ai
più diversi contributi.
Figura
1 - Sistema industriale della Città
del Fare (Na)
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Mi limito qui a richiamare solo alcune delle linee fondamentali di
lavoro.
1. Ci sono tante opportunità per porre ed affrontare il tema ecologico
dalla progettazione delle infrastrutture,
alla dotazione dei servizi, alla
progettazione degli spazi aperti con la
valorizzazione della natura in tutte le sue
forme (fino alla conservazione e ripristino
di piccoli ecosistemi).
2. L’integrazione territoriale dello spazio produttivo non si può
continuare a limitare solamente alla grande
scala, ma deve trovare continuità con le
reti minori e con il tessuto urbano
scoprendo, nella più minuta dimensione
delle aziende, una geografia economica che
coinvolge gran parte delle zone urbanizzate.
Dovremmo focalizzare la nostra attenzione
sulle fratture di questo sistema.
3. C’è una domanda di identità e qualità formale delle aree
industriali in cui possono svolgere un ruolo
particolare l’inserimento delle strutture
di servizio tanto per il livello della loro
architettura quanto per il ruolo urbanistico
che andranno a svolgere e per gli immediati
contesti che determineranno.
4. L’intensificazione delle relazioni tra le imprese connota lo
spazio di relazioni di funzioni e
significati molto più ricchi della semplice
circolazione delle merci. Oggi dobbiamo
interpretarlo nella più piena complessità
di uno spazio di comunicazione e trovare le
adeguate espressioni spaziali di questo
concetto.
Figura
2 - Riqualificazione dell’area di
stazione in Afragola (Na) della
linea ad alta capacità
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Volendo richiamare una metafora indicativa delle linee di tendenze in
atto individuate da questo studio,
ricorrerei (anche a costo di sembrare
banale) alla città. Le aree industriali si
avviano in un percorso di riurbanizzazione?
Dal modello urbano possono attingere la
qualità dello spazio di relazione di cui
hanno sempre più bisogno le aziende che
vanno costituendosi in filiere.
Se un discorso di piano non può essere separato dalla sua gestione,
allora bisognerà chiedere un notevole
sforzo innovativo anche ai Consorzi Asi per
uscire dalla dimensione fondiaria ed
affrontare i compiti di una società
fornitrice di servizi alle imprese,
avvicinandosi al concetto di agenzia di
sviluppo.
Alternativa ai nuclei Asi sono le zone Pip, la cui proliferazione è
stata ampiamente incentivata dalla Lr
4/1999. La regione ha avviato un censimento
di queste aree che hanno raggiunto un numero
elevato - senza che lo stesso ente, privo di
un quadro di assetto del territorio, fosse
in grado di indirizzare o regolamentare -
per il fatto che ciascun comune può
diventare iniziatore del piano. Corollario
del numero elevato è la ridotta dimensione
di ciascuna area industriale come la poca
chiarezza della sua destinazione funzionale.
Un Pip potrebbe essere progettato, nel suo
dimesionamento più contenuto, solo per
allontanare dal centro abitato delle
lavorazioni nocive; ma, nella concezione più
ambiziosa, può essere lo strumento
urbanistico di una politica di sviluppo
locale. Ora sarà sempre più evidente che
questa divaricazione delle esigenze si
intreccerà in maniera perversa con la
grande differenza dimensionale dei comuni e,
nel caso tanto frequente di centri di poche
migliaia di abitanti, non sarà possibile
raggiungere la massa critica per perseguire
coerentemente il secondo scopo salvo la
creazione di aggregazioni consortili e la
concentrazione in un sol luogo di una
consistente superficie.
Questi comuni si trovano anche a fronteggiare seri problemi finanziari,
a cui il mutuo regionale non riesce a dare
una piena risposta, che potrà indurre a
soluzioni dagli effetti perversi1.
Pare che, di fronte alle esiguità delle
risorse, alcuni enti locali pensino di
procede all’esproprio esclusivamente delle
aree necessarie per le opere di
urbanizzazione e di lasciare l’acquisto
dei lotti alla libera trattativa tra aziende
e proprietari dei suoli. Questa opzione
trasformerebbe immediatamente una politica
industriale in una valorizzazione fondiaria
a spese dell’industria, per cui i
beneficiari delle sovvenzioni regionali
diventerebbero i proprietari dei suoli,
unici ad avvantaggiarsi della realizzazione
delle opere di urbanizzazione come mezzo di
valorizzazione delle loro proprietà. Le
aziende troverebbero suoli a costi più
bassi fuori dei Pip e potrebbero
insediarvisi qualora fossero state previste
come zone D (industriali) nel piano
regolatore generale (Prg), vanificando
la progettazione particolareggiata. Né è
impensabile prevedere la creazione di regimi
locali favorevoli alla proprietà fondiaria
a spese della manifattura in grado di
determinare le politiche comunali nelle aree
a basso sviluppo industriale e dove, quindi,
una politica di sviluppo in quel settore
risulta maggiormente desiderabile ai fini
del riequilibrio regionale e dove, inoltre,
esistono le maggiori risorse territoriali e
sociali in grado di attrarre insediamenti
produttivi o sviluppare le iniziative
locali.
Tali regimi urbani potranno condizionare anche l’assegnazione
delle aree la cui procedura manca di una
regolamentazione particolarmente precisa da
assicurare una perfetta trasparenza
specialmente agli occhi degli utenti, resi
diffidenti da una certa tradizione di
governo locale. Comunque le limitate risorse
umane e tecniche di quegli enti non
risultano adeguati a sostenere per intero il
peso della pianificazione e gestione senza
supporti consortili o regionali e debbono
limitarsi alle procedure essenziali
trascurando temi invece importanti per lo
sviluppo come la comprensione della
struttura economica, il riconoscimento delle
filiere attuali e potenziali, la loro
domanda insediativa, la possibilità di
rafforzare o favorire la nascita di
distretti industriali. Un aiuto potrebbe
venire da un bando regionale tipo o una
regolamentazione per l’assegnazione dei
lotti che spingesse i criteri di selezione
verso la validità dei business plan
aziendali e le connessioni tra le imprese.
D’altro canto dovrebbe essere accelerato
il procedimento di realizzazione
dell’opera pubblica, riconoscendo quale
progetto preliminare il disegno
infrastrutturale contenuto nel Pip, da
inserire nel programma triennale delle opere
pubbliche.
Figura 3 -
Riqualificazione
dell’agglomerato Asi di Acerra (Na)
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Oltre agli strumenti esistenti, un maggior sostegno alla politica
industriale dovrebbe venire da maggiori
risorse finanziarie (un primo passo potrebbe
essere l’istituzione di un fondo di
rotazione, visto che molti degli incentivi
urbanistici sono anticipazioni alle imprese
nella fase di avvio e successivamente
recuperabili) e da progetti pilota che
verifichino la validità delle risposte
territoriali alle esigenze innovative. Tra
queste ci potrebbe essere quello di rendere
disponibili per le aziende, invece che
suoli, strutture edilizie in leasing2.
Sarebbe un modo per accorciare i tempi di
realizzazione del progetto industriale
scavalcando completamente tutte le fasi di
pianificazione urbanistica e costruzione
edilizia. Programmi di questo tipo darebbero
risposte alla domanda di imprese ad elevata
flessibilità e ridurrebbero anche gli
investimenti per l’avvio dell’attività
eliminando i costi delle strutture edilizie.
Figura 4 -
Planovolumetria
progettuale dell’agglomerato Asi
di Caivano (Na)
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1 Queste considerazioni sono svolte al margine di una ricerca condotta
per la Regione Campania nel Centro
Interdipartimentale Urban/eco della
Università di Napoli “Federico II”
fondato sulla collaborazione di un gruppo di
urbanisti (Annalia Mesolella, Giuseppe Bruno
e Cristina Iazzetta) e un numeroso gruppo di
economisti coordinato da Liliana Baculo.
2 Così come avviene anche negli incubatori industriali. Ma l’affitto
si potrebbe prolungare oltre la fase di start-up
o interessare imprese mature.
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