Numero 5 - 2002

 

le politiche per le attività produttive

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Politiche industriali e spazio della produzione


Francesco Domenico Moccia


 

Dalle ipotesi organizzative dello sviluppo produttivo articolato in parchi tecnologici e scientifici ai progetti integrati territoriali. Francesco Domenico Moccia presenta gli studi effettuati per il Pit della Città del fare, approdati alla redazione di linee guida per la progettazione di parchi industriali, da estendere alla riqualificazione degli agglomerati presenti nelle aree di sviluppo industriale nati negli anni '50, nell'ambito dell'intervento straordinario per il Mezzogiorno.

 

Sulle innovazioni nell’organizzazione del sistema produttivo in termini organizzativi ed economici così come sulle nuove tecnologie abbiamo molte ricerche, una vasta letteratura e teorie abbastanza affermate. Si registra un considerevole ritardo quando passiamo all’avanzamento degli studi e delle proposte nel campo dell’organizzazione dello spazio in urbanistica ed edilizia. La stagione di focalizzazione degli interessi sui parchi tecnologici sembrava presentare un nuovo modello di sito industriale rinnovato prevalentemente dall’affermarsi delle nuove tecnologie, ma quel tempo si è consumato con la rapidità di una moda passeggera, mancando del sostegno di impegnativi programmi e politiche pubbliche paragonabili a quelle francesi. Alla fine sappiamo poco sull’impatto sul territorio e sui modelli spaziali realizzati anche di quanto, in modo frammentario e limitato, si è fatto. Anzi pare che l’urbanistica odierna, irretita dal fondamentalismo ecologico, sancendo ed estremizzando la crisi dell’industria, ne abbia esaltato gli aspetti di negativo impatto ambientale insieme al tramonto come fondamentale attività economica.

Le svolte radicali non colgono più complessi processi evolutivi che riposizionano certamente la manifattura tanto nell’economia come nel territorio e richiedono creatività di idee per realizzare al meglio la svolta in atto. In questo modo abbiamo perso il passo con gli altri paesi che, nel frattempo, elaboravano insediamenti come gli industrial park o le technopole, mentre ci ritroviamo con le domande degli operatori di un insieme di servizi ed infrastrutture carenti o inesistenti. Per ottenere aree industriali, oggi, nella Regione Campania bisogna rivolgersi prevalentemente ai nuclei Asi, con tutte le difficoltà che questo comporta. Il loro modello urbanistico, concepito in funzione dell’intervento straordinario, è stato determinante per sostenere il processo di industrializzazione del Mezzogiorno basato sui grandi impianti di base e sull’attrazione di imprese esterne. La svolta nella politica industriale nella direzione dello sviluppo locale e della valorizzazione delle piccole e medie imprese, rende quello strumento di organizzazione dello spazio, di norme e di procedure, obsoleto.

Ho dedicato il laboratorio di progettazione urbanistica dell’anno accademico 2000-2001 (Università di Napoli Federico II), allo studio delle esigenze delle nuove aziende e di quale implicazione comportavano nel disegno di due nuclei della Provincia di Napoli (Caivano e Acerra). Questo lavoro si è potuto avvalere delle discussioni che si sviluppavano nell’attuazione del Pto del nord-est della Provincia di Napoli, dove le difficoltà insediative delle imprese partecipanti al programma erano evidenziate durante il processo ed elaborate criticamente dal confronto tra i vari soggetti e, successivamente, della fase di consultazione per la definizione del documento di orientamento strategico del progetto integrato territoriale (Pit) della Città del fare, in cui era condotta una diagnosi delle criticità del territorio e selezionati gli obiettivi prioritari di sviluppo. Questo radicamento nei problemi locali permetteva una consultazione molto pragmatica della letteratura e della pianificazione più avanzata che si trasformava in una serie di proposte molto dettagliate di ridisegno delle aree libere e degli spazi comuni all’interno dei nuclei insieme ad una riconsiderazione dei loro rapporti con il contesto urbano e infrastrutturale, pubblicate nel volumetto Il sistema locale che produce. Linee guida per la progettazione dei parchi industriali nel Pit. Ci aspettiamo, quindi, che si possa avere al più presto una ulteriore ricaduta pratica in attuazione del programma operativo regionale (Por) della Campania. Principi e progetti espressi in questa pubblicazione si propongono di orientare la progettazione nell’ambito del Pit in termini indicativi, ovvero cercando di persuadere per la natura delle soluzioni offerte. Anche se potrebbe apparire tale per la forza dell’abitudine, non si tratta di un piano normativo, ma un insieme aperto di idee, intese a presentare problemi e stimolare ulteriori elaborazioni ed avanzamenti: infatti, stiamo muovendo i primi passi della riforma delle aree industriali e sarebbe auspicabile che questa riflessione si aprisse il più possibile ai più diversi contributi.

Figura 1 - Sistema industriale della Città del Fare (Na)

 

 

Mi limito qui a richiamare solo alcune delle linee fondamentali di lavoro.

1. Ci sono tante opportunità per porre ed affrontare il tema ecologico dalla progettazione delle infrastrutture, alla dotazione dei servizi, alla progettazione degli spazi aperti con la valorizzazione della natura in tutte le sue forme (fino alla conservazione e ripristino di piccoli ecosistemi).

2. L’integrazione territoriale dello spazio produttivo non si può continuare a limitare solamente alla grande scala, ma deve trovare continuità con le reti minori e con il tessuto urbano scoprendo, nella più minuta dimensione delle aziende, una geografia economica che coinvolge gran parte delle zone urbanizzate. Dovremmo focalizzare la nostra attenzione sulle fratture di questo sistema.

3. C’è una domanda di identità e qualità formale delle aree industriali in cui possono svolgere un ruolo particolare l’inserimento delle strutture di servizio tanto per il livello della loro architettura quanto per il ruolo urbanistico che andranno a svolgere e per gli immediati contesti che determineranno.

4. L’intensificazione delle relazioni tra le imprese connota lo spazio di relazioni di funzioni e significati molto più ricchi della semplice circolazione delle merci. Oggi dobbiamo interpretarlo nella più piena complessità di uno spazio di comunicazione e trovare le adeguate espressioni spaziali di questo concetto.

Figura 2 - Riqualificazione dell’area di stazione in Afragola (Na) della linea ad alta capacità

 

 

Volendo richiamare una metafora indicativa delle linee di tendenze in atto individuate da questo studio, ricorrerei (anche a costo di sembrare banale) alla città. Le aree industriali si avviano in un percorso di riurbanizzazione? Dal modello urbano possono attingere la qualità dello spazio di relazione di cui hanno sempre più bisogno le aziende che vanno costituendosi in filiere.

Se un discorso di piano non può essere separato dalla sua gestione, allora bisognerà chiedere un notevole sforzo innovativo anche ai Consorzi Asi per uscire dalla dimensione fondiaria ed affrontare i compiti di una società fornitrice di servizi alle imprese, avvicinandosi al concetto di agenzia di sviluppo.

Alternativa ai nuclei Asi sono le zone Pip, la cui proliferazione è stata ampiamente incentivata dalla Lr 4/1999. La regione ha avviato un censimento di queste aree che hanno raggiunto un numero elevato - senza che lo stesso ente, privo di un quadro di assetto del territorio, fosse in grado di indirizzare o regolamentare - per il fatto che ciascun comune può diventare iniziatore del piano. Corollario del numero elevato è la ridotta dimensione di ciascuna area industriale come la poca chiarezza della sua destinazione funzionale. Un Pip potrebbe essere progettato, nel suo dimesionamento più contenuto, solo per allontanare dal centro abitato delle lavorazioni nocive; ma, nella concezione più ambiziosa, può essere lo strumento urbanistico di una politica di sviluppo locale. Ora sarà sempre più evidente che questa divaricazione delle esigenze si intreccerà in maniera perversa con la grande differenza dimensionale dei comuni e, nel caso tanto frequente di centri di poche migliaia di abitanti, non sarà possibile raggiungere la massa critica per perseguire coerentemente il secondo scopo salvo la creazione di aggregazioni consortili e la concentrazione in un sol luogo di una consistente superficie.

Questi comuni si trovano anche a fronteggiare seri problemi finanziari, a cui il mutuo regionale non riesce a dare una piena risposta, che potrà indurre a soluzioni dagli effetti perversi1. Pare che, di fronte alle esiguità delle risorse, alcuni enti locali pensino di procede all’esproprio esclusivamente delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione e di lasciare l’acquisto dei lotti alla libera trattativa tra aziende e proprietari dei suoli. Questa opzione trasformerebbe immediatamente una politica industriale in una valorizzazione fondiaria a spese dell’industria, per cui i beneficiari delle sovvenzioni regionali diventerebbero i proprietari dei suoli, unici ad avvantaggiarsi della realizzazione delle opere di urbanizzazione come mezzo di valorizzazione delle loro proprietà. Le aziende troverebbero suoli a costi più bassi fuori dei Pip e potrebbero insediarvisi qualora fossero state previste come zone D (industriali) nel piano regolatore generale (Prg), vanificando la progettazione particolareggiata. Né è impensabile prevedere la creazione di regimi locali favorevoli alla proprietà fondiaria a spese della manifattura in grado di determinare le politiche comunali nelle aree a basso sviluppo industriale e dove, quindi, una politica di sviluppo in quel settore risulta maggiormente desiderabile ai fini del riequilibrio regionale e dove, inoltre, esistono le maggiori risorse territoriali e sociali in grado di attrarre insediamenti produttivi o sviluppare le iniziative locali.

Tali regimi urbani potranno condizionare anche l’assegnazione delle aree la cui procedura manca di una regolamentazione particolarmente precisa da assicurare una perfetta trasparenza specialmente agli occhi degli utenti, resi diffidenti da una certa tradizione di governo locale. Comunque le limitate risorse umane e tecniche di quegli enti non risultano adeguati a sostenere per intero il peso della pianificazione e gestione senza supporti consortili o regionali e debbono limitarsi alle procedure essenziali trascurando temi invece importanti per lo sviluppo come la comprensione della struttura economica, il riconoscimento delle filiere attuali e potenziali, la loro domanda insediativa, la possibilità di rafforzare o favorire la nascita di distretti industriali. Un aiuto potrebbe venire da un bando regionale tipo o una regolamentazione per l’assegnazione dei lotti che spingesse i criteri di selezione verso la validità dei business plan aziendali e le connessioni tra le imprese. D’altro canto dovrebbe essere accelerato il procedimento di realizzazione dell’opera pubblica, riconoscendo quale progetto preliminare il disegno infrastrutturale contenuto nel Pip, da inserire nel programma triennale delle opere pubbliche.

Figura 3 - Riqualificazione dell’agglomerato Asi di Acerra (Na)

 

Oltre agli strumenti esistenti, un maggior sostegno alla politica industriale dovrebbe venire da maggiori risorse finanziarie (un primo passo potrebbe essere l’istituzione di un fondo di rotazione, visto che molti degli incentivi urbanistici sono anticipazioni alle imprese nella fase di avvio e successivamente recuperabili) e da progetti pilota che verifichino la validità delle risposte territoriali alle esigenze innovative. Tra queste ci potrebbe essere quello di rendere disponibili per le aziende, invece che suoli, strutture edilizie in leasing2. Sarebbe un modo per accorciare i tempi di realizzazione del progetto industriale scavalcando completamente tutte le fasi di pianificazione urbanistica e costruzione edilizia. Programmi di questo tipo darebbero risposte alla domanda di imprese ad elevata flessibilità e ridurrebbero anche gli investimenti per l’avvio dell’attività eliminando i costi delle strutture edilizie.

Figura 4 - Planovolumetria progettuale dell’agglomerato Asi di Caivano (Na)

 

 

 

1 Queste considerazioni sono svolte al margine di una ricerca condotta per la Regione Campania nel Centro Interdipartimentale Urban/eco della Università di Napoli “Federico II” fondato sulla collaborazione di un gruppo di urbanisti (Annalia Mesolella, Giuseppe Bruno e Cristina Iazzetta) e un numeroso gruppo di economisti coordinato da Liliana Baculo.

2 Così come avviene anche negli incubatori industriali. Ma l’affitto si potrebbe prolungare oltre la fase di start-up o interessare imprese mature.

 

 

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