Numero 4 - 2001

 

nuove leggi urbanistiche regionali 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il governo dell'area vasta in Puglia fra pressioni contrastanti e innovazioni incerte


Angela Barbanente


 

A distanza di oltre un ventennio, la Regione Puglia aggiorna la propria legge urbanistica introducendo elementi di novità nel settore della pianificazione di area vasta. Angela Barbanente tratteggia i nuovi strumenti di governo del territorio, individuandone limiti e potenzialità, inquadrandoli nello stato di crisi dei rapporti sociali, economici ed istituzionali, che caratterizzano l’attuale fase congiunturale al livello nazionale ed internazionale.

 

 

 

 

 

 

Scenari di frammentazione e istanze

d’integrazione

 

Il campo della pianificazione e delle politiche pubbliche del territorio appare attraversato in misura crescente da forze contrastanti. Da un lato, la competizione globale determina una sempre maggiore sensibilità dei governi regionali e locali verso istanze di trasformazione espresse dal mercato. Ne consegue la tendenza a fornire risposte in chiave di efficienza, rapidità decisionale, dinamismo istituzionale, prevalentemente ispirate da criteri di crescita economica, dall’intento di attirare investimenti o dal timore di perdere possibili vantaggi che ne deriverebbero per il sistema economico locale. D’altro lato, la crescente sensibilità ambientale, manifestata dalla società contemporanea, richiede ai governi regionali e locali capacità di esercitare azioni preventive nei confronti dei possibili impatti ambientali negativi derivanti dalla localizzazione di nuove attività o dalla trasformazione di insediamenti esistenti, di monitorare e controllare con maggiore efficacia le trasformazioni degli usi del suolo, di promuovere progetti orientati al risanamento e alla salvaguardia ambientale. A tali processi si associa una crescente frammentazione dei sistemi sociali, territoriali e istituzionali. La globalizzazione, infatti, implica selettivi e localizzati mutamenti dei valori delle risorse legati all’intensificarsi della competizione fra città e regioni e conseguente crescente instabilità e incertezza delle relative prospettive di sviluppo (Sassen, 1994; Harvey, 1989). Le stesse città mondiali, le cui dinamiche di crescita sono favorite da tali processi, sono luoghi di polarizzazione sociale, ove si concentrano nello stesso tempo straordinario benessere e marginalità e degrado estremi (Castells, 1989). 

Nell’economia globalizzata, la distribuzione internazionale del lavoro è diseguale e dipende in modo cruciale dagli specifici vantaggi offerti dalle diverse località all’accumulazione del capitale. Ne consegue che la globalizzazione non implica omogeneità, ma perduranti e forse accentuate diversità e differenze territoriali (Amin and Thrift, 1994).

La frammentazione nella società contemporanea è anche espressa dalla sempre più spinta articolazione della domanda sociale e dal moltiplicarsi di movimenti legati a specifiche istanze emergenti nei contesti locali. Non di rado questi assumono forma di controversie intrattabili: in campo ambientale, sindromi di Nimby (Not in My Back Yard) e dispute per Lulus (Locally Unwanted Land Uses) danno origine a nuove coalizioni che tagliano trasversalmente le divisioni sociali e politiche tradizionali (Blowers and Evans, 1997).

Parallelamente, tendono a moltiplicarsi gli attori coinvolti nel governo delle trasformazioni territoriali. Gli enti pubblici ai quali il modello consolidato di pianificazione affidava compiti primari di promozione e controllo delle trasformazioni territoriali, appaiono sempre meno credibili e legittimati ad assolverli. Specie nel Mezzogiorno d’Italia, questo si deve, almeno in parte, all’inefficacia e inefficienza di gran parte dei piani in vigore e delle varie forme di controllo pubblico sull’uso dei suoli, e al dilagare di modalità d’intervento sregolate. La crisi di legittimazione sociale della pianificazione pubblica ha contribuito essa stessa ad aprire il processo di pianificazione, sia nella fase di decisione sia in quella di implementazione, alla partecipazione di una pluralità di attori: imprese, organizzazioni, gruppi di cittadini, oltre che nuove agenzie create ai diversi livelli, locale e sovralocale, come risposta ai problemi gestionali sofferti dagli enti di governo tradizionali.

Un simile processo non è una peculiarità del sistema italiano. A livello europeo sembra emergere una tendenza comune verso la frammentazione delle responsabilità fra i diversi attori istituzionali (Newman and Thornley, 1996), da leggersi anche quale risposta istituzionale all’impatto esercitato dalle forze globali sul funzionamento dei mercati locali. A processi di decentramento dallo stato centrale ai diversi livelli locali, si unisce il carattere sempre più multilivello del policy making relativo alle trasformazioni territoriali (Dente, 2001), legato sia alla presenza dell’attore europeo sia all’istituzione di nuove agenzie, dipartimenti, commissioni, deputati ad assolvere nuove funzioni o reinterpretare i modi in cui queste erano assolte dalle istituzioni preesistenti. Tali processi, che possono anche essere interpretati quale forma di istituzionalizzazione del rischio (Beck, 1991), ossia della capacità delle istituzioni di adattarsi al cambiamento in un contesto di crescente incertezza (Giddens, 1991), generano frammentazione politica, amministrativa e spaziale. Ma quali che siano le loro origini, uno stato pluralistico, caratterizzato dalla mancanza di un centro per l’esercizio autoritativo del potere, comporta comunque la tendenza degli attori - enti pubblici, imprese e rappresentanti della società civile - a entrare fra loro in competizione per assicurarsi risorse pubbliche e private (Lash and Urry, 1994). La pianificazione del territorio, alla quale i processi sin qui accennati pongono sfide rilevanti, appare incline a rispondervi mediante l’attivazione di rapporti con i diversi attori pubblici e privati che affollano l’arena decisionale, e la moltiplicazione delle sedi di discussione, valutazione, deliberazione. Tali rapporti possono avere finalità anche profondamente diverse: ad esempio, possono mirare a negoziare proposte di investimento, mediare fra i diversi interessi in campo ai fini della localizzazione di impianti socialmente utili ma localmente indesiderabili, creare partenariati per accedere a finanziamenti di matrice comunitaria e nazionale basati su procedure competitive, costruire politiche sostenibili in materia di acque, energia, mobilità, risorse naturali.

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L’integrazione rappresenta un obiettivo rilevante delle pratiche di pianificazione, anche come risposta alle diverse forme di frammentazione che caratterizzano la società contemporanea. Ma integrazione è termine ambiguo. Può implicare ricerca di unità e coerenza, come per lungo tempo è stato nella tradizione della pianificazione territoriale. Ma può anche alludere alla necessità di coinvolgere diversi attori nel processo di pianificazione in una prospettiva di governance. In questo senso, il termine riconosce l’irriducibile molteplicità delle arene decisionali e l’esistenza di molteplici pubblici piuttosto che di un unico, generale interesse pubblico (Sandercock, 1999; Donolo, 1997). Ne conseguono due possibili atteggiamenti: un’enfasi sul coordinamento delle azioni, che si colloca nel solco della tradizione del modello di pianificazione dirigistico, top-down, oppure un orientamento più creativo che, attraverso l’integrazione di attori, risorse, campi d’azione, sottintende la promozione di diverse forme di coinvolgimento socio-istituzionale e l’attribuzione di potere a persone e organizzazioni per creare nuovi spazi di dialogo, mutuo apprendimento e innovazione (Barbanente, Monno, 2002).

Per quanto il primo approccio appaia ancora dominante nel panorama italiano, non v’è dubbio che, anche grazie alla spinta dell’Ue, il campo della pianificazione e delle politiche pubbliche del territorio dagli anni ’90 è stato attraversato in Italia, anche nell’area vasta, da intense innovazioni nelle direzioni in ultimo accennate (Palermo, 2001). 

 

 

La crisi di legittimazione del sistema

di pianificazione consolidato

 

I processi sin qui delineati investono la Puglia con particolare intensità, specie nelle aree caratterizzate da maggiore dinamismo socioeconomico. Qui il moltiplicarsi di nuove esperienze di programmazione integrata, se da un lato rivela l’ampiezza, spesso inaspettata, di risorse e capacità d’azione, dall’altro rischia di aggiungere nuovi elementi di frammentazione a quelli esistenti, così da inibire processi di apprendimento legati al contesto e indebolire sistemi di governance locale già piuttosto fragili (Donolo, 1997).

Il modello di pianificazione comprensiva, delineato dalla Lur 56/1980, non è stato capace di interagire virtuosamente con tali processi. Anzi, i suoi limiti di astrattezza e rigidità, da tempo manifesti (Barbanente, 1993), all’impatto con le suddette domande di trasformazione, hanno contribuito a creare una prassi estemporanea e sovente sregolata al di fuori dei piani o in variante ad essi. D’altro canto, il moltiplicarsi delle iniziative di programmazione negoziata, piuttosto che indurre a ricercare possibili forme di interazione con la pianificazione ordinaria, sembra non avere avuto altro riflesso su quest’ultima se non quello di aggiungere occasioni di variazione degli strumenti, così delegittimandola ulteriormente. I tempi estenuanti delle approvazioni regionali hanno ulteriormente aggravato tale situazione, mettendo in discussione il ruolo stesso dei piani quali efficaci strumenti di guida e controllo delle trasformazioni del territorio.

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Il modello della Lur 56/1980 si fondava su un sistema a cascata articolato in un piano territoriale regionale, in piani intermedi, temporaneamente affidati alla regione, e nei piani comunali, generali e attuativi. Il livello di area vasta rappresenta una delle lacune principali della pianificazione del territorio in Puglia. La mancanza, per un ventennio, di qualsiasi quadro di riferimento pianificatorio sovracomunale di tipo generale appare espressione evidente della difficoltà dell’urbanistica pugliese di costruire scenari condivisi di sviluppo e tutela del territorio ad ampia scala1. Tale difficoltà non appare superata neppure dalla recente approvazione del piano territoriale tematico paesaggio (Putt/p). Quest’ultimo, infatti, lungi dal proporsi quale strumento di governo del territorio orientato a valorizzare le cospicue risorse ambientali e culturali della regione, intendendole quali potenziali fonti di sviluppo e rigenerazione ambientale, anche in ragione di un’inadeguata base informativa, ha finito per rinviare alla fase di attuazione del piano, alla pianificazione comunale e ai singoli progetti di trasformazione, la gran parte delle scelte in merito alle trasformazioni desiderabili e possibili. Il parere paesaggistico e l’attestazione di compatibilità paesaggistica, strumenti previsti dal Putt/p per la trasformazione dei territori di maggiore pregio, in questo quadro rischiano di diventare ulteriori passaggi burocratici nella catena esasperante dei controlli esercitati dalla regione nei confronti degli enti sottordinati. 

La mancanza di visioni condivise nell’area vasta ha contribuito a rendere opachi, se non arbitrari, molti dei criteri adottati dalla regione per il controllo della pianificazione comunale. Gli unici criteri adottati, con una certa continuità e scrupolosità, sono quelli emanati nel 1990 in attuazione della Lr 56/1980. Basati, come sono, però, su procedure quantitative stereotipate, essenzialmente riferibili al dimensionamento del piano e all’applicazione di standards, essi appaiono simulacri sempre più distanti dai mutamenti che investono la città reale e ormai del tutto inadatti a rispondere alla domanda di qualità ambientale posta dalla società contemporanea.

 

 

La nuova legge regionale: innovazione dei principi e persistenza delle pratiche

 

La nuova Lur 20/2001 “Norme generali di governo e uso del territorio”, innova in profondità il vecchio quadro legislativo, introducendovi, oltre che significative modifiche procedurali, nuovi principi e finalità di carattere generale. Quattro i principi fondamentali che orientano il nuovo articolato: “sussidiarietà, mediante la concertazione tra i diversi soggetti coinvolti, in modo da attuare il metodo della copianificazione; efficienza e celerità dell’azione amministrativa attraverso la semplificazione dei procedimenti; trasparenza delle scelte, con la più ampia partecipazione; perequazione”. Gli obiettivi, finalizzati allo sviluppo sostenibile della comunità regionale, s’incentrano sulla tutela dei valori ambientali, storici e culturali e sulla riqualificazione territoriale.

La legge introduce innovazioni anche negli strumenti. Al documento regionale di assetto generale (Drag) è affidato il compito di definire gli ambiti di tutela e conservazione dei valori ambientali e culturali, gli indirizzi per la formazione, il dimensionamento e i contenuti dei piani provinciali e comunali, gli schemi delle infrastrutture di interesse regionale. 

Prendendo atto del ruolo attribuito dalla legge 142/1990 alle province, essa assegna a queste il compito della redazione del piano territoriale di coordinamento (Ptc), strumento volto a coordinare la pianificazione locale e di settore d’intesa con le amministrazioni competenti. I campi di primario interesse sono protezione della natura, tutela dell’ambiente, tutela delle acque, difesa del suolo, salvaguardia delle bellezze naturali. Infine, per quanto attiene alla pianificazione generale comunale, il piano regolatore generale è sostituito dal piano urbanistico generale (Pug), articolato in piano strutturale e piano programmatico. 

Se l’impalcato generale della legge appare in linea con alcuni recenti avanzamenti disciplinari, non mancano contraddizioni che preoccupano alla luce, da un lato, dell’immaturità della cultura urbanistica pugliese, dall’altro, del centralismo consolidato nella prassi regionale (Barbanente, 2002). In linea di principio, la nuova legge cerca di superare il modello gerarchico e autoritativo che ispirava la legge 56/1980, sposando l’idea di pianificazione quale forma di governo del territorio nella quale trovano sintesi obiettivi, prospettive e azioni dei diversi soggetti della pianificazione. Questo principio è perseguito chiamando a partecipare alla formazione del Drag, nell’ambito della conferenza programmatica regionale, rappresentanti degli enti locali, delle associazioni, delle forze sociali, economiche e professionali della regione, dall’altro, tramite conferenza dei servizi, i rappresentanti delle Amministrazioni statali, al fine di acquisirne previamente le manifestazioni di interesse. Quest’ultima procedura è prevista anche per l’elaborazione del Ptc, questa volta con la partecipazione di rappresentanti delle amministrazioni statali, comunali e delle comunità montane, delle autorità di bacino, dei consorzi di bonifica. Analogamente a quanto era accaduto per il Putt/p, il Drag diviene strumento per rafforzare il potere dell’esecutivo regionale sia nei confronti di comuni e province sia nei confronti del consiglio regionale (Figure 1 e 2).

Figura 1 - Procedimento di formazione del documento regionale di assetto generale (Drag).

 

Una vera e propria anomalia rispetto al panorama - pure assai variegato - delle situazioni delineate dalle recenti legislazioni regionali (Inu, 2001), è la mancanza di riferimenti al rapporto tra programmazione economica e assetto territoriale regionale, la cui verifica di congruenza e compatibilità appare invece elemento imprescindibile di qualsiasi forma di pianificazione alla scala in questione. 

L’approvazione dei Pug segue ancora la logica del controllo di conformità, nella fattispecie al Drag e al Ptc. In assenza di questi, si ricorre alla discutibile procedura del silenzio-assenso. La copianificazione, intesa quale metodo per perseguire il principio chiave della sussidiarietà, si realizza utilizzando l’istituto della conferenza di servizi solo qualora la regione o la provincia deliberino l’incompatibilità del Pug con il Drag o il Ptc. Questo è un punto critico di importanza primaria. Infatti, appare difficile immaginare di poter fondare la nuova pianificazione su una partecipazione convinta, responsabile ed efficace dei diversi soggetti alla costruzione delle scelte, piuttosto che, come avveniva in passato, su una distinzione gerarchica delle competenze, se il metodo della copianificazione per il livello comunale si adotta solo in caso di difformità rispetto ai piani sovraordinati.

Figura 2 - Procedimento di formazione del Piano territoriale di coordinamento regionale di assetto generale (Drag).

 

Queste perplessità assumono rilevanza ancora maggiore se si considerano lo stadio assolutamente immaturo della pianificazione di area vasta e la carenza di quadri conoscitivi approfonditi e aggiornati sui caratteri e le tendenze di trasformazione del territorio regionale. In una simile condizione, infatti, la verifica di compatibilità su accennata sarà probabilmente operata in rapporto all’unico piano di area vasta vigente, il Putt/p. Uno strumento che, da un lato, ha ampliato oltre ogni limite di accettabilità le maglie dei territori nei quali non ha applicazione, dall’altro, come accennato, omette di fornire indicazioni specifiche circa forma e ampiezza delle trasformazioni del territorio ammissibili negli ambiti di interesse paesaggistico da esso stesso designati. La questione della valutazione nella/della pianificazione è trascurata del tutto, in contrasto con l’accresciuta sensibilità degli enti locali sui temi ambientali, dovuta sia agli stimoli provenienti dagli organismi internazionali sia alle pressioni di cittadini sempre più consapevoli. La maggiore flessibilità del piano comunale dalla legge stessa promossa richiederebbe, invece, che il Pug prevedesse criteri di qualità e di rischio per la valutazione degli impatti ambientali delle trasformazioni proposte2. Inoltre, in assenza di quadri valutativi, le intese istituzionali che la legge introduce nelle procedure pianificatorie (accordo di programma e conferenza dei servizi) rischiano di svilupparsi sulla base di criteri contingenti e di condurre al più a qualche miglioramento del processo decisionale in termini di efficienza. In proposito va anche sottolineato che la legge contiene solo un accenno al sistema di conoscenze sul quale la nuova pianificazione regionale dovrebbe fondarsi. In particolare, l’ultimo articolo della legge riguarda l’istituzione del sistema informativo territoriale, manifestando un interesse prevalente verso uno strumento, ossia verso il come conoscere piuttosto che il perché conoscere e cosa conoscere (Barbanente, 2002). E questo è un altro elemento che discosta la situazione pugliese dalle tendenze osservabili in altri contesti regionali. La moltiplicazione degli attori, l’articolazione dei livelli decisionali e la frammentazione di processi e istanze di trasformazione del territorio, sui quali ci si è soffermati nella prima parte di questo contributo, richiedono, invece, una ricomposizione dei quadri di conoscenza che, pur non annullando le differenze di visioni e approcci, consenta di disporre di sfondi comuni sui quali imperniare la pianificazione territoriale. Tale esigenza cognitiva appare ancor più rilevante se la pianificazione è intesa - come alcuni dei principi alla base della legge sembrano indicare - quale processo dinamico, evolutivo, capace di integrare attori, risorse, campi d’azione e di favorire accordi e collaborazioni istituzionali orientati allo sviluppo territoriale e alla rigenerazione ambientale.

1 L’unica eccezione è costituita dalla Provincia di Lecce, che ha di recente adottato il Ptc. Bari, Foggia e Brindisi, invece, hanno appena avviato, con approcci molto differenti, il processo di pianificazione e Taranto sta ancora cercando di orientarsi sul da farsi. Vi è da aggiungere che, in un simile impegno, non solo le province non hanno avuto alcun sostegno dalla regione, ma quest’ultima ha considerato sfavorevolmente le iniziative provinciali. Inoltre, in Puglia mancano esperienze di pianificazione specialistica nel campo delle aree protette, dei bacini idrografici, dei trasporti, mentre la pianificazione nel campo dello smaltimento dei rifiuti, dell’attività estrattiva, della sanità, nella fase implementativa ha manifestato assoluta mancanza di efficacia anche in ragione di un’impostazione marcatamente dirigistica.

2 In questa direzione, com’è noto, si sono mosse altre leggi regionali, introducendo il principio che ogni variazione dell’assetto territoriale debba essere subordinata alla valutazione degli impatti sull’ambiente. Nessun raccordo è invece ricercato, nella legge in questione, con la Lr 11/2001, “Norme sulla valutazione dell’impatto ambientale”, la quale prevede che i Prg e le loro varianti contengano, come parte integrante, uno studio d’impatto ambientale. Deve in proposito specificarsi che la Giunta regionale non ha ancora emanato le previste direttive volte alla specificazione di contenuti e modalità di predisposizione degli studi in questione. Tuttavia, sinora l’intera materia è stata gestita dall’assessorato all’ambiente secondo procedure del tutto separate da quelle seguite dall’assessorato competente in materia di assetto del territorio.

 

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Riferimenti bibliografici

 

Amin A. and Thrift N. (1994), “Living in the Global” in A. Amin and N. Thrift (eds.) Globalization, Institutions, and Regional Development in Europe, Oxford University Press, Oxford, pp. 1-22.

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Le immagini fuori testo sono tratte dal volume “Lecce d'Argento - Gli infiniti di Pietro Paolo”, Martano Editrice srl, Lecce, 2001.

 

1. “Specchio”. Fine cesello su lastra Argento 925 sterling cm. 53x45. Da una finestra del Palazzo dei Celestini in Lecce è realizzata la cornice dello specchio;

2. “Acquasantiera”. Fusione a cera persa e fine cesello. Argento 925 sterling cm. 24,5x11x5. Il pezzo del Seminario di Lecce è stato trasformato in acquasantiera. Il pezzo è stato realizzato in occasione della visita di Sua Maestà, la Regina Paola del Belgio, e donato dalla Camera di Commercio di Lecce;

3. “Portabuste”. Fusione a cera persa con interventi di incisione. Argento 925 sterling cm. 8,5x16x4. Ottenuto dalla trasposizione dei particolari del rosone centrale e della trabeazione sinistra dell'ordine inferiore della basilica di Santa Croce in Lecce.

 

 

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