Numero 4 - 2001

 

la normativa regionale 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La legge regionale 19/2001 tra legge obiettivo e testo unico in materia edilizia


Nicola Vitolo


 

Legislazione statale e regionale in materia di disciplina edilizia continuano ad accavallarsi farraginosamente. Nicola Vitolo si cimenta nella difficile impresa di metterle a confronto rilevando incongruenze formali e sostanziali che potrebbero ritorcersi sugli utenti, continuando a ritardare il sempre più lontano traguardo di una semplificazione normativa, a vantaggio degli enti locali e dei progettisti

 

 

 

 

 

L’attuale quadro legislativo in materia di edilizia/urbanistica – interagente anche con la pubblica amministrazione – appare particolarmente complesso, articolato, incerto e non molto agevole, in particolar modo, dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 che ha modificato, riformulandolo, l’art. 117 della Costituzione1. Infatti, con la menzionata legge 3/2001, vi sono o vi saranno tre ambiti di esercizio legislativo: quello esclusivo dello Stato, quello concorrente tra Stato e regione e, infine, quello esclusivo della regione, tenuto conto che il legislatore nell’art. 117, cosi come riformulato, non cita espressamente il termine edilizia ma, al terzo comma adopera la locuzione governo del territorio. Si riporta di seguito l’art. 117 della Costituzione:

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

omissis

s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a:

omissis; governo del territorio; omissis.

Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Spetta alle regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. 

omissis

La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle regioni. La potestà regolamentare spetta alle regioni in ogni altra materia.

Pertanto, sembra che l’edilizia sia materia esclusiva delle regioni ovvero viene supplita dallo Stato fintanto che le regioni non legiferano in via esclusiva e si ritiene opportuno elencare quelle norme – a mio parere – che interagiscono tra di loro, anche ed oltre la sfera della pura edilizia.

È sintomatico che delle tre normative citate nel titolo solamente una, ovvero quella regionale, è vigente: infatti il testo unico (Tu) andrà in vigore il 1 gennaio 2003, la legge obiettivo è andata in vigore il 27 marzo 2002 e, tenuto conto della modifica alla Costituzione, in Campania avremo una doppia normativa: quella nazionale e quella regionale.

E da subito viene spontaneo chiedersi: per quanto concerne le demolizioni e ricostruzioni, è da applicarsi la Lr 19/2001 “con lo stesso ingombro volumetrico” oppure la legge 443/2001 (vigente dal 27 marzo 2002) “con la stessa volumetria e sagoma”?

II rischio di interpretazioni estensive e, quindi, di contenzioso è assai elevato. 

Dalla lettura della Lr 19/2001 si evince che:

- l’art. 1 dispone le procedure per il rilascio della concessione edilizia;

- l’art. 2, in buona sostanza, ripropone i commi 6 e seguenti della citata legge nazionale (legge obiettivo) che, in effetti, recepisce in larga misura le semplificazioni procedimentali contenute nelle legislazioni regionali più avanzate (Toscana e Lombardia in particolare), senza peraltro togliere la possibilità alle singole regioni di tenere atteggiamenti più prudenti;

- con l’art. 4, le province e le comunità montane possono nominare i commissari ad acta nei comuni inadempienti in termini di espressione definitiva sulle concessioni edilizie. È il caso di precisare che già con l’art. 8 della Lr 39 del 16 ottobre 1978, così sostituito dall’art. 1 della Lr 11 del 7 gennaio 1983, gli enti menzionati erano delegati alle predette nomine. Tale delega fu rimossa dal Dl 398 del 5 ottobre 1993, convertito nella legge 493 del 4 dicembre 1993 – come sostituito dall’art. 2, comma 60, punto 6, della legge 662 del 23 dicembre 1996.

Si precisa, altresì, che con la menzionata Lr 11/1983 i commissari dovevano essere “funzionari amministrativi della carriera direttiva” ed “Il sindaco, dal momento della nomina del commissario, non può più pronunciarsi sulla richiesta di concessione. Al commissario, per l’espletamento delle sue funzioni, sono attribuiti tutti i poteri del sindaco in materia”. Naturalmente, oggi, a seguito delle cosiddette Bassanini, il commissario deve essere un tecnico che deve sostituirsi al dirigente di settore ovvero alla figura tecnica che rilascia le concessioni edilizie. Ciò non toglie che, a mio parere, il comune conserva il potere/dovere di esprimersi sulla richiesta di concessione edilizia in qualsiasi momento, anche in presenza di commissario.

Ed ancora, come si rileva, il legislatore regionale continua (chissà perché?) ad individuare nelle comunità montane l’altro interlocutore per l’edilizia (e per l’urbanistica), nonostante il DLgs 267 del 18 agosto 2000 –  testo unico (Tu) delle leggi sull’ordinamento degli enti locali – assegni sia alle province sia alle comunità montane specifiche funzioni tenendo fuori solo queste ultime dalla pianificazione, se non con il piano socio-economico, atteso ancora che la Regione Campania con la nuova legge sul governo del territorio, in corso di approvazione, al capo II livelli di pianificazione - articolo 7 livelli di pianificazione – dispone che – 1. l’adozione degli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica, nonché delle relative variazioni, competono, nell’ambito di rispettiva competenza, alla regione, alle province, alla città metropolitana di Napoli ed ai comuni;

- l’art. 5 ripropone la necessità di provvedere alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria all’interno dei piani particolareggiati, pubblici o privati, e che le stesse devono essere “funzionalmente collegabili a quelle comunali esistenti”;

- l’art. 6 ha messo insieme le norme che regolano la realizzazione di parcheggi: la legge 122/1989 come modificato dalla legge 127/1997, la legge 662/1996, la 47/1985, assoggettandoli alla denuncia di inizio attività (Dia);

- gli artt. 7 e 8 sono di modifica di leggi regionali;

- con l’art. 9, la Lr ha stabilito che le norme “della presente legge … prevalgono sulle disposizioni …” della Lr 35/1987 ovvero del “Piano Urbanistico Territoriale dell’Area Sorrentino-Amalfitana”. È allora opportuno ricordare che l’“Art. 3 - Efficacia del Piano – così recita: Il Piano Urbanistico Territoriale dell’Area Sorrentino-Amalfitana è Piano Territoriale di Coordinamento con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali e sottopone a normativa d’uso il territorio dell’Area Sorrentino-Amalfitana.

Il Piano Urbanistico Territoriale prevede norme generali d’uso del territorio dell’area e formula direttive a carattere vincolante alle quali i Comuni devono uniformarsi nella predisposizione dei loro strumenti urbanistici o nell’adeguamento di quelli vigenti.

Il Piano Urbanistico Territoriale, inoltre, formula indicazioni per la successiva elaborazione, da parte della Regione, di programmi di interventi per lo sviluppo economico dell’area”. Orbene, in merito alla legge obiettivo (n. 443 del 21 dicembre 2001, art. 1 comma 6 e seguenti), necessita da subito osservare che la previsione (contenuta anche nel Tu) della possibilità per il richiedente di depositare una Dia o di scegliere (liberamente) per la richiesta di rilascio di titolo abilitativo esplicito da parte del comune, appare quantomeno fuor di luogo.

Va rilevato che la Dia facoltativa:

- riduce fortemente l’efficacia semplificativa del nuovo assetto normativo. Tale possibilità di scelta si ripercuoterebbe, infatti, non solo sugli interventi edilizi significativi (ristrutturazioni e simili), ma opererebbe anche su una vasta casistica di opere minori;

- influisce negativamente sulla qualità e tempestività del servizio reso al cittadino e al professionista;

- ridimensiona il ruolo e la responsabilità del tecnico progettista.

La Dia obbligatoria, pur con le comprensibili difficoltà legate ad un quadro normativo ancora piuttosto confuso, è, alla prova dei fatti, un passaggio fondamentale per rendere sempre più centrale e qualificato il ruolo del professionista: attestando la conformità di interventi edilizi anche articolati e complessi, il progettista acquista di fatto pari dignità e responsabilità della pubblica amministrazione (Pa) nel perseguire gli obiettivi fissati dalla strumentazione urbanistica. Al contrario, la Dia facoltativa ritarderebbe tale processo di crescita, riaffermando, per un verso, il primato della Pa e, per l’altro, segnando progressivamente un solco nel mercato del lavoro tra i professionisti più esperti (o più disinvolti) e quelli alle prime armi (o più prudenti). Essa, invero, incoraggerebbe il contenzioso in quanto la possibilità di richiedere il rilascio di un atto abilitativo esplicito, per qualsiasi tipo di intervento edilizio, può indurre l’interessato, in caso di interventi di dubbia legittimità, a proporre forzature interpretative della normativa tecnica, nel deliberato intento di risolvere la questione in sede di contenzioso (cercando, per cosi dire, un atto di diniego da impugnare).

Appare senz’altro opportuno seguire il modello della Regione Toscana della Dia obbligatoria. Suscita perplessità il dettato della lett. b) che descrive gli interventi di demolizione/ricostruzione riconducibili alla categoria della ristrutturazione edilizia.

Bisognava specificare che è assimilata alla ristrutturazione solo la ricostruzione fedele, ossia quella “con la stessa sagoma e lo stesso ingombro planivolumetrico”: poiché senza tale precisazione si avrebbe una nozione di ristrutturazione edilizia decisamente fuorviante e non supportata oltretutto dalla giurisprudenza prevalente. Si veda, al riguardo, anche la definizione di ristrutturazione edilizia contenuta nell’art. 3 del Tu, assai più pertinente e puntuale, in cui si precisa che, in merito alla volumetria, la demolizione e ricostruzione del manufatto è disciplinata dalle norme vigenti al tempo in cui venne rilasciata la relativa licenza/concessione edilizia mentre i nuovi interventi, connessi alla ristrutturazione, devono sempre essere legati alle norme urbanistiche vigenti al momento della richiesta. Naturalmente affinché si possa verificare la demolizione/ricostruzione, necessita che esista un edificio provvisto di mura perimetrali, eventuali solai di interpiano e tetto, in quanto la ricostruzione di ruderi costituisce nuova costruzione e richiede il titolo abilitativo necessario (Consiglio di Stato, sez. V, 10.03.97 n. 240).

Infine, tenuto conto che il Tu è fondato su due soli titoli abilitativi, Dia e permesso di costruire (PdiC), appare inopportuno parlare palesemente ancora (legge 443/2001 - art. 1 comma 6) di concessioni e autorizzazioni edilizie, atti amministrativi entrambi in via di superamento.

Ancor prima di cimentarsi nel tentativo di commentare un provvedimento normativo di così ampia portata, bisognerà riflettere sullo stesso in merito a quanto doveva essere il Tu e (forse) a quanto è.

Il Tu è stato redatto ai sensi dell’art. 7 della legge 50 dell’8 marzo 1999, delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi.

Il comma 2 di tale articolo impone al Governo di adeguarsi, tra l’altro, ai seguenti criteri e principi direttivi:

a) delegificazione delle norme di legge concernenti gli aspetti organizzativi e procedimentali;

b) puntuale individuazione del testo vigente delle norme;

c) esplicita indicazione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni;

d) coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo.

Con riferimento a quest’ultimo dettame, non pare che il legislatore abbia rispettato il limite del puro coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti; in particolare, sembra che vi sia un eccesso di delega rinvenibile proprio in relazione al riparto tra le opere soggette a permesso di costruire ed alla denuncia d’inizio attività; nonché in relazione agli interventi già soggetti ad autorizzazione edilizia nella legislazione vigente. Quanto detto acquista un significativo rilievo, ove si consideri che, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3, 10 e 22 del Tu, sono sottoposti a PdiC, interventi già soggetti a denuncia d’inizio attività, in base all’art. 4, comma 7, del Dl 398 del 5 ottobre 1993, convertito in legge 493 del 4 dicembre 1993 – come sostituito dall’art. 2, comma 60 della legge 662 del 23 dicembre 1996.

In base al citato art. 3 del Tu, con la denuncia d’inizio attività è possibile eseguire solo opere di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia, ma non anche le altre opere previste dal citato art. 4, comma 7 del Dl 398/1993. Restano, pertanto, escluse dalla facoltà di Dia:

- le recinzioni, i muri di cinta e le cancellate;

- le opere in aree destinate ad attività sportive senza creazione di volumetrie;

- l’installazione di impianti tecnologici al servizio di edifici o di attrezzature esistenti e realizzazione di volumi tecnici che si rendano indispensabili sulla base di nuove disposizioni;

- i parcheggi di pertinenza nel sottosuolo del lotto su cui insiste il fabbricato.

Anche le opere interne di singole unità immobiliari, devono ritenersi soggette a PdiC, ove i lavori da eseguire non presentino i caratteri strutturali e funzionali propri degli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia.

Pertanto anche il cambiamento del titolo edilizio da Dia, prevista dal suddetto art. 4, comma 7 del Dl 398/1993 per le relative opere, a PdiC, non pare consentito dal coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti; né potrebbe rientrare tra le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo.

Al riguardo, assume peso determinante, il diverso regime sanzionatorio operante, a seconda del titolo edilizio necessario e, in particolare, l’applicabilità delle sanzioni penali solo nell’ipotesi di opere assoggettate a PdiC. Svanisce il comma 12 dell’articolo 4 della legge 493/1993 (introdotto dalla legge 662/1996), dove si stabiliva che il progettista della Dia assumeva qualità di “persona esercente un servizio di pubblica utilità” e, come tale, è punibile per il reato di falso ideologico in caso di dichiarazioni non corrispondenti al vero. Nel Tu, invece, tutto questo si dissolve.

In tal modo, il Tu sembra aver violato norme costituenti principi fondamentali della materia, previsti dalla legislazione vigente.

Nei medesimi termini si pone la questione, con riferimento alle opere ancora sottoposte ad autorizzazione edilizia, in quanto non incluse tra quelle soggette a denuncia d’inizio attività, ai sensi del citato art. 4, comma 7 del Dl 398/1993.

Era stata rimessa alla Corte costituzionale, per violazione dell’art. 117 della Costituzione, la Lr Toscana 52 del 14 ottobre 1999, i cui articoli 2 e 4 assoggettano le opere di ristrutturazione edilizia a denuncia d’inizio attività, anziché a concessione edilizia, in violazione dell’art. 9 della legge 47 del 28 febbraio 1985. Tale violazione, presunta, è stata superata dalla legge Lunardi (cosiddetta legge obiettivo).

In tale contesto, va segnalata anche la previsione dell’art. 3, secondo cui gli interventi di ristrutturazione edilizia, definiti alla lett. d), sono soggetti a mera denuncia d’inizio attività, mentre nella legislazione vigente necessitano di concessione edilizia, con le relative conseguenze sul piano penale.

Detto ciò, il Tu si suddivide in due parti: 

- la prima attiene all’attività edilizia, con particolare riferimento ai titoli abilitativi ed al certificato di agibilità;

- la seconda alla normativa tecnica per l’edilizia.

Le disposizioni del Tu hanno valore di “principi fondamentali della legislazione statale” (norme - cornice) e, dunque, le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia il cui ambito di applicazione è delineato nell’art. 1 secondo il quale “il presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali e detta disposizioni per la disciplina dell’attività edilizia”, tenuto conto che (il Tu) non incide sulla disciplina speciale riguardante gli impianti produttivi di cui al DLgs 112/1998 e Dpr 447/1998 come modificato dal Dpr 440/2000, atteso che il comma 5 dell’art. 1, in osservanza del “federalismo amministrativo” di cui alla legge 59/1997, specifica che “in nessun caso le norme del presente testo unico possono essere interpretate nel senso della attribuzione allo Stato di funzioni e compiti trasferiti, delegati o comunque conferiti alle regioni e agli enti locali dalle disposizioni vigenti alla data della sua entrata in vigore”.

La prima innovazione che salta agli occhi è la nuova terminologia data al titolo abilitativo per le nuove costruzioni, ovvero il titolo che accerta se ricorrono le condizioni per esercitare il diritto ad edificare: il cosiddetto PdiC, richiamando subito alla mente il permis de conduire

L’art. 10, infatti, definisce gli interventi di trasformazione sul territorio ed il successivo art. 22 definisce quegli interventi assoggettabili a Dia e non riconducibili a quelli di cui all’art. 10, lasciando così intendere il carattere residuale della Dia. Orbene, l’art. 3 – definizione degli interventi edilizi – opera già definendo il riparto tra gli interventi soggetti a Dia o a PdiC, ovvero smentendo la residualità della Dia. Letta così, sembra che il PdiC è residuale della Dia, cioè, al di fuori degli interventi di manutenzione, di recupero e di ristrutturazione, il resto, residualmente, è PdiC e, conseguenzialmente, la lettera e) dello stesso articolo assume significato solamente esplicativo degli interventi possibili.

Appare chiaro che viene riproposto il fondamentale concetto dell’art. 1 – Trasformazione urbanistica del territorio e concessione di edificare – della legge 10 del 27 gennaio 1977 – Norme in materia di edificabilità dei suoli – Ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del sindaco, ai sensi della presente legge.

Abbandonando, di fatto, la strada della flessibilità, ovvero a seconda del tipo di intervento (più o meno impattante), vi era un titolo comunale abilitativo.

La legittimazione alla richiesta del titolo abilitativo per costruire è rimasto immutato, riconfermando l’art. 4 della menzionata legge 10/1977, per cui è rilasciato al proprietario, al comproprietario o di altro diritto reale o l’avente titolo a richiederlo ovvero al titolare di un diritto di obbligazione che vincoli o dia mandato ad eseguire i lavori. Ben inteso che il PdiC è dato sempre salvo il diritto dei terzi.

È importante, inoltre, riflettere in merito al silenzio-rifiuto sulle domande di PdiC di cui al comma 9 dell’art. 20 che, se da un lato restituisce la certezza che il procedimento è concluso, dall’altro invita/sollecita il cittadino ad aprire da subito un contenzioso con la Pa che la vedrebbe sicuramente soccombente su un rifiuto formale ma privo di motivazione. 

Se poi il tutto va anche letto con la possibilità che il progettista ha di scegliere tra Dia e PdiC, ovvero di optare per il PdiC, avremo gli uffici tecnici comunali stracolmi di pratiche edilizie e saranno incapaci di dare risposte entro i termini prestabiliti producendo, come anticipato, silenzio-rifiuto e, quindi, tutela giurisdizionale. Sarebbe, a mio parere, più giusto pensare alla soppressione del citato comma 9 ed introdurre il meccanismo di cui all’art. 4 della Lr Campania 19/2001 o dell’art. 21 della Lr Toscana 52/1999, secondo il quale in caso di inadempienze comunali si nomina un commissario ad acta.

Infine, ma probabilmente non ultimo, lo sportello unico per l’edilizia sembrerebbe richiamare quello per le attività produttive. Sono autonomi?! Si sovrappongono?! Ci sarà bisogno di un terzo sportello (unico?) che li coordini?! Vi sarà veramente la semplificazione dei procedimenti, l’efficienza, la tempestività e qualità dell’azione amministrativa???!!! 

Ed infine, l’uso metodico della conferenza di servizi per l’acquisizione dei pareri, nulla-osta ecc. necessari per la realizzazione dell’intervento (PdiC o Dia), sembra semplicemente fantasioso.

 

Stato di attuazione dei piani per l'assetto idrogeologico (Pai)

Fonte: Pianificazione territoriale e provinciale e rischio idrogeologico - Previsioni e tutela, a cura del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e dell’Unione delle Province d’Italia, 2002

 

1 Ai fini del nostro ragionamento è utile qui ricordare alcuni significativi provvedimenti del legislatore:

la citata Legge Costituzionale 18.10.2001, n. 3 - modifica della Costituzione;

la legge 21.7.2000, n. 205 - disposizioni in materia di giustizia amministrativa;

la legge 8.3.1999, n. 50, art. 7 - delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi.

 

 

 

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