| Roberto Gerundo
                                    
                                      
                                    
                                     In questa occasione discutiamo di pianificazione di area vasta tra
                                    riforma costituzionale e politiche
                                    neocentraliste, in quanto, a far data dalla
                                    primavera del 2001, nel nostro paese si sono
                                    susseguite rilevanti novità.
                                    
                                     Chi si occupa di questo settore da un po’ di anni ha vissuto un
                                    fluire costante, se pur lento, della vicenda
                                    urbanistica italiana che, negli ultimi mesi,
                                    ha registrato un salto. 
                                    
                                     Questo lento fluire si era concluso con la riforma federalistica della
                                    Costituzione che ha individuato competenze
                                    dello Stato e ambiti di legislazione
                                    concorrente, affidando poi il resto e, in
                                    particolare i temi dell’assetto e della
                                    gestione del territorio, al meccanismo di
                                    decentramento amministrativo. 
                                    
                                     Si è registrato, si diceva, un salto, un momento di discontinuità,
                                    seguito da un certo numero di inadempienze.
                                    Per lunghi anni si è attesa la riforma
                                    urbanistica e si era arrivati ad un passo
                                    dal formalizzare uno schema innovativo di
                                    assetto e gestione possibile del territorio,
                                    che avrebbe utilizzato nuovi meccanismi.
                                    Purtroppo tutto ciò non si è concretizzato
                                    nella nuova legge urbanistica. 
                                    
                                     Ora siamo ad una riforma federalista della Costituzione, in
                                    contrapposizione alla quale si rilevano
                                    politiche neocentraliste per quanto riguarda
                                    l’assetto del territorio, che traspaiono
                                    dai provvedimenti legislativi che il governo
                                    si è apprestato ad emanare. Tutto ciò crea
                                    sicuramente un problema di rapporto fra
                                    Stato centrale e ambiti di gestione federale
                                    della cosa pubblica.
                                    
                                     La prima questione che desidero porre agli intervenuti riguarda le
                                    implicazioni della riforma federalista sulla
                                    dimensione operativa della pianificazione di
                                    area vasta.
                                    
                                     Nel fluire molto lento e lungo di riorganizzazione normativa nel nostro
                                    paese, culminato con la citata riforma
                                    costituzionale, vi è stato un ulteriore
                                    chiarimento, una definitiva affermazione
                                    della dimensione operativa e della
                                    competenza decentrata della pianificazione
                                    di area vasta, ovviamente bilanciata fra
                                    regione, province e comuni, e quali sono le
                                    novità che si colgono in queste ultime
                                    definizioni normative?
                                    
                                      
                                    
                                      
                                    
                                     Francesco Domenico Moccia
                                    
                                      
                                    
                                     La questione sollevata da Roberto Gerundo sulle competenze della
                                    pianificazione in un momento di conclamato
                                    federalismo, richiede una breve riflessione
                                    sulla stessa definizione di decentramento e
                                    sulla sua interpretazione, facendo anche un
                                    bilancio di che cosa è stato il
                                    decentramento fino ad oggi.
                                    
                                     Ricordo che nel libro coloritamente intitolato da Vandelli, Sindaci e
                                    miti, si evidenziava come il processo di
                                    decentramento avvenisse con uno
                                    sbilanciamento tra poteri e responsabilità.
                                    Negli ultimi anni si è perseguita la
                                    tendenza fondamentale di spostare alla
                                    periferia le responsabilità e non far
                                    corrispondere ad esse una pari quantità di
                                    poteri.
                                    
                                     Il bilanciamento tra i due aspetti, è una questione centrale per
                                    mettere effettivamente in grado gli enti
                                    locali di poter assolvere ai propri compiti,
                                    per cui, si capisce bene come negli enti
                                    decentrati si vivono con terrore i processi
                                    di decentramento, percepiti come tutta una
                                    serie di nuovi obblighi che debbano essere
                                    soddisfatti, con a disposizione mezzi sempre
                                    estremamente poveri e già insufficienti ad
                                    assolvere le precedenti ed ordinarie
                                    incombenze. Un aspetto fondamentale che il
                                    decentramento mette a fuoco è la
                                    sostanziale carenza in termini di risorse
                                    umane qualificate, organizzative e
                                    finanziarie degli enti locali capaci di
                                    affrontare con competenza una domanda sempre
                                    più complessa ed articolata di
                                    pianificazione.
                                    
                                     Il secondo punto che desidero sottolineare è che il processo di
                                    decentramento è stato definito in diversi
                                    modi e ciascuno di essi comporta un diverso
                                    approccio alla pianificazione.
                                    
                                     Un primo tipo di connotazione è stato il decentramento di carattere
                                    funzionale, una lista di compiti che
                                    dovevano essere trasferiti agli organi di
                                    livello inferiore.
                                    
                                     Designo in questo modo quanto è stato attuato con le Bassanini,
                                    secondo una concezione che distribuiva i
                                    compiti dell’amministrazione dello Stato
                                    ai suoi diversi organi stabilendo a quale
                                    livello era più opportuno trattare
                                    determinate funzioni. Supponendo una
                                    sostanziale unità dell’organizzazione
                                    dello Stato e depoliticizzando le funzioni
                                    amministrative, questo approccio sembrava
                                    offrire una puntuale – addirittura
                                    puntigliosa – chiarificazione dei compiti
                                    e delle responsabilità, sottovalutando però
                                    la latente conflittualità che si evidenzia
                                    nei processi di implementazione delle
                                    politiche che comportano inevitabilmente
                                    interpretazioni e decisioni. Questi
                                    conflitti si vivono ormai patologicamente,
                                    ad esempio, nei rapporti tra enti locali e
                                    sovrintendenze negli organismi di
                                    concertazione durante i processi di
                                    pianificazione e di implementazione dei
                                    piani. La ripartizione per funzioni dei
                                    compiti dell’amministrazione pubblica si
                                    scontra con la plurifunzionalità del
                                    governo del territorio.
                                    
                                     Un secondo criterio è quello della sussidiarietà introdotto
                                    dall’Unione europea per salvaguardare i
                                    poteri dei paesi membri ed esteso secondo il
                                    criterio della multilevel governance.
                                    Riconoscerei in questo principio una volontà
                                    di efficienza: gli organi superiori
                                    intervengono solo per quei compiti che i
                                    livelli inferiori non sono in grado di
                                    portare avanti. Ciò significa che è
                                    conveniente unire le forze per obiettivi più
                                    ambiziosi. Ma questa unione è rispettosa
                                    delle autonomie nella misura in cui esse
                                    sono già identificate ed operanti. Ovvero
                                    serve un criterio per determinarle, quando
                                    non sono tali e questo criterio non mi pare
                                    il principio di sussidarietà.
                                    
                                     Un altro criterio che è preso meno in considerazione - a mio parere
                                    ingiustificatamente - è il criterio
                                    dell’interesse della comunità locale.
                                    
                                     Questo criterio collega il governo locale ad una determinata comunità
                                    e lo legittima nelle sue attribuzioni come
                                    espressione di quel determinato gruppo di
                                    cittadini per le questioni che sono
                                    circoscritte alla loro identità ed ai
                                    motivi specifici della loro coesione. Esso
                                    individua una sfera di azione politica che
                                    può essere riconosciuta alla coltivazione
                                    delle diversità di questa comunità
                                    garantendo che non si ponga in conflitto,
                                    separandosi, rispetto alle comunità più
                                    vaste di cui entra a far parte – ne
                                    mantenga, in altri termini, l’apertura
                                    alla solidarietà ed alla comprensione.
                                    
                                     Questo legame comporta che il processo di decentramento non può
                                    avvenire attraverso un atto unilaterale di
                                    devoluzione ma deve comportare un doppio
                                    movimento sia dall’alto che dal basso. Il
                                    primo teso a riconoscere poteri locali, il
                                    secondo teso a identificare la volontà di
                                    autogoverno della popolazione locale. In
                                    questo quadro i livelli di pianificazione
                                    possono trovare una determinazione non
                                    esclusivamente tecnico-razionale (a quale
                                    livello è più conveniente trattare un
                                    determinato problema).
                                    
                                     Il livello del piano dovrà cercare ogni volta la legittimazione nella
                                    comunità a cui si riferisce (se esiste e
                                    per come si esprime) e troverà le sue
                                    limitazioni negli interessi che per quella
                                    comunità debbono essere protetti e
                                    sviluppati.
                                    
                                      
                                    
                                      
                                    
                                     Dino Borri
                                    
                                      
                                    
                                     La domanda che pone Roberto Gerundo non ha una risposta semplice ed è
                                    per questo motivo che preferirei astenermi
                                    dal fare delle associazioni di tipo
                                    biunivoco tra modello di governo ed esiti in
                                    termini di efficacia a livello di politiche
                                    territoriali.
                                    
                                     L’Europa ci mostra un quadro molto articolato: vi è una tradizione
                                    di forte centralismo nella pianificazione,
                                    come ad esempio quella della Francia, dove
                                    ancora oggi le province (i prefetti)
                                    preparano i piani regolatori e li inviano ai
                                    comuni. Tuttavia questa antica tradizione,
                                    non sembra corrispondere ad un peggioramento
                                    delle città e della qualità dei paesaggi.
                                    
                                     Vi sono ancora modelli accentrati, dove la pianificazione è nazionale,
                                    come in Olanda, ma anche molti altri
                                    decentrati quali quello tedesco e italiano.
                                    
                                     In particolare, quello italiano è un modello fortemente decentrato
                                    attraverso le regioni.
                                    
                                     Fin dagli anni settanta è divenuto un modello di decentramento molto
                                    spinto dei poteri territoriali e
                                    urbanistici, dove alcune cose sono andate
                                    bene e altre male.
                                    
                                     Per esempio, il nostro paese ha dimostrato grandi capacità di
                                    conservare le sue città storiche e
                                    straordinaria incapacità nel costruire le
                                    città nuove dopo gli anni sessanta.
                                    L’Italia ha costruito le più brutte
                                    periferie europee, ha dimostrato spesso di
                                    non aver avuto la capacità di conservare i
                                    paesaggi e tutto ciò all’interno di un
                                    modello di decentramento.
                                    
                                     Per questo motivo eviterei di fare un’associazione di tipo
                                    deterministico secondo la quale ad un
                                    determinato tipo di governo corrisponde un
                                    esito di un certo tipo.
                                    
                                     Siamo in presenza di una relazione complessa nella quale forse è bene
                                    pronunciarsi in maniera più locale.
                                    
                                     Una seconda considerazione tecnico-politica riguarda la curiosità del
                                    comportamento delle forze politiche
                                    conservatrici in Europa.
                                    
                                     Ad esempio, la Thatcher, durante il suo lungo periodo di governo,
                                    esaltando principalmente il mercato, un
                                    po’ come il governo polista oggi in
                                    Italia, ha attivato un fortissimo
                                    accentramento del governo territoriale. Il
                                    periodo thatcheriano in Inghilterra ha
                                    segnato un neocentralismo molto forte. Ciò
                                    sembra essere una cosa alquanto curiosa se
                                    si considera che i governi di tipo liberale,
                                    orientati verso il mercato, dovrebbero
                                    essere governi che allentano i sistemi di
                                    pianificazione centralizzati. 
                                    
                                     Le tendenze neocentraliste del governo Berlusconi sono molto simili a
                                    quelle del periodo thatcheriano. Il governo
                                    Thatcher, infatti, ha smantellato buona
                                    parte delle autonomie locali, per cui
                                    l’attenzione al mercato si è configurata
                                    in termini contraddittori, con una forte
                                    volontà di starci dentro, di governarlo dal
                                    centro e, quindi, di non accettarne quei
                                    caratteri di mobilità e libertà che più
                                    gli si addicono.
                                    
                                     La questione è abbastanza complessa e a ciò si aggiunge un ulteriore
                                    elemento di complessità e confusione
                                    derivante dal fatto che i nostri
                                    pianificatori sono tecnici o politici che
                                    hanno giustamente smantellato i sistemi di
                                    comando e di controllo, che hanno
                                    praticamente costituito l’essenza della
                                    pianificazione degli anni trenta fino a
                                    tutti gli anni sessanta.
                                    
                                     A partire dagli anni settanta, ma oggi in maniera molto definita,
                                    quello che si chiamava comando e controllo
                                    è stato sostituito da un modello di
                                    partecipazione e di azione strategica nel
                                    quale comunità allargate fatte di tecnici
                                    esperti, ma anche di non esperti, di gente
                                    comune tracciano insieme il cammino dei
                                    propri ambienti di vita e lo tracciano non
                                    in maniera fumosa, ma con una piena
                                    consapevolezza di tutti i momenti, di tutte
                                    le fasi, di tutte le operazioni che devono
                                    riempire lo spazio che esiste tra gli
                                    obiettivi e i risultati. 
                                    
                                     Questo smantellamento del sistema di comando e controllo, tipico della
                                    pianificazione di un tempo, questo maggiore
                                    potere delle comunità locali, si scontra
                                    attualmente con una esigenza di tutela, o
                                    meglio di qualche attenzione, più
                                    centralizzata per il tema ambientale in
                                    quanto esso non consente un totale
                                    decentramento. Allora ancora una volta c’è
                                    una contraddizione. Sulla dimensione
                                    socio-economica e sulla dimensione politica,
                                    il decentramento è benefico: dopo aver
                                    giustamente smantellato il sistema di
                                    comando e controllo, le comunità si sono
                                    rafforzate, sono divenute protagoniste della
                                    loro vita, ma per la dimensione ambientale
                                    dei sistemi locali vi sono grossi rischi se
                                    non ci sarà un’attenzione coordinata
                                    dall’alto.
                                    
                                      
                                    
                                      
                                    
                                     Francesco Indovina
                                    
                                      
                                    
                                     In merito alla domanda posta da Gerundo, vorrei sottolineare che
                                    l’attività di organizzazione del
                                    territorio non è un’attività di
                                    organizzazione ma, specificatamente,
                                    un’attività di decisione politica. In
                                    questo senso mi pare di poter convenire con
                                    Borri che, estremizzando, affermava:
                                    decentramento o non decentramento è
                                    indifferente rispetto al contenuto politico
                                    delle decisioni che vengono prese.
                                    
                                     Il decentramento, per un lungo periodo, è stato guidato da una
                                    tensione di unità: il senso del
                                    decentramento era di collegare più
                                    strettamente i processi di pianificazione
                                    alle specificità di ogni luogo, di ogni
                                    regione, nell’ambito di un’idea comune:
                                    che il territorio era un bene collettivo,
                                    che di questo territorio bisognava fare il
                                    miglior uso possibile secondo parametri
                                    condivisi.
                                    
                                     Questa, mi sembra, essere stata l’idea guida di tante legislazioni
                                    regionali (che poi la traduzione pratica
                                    corrispondeva solo in parte a questa opzione
                                    generale è altra questione, non marginale,
                                    ma che attiene ad un altro tipo di
                                    ragionamento).
                                    
                                     Bisogna osservare che oggi non è più così, questa idea comune non
                                    c’è più. 
                                    Non solo oggi la geografia
                                    legislativa appare molto articolata ma è
                                    prevedibile che nel futuro la diversità
                                    potrà essere molto più accentuata, quasi
                                    una disarticolazione.
                                    
                                     Una differenziazione che non solo risponde a specificità di luogo, ma
                                    soprattutto risponde a idee di uso del
                                    territorio molto diverse (cito un caso per
                                    tutti: il senso dell’abuso del territorio
                                    che apparirà nella legislazione della
                                    Sicilia, risulterà non conforme, non solo a
                                    quello delle altre regioni, ma soprattutto a
                                    qualsiasi senso comune di salvaguardia del
                                    territorio e dell’ambiente). 
                                    
                                     Potremmo dire cinicamente che ogni popolazione avrà il territorio che
                                    si merita, ma il problema è che il tipo di
                                    territorio che risulterà non appare come
                                    decisione delle popolazioni, ma di gruppi di
                                    potere forti (non necessariamente di forza
                                    economica, ma anche di forza elettorale);
                                    non solo, ma gli effetti di una data
                                    organizzazione dello spazio di una regione
                                    travalica la dimensione della regione stessa
                                    per tracimare nelle regioni circostanti.
                                    
                                     Infatti, i processi di pianificazione del territorio non sono
                                    indifferenti ai processi di sviluppo, non
                                    sono indifferenti ai processi di equilibrio,
                                    non sono indifferenti ai processi di qualità
                                    della vita quotidiana.
                                    
                                     Da questo punto di vista il decentramento comincia ad essere un
                                    problema abbastanza complicato da gestire
                                    politicamente.
                                    
                                     Qualcuno prima faceva riferimento ad una probabile riduzione, per così
                                    dire, della libertà di stampa, prevedendo
                                    periodi più o meno oscuri, ma una ipotesi
                                    di questo tipo non vale per singoli segmenti
                                    della società, vale per tutti i segmenti,
                                    per la giustizia, per la scuola, per la
                                    salute e vale anche per il territorio. In
                                    questo momento mi sembra sia possibile
                                    cogliere un’unità di intenti, cosa
                                    estremamente preoccupante.
                                    
                                      
                                    
                                     
  
                                    
                                     Roberto Gerundo
                                    
                                      
                                    
                                     Evitando di connotare decentramento e/o accentramento di competenze con
                                    determinate estrazioni politiche o di
                                    orientamento culturale, in quanto il
                                    neocentralismo è stato negli anni passati
                                    prodotto dalle più disparate e diverse
                                    collocazioni politiche, si può sostenere
                                    comunque che oggi, relativamente
                                    all’assetto del territorio, ci troviamo in
                                    una fase di politica neocentralista?
                                    
                                     La conferenza delle regioni, sulla base di rilevamenti resi noti
                                    all’inizio del 2002, annovera circa 28
                                    provvedimenti governativi che sono
                                    discordanti dalla riforma costituzionale,
                                    nel senso che si appropriano di poteri, in
                                    maniera diretta o surrettizia, che invece
                                    dovrebbero essere decentrati.
                                    
                                     Delle circa 200 opere che la legge obiettivo propone, molte di esse
                                    sono puntuali che, certamente, si possono
                                    considerare sempre facenti parte di una
                                    piattaforma logistica unitaria, qual è il
                                    nostro paese, ma che evidentemente sono
                                    abbastanza specificamente individuate sul
                                    territorio, collocate a livello strettamente
                                    provinciale e regionale, se non addirittura
                                    comunale. 
                                    
                                     Ma anche il vizio di legiferare nel dettaglio delle procedure, che c’è
                                    sempre stato, adesso si carica con quella
                                    parte della legge obiettivo che si occupa di
                                    procedimenti amministrativi in termini
                                    edilizi e che si incontra o si scontra o
                                    fiancheggia una disciplina recentemente
                                    varata dalla Regione Campania (la legge
                                    19/2001), che si occupa delle stesse cose.
                                    Ma allora, queste politiche neocentraliste
                                    sono il frutto di una necessità?
                                    
                                     Tutti ricordano che negli anni cinquanta le autostrade nel nostro paese
                                    furono realizzate in pochi anni. Oggi non
                                    siamo in grado più di realizzare grandi
                                    opere, anche se c’è prioritariamente da
                                    capire quali di esse siano necessarie e
                                    quali lo sono di più.
                                    
                                     Si evidenzia, tuttavia, un problema di mancanza di rapporto fra la
                                    prospettiva di trasformazione urbanistica e
                                    i tempi in cui poter toccare con mano tali
                                    realizzazioni. 
                                    
                                     Il neocentralismo è, quindi, una necessità o un arretramento, nello
                                    stato in cui versa l’amministrazione
                                    pubblica? Ma c’è anche il rischio di
                                    inaugurare un regime di straordinarietà
                                    permanente che tra l’altro, in particolare
                                    per quanto riguarda la Regione Campania e
                                    buona parte del Mezzogiorno, si è già
                                    vissuto e continua a viversi anche a venti
                                    anni dal terremoto del 1980, alimentato, di
                                    volta in volta, da altre vicende che vengono
                                    affrontate facendo ricorso a poteri
                                    commissariali. Non siamo in una condizione
                                    in cui questi poteri straordinari, di fatto,
                                    dal punto di vista procedurale e normativo e
                                    anche nelle individuazioni delle
                                    trasformazioni urbanistiche da mettere in
                                    campo, possono precostituire una sorta di
                                    straordinarietà permanente per il nostro
                                    paese?
                                    
                                      
                                    
                                      
                                    
                                     Francesco Domenico Moccia
                                    
                                      
                                    
                                     Tempererei un poco questa visione di oscillazione, anche molto
                                    occasionale, del processo di decentramento
                                    – accentramento, perché, secondo me, ci
                                    sono delle masse inerti che in realtà
                                    condizionano fortemente quest’aspetto e in
                                    qualche modo mettono in gioco delle altre
                                    variabili oltre quelle strettamente
                                    politiche messe in evidenza da Gerundo.
                                    Faccio riferimento alla struttura
                                    burocratica dello Stato. Di fatto, politiche
                                    centraliste e politiche di decentramento,
                                    fanno i conti con un’organizzazione dello
                                    Stato che ha una sua tradizione e che in
                                    qualche modo fa da massa inerte che
                                    approfitta dei propri livelli di autonomia e
                                    della sua capacità di iniziativa per
                                    portare avanti delle contromisure rispetto
                                    agli indirizzi del governo e del parlamento.
                                    
                                     Ad esempio, si può ricordare come la burocrazia del Ministero dei
                                    lavori pubblici, in una fase in cui c’era
                                    un indirizzo politico di deciso
                                    decentramento, ha intrapreso tutta una serie
                                    di programmi (Prusst, Pru e tutta la
                                    progettazione integrata) che tendevano, di
                                    fatto, a riaffermare un ruolo di guida che
                                    probabilmente è stato anche estremamente
                                    positivo, perché ha costituito un momento
                                    di svecchiamento e innovazione della cultura
                                    urbanistica e pianificatoria italiana, ma
                                    che aveva certamente anche un altro aspetto:
                                    cercare di ritrovare un ruolo in un momento
                                    di cambiamento politico.
                                    
                                     Vedendo poi le cose dal punto di vista opposto, esaminando la legge
                                    obiettivo, vediamo come un’elevata
                                    progettualità locale ha, di fatto,
                                    condizionato l’azione del governo e,
                                    quindi, dove c’erano comunità locali con
                                    idee chiare, piani costruiti, proposte in
                                    atto, queste poi sono finite nella lista dei
                                    progetti da fare perché rappresentano, in
                                    fondo, il materiale disponibile. 
                                    
                                     Quindi, credo che questa sia una dinamica complessa che si gioca sui
                                    periodi lunghi, non sulle contingenze
                                    politiche, che possono dare delle svolte,
                                    delle accentuazioni, ma poi in realtà nella
                                    sua dimensione organizzativa, che è poi
                                    quella che conta nella quotidianità della
                                    gestione del territorio come della gestione
                                    politica, è un’altra cosa.
                                    
                                      
                                    
                                      
                                    
                                     Dino Borri
                                    
                                      
                                    
                                     Rispondendo alla prima parte della domanda, certamente il
                                    neocentralismo non è una necessità, perché
                                    se così fosse guarderebbe alla dimensione
                                    che più ha bisogno di centralismo o di
                                    neocentralismo, ovverosia alla dimensione
                                    ambientale.
                                    
                                     È questa l’unica dimensione, a mio avviso, delle politiche attuali
                                    che richiede un certo neocentralismo.
                                    
                                     Nessuno accetta di avere inceneritori o altre attività inquinanti
                                    vicino casa, ma esse devono pur essere
                                    localizzate e richiedono una politica
                                    coordinata. 
                                    
                                     Se ci fosse un’attenzione ambientale, allora si potrebbe pensare che
                                    questo neocentralismo di ritorno sia
                                    necessario; ma non è così, né può essere
                                    determinato perché la politica ambientale
                                    è trascurata a favore di una politica delle
                                    infrastrutture che, peraltro, non prende in
                                    considerazione alcune cose rilevanti dal
                                    punto di vista ambientale.
                                    
                                     Il neocentralismo non deriva dalla ricerca dell’efficienza e neanche,
                                    da questo punto di vista, può esservi una
                                    motivazione, perché l’efficienza dei
                                    programmi degli anni cinquanta derivava dal
                                    fatto che i governi dell’epoca furono
                                    intelligenti nel creare dei modelli basati
                                    su agenzie che poi sono stati aboliti. La
                                    Cassa per il Mezzogiorno è stata
                                    smantellata. Erano quelli modelli Keynesiani
                                    che creavano una risposta organizzativa al
                                    problema specifico. Tutti i grandi enti di
                                    successo, le grandi organizzazioni di
                                    successo nel campo del territorio sono state
                                    create giustamente su questo modello.
                                    L’efficienza derivava da quel modello,
                                    mentre nell’attuale neocentralismo il
                                    modello dell’agenzia è assente. Ritengo,
                                    quindi, che non ci sia né un problema di
                                    ricerca dell’efficienza, né una necessità
                                    di controllo ambientale, perché non c’è
                                    traccia di tutto questo. Direi, invece, che
                                    questo ritorno di neocentralismo è
                                    preoccupante perché si indeboliscono i
                                    soggetti locali.
                                    
                                     Per certi versi, il forte decentramento dei poteri urbanistici e
                                    territoriali avviatosi negli anni settanta,
                                    in modo originale in Italia, non è stato
                                    usato benissimo; per esempio, le regioni
                                    verso i comuni hanno tante colpe, hanno
                                    fatto perdere ai comuni e alle comunità
                                    locali moltissimo tempo, però sono state
                                    anche capaci di generare un’esperienza
                                    urbanistica rilevante, per esempio di
                                    legislazione urbanistica.
                                    
                                     Alcune regioni hanno avuto la capacità di creare leggi di seconda
                                    generazione di straordinario interesse in
                                    Europa, basti pensare alla Regione Toscana.
                                    Quindi, si riscontrano luci ed ombre nel
                                    comportamento delle regioni e, considerando
                                    le ombre dell’azione del governo
                                    regionale, ad esempio la loro azione un
                                    po’ prevaricatrice e disattenta verso i
                                    comuni, direi che non meritano, né le
                                    regioni né i comuni, questo neocentralismo
                                    che indebolisce i soggetti locali,
                                    privandoli in qualche modo di risorse
                                    proprio quando questi dovrebbero avere più
                                    attenzione dallo Stato nella fase di una
                                    politica negoziata per il territorio, di
                                    un’urbanistica concertata. 
                                    
                                     Mi sembra una scelta improvvida indebolire le comunità locali quando
                                    la pianificazione sta diventando politica
                                    negoziata in tutto il mondo. Tra l’altro,
                                    la scoperta e la pratica dei progetti locali
                                    è estremamente vantaggiosa, pur rimanendo
                                    convinto che nell’ambito ambientale è
                                    necessaria una politica neocentralista pur
                                    essendo altrettanto convinto della validità
                                    della pratica dei progetti locali. Infine,
                                    ritengo preoccupante il fatto che questo
                                    neocentralismo delle infrastrutture non
                                    consideri alcune straordinarie debolezze del
                                    nostro paese, come i trasporti su ferro
                                    nelle città, in cui l’Italia mostra un
                                    arretramento spaventoso rispetto
                                    all’Europa e non sembra avere dei segnali
                                    coerenti, su questo problema, dal
                                    neocentralismo delle infrastrutture.
                                    
                                      
                                    
                                      
                                    
                                     Francesco Indovina
                                    
                                      
                                    
                                     Credo che gli interventi neocentralisti siano divisibili in due
                                    famiglie.
                                    
                                     Quelli dei piani complessi che sono basati sull’ipotesi che la
                                    pianificazione è insufficiente e rigida e
                                    che deve essere resa flessibile e dinamica e
                                    coinvolgere i privati; in questo caso il
                                    centro si preoccupa molto poco degli
                                    obiettivi, la sua attenzione è al fare,
                                    incentivando i privati con semplificazione
                                    di procedure e allettando le periferie sulla
                                    base di finanziamenti. 
                                    
                                     Si tratta di una piega orribile, quasi sconcertante; se alcuni di
                                    questi interventi avranno un risultato
                                    positivo sarà del tutto casuale, in quanto
                                    l’obiettivo sotteso è smantellare
                                    qualsiasi idea che l’organizzazione del
                                    territorio debba presentare coerenza e
                                    qualità in ambito di area vasta o di area
                                    piccola. Per questo tipo di intervento si
                                    utilizzano come spinta anche i finanziamenti
                                    della comunità europea. 
                                    
                                     L’altro settore è quello delle infrastrutture e anche qui siamo ad
                                    un giro di boa. Non è il piano
                                    dell’ammodernamento del paese, ma quello
                                    di premiare alcuni interessi, cosa molto più
                                    facile in modo centralizzato e autoritario.
                                    Cito uno per tutti, il ponte sullo stretto
                                    di Messina, che non costituisce, a detta di
                                    nessuno, un ammodernamento del paese anche
                                    se per realizzarlo il governo nomina un
                                    commissario ad acta.
                                    
                                     A fronte di problemi storici legati alle infrastrutture, quali la
                                    mobilità interna alle grandi aree urbane,
                                    la mobilità su ferro rispetto a quella su
                                    gomma, la mobilità via mare rispetto a
                                    quella via terra, che non sono stati mai
                                    affrontati (anche se sempre affermati), si
                                    avviano interventi particolari (ma di grande
                                    dimensione) premiando particolari interessi.
                                    
                                     Questo tocca un nervo scoperto della nostra situazione attuale: le
                                    determinanti delle scelte politiche sono
                                    tutte riferite a interessi molto particolari
                                    (non si tratta neanche, in senso proprio, di
                                    interessi di classe, ma di gruppi molto
                                    ristretti, di amici).
                                    
                                     Da questo punto di vista, le azione neocentraliste attivate non
                                    appaiono affatto condivisibili, mentre non
                                    è un caso che azioni di centralizzazioni
                                    necessarie latitano. Per esempio, mi pare ci
                                    possa essere un consenso generale sulla
                                    necessità di una centralizzazione per
                                    quanto riguarda gli aspetti ambientali e
                                    relativi ai beni storici e culturali;
                                    infatti, molte comunità, soprattutto quelle
                                    in difficoltà, individuano in queste
                                    risorse l’occasione di rilancio con una
                                    loro valorizzazione economica che non
                                    corrisponde quasi mai con la loro
                                    salvaguardia. Va riaffermato, tuttavia,
                                    ancora una volta che centralizzazione e
                                    decentramento non sono valori in sé, ma
                                    dipendono dalle relative scelte politiche.
                                    
                                      
                                    
                                     
  
                                    
                                     Roberto Gerundo
                                    
                                      
                                    
                                     Gli ultimi due temi da trattare riguardano la programmazione negoziata
                                    e il ruolo delle regioni.
                                    
                                     La programmazione negoziata, un’esperienza forte della seconda metà
                                    degli anni novanta, sembra abbia cominciato
                                    a incontrare una sorta di diffidenza
                                    governativa, anche se appare strano che ciò
                                    avvenga in un clima di propensione al
                                    liberismo economico, in cui si dovrebbe
                                    essere ben lieti che ci possa essere una
                                    dinamica locale sufficientemente libera dai
                                    cosiddetti lacci e lacciuoli. 
                                    
                                     Ci troviamo in una condizione in cui sembrerebbero emergere
                                    preoccupazioni forti nei confronti dei
                                    processi di programmazione negoziata, nella
                                    fattispecie i patti territoriali. Lo stesso
                                    vale per il ruolo delle regioni. Fino ad
                                    oggi, le regioni, rispetto a questo clima,
                                    indipendentemente dalla collocazione
                                    politica, hanno protestato ritenendo
                                    invadente il comportamento del Governo
                                    attraverso gli atti legislativi che ha
                                    proposto e fatto approvare dal Parlamento.
                                    
                                     Per altro, i processi di pianificazione territoriale, che sono
                                    tipicamente di competenza dei comuni e della
                                    provincia, per l’attività di
                                    coordinamento, vedono un indebolimento di
                                    tali soggetti che più di tutti vengono
                                    penalizzati nella loro autonomia decisionale
                                    in termini di capacità e di possibilità di
                                    determinare la morfologia, l’assetto e
                                    l’organizzazione del territorio.
                                    
                                     E le regioni, che hanno recepito in maniera positiva i finanziamenti
                                    offerti dal Governo, potranno diventare uno
                                    snodo fondamentale, un nuovo baricentro di
                                    mediazione fra azione statale neocentralista
                                    e autonomia decisionale di province e
                                    comuni?
                                    
                                      
                                    
                                      
                                    
                                     Francesco Domenico Moccia
                                    
                                      
                                    
                                     Parlando del ruolo della regione, con riferimento alla Campania,
                                    bisogna dare atto e merito all’assessore
                                    regionale Marco Di Lello, di aver lavorato
                                    ad una legge urbanistica regionale che sarà
                                    proposta al dibattito consiliare.
                                    
                                     Questa proposta è l’elemento di riferimento fondamentale in cui si
                                    inquadrano tutti i tipi di problematiche
                                    messi in evidenza da Roberto Gerundo, quindi
                                    è opportuno soffermarsi criticamente su di
                                    essa.
                                    
                                     Lo schema di legge urbanistica regionale presenta una particolare
                                    eleganza formale nel prevedere che i diversi
                                    livelli di pianificazione abbiano tutti le
                                    medesime articolazioni nella forma del
                                    piano, tra parte strutturale e
                                    programmatica. Il piano regionale, il piano
                                    provinciale, il piano comunale, mantengono
                                    tutti questa elegante simmetria, il che
                                    potrebbe però oscurare il ruolo specifico
                                    dei diversi livelli nel sistema di
                                    pianificazione oltre a moltiplicare gli
                                    strumenti di pianificazione.
                                    
                                     Questo richiede una più chiara riflessione e valutazione di quali
                                    siano quegli aspetti che debbono essere di
                                    competenza della regione, quali delle
                                    province, quali dei comuni e se vi debbano
                                    essere ulteriori livelli intermedi di
                                    pianificazione (comunità montane,
                                    associazioni di comuni o sistemi locali di
                                    sviluppo). Se ciò avvenisse, allora non
                                    sarebbe necessario mantenere una forma del
                                    piano uguale per ogni livello. Quando saremo
                                    tutti d’accordo che il fondamentale piano
                                    di area vasta è quello provinciale, nel
                                    senso che assume il valore di piano
                                    paesistico, coordina la pianificazione
                                    settoriale ed organizza la localizzazione di
                                    servizi ed infrastrutture di livello
                                    sovracomunale, allora sarà evidente il suo
                                    carattere eminentemente strutturale che
                                    potrebbe sostituire anche la parte
                                    strutturale dei piani comunali specialmente
                                    dei comuni più piccoli (con un piccolo
                                    strappo rispetto al napoleonico principio
                                    amministrativo dell’uniformità suggerito
                                    dal realismo delle risorse disponibili). A
                                    quel punto, essendosi il piano regionale
                                    liberato degli aspetti strutturali, ma
                                    dovendo mantenere, ad esempio, una presenza
                                    degli aspetti territoriali nelle politiche
                                    di sviluppo, come negli altri settori di
                                    programmazione regionale, assumerà più
                                    chiaramente un carattere di indirizzo
                                    programmatorio con un valore indicativo
                                    sulla pianificazione sott’ordinata. La
                                    frequente pratica di sovrapposizione delle
                                    competenze tra i piani di diverso livello,
                                    che si verifica anche nelle regioni che più
                                    decisamente hanno attuato il decentramento,
                                    suggerisce di prestare molta attenzione alla
                                    chiarificazione della distribuzione dei
                                    compiti.
                                    
                                     Un secondo aspetto della legge regionale che vorrei commentare riguarda
                                    i controlli sui piani sott’ordinati e
                                    sulla loro approvazione. Qui la regione
                                    potrebbe compiere un piccolo sforzo per dare
                                    maggiore autonomia ai comuni, perché nel
                                    momento in cui afferma il principio che è
                                    sotto scrutinio solamente la congruenza dei
                                    piani sottordinati rispetto ai piani
                                    sovraordinati, allora le conferenze di
                                    servizi dovrebbero essere degli strumenti
                                    sufficienti per poter verificare ciò e
                                    sanare gli eventuali conflitti che dovessero
                                    insorgere tra il piano comunale e
                                    provinciale. A questo punto sarebbe anche
                                    ammissibile che ad approvare il piano
                                    urbanistico comunale sia il consiglio
                                    comunale che l’ha adottato ed ha discusso
                                    le osservazioni, evitando la delibera di
                                    giunta provinciale. Questa ulteriore fiducia
                                    nei confronti della comunità locale
                                    potrebbe essere un generoso atto della
                                    regione. 
                                    
                                     Infine, riguardo alla programmazione negoziata e, in particolare, i
                                    patti territoriali, è opportuno fare
                                    un’ulteriore riflessione intorno a questo
                                    momento di pianificazione che tende a
                                    riprodurre un livello intermedio nel sistema
                                    di pianificazione regionale, cercando di
                                    fare un bilancio di che cosa di positivo
                                    hanno portato queste esperienze,
                                    valorizzandole all’interno del sistema di
                                    pianificazione.
                                    
                                     Ciò dà la possibilità di agganciarmi al problema della segmentazione
                                    degli interessi. 
                                    
                                     La risposta alla segmentazione degli interessi ha una duplice
                                    possibilità, da un lato un lavoro di
                                    integrazione degli interessi all’interno
                                    delle comunità e dall’altra un richiamo
                                    delle parti alle loro responsabilità.
                                    Entrambi questi momenti sono costitutivi
                                    dell’attività di pianificazione. Nelle
                                    ricerche che sono state condotte sulle
                                    modalità di attuazione e sui risultati dei
                                    patti territoriali, è descritto un quadro
                                    molto vario dipendente dagli attori in
                                    gioco. Il partenariato si è costituito ed
                                    ha agito in maniera responsabile o
                                    opportunistica. Solo nel secondo caso si è
                                    potuto innescare un processo di integrazione
                                    degli interessi della società segmentata.
                                    Spesso questo processo si è limitato ad
                                    alcune élite o a sfere corporative quando i
                                    programmi erano circoscritti a settori
                                    delimitati. Altre volte, invece, le
                                    ristrette rappresentanze, direttamente
                                    coinvolte, hanno allargato il raggio della
                                    visione ed il livello di coinvolgimento
                                    portando a sintesi sempre più inclusive. In
                                    questo senso si sono mossi i tavoli di
                                    concertazione e l’uso dei metodi della
                                    pianificazione strategica ha fornito un
                                    supporto tecnico e teorico che spingeva
                                    proprio in quella direzione.
                                    
                                     Debbo
                                    dire, che soprattutto nel periodo iniziale,
                                    alle iniziative dal basso non corrispondeva
                                    una pari attenzione dall’alto. Provincia e
                                    regione hanno per lungo tempo abdicato ai
                                    loro compiti di coordinamento ed indirizzo
                                    lasciando senza governo e, quindi, senza
                                    concertazione, la competizione tra i sistemi
                                    locali con evidenti sovrapposizioni ed
                                    incompatibilità di programmi tra di loro.
                                    In special modo la regione ha evitato di
                                    formulare una propria strategia dello
                                    sviluppo (stabilire eventuali settori o aree
                                    strategiche, privilegiare l’equilibrio
                                    territoriale, considerare irrinunciabili i
                                    principi dello sviluppo sostenibile o
                                    qualsiasi altra opzione o gerarchia di
                                    opzioni). Ho l’impressione che nella
                                    pianificazione dal basso sia annidato un
                                    invisibile ma grave pericolo: la
                                    deresponsabilizzazione del centro, la
                                    copertura alla incapacità di prendere
                                    decisioni. Il venir meno di una visione d’insieme capace di rendere sinergici i
                                    protagonismi locali sembra essere
                                    altrettanto dannoso di un piano
                                    centralistico, tecnico-razionale, che cali
                                    dall’alto senza il coinvolgimento degli
                                    attori locali e la valorizzazione delle
                                    risorse endogene.
                                    
                                     Per la pianificazione territoriale, nella nostra regione, credo che i
                                    patti territoriali abbiano rappresentato un
                                    importante passo avanti perché: 
                                    
                                     1. hanno innovato, con la diffusione della pianificazione strategica, i
                                    modi di pianificare;
                                    
                                     2. hanno introdotto il livello intermedio dei sistemi locali di
                                    sviluppo come quello più idoneo a una
                                    pianificazione territoriale integrata e
                                    diffusa anche al di fuori degli ambiti
                                    metropolitani;
                                    
                                     3. hanno costituito possibilità di incontri che si sono anche
                                    trasformati in organizzazioni stabili o in
                                    evoluzione (come le agenzie di sviluppo) che
                                    si propongono di praticare costantemente la
                                    pianificazione per un’azione collettiva di
                                    supporto ai territori, in contrasto con una
                                    linea di incentivi individuali ed automatici
                                    che la esclude.
                                    
                                      
                                    
                                      
                                    
                                     Dino Borri
                                    
                                      
                                    
                                     Personalmente non avrei dubbi sul fatto che le regioni resisteranno e
                                    resteranno. 
                                    
                                     Siamo in una fase di indebolimento degli Stati nazionali, anche se da
                                    queste ultime vicende, anche in riferimento
                                    alla moneta unica, alcuni recalcitrano e
                                    alcune cose non sono del tutto scontate. La
                                    tendenza fondamentale, però, sembra essere
                                    un indebolimento dello Stato nazionale e di
                                    un emergere degli spazi locali, dove il
                                    locale va dalle regioni ai comuni, in questa
                                    nuova Europa che si sta costruendo con
                                    sempre maggiore evidenza e con sempre
                                    maggiore forza.
                                    
                                     Quindi non c’è dubbio che le regioni saranno snodi fondamentali,
                                    addirittura non più tra lo Stato nazionale
                                    - magari come questo Stato un po’ convinto
                                    di poter giocare ancora un ruolo
                                    neocentralista - e i livelli locali, ma tra
                                    questi ultimi e i livelli ancora più estesi
                                    dello stesso Stato nazionale. 
                                    
                                     Le regioni sono fondamentali e, fra l’altro, quello che si sta
                                    formando è una rete.
                                    
                                     Difatti l’Europa non è altro che una rete di enti locali che
                                    cooperano, che creano delle sinergie. Le
                                    regioni sono spazi di identità e quanto più
                                    sapranno conservare tali spazi di identità
                                    in modo globale, quanto più sapranno
                                    conservare le loro tradizioni, le loro
                                    culture, i loro paesaggi, le loro
                                    straordinarie città, quanto più sapranno
                                    legarsi su questa forza della loro identità,
                                    tanto più saranno efficienti e efficaci.
                                    
                                     È una sfida sicuramente complicata, ma la dimensione locale è quella
                                    che più di tutti può raccogliere questa
                                    sfida. 
                                    
                                     Infine, condivido l’interesse per il problema della segmentazione
                                    degli interessi, ma richiede più tempo per
                                    discuterne. Il concetto di bene pubblico, di
                                    interesse generale, si è in qualche modo
                                    ridefinito ed emergono segmentazioni di
                                    interessi che creano problemi e
                                    incomprensioni.
                                    
                                      
                                    
                                      
                                    
                                     Francesco Indovina
                                    
                                      
                                    
                                     Con la pianificazione (centralizzata e no) si possono fare delle cose
                                    buone e delle cose pessime, anzi
                                    storicamente se ne sono fatte di buone e di
                                    pessime, anche i campi di sterminio sono
                                    stati perfettamente pianificati. Con la
                                    pianificazione dialogante si possono fare
                                    delle cose buone e delle cose pessime. In
                                    Sicilia, per esempio, stanno facendo delle
                                    cose pessime: l’abusivismo acquisisce il
                                    connotato di azione di trasformazione del
                                    territorio anche nelle aree archeologiche. 
                                    
                                     Quindi non è un problema di procedura, ma piuttosto di tensione e di
                                    affermazione o meno di un’etica del
                                    territorio. Una pianificazione guidata da
                                    tale etica (che significa tante cose che non
                                    si possono in questa sede esplicitare) in
                                    qualsiasi sua forma (estremizzo) realizza
                                    risultati buoni, in sua assenza qualsiasi
                                    forma di pianificazione crea danni e
                                    disastri. 
                                    
                                     Credo che varrebbe la pena di porre attenzione, e forse la rivista può
                                    dare un grosso contributo, sul tema della
                                    politica comunitaria e della sua influenza. 
                                    
                                     Lo schema di sviluppo dello spazio comunitario ha messo in evidenza,
                                    per esempio, che il 14% delle popolazioni di
                                    tale spazio è fortemente concentrato in
                                    relazione alle attività economiche. Un dato
                                    che pone in modo drammatico il problema del
                                    rapporto centro-periferia e su questa base
                                    la comunità europea pensa che ci siano temi
                                    di rilievo sui quali investire in termini di
                                    conoscenza, di risorse e in termini di
                                    indirizzo. Si tratta dei temi relativi alle
                                    regioni di medio sviluppo, alla questione
                                    urbana, alla diversificazione delle zone
                                    rurali, alle zone di ristrutturazione
                                    industriale, alle zone con grandi handicap
                                    geografici. 
                                    
                                     Nel rapporto centro-periferia, il ruolo e la funzione di un centro
                                    sempre più lontano è quello di trovare
                                    punti di equilibrio più avanzati rispetto a
                                    quelli di un centro più locale, dove gli
                                    interessi sono più incarnati e quindi
                                    creano difficoltà, mentre a livello più
                                    alto può essere meglio aver trovato un
                                    equilibrio, un’indicazione più puntuale e
                                    più precisa di cui gli interessi locali
                                    devono tener conto. Credo che forse dal
                                    livello europeo possono venire delle
                                    indicazioni molto importanti, proprio per le
                                    tematiche di pianificazione di area vasta
                                    che costringono a ripensare ad alcune
                                    questioni fondamentali, allentando un po’
                                    la tensione della relazione fra interessi
                                    fortemente frammentati.
                                    
                                      
                                    
                                        
                                    
                                     * Il forum si è tenuto il 15 gennaio 2002, presso la Provincia di
                                    Salerno, in occasione della presentazione
                                    del n. 3/2001 di     
                                    
                                     Il logo fra i paragrafi appartiene all’Associazione Italiana per i
                                    diritti del pedone e utenti mezzi pubblici
                                    
                                         |