Attività estrattive: indispensabili ma
inevitabilmente insostenibili?
L’attività estrattiva è una delle più
antiche e più importanti forme di produzione
della millenaria storia dell’umanità, in
entrambe le sue modalità: cave per
l’estrazione di materiale roccioso, miniere
per l’estrazione di minerali.
L’adattamento del territorio alle esigenze
dell’uomo, la possibilità di realizzare
condizioni confortevoli per abitare,
lavorare, muoversi, svagarsi richiede la
disponibilità di materiali da sempre
ricavati attraverso l’estrazione di materie
prime dal sottosuolo, siano esse di prima
categoria (minerali e soprattutto metalli) o
di seconda categoria (rocce, dalle più
preziose a quelle più diffuse e banali usate
per inerti da costruzione). Peraltro anche
la produzione di materiali artificiali che
negli ultimi due secoli sono venuti a
integrare quelli estrattivi, comporta a sua
volta l’impiego di risorse del sottosuolo
(calcare, carbone, metalli, ecc.).
Quelle di cui ci si occupa in questo
contributo, le cave, fanno parte di questo
settore produttivo che si identifica dunque
con l’origine stessa della nostra capacità
di trasformare il territorio ma, come quasi
tutti gli strumenti che ci hanno consentito
di evolvere e progredire, anche le cave,
contraddittoriamente, hanno provocato danni
talora irreversibili all’ambiente, hanno
lasciato ferite difficilmente sanabili sul
suolo, continuano a convivere male con le
funzioni urbane.
Parliamo quindi di attività necessarie al
nostro sviluppo2 ma oggi, in
un’epoca di conquistata larga sensibilità ai
problemi determinati dall’impatto ambientale
degli interventi sul territorio, tacciate,
sulla base di non confortanti precedenti, di
danno ambientale talora grave, poca
compatibilità e di difficile compatibilità
con i luoghi in cui si svolge la vita
sociale. Le cave appartengono, cioè, alla
lunga lista di quelle attività sgradite
che, pur riconosciute come indispensabili,
suscitano opposizioni e conflitti fra
interessi pubblici (popolazioni, governi
locali, lo stesso Stato) e interessi privati
(imprese estrattive, proprietari di aree,
imprese di costruzioni, ecc.) fino a
sfociare nella cosiddetta sindrome
nimby (not in my backyard),
ovvero nell’azione anche energica per
ottenere di dislocarle altrove.
Dunque, da una parte occorre produrre la
quantità e la tipologia di materiale
necessario all’industria e in generale allo
sviluppo delle tante funzioni di cui abbiamo
bisogno per crescere, e soprattutto occorre
reperirlo là dove le caratteristiche
geo-morfologiche lo rendono disponibile;
dall’altra occorre ottemperare alle
direttive dell’Unione europea, alle leggi
dello Stato, alle norme regionali e locali,
alla acuita percezione diffusa dei rischi
per l’ambiente, che impongono di orientare
qualunque intervento al massimo della
compatibilità possibile con il contesto, pur
nella ragionevole consapevolezza che
annullare del tutto gli effetti negativi è
impossibile.
Strumento pianificatorio essenziale per la
ricerca del punto di equilibrio fra queste
contrapposte esigenza è il piano per le
attività estrattive provinciale (Paep),
strumento di attuazione del piano
territoriale di coordinamento provinciale
(Ptcp) e nello stesso tempo articolazione su
base provinciale del documento di
programmazione delle attività
estrattive (Dpae) delle regioni. Questi
piani affrontano dunque una materia divenuta
molto complessa e inoltre corrono un altro
rischio di dissonanza rispetto alle attuali
correnti di pensiero più avvedute nel campo
dell’urbanistica: vengono infatti da una
tradizione di pianificazione separata
ovvero di piani settoriali che tendono a
sottrarsi o a ignorare i principi degli
strumenti di pianificazione generale (Prg,
Ptcp, Ptr), come più volte studiosi,
tecnici, ma anche enti, istituzioni e
ambienti professionali hanno lamentato.
Inoltre la disciplina delle cave è stata
abitualmente affrontata in un’ottica
prevalentemente produttiva, che ha
sacrificato tanto l’approccio
multidisciplinare necessario a tener conto
degli altri importanti aspetti connessi a
tali attività (e primo fra tutti quello
della salvaguardia ambientale) quanto
l’integrazione e la coerenza fra i numerosi
e diversi piani in vigore o in formazione
che si sovrappongono sulle stesse aree.
È sulla convinzione che queste difficoltà
siano ormai tecnicamente superabili, tanto
da poter elaborare un Paep ben accetto ai
soggetti privati e allo stesso tempo
coerente, anche sul lungo periodo, con i più
aggiornati orientamenti in materia di
salvaguardia ambientale, che hanno scommesso
le Province di Torino e di Asti nell’avviare
il processo di pianificazione di queste
attività; e con loro ha scommesso un gruppo
multidisciplinare di ingegneri, urbanisti,
geologi dei due atenei torinesi (Politecnico
e Università) intenzionati a sperimentare,
attraverso gli studi di supporto al Paep,
ulteriori applicazioni, su un terreno
particolarmente complesso, dei principi di
sostenibilità già trasferiti in altri
contesti e in altre materie.
Obiettivi di qualità ambientale per i Paep
delle Province di Torino e Asti
Le Province di Torino e Asti, infatti,
consapevoli dei complessi e nuovi problemi,
certamente forieri di ulteriori difficoltà
in una materia già molto tormentata, hanno
formulato un bando di gara per l’affidamento
dell’incarico di elaborazione dei propri
Paep, in cui la questione della
compatibilità ambientale delle attività
assumeva un peso molto rilevante3.
Pur nella diversità dei due contesti e delle
scelte politiche delle due amministrazioni,
i due incarichi di consulenza affidati al
gruppo di docenti e ricercatori del
Politecnico e dell’Università di Torino
avevano forti analogie di principio: è per
tale motivo che in questo contributo di
carattere metodologico i due studi sono
assimilati e l’esemplificazione sugli
elaborati prodotti, pur riferita al solo
caso di Torino, può essere assunta come
indicativa del percorso tecnico-scientifico
condotto nei due casi.
Tre i principi generali a cui i due piani
hanno ispirato le loro scelte nella
definizione degli obiettivi:
1. il principio, tutt’altro che indolore, di
contrastare la naturale tendenza a porre in
primo piano le esigenze dell’industria
estrattiva rispetto agli obiettivi più
generali di governo del territorio,
consapevoli che, nonostante tale chiara
intenzione, sarà arduo evitare il rischio
della prevalenza degli interessi produttivi
nella fase attuativa, quando la
divaricazione fra le azioni condotte dai
diversi attori sarà costantemente in
agguato;
2. il recepimento non solo degli indirizzi
del Ptc provinciale e delle linee di
programmazione regionale contenute nei tre
stralci del Dpae (quello relativo agli
inerti per calcestruzzo, conglomerati
bituminosi e tout-venant per
riempimenti e sottofondi; quello relativo
alle pietre ornamentali; quello relativo ai
materiali industriali), ma anche dei criteri
generali individuati dagli altri numerosi
strumenti di pianificazione settoriali che
insistono sulle stesse aree, dal piano di
assetto idrogeologico (Pai)
dell’autorità di bacino del Fiume Po al
piano stralcio delle fasce fluviali, alla
legge 490/1999, fino alle scelte di
destinazione d’uso dei piani regolatori
generali (Prg) comunali coinvolti;
3. la verifica della compatibilità
ambientale delle azioni previste e
soprattutto la definizione di linee guida
per la progettazione delle nuove attività.
La Regione Piemonte infatti ha già
introdotto con l’art. 20 della Lr 40/1998
l’obbligo di analisi della compatibilità
ambientale di piani e programmi anticipando
i principi contenuti nella Direttiva
42/2001/CE. Il Paep, pertanto, in entrambi i
casi, ha potuto e dovuto assumere
dall’analisi di compatibilità ambientale
contenuta nel Ptc provinciale i criteri su
cui verificare la compatibilità ambientale
delle politiche e delle azioni che propone
di condurre per soddisfare il fabbisogno di
materiali previsto per i diversi usi, e
accuratamente stimato, nella prima parte
dello studio, in un’ottica di risparmio di
risorse non riproducibili quali sono quelle
del sottosuolo.
Pertanto, volendo sintetizzare gli obiettivi
posti alla base dei due piani, si può dire
che essi siano:
- imporre, nei tetti autorizzabili
annualmente, un trend (minimo) di riduzione;
- garantire l’effettivo esaurimento
dell’attività nei tempi previsti;
- individuare a livello territoriale le aree
non idonee; quelle solo parzialmente
idonee e dunque destinabili a questo
uso a condizione di rispettare precise
prescrizioni; quelle idonee, ovvero
aree nelle quali non sono presenti
particolari sensibilità ambientali e dunque
è sufficiente la valutazione di incidenza o
la valutazione di impatto ambientale
(Via) del progetto, come previsto per
qualunque intervento di trasformazione
rilevante.
Infine, per l’azione sul lungo periodo,
i due piani hanno curato di individuare le
aree in cui:
- diminuire la pressione estrattiva, in
particolare sulle fasce fluviali;-
consolidare l’attività estrattiva esistente;
- promuovere interventi di sistemazioni
d’alveo e rinaturalizzazione.È attraverso
questa lunga serie di obiettivi a forte
contenuto ambientale che i due piani, pur in
contesti e con scelte di dettaglio
ovviamente diversi, intendono garantire fin
dalla iniziale fase di definizione di
obiettivi e criteri (valutazione
ambientale strategica ex ante - Vas)
quella compatibilità fra esigenze di
sviluppo, attese dell’industria estrattiva e
salvaguardia dell’ambiente che può rendere
queste attività, di norma mal tollerate,
sostenibili e dunque accettate.
Il metodo di costruzione del piano
Il metodo seguito per elaborare piani
coerenti con questi obiettivi non è stato,
per una buona parte del lavoro, diverso da
quanto di norma viene fatto a questo scopo,
ma un rilevante approfondimento ed un
particolare impegno tecnico e scientifico
sono stati necessari per definire, con il
contributo congiunto di tutte le discipline
coinvolte, i suoi meno consueti e molto
articolati contenuti ambientali, sia per
quanto attiene la parte di conoscenza che
per quanto attiene le parti propositive.
Il metodo dunque si è articolato in tre
fasi:
I fase: conoscitiva
Censimento delle cave esistenti; analisi di
mercato sui flussi di produzione e la stima
dei fabbisogni; analisi territoriale e
ambientale.
II fase: propositiva
Proposta di aree idonee all’attività
estrattiva; verifica di coerenza fra
attività estrattive e strumenti di governo
del territorio; ipotesi sulle potenzialità
di espansione dell’attività di cava; analisi
di compatibilità ambientale; definizione di
linee-guida per l’attuazione del piano;
raccomandazioni operative per la
coltivazione e il recupero delle cave.
III fase: partecipativa
La prima fase, quella conoscitiva,
è stata certamente la più impegnativa e
lunga; è stato infatti effettuato un
importante lavoro di costruzione di un buon
supporto conoscitivo, ricco di elementi
idonei a definire le caratteristiche
produttive, territoriali e ambientali dei
siti di cava per evidenziarne le possibili
interferenze con ambiente e territorio,
nonché ad analizzare vincoli normativi e
previsioni di trasformazione contenute negli
strumenti urbanistici vigenti per verificare
la coerenza esterna dei contenuti del
piano.
Lo strumento più importante a questo fine è
stato la realizzazione di un completo
censimento informatizzato delle attività di
cava esistenti. I dati, basati
sull’analisi dei dati d’archivio delle cave
in possesso delle due province, sono stati
organizzati in schede tecniche contenenti
gli aspetti di maggiore interesse di
ciascuna attività estrattiva, organizzate in
un data base (Figura 4) e
geo-referenziate per poterle rappresentare
in opportune carte tematiche digitali. Tale
censimento è stato la necessaria premessa
per dotare la provincia di un importante
strumento per la conoscenza continua
dell’evoluzione del settore: un patrimonio
informativo dinamico, ordinato per tipologia
di materiale estratto (materiale
alluvionale, pietrisco per aggregati, pietre
ornamentali e materiali per uso industriale)
e per stato di attività al 31.12.2002 (cave
attive, inattive, in corso di istruttoria,
mai autorizzate; Figure 1, 2 e 3). La
disponibilità di uno strumento di conoscenza
come questo costituisce in realtà la
condizione indispensabile per inserirsi in
un processo di Vas, perché strategiche
davvero sono soprattutto le successive
fondamentali attività di monitoraggio
dell’attuazione del piano (Vas in itinere
ed ex post) impensabili senza un
sistema informativo in grado di osservare
l’evoluzione del settore in modo affidabile
e articolato.
Figura 4 - Esempio della scheda di
censimento e della struttura
dell'archivio delle attività
estrattive della Provincia di Torino |
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Organizzazione del database in
Access relativo alle cave della
Provincia di Torino |
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Visualizzazione della scheda
relativa ad una cava |
Un altro lavoro consistente della fase
conoscitiva è quello relativo all’analisi
di mercato sui flussi di produzione e alla
stima dei fabbisogni delle varie tipologie
di materiali di cava, focalizzata in
particolare sul settore degli aggregati
destinati all’industria delle costruzioni.
Si è scontato qui la ben nota carenza di
dati aggiornati e articolati e dunque la
stima ha dovuto adattarsi alla loro
insoddisfacente qualità, cui si ipotizza di
porre rimedio in futuro grazie ai previsti
rilevamenti sistematici che
l’amministrazione è stata sollecitata e
aiutata a organizzare. Si è proceduto,
nonostante queste difficoltà, alla messa a
punto del modello di analisi dei consumi di
tali aggregati e alla valutazione dei loro
fabbisogni futuri per valutare le potenze e
la qualità dei giacimenti, nonché i settori
in cui la potenzialità estrattiva è più
alta.
Un terzo settore della fase conoscitiva
riguarda l’analisi territoriale e
ambientale affidata in particolare
all’autore di questo contributo, per le sue
specifiche competenze disciplinari.
Le informazioni, raccolte e rappresentate in
adeguate cartografie digitali, hanno
consentito di:
- individuare le aree caratterizzate da
particolari sensibilità ambientali;
- sintetizzare le previsioni urbanistiche di
tutti i comuni della provincia (avvalendosi
a questo scopo del mosaico informatizzato
dei Prg che la Regione Piemonte e il
Csi-Piemonte hanno costruito e gestiscono da
tempo) per tener conto anche dell’uso che le
amministrazioni locali (comuni, provincia)
intendono fare di quelle aree in futuro;
- analizzare le problematiche ambientali
connesse alle attività di scavo, in
relazione alle diverse tipologie di
coltivazione e destinazione finale delle
aree (Figura 1).
Figura 1 - Carta delle fasce
fluviali |
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I risultati dell’analisi territoriale e
ambientale costituiscono un importante
aspetto di cui si è tenuto conto soprattutto
nella seconda fase, di carattere
propositivo, in cui si sono potute evitare
vistose incongruenze fra le previsioni di
piano delle diverse autorità e le attività
estrattive in atto e previste, ma dare
soprattutto all’amministrazione provinciale
uno strumento di concertazione delle
politiche con i comuni, alla ricerca di
soluzioni condivise per annullare o mitigare
le possibili interferenze negative.
La seconda fase, quella
propositiva, è quella metodologicamente
più innovativa; è in questa parte del
lavoro, infatti, che sono stati adottati
quei principi di attenzione alla
compatibilità delle attività estrattive con
i caratteri dell’ambiente, del territorio e
delle sue attività su cui si basa la
scommessa delle due province intenzionate a
rendere sostenibile la presenza di
indispensabili ma scomode cave.
Di questa fase, alcuni degli elementi più
interessanti sono:
- la proposta di aree idonee all’attività
estrattiva;
- l’analisi di compatibilità ambientale;
- la definizione di linee-guida per
l’attuazione del piano.
La terza fase, quella
partecipativa, in parte già realizzata
in parte ancora in corso, ha significato
portare la bozza di piano alla discussione
allargata di comuni, comunità montane,
operatori del settore, associazioni
rappresentative di interessi diversi tra cui
quelli ambientali, per condividere obiettivi
e scelte, raccogliere suggerimenti, smorzare
timori.
Anche a questa fase, realizzata attraverso
presentazioni pubbliche alla presenza di
numerosi partecipanti, ha attivamente
collaborato il gruppo di ricercatori e
docenti del Politecnico e dell’Università di
Torino anche per raccogliere elementi utili
a suggerire, nella fase di stesura della
versione definitiva, eventuali correzioni e
integrazioni alla bozza di piano.
La proposta di aree idonee all’attività
estrattiva
La parte forse più complessa e delicata
dell’intero processo di elaborazione del
piano è stata quella della individuazione
delle aree non inidonee (secondo la
definizione data dalla Provincia di Torino)
o aree idonee (secondo la definizione
preferita dalla Provincia di Asti)
all’attività estrattiva sulla base degli
elementi raccolti nella fase conoscitiva.
Nello scenario di riferimento
particolarmente attento alla verifica della
sostenibilità ambientale di queste attività,
già descritto nella prima parte di questo
contributo, e secondo alcune delle
indicazioni dello stesso Pae di livello
superiore – quello regionale (Dpae) – la
relazione delle scelte del Paep con il Ptcp
è avvenuta non solo in termini di
localizzazione dei siti di cava, ma
soprattutto in vista della costruzione di un
sistema di monitoraggio continuo
dell’attuazione delle scelte del piano e di
valutazioni ex-post sull’efficacia
dell’attuazione: aspetti ai quali si
attribuisce nel piano grande importanza
nell’ottica propria della Vas che deve
garantire l’efficacia anche sul lungo
periodo delle decisioni assunte.
I criteri a cui ci si è ispirati nel
vagliare le caratteristiche del territorio e
dell’ambiente derivano pertanto innanzitutto
dall’applicazione allo specifico piano di
settore degli obiettivi che la provincia si
è data più in generale attraverso il suo
Ptcp, ovvero:
- risparmio di suolo agricolo di alto valore
produttivo;
- salvaguardia delle continuità verdi e
della varietà biologica vegetale e animale;
- tutela del paesaggio, dei beni culturali e
delle identità locali;
- razionalizzazione della distribuzione di
attività produttive e servizi;
- protezione delle risorse idriche
contestualmente presenti;
- salvaguardia degli equilibri idrogeologici
del territorio.
L’individuazione e la scelta delle aree in
cui consentire l’attività estrattiva, in
entrambe le province, ha seguito dunque i
seguenti criteri:
- preferenza di aree in cui siano minimi gli
impatti sull’ambiente e sul paesaggio o
quelle nelle quali la presenza di cave possa
costituire motivo di recupero finale di aree
degradate o compromesse per ottenere quella
massimizzazione delle ricadute benefiche sul
sistema paesistico provinciale già
auspicata;
- concentrazione delle attività di
escavazione in un numero ridotto di poli per
evitare di costituire fattori di elevata
pressione paesaggistica e ambientale, e
pertanto priorità a nuove aree estrattive
attigue a quelle esistenti piuttosto che
l’intaccamento di nuove aree;
- l’individuazione di aree cessate dove sia
possibile recuperare risorse
giacimentologiche non pienamente sfruttate
nel passato, sempre all’interno di una
generale promozione del recupero ambientale
di materiali inerti da riciclaggio in
sostituzione di quello pregiato, risorsa
preziosa e non riproducibile;
- l’ottimizzazione della localizzazione dei
siti di cava rispetto alla distribuzione
geografica della domanda di materiali di
cava per ridurre oneri e impatti del
trasporto dei materiali.
Si sono così evidenziate le aree
caratterizzate da particolare sensibilità
(ambientali, geologiche, idrogeologiche,
idrauliche, paesaggistiche), con riferimento
alle indicazioni e prescrizioni contenute
nella pianificazione territoriale vigente e
in itinere (Figura 2).
Figura 2 - Carta dei vincoli storici
e ambientali paesistici, di sintesi
della serie di fattori che possono
determinare motivi di non idoneità
dei siti all'attività estrattiva ai
sensi del DLgs 490/1999 |
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Dall’intersezione fra le caratteristiche
geogiacimentologiche del territorio
provinciale con le caratteristiche
territoriali e ambientali si è giunti
pertanto a qualificare l’intero territorio
rispetto alla sua idoneità allo
sfruttamento della risorsa estrattiva
individuando le seguenti categorie:
- aree non idonee (nelle quali non si
consente l’attività estrattiva per la
presenza di parchi nazionali, regionali,
provinciali, siti di interesse comunitario,
zone di protezione speciale, tranne i casi
in cui lo preveda il piano d’area);
- aree idonee (o non inidonee)
con condizione (quali ad esempio le
aree di pregio ambientale o quelle con
capacità d’uso del suolo di I e II classe,
per le quali si richiedono, oltre alla Via
dei progetti, particolari verifiche e
approfondimenti);
- aree idonee o non inidonee (si veda
in Figura 3 lo stralcio della carta
di sintesi per l’individuazione delle aree
non inidonee alla produzione di argille e
aggregati ottenuta dall’intersezione delle
carte relative ai vincoli con la carta
geogiacimentologica).
Figura 3 - Carta di sintesi per
l'individuazione delle aree non
inidonee alla produzione di argille
e aggregati, quale risultato
dell'intersezione di quindici tavole
di analisi relative agli aspetti
geologico, geomorfologico,
geogiacimentologico, urbanistico e
ambientale |
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Sono stati inoltre indicati criteri di
particolare attenzione da adottare in
siti di particolare sensibilità sotto il
profilo ambientale, ovvero:
- in aree con suoli a eccellente e buona
produttività (quali quelli di I e II
classe di capacità d’uso suolo) in cui si
imporrà di evitare mutamenti di destinazione
d’uso e dunque scavi che provochino perdita
irreversibile dell’uso del suolo agricolo,
con la sola eccezione di casi in cui
manchino alternative localizzative e gli
interventi siano giustificati dal prevalente
interesse collettivo o casi in cui una
relazione agronomica dimostri che si tratta
di terreni con capacità d’uso bassa;
- in fasce fluviali A e B del Pai, in
cui, con l’obiettivo di limitare in tali
fasce a rischio l’attività di questo tipo,
sono stati accolti i criteri assunti
dall’autorità di bacino del Po, secondo cui
vanno privilegiati gli interventi volti a
rinaturalizzare ambiti fluviali e a
ripristinare la funzionalità idraulica;
pertanto in fascia A la massima profondità
di scavo deve mantenersi 1 m al di sopra del
thalweg (fondo alveo inciso del
fiume) e in fascia B la profondità di scavo
va valutata in funzione del mantenimento
delle condizioni di stabilità
idraulica-morfologica; in ogni caso,
inoltre, le pendenze delle scarpate devono
mantenersi molto basse;
- in aree sotto falda, dove vanno
vietate cave in aree ricarica acquiferi, in
riserve strategiche, in prossimità di pozzi
idropotabili, mentre possono essere
consentite negli altri casi a condizione che
l’attività sia strettamente regolamentata al
fine di evitare profondità di scavo al di
sotto della quota base dell’acquifero
superficiale (definita dalla cartografia
ufficiale delle province) e cave di piccole
dimensioni.
In questi contesti, inoltre, andrà prevista
un’adeguata fascia di rinaturalizzazione a
contorno del lago, la regimazione delle
acque meteoriche e contestualmente il
riempimento totale dello scavo, ma
soprattutto vanno garantiti studi dettaglio
nella progettazione e il periodico
monitoraggio dell’attività;
- in aree sopra falda, dove vanno
disincentivate cave che prevedano estrazione
di tout-venant per riempimenti e
sottofondi, in quanto materiali
potenzialmente provenienti da fonti
alternative, mentre vanno privilegiate le
attività che prevedano il riempimento totale
dello scavo e vanno previsti comunque
adeguati studi sulla soggiacenza della
falda, per garantire il franco di 1 m dalla
massima escursione della falda freatica.
Quanto alle tipologie di interventi da
privilegiare, questi sono stati indicati
in:
- bonifiche agrarie;
- arretramenti di terrazzi fluviali;
- scavi che prevedano ribassi limitati del
piano campagna (1-2 m) su superfici
sufficientemente estese, con recupero
ambientale temporizzato rigorosamente.
Un aspetto importante della fase propositiva
ha riguardato anche l’identificazione delle
eventuali potenzialità di espansione
dell’attività di cava in coerenza con
una possibile crescita della domanda di
materiali estrattivi, badando però a
verificare anche a questo proposito le
condizioni di rispetto del patrimonio
ambientale e paesaggistico e in coerenza con
le indicazioni pianificatorie regionali,
provinciali e di tutti quegli strumenti di
piano prodotti da altri enti già citati in
precedenza.
Si sono ad esempio individuati criteri di
particolare attenzione da osservare per
salvaguardare e valorizzare il paesaggio e
per definire degli elementi che possono
risultare significativi per i progetti di
recupero ambientale delle aree di cava in
considerazione del carattere di priorità che
la provincia attribuisce al recupero
naturalistico o agricolo di siti interessati
dalla presenza di queste attività, a piano
attuato.
Ovviamente di fondamentale importanza ai
fini della sostenibilità delle attività è
non solo la scelta dei siti ma l’osservanza
di idonee regole sulle modalità di
escavazione, sul recupero delle aree di cava
ad attività terminata, sulla valutazione
paesistica, sulla verifica delle ricadute,
nello stesso tempo agendo per ottimizzare la
quantità di volume estratto e garantire per
il futuro certezza di risposta alla domanda
del mercato.
Un particolare impegno è stato dedicato,
infine, alla elaborazione di articolate
linee guida per la redazione di progetti,
per il recupero ambientale, per i progetti
di polo estrattivo riassunte nell’ultima
parte di questo contributo.
L’analisi di compatibilità ambientale
Ricordando che: l’attività estrattiva,
soddisfacendo la richiesta di materiali
indispensabili per lo sviluppo
socio-economico della collettività,
rappresenta un riconosciuto interesse
pubblico - sebbene esercitato privatamente –
da contemperare ovviamente con le altre
primarie necessità della popolazione; il
potenziale conflitto fra una valorizzazione
della risorsa estrattiva e la tutela
ambientale deve trovare risoluzione
dialettica e positiva nella pianificazione
territoriale, della quale i piani di settore
– compreso quello estrattivo – fanno
costitutivamente parte; nell’ambito della
pianificazione di settore estrattivo, le
conoscenze tecniche e scientifiche dei
problemi costituiscono un indispensabile
supporto per decisioni autorizzative che
debbono tuttavia discendere da scelte
amministrative responsabili e coerenti, è
chiaro che la scommessa di un piano
provinciale è quella di trovare una corretta
linea di compromesso fra esigenze produttive
e salvaguardia dell’ambiente e che tale
ricerca può e deve avvenire adottando i
principi che l’Unione europea ha sancito
attraverso le sue norme sulla valutazione
ambientale, Via prima, Vas poi.
Pertanto, un particolare capitolo del Paep
delle due province riguarda l’analisi di
compatibilità ambientale impostata in
coerenza con l’art. 20 della Lr Piemonte
40/19984 che già aveva anticipato
i principi contenuti nella Direttiva
42/2001/Ce e che oggi sono accolti da
diverse regioni, sebbene lo stato non li
abbia ancora recepiti.
Si è dunque badato a far sì che le scelte
del Paep e gli strumenti che questo fornirà
ai Prg e agli enti competenti in materia di
autorizzazione delle attività di cava
contribuiscano a tener conto degli “effetti
significativi che l’attuazione del piano
potrebbe avere sull’ambiente nonché delle
ragionevoli alternative alla luce degli
obiettivi e dell’ambito territoriale del
piano” (art. 5 Direttiva 42/2001/Ce).
D’altra arte l’analisi territoriale e
ambientale, come specificato nell’allegato F
all’art. 20 della Lr 40/1998 del Piemonte
vigente, e dunque cogente per questi due
piani, deve definire in particolare “b) le
caratteristiche ambientali di tutte le aree
che possono essere significativamente
interessate dal piano o dal programma; c)
qualsiasi problema ambientale rilevante ai
fini del piano o del programma, con
specifica attenzione alle aree sensibili e
alle aree urbane”.
L’analisi di compatibilità ambientale si è
articolata pertanto nella identificazione
di:
- fattori di impatto specifici;
- sensibilità ambientali;
- indicazioni per il monitoraggio
sull’attuazione del piano;
e nella successiva verifica della
sostenibilità delle politiche e delle
azioni previste nel piano:
- salvaguardia delle risorse non rinnovabili
e razionalizzazione nello sfruttamento delle
risorse estrattive;
- valutazione preventiva e integrata degli
effetti diretti e indiretti;
- definizione di criteri di compatibilità
per le nuove attività e riduzione degli
impatti delle cave dismesse;
- coordinamento, razionalizzazione,
semplificazione delle procedure e degli atti
amministrativi;
- trasparenza delle azioni della pubblica
amministrazione, informazione e
partecipazione dei cittadini, scambio delle
informazioni fra proponenti e autorità
competenti con gli obiettivi di natura
ambientale stabiliti nell’ambito degli
accordi internazionali, delle normative
comunitarie, delle leggi e degli atti di
indirizzo nazionali e regionali, del piano
territoriale provinciale (Tabelle 1 e 2).
La definizione di linee-guida per
l’attuazione del piano
È opinione diffusa fra i tecnici del settore
che non sussista sostanziale antiteticità di
obiettivi fra una corretta attività
mineraria ed una effettiva salvaguardia
dell’ambiente, ma che molta parte delle
ricadute negative prodotte da queste
attività sia dovuta alla loro errata
progettazione e gestione.
Ad un contenimento delle emissioni (rumore,
vibrazioni, polveri, discariche) corrisponde
anche un risparmio energetico, e la scelta
di morfologie di scavo favorevoli per un
assetto territoriale stabile e recuperabile,
oltre a rispettare riconosciuti valori
ambientali (ecologici e paesaggistici),
risponde senz’altro anche alle più recenti
raccomandazioni dei Pai, con i quali la
pianificazione provinciale deve
necessariamente confrontarsi. Molto
importante per l’efficacia del piano,
dunque, soprattutto per la delicata fase
della sua attuazione, abitualmente non
seguita da alcuno strumento di osservazione
della coerenza fra obiettivi e risultati, è
la predisposizione di linee guida per la
gestione delle attività estrattive orientate
a fornire indicazioni tanto alle
amministrazioni locali quanto agli operatori
e ai progettisti per conseguire lo sviluppo
di tali attività nel rispetto delle esigenze
di salvaguardia dell’ambiente.
Per entrambi i piani delle Province di
Torino e Asti sono state pertanto costruite
delle linee guida per:
- la redazione di progetti (Tabella 3);
- il recupero ambientale;
- i progetti di polo estrattivo,ricche di
indicazioni operative di dettaglio per i
progettisti e i comuni, al fine di
assicurare la coerenza attuativa delle
azioni discendenti dal Paep.
Conclusioni
Come si è premesso, per i Paep è elevato il
rischio che l’ottica produttiva prevalente,
la tendenza a elaborarli e gestirli
separatamente dai piani generali, la
tradizionale scarsa presenza di competenze
disciplinari attente ai problemi
dell’ambiente e del territorio, producano
l’effetto di trascurare, nel definire le
strategie e le azioni, le verifiche di
compatibilità delle ricadute con il contesto
o addirittura di compromettere, con i loro
effetti, gli obiettivi di sostenibilità
dello sviluppo che i piani generali di cui
sono strumento attuativi propongono oggi con
sempre maggiore forza.
Il fatto che, per tradizione, la produzione
di materiali inerti non si sia mai fatta
carico del problema della mitigazione –
quanto meno – dei suoi effetti negativi su
ambiente e sistemi urbani, non significa che
questa possibilità oggi, con i molti
strumenti di conoscenza, di supporto alle
decisioni, di diffusione delle informazioni,
di confronto fra attori sulle scelte
strategiche per il futuro dei territori, non
ci sia.
Oggi il tema nuovo e centrale di qualunque
piano di attività estrattive tanto a livello
regionale (Dpae) quanto a livello
provinciale (Paep) è la ricerca di una
condizione di compatibilità fra l’esigenza
di estrazione di materiali e quella di
riduzione del danno ambientale,
nell’ottemperanza delle nuove normative
comunitarie, nazionali, regionali in materia
di valutazione ambientale.
Le attività di consulenza del gruppo del
Politecnico e dell’Università di Torino
hanno voluto dimostrare che questa
possibilità, pur con tutti i limiti di una
sperimentazione ancora non del tutto matura,
è praticabile e con vantaggio.
I due studi sono terminati da oltre un anno
e i due piani, già presentati alle Giunte
delle due province, stanno proseguendo il
consueto iter di approvazione, purtroppo
rallentato dalla interferenza creata dalle
elezioni provinciali della primavera 2004.
È stato in ogni caso certamente un successo
il risultato della fase di consultazione,
avvenuta in entrambi i casi nella primavera
2004, prima della tornata elettorale
provinciale: pur con alcune ovvie voci
dissonanti, il riscontro dei comuni, delle
associazioni degli imprenditori, dei singoli
operatori, delle associazioni ambientaliste
è stato in generale di apprezzamento per il
lavoro fatto e di riconoscimento della
correttezza perseguita nel tentativo di non
penalizzare la produzione di una risorsa
indispensabile allo sviluppo e allo stesso
tempo di applicare le norme e le direttive
più sensibili alla tematica della
salvaguardia ambientale, adottando una linea
di ragionevole compromesso fra queste
conflittuali esigenze.
L’inconsueta pratica di ampia e dettagliata
illustrazione pubblica di obiettivi,
criteri, problemi e proposte, sembra aver
creato condizioni favorevoli alla ricerca di
soluzioni condivise, come è nei migliori
auspici delle procedure per la valutazione
ambientale di piani e programmi.
Costituisce pertanto motivo di rammarico il
fatto che, ancora una volta, i tempi della
politica rischino di vanificare i successi
della tecnica: la stasi dovuta agli
avvicendamenti nei vertici delle due
amministrazioni provinciali ha smorzato la
positiva carica prodotta dalla presentazione
dello studio e dalla ampia operazione di
consultazione; la conclusione dell’iter di
approvazione dei due piani appare pertanto
ancora lontana e incerta.
E concludendo potremmo chiederci con qualche
apprensione: la scommessa sulla
sostenibilità dei due piani cave
provinciali, tecnicamente quasi vinta, sarà
politicamente persa?
Note
1
L’autore riferisce in questo articolo sugli
aspetti metodologici generali (e in
particolare su quelli relativi alla parte
territoriale) relativi a due convenzioni di
ricerca stipulate nel 2002 e concluse nel
2004, tra i due atenei torinesi (Politecnico
e Università) e le due province piemontesi
di Torino e Asti, per l’elaborazione di
piani per attività estrattive provinciali,
innovativi soprattutto per i loro contenuti
in materia ambientale.
Il lavoro è stato condotto da un gruppo
interdisciplinare dei Dipartimenti di
Georisorse e Territorio (Facoltà di
Ingegneria, Politecnico di Torino),
Interateneo Territorio (Facoltà di
Architettura, Politecnico di Torino),
Scienze della Terra (Facoltà di Geologia,
Università di Torino) costituito da G.
Gecchele (coordinatore), G. Badino, G.
Bianco, G. Blengini, D. De Luca, P. Fabbri,
M. Fornaro, L. Masciocco, A. Frisa Morandini,
A. Peano, A. Spaziante, S. Bonetto, G. Dino,
R. Gasca, G. Mandrone, F. Matarrese, I.
Sacerdote, F. Zumino. Al lavoro hanno
inoltre contribuito i funzionari degli
Assessorati all’Ambiente delle Province di
Torino e Asti.
2
L’importanza economica dell’attività
estrattiva è riconosciuta come strategica
anche dalla giurisprudenza tanto che il
giacimento da coltivare è sottratto al
regime delle concessioni introdotto, per
qualsiasi tipo di attività di trasformazione
del territorio, dalla legge 28 gennaio 1977,
n. 10 (legge Bucalossi) e dunque
sfugge alla potestà pianificatoria del
comune e rientra in specifiche competenze
dello Stato e delle regioni (si veda a
questo proposito G. Balletto, Attività
estrattive e disciplina urbanistica,
areAVasta anno 5, n. 8-9/2004).
3
Il gruppo multidisciplinare di Politecnico e
Università di Torino ha partecipato, e
vinto, in entrambi i casi, al bando di gara
aperto a professionisti e tecnici per
consulenze in grado di coprire la vasta
gamma di competenze necessarie a proporre un
piano capace di rispondere alle esigenze
produttive dell’area nel rispetto dei
principi della sostenibilità ambientale.
4
I riferimenti metodologici utilizzati per lo
studio sono costituiti dalle “Linee guida
per la valutazione ambientale strategica (Vas)”
del Ministero dell’Ambiente per i Fondi
strutturali 2000-2006 nonché dalle
esperienze condotte in questo campo da
alcuni membri del gruppo di lavoro
nell’applicazione della stessa Vas al
Programma olimpico dei giochi invernali
Torino 2006, nell’analisi di compatibilità
ambientale condotta nel 2001-2002 sul
tracciato dell’Alta capacità Torino-Lione
(tratta nazionale S. Didero-Settimo
Torinese) e nello studio per la
localizzazione dell’inceneritore nell’area
di Torino (2003). |