Numero 10/11 - 2005

 

Il territorio rifiutato  

 

Area Vasta n. 10/11 Luglio 2004 - Giugno 2005 Anno 6

numero 10/11  anno  2005

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In copertina Lello Lopez,

Da lontano, 2004

acrilico su tela, cm 40x30.

Fotografia di Vince Gargiulo

 

ISSN 1825-7526

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Attività di cava e compatibilità ambientali


Agata Spaziante

Fulvia Zunino


 

Le Province di Torino e Asti hanno affidato, tra il 2001 e il 2002, al Politecnico e all’Università di Torino l’incarico di predisporre un piano per le attività estrattive capace di rispondere alle esigenze produttive dell’area e di rispettare i principi della sostenibilità ambientale. Agata Spaziante e Fulvia Zunino ne espongono gli aspetti metodologici, gli obiettivi di qualità ambientale, la proposta di aree idonee all’attività estrattiva, nonchè la definizione di linee guida per l’attuazione del piano

 

 

Attività estrattive: indispensabili ma inevitabilmente insostenibili?

 

L’attività estrattiva è una delle più antiche e più importanti forme di produzione della millenaria storia dell’umanità, in entrambe le sue modalità: cave per l’estrazione di materiale roccioso, miniere per l’estrazione di minerali.

L’adattamento del territorio alle esigenze dell’uomo, la possibilità di realizzare condizioni confortevoli per abitare, lavorare, muoversi, svagarsi richiede la disponibilità di materiali da sempre ricavati attraverso l’estrazione di materie prime dal sottosuolo, siano esse di prima categoria (minerali e soprattutto metalli) o di seconda categoria (rocce, dalle più preziose a quelle più diffuse e banali usate per inerti da costruzione). Peraltro anche la produzione di materiali artificiali che negli ultimi due secoli sono venuti a integrare quelli estrattivi, comporta a sua volta l’impiego di risorse del sottosuolo (calcare, carbone, metalli, ecc.).

Quelle di cui ci si occupa in questo contributo, le cave, fanno parte di questo settore produttivo che si identifica dunque con l’origine stessa della nostra capacità di trasformare il territorio ma, come quasi tutti gli strumenti che ci hanno consentito di evolvere e progredire, anche le cave, contraddittoriamente, hanno provocato danni talora irreversibili all’ambiente, hanno lasciato ferite difficilmente sanabili sul suolo, continuano a convivere male con le funzioni urbane.

Parliamo quindi di attività necessarie al nostro sviluppo2 ma oggi, in un’epoca di conquistata larga sensibilità ai problemi determinati dall’impatto ambientale degli interventi sul territorio, tacciate, sulla base di non confortanti precedenti, di danno ambientale talora grave, poca compatibilità e di difficile compatibilità con i luoghi in cui si svolge la vita sociale. Le cave appartengono, cioè, alla lunga lista di quelle attività sgradite che, pur riconosciute come indispensabili, suscitano opposizioni e conflitti fra interessi pubblici (popolazioni, governi locali, lo stesso Stato) e interessi privati (imprese estrattive, proprietari di aree, imprese di costruzioni, ecc.) fino a sfociare nella cosiddetta sindrome nimby (not in my backyard), ovvero nell’azione anche energica per ottenere di dislocarle altrove.

Dunque, da una parte occorre produrre la quantità e la tipologia di materiale necessario all’industria e in generale allo sviluppo delle tante funzioni di cui abbiamo bisogno per crescere, e soprattutto occorre reperirlo là dove le caratteristiche geo-morfologiche lo rendono disponibile; dall’altra occorre ottemperare alle direttive dell’Unione europea, alle leggi dello Stato, alle norme regionali e locali, alla acuita percezione diffusa dei rischi per l’ambiente, che impongono di orientare qualunque intervento al massimo della compatibilità possibile con il contesto, pur nella ragionevole consapevolezza che annullare del tutto gli effetti negativi è impossibile.

Strumento pianificatorio essenziale per la ricerca del punto di equilibrio fra queste contrapposte esigenza è il piano per le attività estrattive provinciale (Paep), strumento di attuazione del piano territoriale di coordinamento provinciale (Ptcp) e nello stesso tempo articolazione su base provinciale del documento di programmazione delle attività estrattive (Dpae) delle regioni. Questi piani affrontano dunque una materia divenuta molto complessa e inoltre corrono un altro rischio di dissonanza rispetto alle attuali correnti di pensiero più avvedute nel campo dell’urbanistica: vengono infatti da una tradizione di pianificazione separata ovvero di piani settoriali che tendono a sottrarsi o a ignorare i principi degli strumenti di pianificazione generale (Prg, Ptcp, Ptr), come più volte studiosi, tecnici, ma anche enti, istituzioni e ambienti professionali hanno lamentato.

Inoltre la disciplina delle cave è stata abitualmente affrontata in un’ottica prevalentemente produttiva, che ha sacrificato tanto l’approccio multidisciplinare necessario a tener conto degli altri importanti aspetti connessi a tali attività (e primo fra tutti quello della salvaguardia ambientale) quanto l’integrazione e la coerenza fra i numerosi e diversi piani in vigore o in formazione che si sovrappongono sulle stesse aree.

È sulla convinzione che queste difficoltà siano ormai tecnicamente superabili, tanto da poter elaborare un Paep ben accetto ai soggetti privati e allo stesso tempo coerente, anche sul lungo periodo, con i più aggiornati orientamenti in materia di salvaguardia ambientale, che hanno scommesso le Province di Torino e di Asti nell’avviare il processo di pianificazione di queste attività; e con loro ha scommesso un gruppo multidisciplinare di ingegneri, urbanisti, geologi dei due atenei torinesi (Politecnico e Università) intenzionati a sperimentare, attraverso gli studi di supporto al Paep, ulteriori applicazioni, su un terreno particolarmente complesso, dei principi di sostenibilità già trasferiti in altri contesti e in altre materie.

 

 

Obiettivi di qualità ambientale per i Paep delle Province di Torino e Asti

 

Le Province di Torino e Asti, infatti, consapevoli dei complessi e nuovi problemi, certamente forieri di ulteriori difficoltà in una materia già molto tormentata, hanno formulato un bando di gara per l’affidamento dell’incarico di elaborazione dei propri Paep, in cui la questione della compatibilità ambientale delle attività assumeva un peso molto rilevante3.

Pur nella diversità dei due contesti e delle scelte politiche delle due amministrazioni, i due incarichi di consulenza affidati al gruppo di docenti e ricercatori del Politecnico e dell’Università di Torino avevano forti analogie di principio: è per tale motivo che in questo contributo di carattere metodologico i due studi sono assimilati e l’esemplificazione sugli elaborati prodotti, pur riferita al solo caso di Torino, può essere assunta come indicativa del percorso tecnico-scientifico condotto nei due casi.

Tre i principi generali a cui i due piani hanno ispirato le loro scelte nella definizione degli obiettivi:

1. il principio, tutt’altro che indolore, di contrastare la naturale tendenza a porre in primo piano le esigenze dell’industria estrattiva rispetto agli obiettivi più generali di governo del territorio, consapevoli che, nonostante tale chiara intenzione, sarà arduo evitare il rischio della prevalenza degli interessi produttivi nella fase attuativa, quando la divaricazione fra le azioni condotte dai diversi attori sarà costantemente in agguato;

2. il recepimento non solo degli indirizzi del Ptc provinciale e delle linee di programmazione regionale contenute nei tre stralci del Dpae (quello relativo agli inerti per calcestruzzo, conglomerati bituminosi e tout-venant per riempimenti e sottofondi; quello relativo alle pietre ornamentali; quello relativo ai materiali industriali), ma anche dei criteri generali individuati dagli altri numerosi strumenti di pianificazione settoriali che insistono sulle stesse aree, dal piano di assetto idrogeologico (Pai) dell’autorità di bacino del Fiume Po al piano stralcio delle fasce fluviali, alla legge 490/1999, fino alle scelte di destinazione d’uso dei piani regolatori generali (Prg) comunali coinvolti;

3. la verifica della compatibilità ambientale delle azioni previste e soprattutto la definizione di linee guida per la progettazione delle nuove attività. La Regione Piemonte infatti ha già introdotto con l’art. 20 della Lr 40/1998 l’obbligo di analisi della compatibilità ambientale di piani e programmi anticipando i principi contenuti nella Direttiva 42/2001/CE. Il Paep, pertanto, in entrambi i casi, ha potuto e dovuto assumere dall’analisi di compatibilità ambientale contenuta nel Ptc provinciale i criteri su cui verificare la compatibilità ambientale delle politiche e delle azioni che propone di condurre per soddisfare il fabbisogno di materiali previsto per i diversi usi, e accuratamente stimato, nella prima parte dello studio, in un’ottica di risparmio di risorse non riproducibili quali sono quelle del sottosuolo.

Pertanto, volendo sintetizzare gli obiettivi posti alla base dei due piani, si può dire che essi siano:

- imporre, nei tetti autorizzabili annualmente, un trend (minimo) di riduzione;

- garantire l’effettivo esaurimento dell’attività nei tempi previsti;

- individuare a livello territoriale le aree non idonee; quelle solo parzialmente idonee e dunque destinabili a questo uso a condizione di rispettare precise prescrizioni; quelle idonee, ovvero aree nelle quali non sono presenti particolari sensibilità ambientali e dunque è sufficiente la valutazione di incidenza o la valutazione di impatto ambientale (Via) del progetto, come previsto per qualunque intervento di trasformazione rilevante.

Infine, per l’azione sul lungo periodo, i due piani hanno curato di individuare le aree in cui:

- diminuire la pressione estrattiva, in particolare sulle fasce fluviali;- consolidare l’attività estrattiva esistente;

- promuovere interventi di sistemazioni d’alveo e rinaturalizzazione.È attraverso questa lunga serie di obiettivi a forte contenuto ambientale che i due piani, pur in contesti e con scelte di dettaglio ovviamente diversi, intendono garantire fin dalla iniziale fase di definizione di obiettivi e criteri (valutazione ambientale strategica ex ante - Vas) quella compatibilità fra esigenze di sviluppo, attese dell’industria estrattiva e salvaguardia dell’ambiente che può rendere queste attività, di norma mal tollerate, sostenibili e dunque accettate.

 

 

Il metodo di costruzione del piano

 

Il metodo seguito per elaborare piani coerenti con questi obiettivi non è stato, per una buona parte del lavoro, diverso da quanto di norma viene fatto a questo scopo, ma un rilevante approfondimento ed un particolare impegno tecnico e scientifico sono stati necessari per definire, con il contributo congiunto di tutte le discipline coinvolte, i suoi meno consueti e molto articolati contenuti ambientali, sia per quanto attiene la parte di conoscenza che per quanto attiene le parti propositive.

Il metodo dunque si è articolato in tre fasi:

I fase: conoscitiva

Censimento delle cave esistenti; analisi di mercato sui flussi di produzione e la stima dei fabbisogni; analisi territoriale e ambientale.

II fase: propositiva

Proposta di aree idonee all’attività estrattiva; verifica di coerenza fra attività estrattive e strumenti di governo del territorio; ipotesi sulle potenzialità di espansione dell’attività di cava; analisi di compatibilità ambientale; definizione di linee-guida per l’attuazione del piano; raccomandazioni operative per la coltivazione e il recupero delle cave.

III fase: partecipativa

La prima fase, quella conoscitiva, è stata certamente la più impegnativa e lunga; è stato infatti effettuato un importante lavoro di costruzione di un buon supporto conoscitivo, ricco di elementi idonei a definire le caratteristiche produttive, territoriali e ambientali dei siti di cava per evidenziarne le possibili interferenze con ambiente e territorio, nonché ad analizzare vincoli normativi e previsioni di trasformazione contenute negli strumenti urbanistici vigenti per verificare la coerenza esterna dei contenuti del piano.

Lo strumento più importante a questo fine è stato la realizzazione di un completo censimento informatizzato delle attività di cava esistenti. I dati, basati sull’analisi dei dati d’archivio delle cave in possesso delle due province, sono stati organizzati in schede tecniche contenenti gli aspetti di maggiore interesse di ciascuna attività estrattiva, organizzate in un data base (Figura 4) e geo-referenziate per poterle rappresentare in opportune carte tematiche digitali. Tale censimento è stato la necessaria premessa per dotare la provincia di un importante strumento per la conoscenza continua dell’evoluzione del settore: un patrimonio informativo dinamico, ordinato per tipologia di materiale estratto (materiale alluvionale, pietrisco per aggregati, pietre ornamentali e materiali per uso industriale) e per stato di attività al 31.12.2002 (cave attive, inattive, in corso di istruttoria, mai autorizzate; Figure 1, 2 e 3). La disponibilità di uno strumento di conoscenza come questo costituisce in realtà la condizione indispensabile per inserirsi in un processo di Vas, perché strategiche davvero sono soprattutto le successive fondamentali attività di monitoraggio dell’attuazione del piano (Vas in itinere ed ex post) impensabili senza un sistema informativo in grado di osservare l’evoluzione del settore in modo affidabile e articolato.

Figura 4 - Esempio della scheda di censimento e della struttura dell'archivio delle attività estrattive della Provincia di Torino

Organizzazione del database in Access relativo alle cave della Provincia di Torino

 

Visualizzazione della scheda relativa ad una cava

 

 

Un altro lavoro consistente della fase conoscitiva è quello relativo all’analisi di mercato sui flussi di produzione e alla stima dei fabbisogni delle varie tipologie di materiali di cava, focalizzata in particolare sul settore degli aggregati destinati all’industria delle costruzioni. Si è scontato qui la ben nota carenza di dati aggiornati e articolati e dunque la stima ha dovuto adattarsi alla loro insoddisfacente qualità, cui si ipotizza di porre rimedio in futuro grazie ai previsti rilevamenti sistematici che l’amministrazione è stata sollecitata e aiutata a organizzare. Si è proceduto, nonostante queste difficoltà, alla messa a punto del modello di analisi dei consumi di tali aggregati e alla valutazione dei loro fabbisogni futuri per valutare le potenze e la qualità dei giacimenti, nonché i settori in cui la potenzialità estrattiva è più alta.

Un terzo settore della fase conoscitiva riguarda l’analisi territoriale e ambientale affidata in particolare all’autore di questo contributo, per le sue specifiche competenze disciplinari.

Le informazioni, raccolte e rappresentate in adeguate cartografie digitali, hanno consentito di:

- individuare le aree caratterizzate da particolari sensibilità ambientali;

- sintetizzare le previsioni urbanistiche di tutti i comuni della provincia (avvalendosi a questo scopo del mosaico informatizzato dei Prg che la Regione Piemonte e il Csi-Piemonte hanno costruito e gestiscono da tempo) per tener conto anche dell’uso che le amministrazioni locali (comuni, provincia) intendono fare di quelle aree in futuro;

- analizzare le problematiche ambientali connesse alle attività di scavo, in relazione alle diverse tipologie di coltivazione e destinazione finale delle aree (Figura 1).

Figura 1 - Carta delle fasce fluviali

 

 

I risultati dell’analisi territoriale e ambientale costituiscono un importante aspetto di cui si è tenuto conto soprattutto nella seconda fase, di carattere propositivo, in cui si sono potute evitare vistose incongruenze fra le previsioni di piano delle diverse autorità e le attività estrattive in atto e previste, ma dare soprattutto all’amministrazione provinciale uno strumento di concertazione delle politiche con i comuni, alla ricerca di soluzioni condivise per annullare o mitigare le possibili interferenze negative.

La seconda fase, quella propositiva, è quella metodologicamente più innovativa; è in questa parte del lavoro, infatti, che sono stati adottati quei principi di attenzione alla compatibilità delle attività estrattive con i caratteri dell’ambiente, del territorio e delle sue attività su cui si basa la scommessa delle due province intenzionate a rendere sostenibile la presenza di indispensabili ma scomode cave.

Di questa fase, alcuni degli elementi più interessanti sono:

- la proposta di aree idonee all’attività estrattiva;

- l’analisi di compatibilità ambientale;

- la definizione di linee-guida per l’attuazione del piano.

La terza fase, quella partecipativa, in parte già realizzata in parte ancora in corso, ha significato portare la bozza di piano alla discussione allargata di comuni, comunità montane, operatori del settore, associazioni rappresentative di interessi diversi tra cui quelli ambientali, per condividere obiettivi e scelte, raccogliere suggerimenti, smorzare timori.

Anche a questa fase, realizzata attraverso presentazioni pubbliche alla presenza di numerosi partecipanti, ha attivamente collaborato il gruppo di ricercatori e docenti del Politecnico e dell’Università di Torino anche per raccogliere elementi utili a suggerire, nella fase di stesura della versione definitiva, eventuali correzioni e integrazioni alla bozza di piano.

 

 

La proposta di aree idonee all’attività estrattiva

 

La parte forse più complessa e delicata dell’intero processo di elaborazione del piano è stata quella della individuazione delle aree non inidonee (secondo la definizione data dalla Provincia di Torino) o aree idonee (secondo la definizione preferita dalla Provincia di Asti) all’attività estrattiva sulla base degli elementi raccolti nella fase conoscitiva.

Nello scenario di riferimento particolarmente attento alla verifica della sostenibilità ambientale di queste attività, già descritto nella prima parte di questo contributo, e secondo alcune delle indicazioni dello stesso Pae di livello superiore – quello regionale (Dpae) – la relazione delle scelte del Paep con il Ptcp è avvenuta non solo in termini di localizzazione dei siti di cava, ma soprattutto in vista della costruzione di un sistema di monitoraggio continuo dell’attuazione delle scelte del piano e di valutazioni ex-post sull’efficacia dell’attuazione: aspetti ai quali si attribuisce nel piano grande importanza nell’ottica propria della Vas che deve garantire l’efficacia anche sul lungo periodo delle decisioni assunte.

I criteri a cui ci si è ispirati nel vagliare le caratteristiche del territorio e dell’ambiente derivano pertanto innanzitutto dall’applicazione allo specifico piano di settore degli obiettivi che la provincia si è data più in generale attraverso il suo Ptcp, ovvero:

- risparmio di suolo agricolo di alto valore produttivo;

- salvaguardia delle continuità verdi e della varietà biologica vegetale e animale;

- tutela del paesaggio, dei beni culturali e delle identità locali;

- razionalizzazione della distribuzione di attività produttive e servizi;

- protezione delle risorse idriche contestualmente presenti;

- salvaguardia degli equilibri idrogeologici del territorio.

L’individuazione e la scelta delle aree in cui consentire l’attività estrattiva, in entrambe le province, ha seguito dunque i seguenti criteri:

- preferenza di aree in cui siano minimi gli impatti sull’ambiente e sul paesaggio o quelle nelle quali la presenza di cave possa costituire motivo di recupero finale di aree degradate o compromesse per ottenere quella massimizzazione delle ricadute benefiche sul sistema paesistico provinciale già auspicata;

- concentrazione delle attività di escavazione in un numero ridotto di poli per evitare di costituire fattori di elevata pressione paesaggistica e ambientale, e pertanto priorità a nuove aree estrattive attigue a quelle esistenti piuttosto che l’intaccamento di nuove aree;

- l’individuazione di aree cessate dove sia possibile recuperare risorse giacimentologiche non pienamente sfruttate nel passato, sempre all’interno di una generale promozione del recupero ambientale di materiali inerti da riciclaggio in sostituzione di quello pregiato, risorsa preziosa e non riproducibile;

- l’ottimizzazione della localizzazione dei siti di cava rispetto alla distribuzione geografica della domanda di materiali di cava per ridurre oneri e impatti del trasporto dei materiali.

Si sono così evidenziate le aree caratterizzate da particolare sensibilità (ambientali, geologiche, idrogeologiche, idrauliche, paesaggistiche), con riferimento alle indicazioni e prescrizioni contenute nella pianificazione territoriale vigente e in itinere (Figura 2).

Figura 2 - Carta dei vincoli storici e ambientali paesistici, di sintesi della serie di fattori che possono determinare motivi di non idoneità dei siti all'attività estrattiva ai sensi del DLgs 490/1999

  

 

Dall’intersezione fra le caratteristiche geogiacimentologiche del territorio provinciale con le caratteristiche territoriali e ambientali si è giunti pertanto a qualificare l’intero territorio rispetto alla sua idoneità allo sfruttamento della risorsa estrattiva individuando le seguenti categorie:

- aree non idonee (nelle quali non si consente l’attività estrattiva per la presenza di parchi nazionali, regionali, provinciali, siti di interesse comunitario, zone di protezione speciale, tranne i casi in cui lo preveda il piano d’area);

- aree idonee (o non inidonee) con condizione (quali ad esempio le aree di pregio ambientale o quelle con capacità d’uso del suolo di I e II classe, per le quali si richiedono, oltre alla Via dei progetti, particolari verifiche e approfondimenti);

- aree idonee o non inidonee (si veda in Figura 3 lo stralcio della carta di sintesi per l’individuazione delle aree non inidonee alla produzione di argille e aggregati ottenuta dall’intersezione delle carte relative ai vincoli con la carta geogiacimentologica).

Figura 3 - Carta di sintesi per l'individuazione delle aree non inidonee alla produzione di argille e aggregati, quale risultato dell'intersezione di quindici tavole di analisi relative agli aspetti geologico, geomorfologico, geogiacimentologico, urbanistico e ambientale

 

 

Sono stati inoltre indicati criteri di particolare attenzione da adottare in siti di particolare sensibilità sotto il profilo ambientale, ovvero:

- in aree con suoli a eccellente e buona produttività (quali quelli di I e II classe di capacità d’uso suolo) in cui si imporrà di evitare mutamenti di destinazione d’uso e dunque scavi che provochino perdita irreversibile dell’uso del suolo agricolo, con la sola eccezione di casi in cui manchino alternative localizzative e gli interventi siano giustificati dal prevalente interesse collettivo o casi in cui una relazione agronomica dimostri che si tratta di terreni con capacità d’uso bassa;

- in fasce fluviali A e B del Pai, in cui, con l’obiettivo di limitare in tali fasce a rischio l’attività di questo tipo, sono stati accolti i criteri assunti dall’autorità di bacino del Po, secondo cui vanno privilegiati gli interventi volti a rinaturalizzare ambiti fluviali e a ripristinare la funzionalità idraulica; pertanto in fascia A la massima profondità di scavo deve mantenersi 1 m al di sopra del thalweg (fondo alveo inciso del fiume) e in fascia B la profondità di scavo va valutata in funzione del mantenimento delle condizioni di stabilità idraulica-morfologica; in ogni caso, inoltre, le pendenze delle scarpate devono mantenersi molto basse;

- in aree sotto falda, dove vanno vietate cave in aree ricarica acquiferi, in riserve strategiche, in prossimità di pozzi idropotabili, mentre possono essere consentite negli altri casi a condizione che l’attività sia strettamente regolamentata al fine di evitare profondità di scavo al di sotto della quota base dell’acquifero superficiale (definita dalla cartografia ufficiale delle province) e cave di piccole dimensioni.

In questi contesti, inoltre, andrà prevista un’adeguata fascia di rinaturalizzazione a contorno del lago, la regimazione delle acque meteoriche e contestualmente il riempimento totale dello scavo, ma soprattutto vanno garantiti studi dettaglio nella progettazione e il periodico monitoraggio dell’attività;

- in aree sopra falda, dove vanno disincentivate cave che prevedano estrazione di tout-venant per riempimenti e sottofondi, in quanto materiali potenzialmente provenienti da fonti alternative, mentre vanno privilegiate le attività che prevedano il riempimento totale dello scavo e vanno previsti comunque adeguati studi sulla soggiacenza della falda, per garantire il franco di 1 m dalla massima escursione della falda freatica.

Quanto alle tipologie di interventi da privilegiare, questi sono stati indicati in:

- bonifiche agrarie;

- arretramenti di terrazzi fluviali;

- scavi che prevedano ribassi limitati del piano campagna (1-2 m) su superfici sufficientemente estese, con recupero ambientale temporizzato rigorosamente.

Un aspetto importante della fase propositiva ha riguardato anche l’identificazione delle eventuali potenzialità di espansione dell’attività di cava in coerenza con una possibile crescita della domanda di materiali estrattivi, badando però a verificare anche a questo proposito le condizioni di rispetto del patrimonio ambientale e paesaggistico e in coerenza con le indicazioni pianificatorie regionali, provinciali e di tutti quegli strumenti di piano prodotti da altri enti già citati in precedenza.

Si sono ad esempio individuati criteri di particolare attenzione da osservare per salvaguardare e valorizzare il paesaggio e per definire degli elementi che possono risultare significativi per i progetti di recupero ambientale delle aree di cava in considerazione del carattere di priorità che la provincia attribuisce al recupero naturalistico o agricolo di siti interessati dalla presenza di queste attività, a piano attuato.

Ovviamente di fondamentale importanza ai fini della sostenibilità delle attività è non solo la scelta dei siti ma l’osservanza di idonee regole sulle modalità di escavazione, sul recupero delle aree di cava ad attività terminata, sulla valutazione paesistica, sulla verifica delle ricadute, nello stesso tempo agendo per ottimizzare la quantità di volume estratto e garantire per il futuro certezza di risposta alla domanda del mercato.

Un particolare impegno è stato dedicato, infine, alla elaborazione di articolate linee guida per la redazione di progetti, per il recupero ambientale, per i progetti di polo estrattivo riassunte nell’ultima parte di questo contributo.

 

 

L’analisi di compatibilità ambientale

 

Ricordando che: l’attività estrattiva, soddisfacendo la richiesta di materiali indispensabili per lo sviluppo socio-economico della collettività, rappresenta un riconosciuto interesse pubblico - sebbene esercitato privatamente – da contemperare ovviamente con le altre primarie necessità della popolazione; il potenziale conflitto fra una valorizzazione della risorsa estrattiva e la tutela ambientale deve trovare risoluzione dialettica e positiva nella pianificazione territoriale, della quale i piani di settore – compreso quello estrattivo – fanno costitutivamente parte; nell’ambito della pianificazione di settore estrattivo, le conoscenze tecniche e scientifiche dei problemi costituiscono un indispensabile supporto per decisioni autorizzative che debbono tuttavia discendere da scelte amministrative responsabili e coerenti, è chiaro che la scommessa di un piano provinciale è quella di trovare una corretta linea di compromesso fra esigenze produttive e salvaguardia dell’ambiente e che tale ricerca può e deve avvenire adottando i principi che l’Unione europea ha sancito attraverso le sue norme sulla valutazione ambientale, Via prima, Vas poi.

Pertanto, un particolare capitolo del Paep delle due province riguarda l’analisi di compatibilità ambientale impostata in coerenza con l’art. 20 della Lr Piemonte 40/19984 che già aveva anticipato i principi contenuti nella Direttiva 42/2001/Ce e che oggi sono accolti da diverse regioni, sebbene lo stato non li abbia ancora recepiti.

Si è dunque badato a far sì che le scelte del Paep e gli strumenti che questo fornirà ai Prg e agli enti competenti in materia di autorizzazione delle attività di cava contribuiscano a tener conto degli “effetti significativi che l’attuazione del piano potrebbe avere sull’ambiente nonché delle ragionevoli alternative alla luce degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano” (art. 5 Direttiva 42/2001/Ce). D’altra arte l’analisi territoriale e ambientale, come specificato nell’allegato F all’art. 20 della Lr 40/1998 del Piemonte vigente, e dunque cogente per questi due piani, deve definire in particolare “b) le caratteristiche ambientali di tutte le aree che possono essere significativamente interessate dal piano o dal programma; c) qualsiasi problema ambientale rilevante ai fini del piano o del programma, con specifica attenzione alle aree sensibili e alle aree urbane”.

L’analisi di compatibilità ambientale si è articolata pertanto nella identificazione di:

- fattori di impatto specifici;

- sensibilità ambientali;

- indicazioni per il monitoraggio sull’attuazione del piano;

e nella successiva verifica della sostenibilità delle politiche e delle azioni previste nel piano:

- salvaguardia delle risorse non rinnovabili e razionalizzazione nello sfruttamento delle risorse estrattive;

- valutazione preventiva e integrata degli effetti diretti e indiretti;

- definizione di criteri di compatibilità per le nuove attività e riduzione degli impatti delle cave dismesse;

- coordinamento, razionalizzazione, semplificazione delle procedure e degli atti amministrativi;

- trasparenza delle azioni della pubblica amministrazione, informazione e partecipazione dei cittadini, scambio delle informazioni fra proponenti e autorità competenti con gli obiettivi di natura ambientale stabiliti nell’ambito degli accordi internazionali, delle normative comunitarie, delle leggi e degli atti di indirizzo nazionali e regionali, del piano territoriale provinciale (Tabelle 1 e 2).

Tabella 1

 

 

Tabella 2

 

 

 

La definizione di linee-guida per l’attuazione del piano

 

È opinione diffusa fra i tecnici del settore che non sussista sostanziale antiteticità di obiettivi fra una corretta attività mineraria ed una effettiva salvaguardia dell’ambiente, ma che molta parte delle ricadute negative prodotte da queste attività sia dovuta alla loro errata progettazione e gestione.

Ad un contenimento delle emissioni (rumore, vibrazioni, polveri, discariche) corrisponde anche un risparmio energetico, e la scelta di morfologie di scavo favorevoli per un assetto territoriale stabile e recuperabile, oltre a rispettare riconosciuti valori ambientali (ecologici e paesaggistici), risponde senz’altro anche alle più recenti raccomandazioni dei Pai, con i quali la pianificazione provinciale deve necessariamente confrontarsi. Molto importante per l’efficacia del piano, dunque, soprattutto per la delicata fase della sua attuazione, abitualmente non seguita da alcuno strumento di osservazione della coerenza fra obiettivi e risultati, è la predisposizione di linee guida per la gestione delle attività estrattive orientate a fornire indicazioni tanto alle amministrazioni locali quanto agli operatori e ai progettisti per conseguire lo sviluppo di tali attività nel rispetto delle esigenze di salvaguardia dell’ambiente.

Per entrambi i piani delle Province di Torino e Asti sono state pertanto costruite delle linee guida per:

- la redazione di progetti (Tabella 3);

- il recupero ambientale;

- i progetti di polo estrattivo,ricche di indicazioni operative di dettaglio per i progettisti e i comuni, al fine di assicurare la coerenza attuativa delle azioni discendenti dal Paep.

 

Tabella 3

 

 

Conclusioni

 

Come si è premesso, per i Paep è elevato il rischio che l’ottica produttiva prevalente, la tendenza a elaborarli e gestirli separatamente dai piani generali, la tradizionale scarsa presenza di competenze disciplinari attente ai problemi dell’ambiente e del territorio, producano l’effetto di trascurare, nel definire le strategie e le azioni, le verifiche di compatibilità delle ricadute con il contesto o addirittura di compromettere, con i loro effetti, gli obiettivi di sostenibilità dello sviluppo che i piani generali di cui sono strumento attuativi propongono oggi con sempre maggiore forza.

Il fatto che, per tradizione, la produzione di materiali inerti non si sia mai fatta carico del problema della mitigazione – quanto meno – dei suoi effetti negativi su ambiente e sistemi urbani, non significa che questa possibilità oggi, con i molti strumenti di conoscenza, di supporto alle decisioni, di diffusione delle informazioni, di confronto fra attori sulle scelte strategiche per il futuro dei territori, non ci sia.

Oggi il tema nuovo e centrale di qualunque piano di attività estrattive tanto a livello regionale (Dpae) quanto a livello provinciale (Paep) è la ricerca di una condizione di compatibilità fra l’esigenza di estrazione di materiali e quella di riduzione del danno ambientale, nell’ottemperanza delle nuove normative comunitarie, nazionali, regionali in materia di valutazione ambientale.

Le attività di consulenza del gruppo del Politecnico e dell’Università di Torino hanno voluto dimostrare che questa possibilità, pur con tutti i limiti di una sperimentazione ancora non del tutto matura, è praticabile e con vantaggio.

I due studi sono terminati da oltre un anno e i due piani, già presentati alle Giunte delle due province, stanno proseguendo il consueto iter di approvazione, purtroppo rallentato dalla interferenza creata dalle elezioni provinciali della primavera 2004.

È stato in ogni caso certamente un successo il risultato della fase di consultazione, avvenuta in entrambi i casi nella primavera 2004, prima della tornata elettorale provinciale: pur con alcune ovvie voci dissonanti, il riscontro dei comuni, delle associazioni degli imprenditori, dei singoli operatori, delle associazioni ambientaliste è stato in generale di apprezzamento per il lavoro fatto e di riconoscimento della correttezza perseguita nel tentativo di non penalizzare la produzione di una risorsa indispensabile allo sviluppo e allo stesso tempo di applicare le norme e le direttive più sensibili alla tematica della salvaguardia ambientale, adottando una linea di ragionevole compromesso fra queste conflittuali esigenze.

L’inconsueta pratica di ampia e dettagliata illustrazione pubblica di obiettivi, criteri, problemi e proposte, sembra aver creato condizioni favorevoli alla ricerca di soluzioni condivise, come è nei migliori auspici delle procedure per la valutazione ambientale di piani e programmi.

Costituisce pertanto motivo di rammarico il fatto che, ancora una volta, i tempi della politica rischino di vanificare i successi della tecnica: la stasi dovuta agli avvicendamenti nei vertici delle due amministrazioni provinciali ha smorzato la positiva carica prodotta dalla presentazione dello studio e dalla ampia operazione di consultazione; la conclusione dell’iter di approvazione dei due piani appare pertanto ancora lontana e incerta.

E concludendo potremmo chiederci con qualche apprensione: la scommessa sulla sostenibilità dei due piani cave provinciali, tecnicamente quasi vinta, sarà politicamente persa?

 

 

Note

 

1 L’autore riferisce in questo articolo sugli aspetti metodologici generali (e in particolare su quelli relativi alla parte territoriale) relativi a due convenzioni di ricerca stipulate nel 2002 e concluse nel 2004, tra i due atenei torinesi (Politecnico e Università) e le due province piemontesi di Torino e Asti, per l’elaborazione di piani per attività estrattive provinciali, innovativi soprattutto per i loro contenuti in materia ambientale.

Il lavoro è stato condotto da un gruppo interdisciplinare dei Dipartimenti di Georisorse e Territorio (Facoltà di Ingegneria, Politecnico di Torino), Interateneo Territorio (Facoltà di Architettura, Politecnico di Torino), Scienze della Terra (Facoltà di Geologia, Università di Torino) costituito da G. Gecchele (coordinatore), G. Badino, G. Bianco, G. Blengini, D. De Luca, P. Fabbri, M. Fornaro, L. Masciocco, A. Frisa Morandini, A. Peano, A. Spaziante, S. Bonetto, G. Dino, R. Gasca, G. Mandrone, F. Matarrese, I. Sacerdote, F. Zumino. Al lavoro hanno inoltre contribuito i funzionari degli Assessorati all’Ambiente delle Province di Torino e Asti.

2 L’importanza economica dell’attività estrattiva è riconosciuta come strategica anche dalla giurisprudenza tanto che il giacimento da coltivare è sottratto al regime delle concessioni introdotto, per qualsiasi tipo di attività di trasformazione del territorio, dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10 (legge Bucalossi) e dunque sfugge alla potestà pianificatoria del comune e rientra in specifiche competenze dello Stato e delle regioni (si veda a questo proposito G. Balletto, Attività estrattive e disciplina urbanistica, areAVasta anno 5, n. 8-9/2004).

3 Il gruppo multidisciplinare di Politecnico e Università di Torino ha partecipato, e vinto, in entrambi i casi, al bando di gara aperto a professionisti e tecnici per consulenze in grado di coprire la vasta gamma di competenze necessarie a proporre un piano capace di rispondere alle esigenze produttive dell’area nel rispetto dei principi della sostenibilità ambientale.

4 I riferimenti metodologici utilizzati per lo studio sono costituiti dalle “Linee guida per la valutazione ambientale strategica (Vas)” del Ministero dell’Ambiente per i Fondi strutturali 2000-2006 nonché dalle esperienze condotte in questo campo da alcuni membri del gruppo di lavoro nell’applicazione della stessa Vas al Programma olimpico dei giochi invernali Torino 2006, nell’analisi di compatibilità ambientale condotta nel 2001-2002 sul tracciato dell’Alta capacità Torino-Lione (tratta nazionale S. Didero-Settimo Torinese) e nello studio per la localizzazione dell’inceneritore nell’area di Torino (2003).

 

 

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