Numero 3 - 2001

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prime valutazioni sul disegno di legge urbanistica


Francesco Forte


La pianificazione di area vasta è il nodo centrale da sciogliere per avviare un uso realmente sostenibile del territorio. Francesco Forte apprezza le novità contenute nel disegno di legge urbanistica regionale attualmente in discussione, cogliendo alcune ombre. La pianificazione regionale appare eccessivamente invadente mentre quellaprovinciale assume positivamente il ruolo di tutela paesistica. Si suggeriscono momenti di maggiore semplificazione procedurale e di più accurata precisazione dei contenuti tecnici degli strumenti urbanistici 

 

 

 

 

 

, la rivista semestrale della Provincia di Salerno diretta da Roberto Gerundo, mi ha sollecitato ad esplicitare un breve commento al testo legislativo predisposto dall'assessore all'urbanistica della Regione Campania, avv. Marco Di Lello, e denominato "Norme sul governo del territorio". La sollecitazione ha altresì indirizzato il commento, riferito di conseguenza ai temi dell'area vasta, aspetto di primario interesse della rivista.

Nel giugno 2000 l'assessore all'urbanistica ha promosso con il Dipartimento di Urbanistica dell’Università Federico II un importante convegno, sulla legislazione urbanistica regionale. Ero negli Stati Uniti in quei giorni e, quindi, non ho potuto contribuire ai lavori. Né successivamente mi si sono presentate opportunità di confronto. In quel convegno l'assessore assunse l'impegno di predisporre entro uno specifico tempo il progetto di legge urbanistica regionale. Va di conseguenza apprezzata la tempestività con la quale l'elaborato é stato sottoposto alla comunità regionale.

 

Che la pianificazione di area vasta sia il tema cruciale del contemporaneo é constatazione ampiamente condivisa. La recente legge francese, richiamata nell'articolo di Francesco Karrer apparso nel n. 1/2 di , ne esprime l'attualità, laddove l'agglomerazione urbana, non comune né provincia, si propone come soggetto fondante l'azione urbanistica. E le agglomerazioni vanno correlate alla rete di agenzie pubbliche statali che avvolge l'intero territorio nazionale, mirate a conoscere, facilitare i processi di concertazione, promuovere progetti di intervento.

Da quasi due lustri si pratica nel nostro paese pianificazione di area vasta. Nel 1988 abbiamo intrapreso in Abruzzo la formazione del piano territoriale della Provincia di Teramo, in applicazione della Lr 18/1983. Il suddetto piano territoriale di coordinamento (Ptc) é approvato e vigente. Nel 1987 abbiamo intrapreso la formazione del piano territoriale paesistico (Ptp) dei comuni della Basilicata tirrenica approvato nei primi anni novanta e vigente.

Il commento alle modalità sperimentate nella pianificazione di area vasta é consueto richiamo dei congressi e convegni promossi dall'Istituto nazionale di urbanistica. Nel recente XXIII Congresso di Napoli Piero Cavalcoli ne ha proposto una significativa riflessione critica.

La pianificazione di area vasta evidenzia, laddove già in atto, sofferenze plurime.

Il circolo virtuoso necessario alla sua efficacia, che si sintetizza nella categoria della copianificazione tra livelli istituzionali, ha scarsi riscontri. Le logiche di settore non appaiono scalfite dall'istanza di cooperazione interistituzionale.

Permane divario sostanziale tra fattori previsivi concernenti la sostenibilità civile, riferiti all'istanza di sviluppo economico-produttivo e fattori concernenti la sostenibilità ambientale, espressa dai concetti di intangibilità e di identità culturale, come interpretati nella prassi. 

Aumenta il divario tra potenzialità dell'informazione resa possibile dai Sistemi informativi territoriali (Sit) e capacità di conoscenza, conseguente dalla perspicacia della riflessione interpretante i fenomeni territoriali. La mancanza di strutture tecniche stabili, osservatori di monitoraggio territoriale, non aiuta a comprendere, simulare, prevedere.

Il coordinamento delle politiche di gestione del trasporto pubblico praticate dagli enti funzionali, proprio agli stadi di prima industrializzazione delle articolazioni urbane, appare tuttora come la grande innovazione praticata e da rafforzare.

Risultano non esercitati i fattori realmente incidenti sull'affermarsi di solidarietà territoriale su basi areali, quali quelli connessi alle politiche tributarie e fiscali, o alle politiche redistributive dei costi di investimento necessari alla capitalizzazione infrastrutturale. L'esperienza della fiscalità immobiliare maturatasi nelle contee degli Stati Uniti (i development fees) é del tutto ignota nelle nostre amministrazioni pubbliche.

L'auspicato travaso (Inu, XXII Congresso, 1998) dalle politiche di vincolo alle politiche del progetto appare non perseguito.

Su queste basi si é auspicata la revisione delle leggi urbanistiche innovative promosse dalle regioni nel corso degli anni novanta; una sostanziale innovazione nella legislazione statale; un più incisivo contenuto progettuale dei Ptc, proiettato alle azioni di valorizzazione e non solo di tutela, nonché alla azioni di potenziamento e non solo di riqualificazione; l'affermarsi della pianificazione territoriale sub provinciale, attraverso nuovi soggetti conseguenti ad associazionismo intercomunale motivato da interessi definiti attraverso programmi.

La sollecitazione verte pertanto sulla riflessione concernente i contenuti degli strumenti di pianificazione di area vasta.

 

In questo contesto é da collocare il commento dei caratteri della proposta che l'assessorato della Regione Campania ha predisposto. Governare il territorio ha pretese egemoniche sulla vita delle comunità e degli uomini; suggerisce una concezione oggettistica, che non dovrebbe ritrovarsi nella legislazione incisiva sulla multidimensione che il territorio interpreta. Più cauta ed incisiva é la denominazione "Tutela ed uso del suolo", adottata nel 1977 da G. Astengo nella legge regionale piemontese e poi ripresa in tanti testi legislativi.

Ai sensi della consuetudine interpretativa, la pianificazione urbanistica si esercita a livello territoriale e comunale (legge 1150/1942, art. 1), attraverso piani generali o esecutivi. Il Dpr 616/1977 (Attuazione della delega di cui all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382, Titolo V, Assetto ed utilizzazione del territorio), ne specifica le molteplici responsabilità e su queste si sono consolidati i piani urbanistici generali di settore. La pianificazione paesistica é per sua natura territoriale ed attiva limitazioni all'uso a tempo indeterminato, non comportanti indennizzi (Corte Costituzionale, sentenza 56/1968).

Fondativo é il Titolo I della proposta di legge, laddove si tende ad attualizzare detta interpretazione. 

Si adopera infatti nel testo un diffuso ricorso alla pianificazione territoriale ed urbanistica, da esercitare attraverso piani generali e piani settoriali (art. 7). 

Si dovranno configurare quindi piani territoriali, generali o settoriali; e piani urbanistici, generali o settoriali. Detti piani si caratterizzeranno con riferimento all'efficacia delle disposizioni, di incidenza strutturale, con validità a tempo indeterminato e di incidenza programmatica, operanti in archi temporali limitati.

La categoria del piano strutturale, e del piano operativo, suggerita dall'Inu, ha caratterizzato la nuova legislazione regionale ove proposta. Trattasi di differenziati strumenti di pianificazione, caratterizzati dalla diversa efficacia delle disposizioni. 

Nella proposta regionale campana, gli strumenti sono generali o settoriali, con disposizioni di diversa incidenza, compresenti nello strumento. 

Il testo si propone di confermare la validità del piano urbanistico comunale (Puc), di contenuto generale. Questa scelta é culturalmente impegnativa e da condividere, laddove il Puc si presenta tuttora come il fondamentale strumento di equità distributiva, solidarietà, sostenibilità multidimensionale (capitale sociale, capitale istituzionale, capitale fisico naturale, capitale finanziario), qualità paesistica-morfologica. 

La proposta di legge campana pone le condizioni affinché non si perpetui la formazione di aree bianche, attualmente conseguenti alla decadenza dei vincoli a contenuto espropriativo, attraverso la legittimazione della perequazione urbanistica (art. 12) e la disciplina del comparto (art. 33). Con tale disposizione si consolida il contenuto strutturale a tempo indeterminato del Puc, naturalmente generale.

Gli strumenti della pianificazione esecutiva configurano atti di pianificazione e non strumenti di pianificazione.

Si comprende di conseguenza la distinzione tra gli strumenti di pianificazione urbanistica e quelli propri alla pianificazione territoriale, di cui al Titolo II della proposta.

 

Attraverso la figura del piano territoriale regionale (Ptr), (art. 13) e delle linee guida della pianificazione territoriale di carattere subregionale, la regione si candida ad assumere il ruolo di attore significativo nella pianificazione di area vasta. 

In un contesto ampiamente caratterizzato dalla tesi del fare insieme nell'area vasta cose scarsamente significanti, in quanto manutentorie e non innovative, a me sembra che vada accolto con compiacimento l'imporsi all'attenzione di un attore significativo, sempre che l'attore riesca ad assolvere il ruolo dichiarato. 

Le difficoltà ad assolvere questo ruolo hanno in altre regioni condotto ad attribuire alla regione la responsabilità della formazione del quadro di riferimento territoriale per la programmazione, escludendosi l'impegno alla redazione del Ptr. Le difficoltà non vanno sottovalutate ed é illusorio ritenere che possa sostituirsi l'accuratezza della pianificazione territoriale paesistica sperimentata, redatta in taluni casi nella scala metrica1:5.000, con elaborati rappresentati nella scala metrica 1:200.000. Sono queste difficoltà di merito che hanno condotto in talune regioni (ad esempio Emilia Romagna, Lombardia) alla delega delle funzioni di pianificazione territoriale paesistica alle province. La scarsa efficacia del piano territoriale regionale paesistico emiliano ha reso necessaria questa ulteriore elaborazione.

Suscita perplessità il ricorso ad espressioni che hanno caratterizzato la legislazione regionale emanata nel corso degli anni ottanta, quali il dimensionamento ed i criteri cui ricondursi nella pianificazione provinciale. Il procedimento (art. 15) esprime fiducia nella meccanica di un'ingegneria istituzionale ampiamente sconfessata nell'esperienza trascorsa, in quanto priva di consapevolezza dei contenuti di ingegneria reale dei processi coinvolgenti l'uso del suolo. Nella nostra esperienza in Abruzzo, l'attesa per la formazione delle decisioni regionali ha bloccato per anni la definizione della pianificazione provinciale. 

Si é cercato nei recenti anni (leggi delle Regioni Toscana, Basilicata, Emilia) di sostituire alla meccanica del procedimento l'oggettività della valutazione, anche se relativa, fondata su informazione e su indicatori di stato e processo volti a costruire conoscenza. In un contesto diverso il percorso potrebbe approfondirsi. 

Non é da sottovalutare la grande difficoltà che i comuni riscontrano nel procedimento partecipatorio fondato sulla osservazione, la sua necessaria controdeduzione, condizione per l'approvazione. Che il procedimento possa dispiegarsi realisticamente nell'istruttoria del Ptr appare più esito di ottimismo della ragione, che di realismo amministrativo. Ciò tanto più se riferito ai caratteri salienti della nostra regione, tuttora caratterizzata da sostanziali squilibri nella distribuzione della popolazione, dei servizi alle imprese ed alle famiglie, dei fattori della produzione. Quanto evidenziato nel volume "Risorse e programmazione del cambiamento in Campania" (Clean, Napoli, 1992) non é di certo mutato e solo la persistente mancanza di integrazione tra saperi - amministrativo, programmatorio, tecnico progettuale - consente di non assumere i suddetti caratteri come sostegno dell'innovazione legislativa.

 

La pianificazione di area vasta trova nella pianificazione provinciale generale la sua principale modalità applicativa. La proposta tende ad integrare quanto già sancito nella legislazione nazionale, maturatasi nel corso degli anni novanta. In questo senso appaiono significativi i criteri di integrazione. 

Gli obiettivi annunciati (art. 18, comma 2) attribuiscono ruolo prioritario alla decodificazione dei caratteri territoriali. E ciò limita sostanzialmente il ruolo del piano provinciale. 

Trattasi infatti di una ipotesi interpretativa del contenuto del Ptc consolidatasi in specifiche condizioni storiche, laddove si é ritenuta scarsa la conoscenza dei caratteri del territorio, ed il programma sul futuro é stato dedotto dai caratteri dell'esistente (il mantenimento migliorativo). Non si valuta in questa ipotesi il fondamentale assunto della teoria del piano, nel cui ambito il ruolo di acquisizione di informazioni e di conoscenza andrebbe attribuito a strutture specifiche di qualificata validità scientifica, non avendo specifiche causali connessioni con i processi di decisione, essenza intima del piano. 

Sulla base di queste ipotesi si sono impegnate amministrazioni provinciali, pervenendo attraverso alcuni anni di impegno ad esiti noti agli addetti ai lavori. Costoro si domandano oggi che senso abbia promuovere piani territoriali di tal natura. Questo quesito mi si é presentato in tutta la sua evidenza nell'esperienza di formazione del progetto preliminare di piano territoriale della Provincia di Napoli e mi ha condotto ad escludere ulteriori impegni con la detta amministrazione. 

È da ritenersi riduttivo assumere quale contenuto primario del piano provinciale la formazione del Sit, sia per la relatività della fonte di informazione, condizionata dagli scopi per cui la si promuove e, quindi, dalle responsabilità assunte dal soggetto che la promuove; sia dall'evoluzione delle tecnologie informatiche, e di rilevazione e rappresentazione cartografica e statistica. La responsabilità del Sit andrebbe scissa da quella propria alla formazione del piano territoriale, alleggerendo di conseguenza l'elaborazione tecnica connessa alla formazione di questi strumenti, e l'elaborazione amministrativa necessaria alla loro formalizzazione. Ciò é ampiamente praticato nella pianificazione urbanistica, laddove gli elaborati investigativi e di sintesi configurano le condizioni per le scelte di piano, ma non configurano impegni assunti attraverso il piano. Va affermato quale criterio di pianificazione che il piano, anche territoriale generale, é progetto del futuro, di valorizzazione, infrastrutturazione, trasformazione, con le implicazioni molteplici che dall'affermazione conseguono.

 

 

 

Al Ptc si attribuiscono contenuti strutturali (art. 18, comma 5) e di programmazione attuativa (art. 18, comma 5) con riferimento alla verifica preventiva della fattibilità delle sue previsioni di intervento. 

La chiarezza dell'enunciato comporta specificazione del senso. I contenuti degli studi di fattibilità di cui alla legge 109/1994 rientrano tra le elaborazioni del Ptc, con riferimento alle molteplici verifiche di sostenibilità. Proprio per quanto evidenziato sulla opportunità di qualificare il Ptc come progetto, va colto con compiacimento questo assunto, che caratterizza la proposta di legge. 

Perplessità suscitano i criteri di dimensionamento, che il Ptc dovrebbe promuovere onde indirizzare la formazione dei piani urbanistici comunali. I piani redatti nel passato si sono caratterizzati per il dimensionamento, obbligatorio nella Lr urbanistica vigente, del fabbisogno residenziale. Ma l'evoluzione dei ruoli e dei bisogni conduce a ritenere riduttivo il fondare su questa componente il progetto del futuro. La nuova domanda da dimensionare dovrebbe vertere sui bisogni di spazi per la produzione di servizi terziari, per la produzione manifatturiera, per la produzione di attività connesse all'entertainment, tutti segmenti di domanda privi di fonti statistiche generali e condizionati dall'esplorazione da svolgere in sede comunale.

Rilevante é il riconoscimento al Ptc “di valore e portata di piano territoriale paesistico (Ptp)” (art. 18, comma 7). Questa figura di piano tuttavia non ha tuttora specificazione tecnica e sono disponibili differenziate modalità di specificazione. Il nostro Ptp della Basilicata tirrenica é profondamente diverso nei contenuti da quelli redatti in Campania. L'esigenza di specificazione di merito é già stata espressa nel corso della conferenza nazionale sul paesaggio e non ha tuttora avuto risposta. I problemi metodologici e tecnici che si pongono onde assolvere a tale valore e portata non sono da sottovalutare, dovendosi condividere l'interpretazione con gli organi decentrati delle amministrazioni centrali dello Stato. Le intese sul metodo andrebbero sancite in sede preventiva, prima della formazione dello schema di Ptc, onde fondare le intese nel merito su procedura già definita.

Il procedimento di formazione del Ptc (art. 20) si fonda su elaborazione dello schema; adozione da parte della giunta e non da parte del consiglio provinciale; pubblicazione e divulgazione; presentazione non condizionata di osservazioni; istruttoria e valutazione delle osservazioni; adozione del piano; trasmissione alla regione con verifica di compatibilità effettuata dall'assessorato competente in materia urbanistica; eventuali successive integrazioni dedotte da conferenza di servizi; loro ratifica da parte del consiglio provinciale; approvazione con delibera della giunta regionale e pubblicazione sul Burc.

Il procedimento appare laborioso. I piani urbanistici, per la laboriosità del procedimento istruttorio, hanno riscontrato perdita di credibilità. Come semplificare il procedimento istruttorio é tema centrale della riflessione amministrativa e progettuale. Il modello Milano si impone all'attenzione per la capacità di condurre ad approvazione in sei mesi i programmi integrati di intervento, con effetti positivi con riferimento alla competitività urbana. Non basta demonizzare; occorre riflettere sulle condizioni, anche procedimentali, che rendono scarsamente efficace la pianificazione territoriale ed urbanistica. La legge regionale, in conformità all'art. 20, comma 4 del DLgs 8 agosto 2000, n. 267, potrebbe sancire l'attribuzione dell'approvazione del Ptc alla provincia, evitando il sistema di controlli a cascata cui comunque si ispira la proposta, quanto meno con riferimento agli esiti delle intese faticosamente perseguite con le amministrazioni centrali e con i comuni, riservandosi la dichiarazione di compatibilità e sancendone le implicazioni sulla funzione di redistribuzione che la regione assolve attraverso la programmazione dello sviluppo locale.

 

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