Numero 3 - 2001

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Adriano Olivetti e l'esperienza del Canavese


Paola Marotta

a cura di:

Leonardo Di Mauro


Nel centenario della nascita di Adriano Olivetti, non poteva mancare una testimonianza ed una riflessione sul contributo che egli venne a dare negli anni ’50 all’idea ed alla pratica della pianificazione d’area vasta nel nostro paese. Paola Marotta, nella rubrica curata da Leonardo Di Mauro, ne ripercorre le tappe principali con riferimento all’attività dell’Istituto per il rinnovamento urbano e rurale costituito nel 1954 per riqualificare il territorio del Canavese gravitante intorno alle attività produttive insediate ad Ivrea

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1949 riprende la pubblicazione della rivista Urbanistica. La direzione è affidata ad Adriano Olivetti che, nel suo primo articolo, scrive: “l’attività urbanistica è in crisi dal momento in cui l’individualismo è in declino e il faticoso stabilirsi di un nuovo rapporto tra persona e comunità è lungi dall’essere concluso. L’urbanistica reclama la pianificazione; e può darsi una pianificazione democratica, cioè libera? Questo interrogativo dominerà implicitamente o esplicitamente il nostro lavoro. E’ soltanto, abbiamo detto, nella soluzione del rapporto individuo-collettività, più propriamente oggi indicato nella relazione persona-comunità, che è possibile anticipare la soluzione naturale. Tuttavia questa rimane affidata al progredire della sistematica ricerca scientifica, onde l’urbanistica, erigendosi finalmente a scienza positiva, vorrà garantirsi i necessari titoli di responsabilità e serietà”1.

Ridefinire il ruolo dell’urbanistica all’interno della complessa realtà configuratasi all’indomani della guerra, costituiva per Olivetti2 un obiettivo importante per l’attivazione di programmi e processi di riorganizzazione sociale. Nel pensiero di Olivetti, secondo quanto scrive Giuseppe Berta, “all’urbanista spettava di ricomporre i momenti della vita economica e sociale in un disegno unitario, ricercando una connessione organica tra privato e pubblico, tra residenza e luogo di lavoro, tra centri di produzione e centri di consumo, tra le sedi di istruzione e di formazione professionale e gli spazi demandati alla fruizione del tempo libero (…). Era la realizzazione piena dell’utopia di Lewis Mumford che delegava al piano il compito di saldare, in una prospettiva armoniosa e priva di soluzioni di continuità, l’intero arco entro cui si dipanavano le tappe della vita umana, dall’infanzia alla maturità, che l’urbanistica doveva rappresentare come un’ininterrotta educazione alla socialità e al recupero dei valori comunitari. L’urbanistica era il veicolo privilegiato per la valorizzazione di una prospettiva umanistica e universalistica che si realizzava mediante l’instaurazione di un ordine sociale risultante dall’accostamento e dalla concatenazione di tante microcellule della vita organizzata”3.

In questo contesto teorico si inseriscono in parte le proposte di Adriano Olivetti, ma è nelle operazioni da lui attivate e coordinate che si delineano con maggiore forza gli obiettivi del suo pensiero. 

 

 Figura 1 - Completamento della rete stradale previsto dal piano regolatore della Valle d’Aosta del 1934. Fonte: Il Piano Regolatore della Valle d’Aosta, Torino, 2001 

 

Già agli inizi degli anni trenta nei programmi di espansione e di trasformazione del territorio teorizzati da Adriano Olivetti, venivano delineate le intenzionalità di definire programmi su vasta scala. In effetti, il piano regolatore della Valle d’Aosta, coordinato appunto da Adriano Olivetti, definisce per la prima volta un piano esteso alla scala provinciale. Nella prefazione al piano di un nuovo quartiere a Ivrea4, redatto nel 1934 da Luigi Figini e Gino Pollini, in riferimento ai processi di trasformazione da definire nel piano, troviamo esplicitato il programma di Olivetti:

“1. Realizzare una densità-abitante al kmq intermedia fra la eccessiva densità tradizionale e la irrealizzabilità di una soluzione totale nel senso della casa individuale. Pertanto, pur prevedendo in regioni topograficamente adatte zone di case singole allo scopo di soddisfare una insopprimibile esigenza in questo senso, sarà fatto posto in larga misura a elementi d’abitazione adatti alla convivenza di 20-40 famiglie, provvisti di servizi comuni e orientati nel modo più razionale dal punto di vista sia dell’insolazione, sia della componente panoramica. Vasti giardini, orti, campi sportivi, saranno a disposizione di ogni singola unità e larghe zone verdi saranno realizzabili fra le unità stesse.

2. Una tale espansione richiede un’urbanizzazione di vaste zone agricole, talché il piano stesso deve prevedere nel suo complesso territoriale un’importante trasformazione agraria, di cui enunciamo i sommi capi:

a) trasformazione di vaste unità agricole in appoderamenti razionali da cedersi ai proprietari agricoli delle zone da espropriare;

b) trasformazione agraria della regione circostante, attualmente legata alla rotazione tradizionale, in unità agricole specializzate nella produzione di latte, frutta, verdura, abbandonando le colture di minor reddito e specializzandole quindi verso un’altra unità produttiva di generi consumati direttamente dalla popolazione operaia;

c) creazione di centri sperimentali agricoli capaci di organizzare e facilitare la trasformazione agraria sopra descritta. In questo nuovo piano il problema del decentramento industriale con le sue conseguenze tecniche e sociali sarà esaminato fino al raggiungimento di nuove soluzioni di equilibrio, realizzando una esemplificazione atta a suggerire la soluzione di problemi relativi alle zone industriali. Il piano così tracciato assume già l’importanza di un piano territoriale e può e deve inquadrarsi nel piano generale della Valle d’Aosta”5. 

Veniva in questo modo introdotta la questione della necessità di correlare le trasformazioni della città alle trasformazioni del territorio. Esigenza che è possibile ritrovare anche in altri piani degli anni trenta. In particolare, nel 1939, nel piano per Napoli di Luigi Piccinato veniva estesa all’intera area regionale la volontà di risoluzione delle problematiche interne alla città. Come afferma lo stesso Piccinato: “Un piano regolatore di Napoli che abbia, come il presente, come primo obiettivo una messa a punto di tutte le questioni, dalle più generali alle particolari, deve pertanto affrontare prima di ogni altro tema quello di un piano regionale, come quello che inquadra in sé e misura ogni altro problema urbanistico cittadino. Di un piano regionale cioè, nel quale le ragioni economiche, le questioni amministrative, quelle del grande traffico, quelle del turismo, quelle della conservazione del paesaggio e quelle delle comunicazioni siano studiate, proporzionate e risolte in un programma generale”6.

Ma il maggiore impegno di Olivetti si manifesta nell’immediato dopoguerra, in un momento in cui la consapevolezza dei danni causati dalla non pianificazione, caratterizzante il periodo post bellico, emergeva negli studi e nei dibattiti di quegli anni.

 

 Figura 2 - Planimetria del territorio di Ivrea. Fonte: Il Piano Regolatore della Valle d’Aosta, Torino, 2001

 

In un testo del 1951, Luigi Piccinato, proprio in riferimento ai processi di espansione e di ricostruzione, esprime una critica verso lo stato del territorio e degli strumenti pianificatori: “Fino ad oggi infatti le zone residenziali:

a) si sono sviluppate all’infuori di qualunque pianificazione seguendo i dettami dell’interesse immediato dei singoli e quello della speculazione;

b) si sono sviluppate seguendo un piano regolatore locale di dettaglio ma senza la guida di un piano generale della città il quale avrebbe potuto (sia pure nel quadro del solo interesse locale cittadino) intervenire per individuare zone adatte o diverse da quelle nelle quali praticamente si è realizzata la zona residenziale;

c) si sono sviluppate seguendo un piano regolatore generale sbagliato in quanto avulso appunto dal quadro della pianificazione regionale che avrebbe dettato norme ben diverse. Basta guardarsi attorno per rendersi conto della gravità delle conseguenze di ciò, quartieri interi a forma di lunghi infiniti sobborghi allineati lungo le arterie di traffico; gruppi di case distribuite inorganicamente in località nelle quali sono difficili o impossibili i servizi elementari cittadini (acqua, luce, gas, medico, scuole, ecc.); quartieri interi addossati e frammisti alle industrie; zone di turismo di villeggiatura soffocati da quartieri che distruggono o annullano l’efficienza delle spiagge, delle zone termali, caotici gruppi di abitazione senza regola distanziatissimi dai centri di lavoro ecc. (…). Ingrandire a macchia d’olio un villaggio esistente trasformandolo in una cittadina sarebbe un errore: logico invece strutturare la unità cittadina componendola con varie comunità una delle quali sarà rappresentata dal villaggio esistente il quale, in molti casi, assumerà nuova funzione e una nuova fisionomia nel nuovo quadro”7. Da cui la proposta: “Se si vuole raggiungere lo scopo di risollevare dai mali di una pessima urbanistica (anzi: da quelli dell’assenza totale di urbanistica) quale quella che ci angustia da più di un secolo, sia le città che le campagne che le montagne non vi è che un mezzo: razionalizzare le future attività industriali, agricole ed edilizie attraverso una ordinata distribuzione dei centri di produzione, di lavoro, di residenza; programmare una logica urbanizzazione del suolo attraverso nuove comunità organiche ben attrezzate ed economicamente efficienti”8.

 

 Figura 3 - Aerofotografia di Ivrea. Fonte: Il Piano Regolatore della Valle d’Aosta, Torino, 2001 

 

Un anno dopo, in occasione del discorso inaugurale del IV Congresso dell’Inu del 1952 - La pianificazione regionale - Adriano Olivetti evidenziando la necessità di integrare le scelte della pianificazione di quartiere con le scelte di pianificazione regionale, sottolineava come il ritardo della pianificazione regionale fosse imputabile sia al mancato coordinamento tra gli strumenti pianificatori e l’organizzazione economica, sia ad un’errata scala dimensionale della regione storica. “Nella situazione attuale disponiamo di taluni strumenti essenziali della pianificazione, ne abbiamo cioè completa padronanza tecnica: alludo all’unità residenziale autosufficiente, alla borgata rurale, al piano paesistico. Fino ad oggi questi strumenti sono stati però troppo spesso scarsamente o malamente usati attraverso parziali e dispendiosi tentativi di innestare iniziative nuove su vecchie e inadeguate strutture. L’inizio della pianificazione apre perciò nuove e grandi possibilità. Ma è d’uopo renderci conto delle difficoltà che ci attendono. 

 

 Figura 4 - Sezione stradale con il progetto di un nuovo quartiere ad Ivrea. Fonte: Il Piano Regolatore della Valle d’Aosta, Torino, 2001

 

Non basterà infatti - ai fini di una certa politica sociale ed economica - che il piano regionale sia elaborato ed assuma forma giuridica. Occorrerà che esso sia integrato di taluni elementi di espressione e di attuazione urbanistica che sono, abbiamo detto, i quartieri residenziali, i piani particolari. Sono noti gli ostacoli gravissimi che si frappongono alla realizzazione di questi elementi organizzati del dispositivo d’intervento: disponibilità o accessibilità delle aree più razionabili, organizzazione delle attrezzature economiche e dei servizi sociali e culturali, finanziamento delle opere igieniche stradali e delle altre sussidiarie. In particolare, una condizione essenziale di progresso risiede nel coordinamento armonico tra il dispositivo urbanistico e le fonti di vita economica. Quest’indispensabile coordinamento è invece considerato ancor oggi come fattore secondario. Prima procedono le industrie a costruire o ingrandire fabbriche senza una visione precisa delle conseguenze urbanistiche delle loro attività; poi, sotto la pressione del disordine sociale, si cercano rimedi quando le soluzioni organiche sono ormai divenute impossibili (…). Non sarà mai inutile ripetere che il piano regionale va inteso come piano territoriale di coordinamento. Come tale, il piano regionale è indispensabile per porre in evidenza i problemi d’insieme. La soluzione atta a divenire esecutiva di complessi edilizi rispondenti alla coscienza sociale dei nuovi tempi ed alle esigenze produttive dell’industria, dell’agricoltura, di un turismo seriamente inteso, suscita problemi ravvicinati di collegamento, postulando infine una scala dimensionale più ristretta della regione storica. La regione ha la giusta dimensione per prospettare in un quadro sintetico i molti e diversi problemi sociali, economici e territoriali che si pongono nel nostro paese, ma la definizione esecutiva del piano richiede pertanto questa limitazione organica”9.

Oltre al tema del ruolo e della necessità della pianificazione regionale, nelle intenzioni politico-urbanistiche di Adriano Olivetti vi era, dunque, la convinzione che la soluzione ai problemi della società italiana all’indomani della seconda guerra mondiale, poteva essere la realizzazione di un piano in cui le componenti economiche fossero strettamente connesse e relazionate alle componenti territoriali: “Il piano organico cui guardava Olivetti era il prodotto di un coerente raccordo tra le trasformazioni economiche e la loro dislocazione sul territorio, dell’interazione tra sviluppo economico e riassetto delle risorse ambientali: esso era in una parola la risultante della fusione di economia e urbanistica (…). Ma l’istanza della fusione delle due discipline celava in realtà il primato dell’urbanistica, come scienza chiamata a dare forma organizzata alla progettualità dei disegni di trasformazione sociale (…). Ciò esplicitava il principio, che avrebbe naturalmente trovato applicazione nella società canavesana, secondo cui l’analisi economica doveva rappresentare l’atto preliminare della politica di piano e indicare ad essa le coordinate di sviluppo da seguire, ma il momento gestionale della pianificazione doveva essere demandato agli urbanisti”10.

 

 Figura 5 - Stralcio planimetrico di Ivrea. Fonte: Urbanistica n. 33, 1961

 

Inoltre, secondo Olivetti, per evitare che la pianificazione stessa finisse col favorire un’azione centralistica e autoritaria da parte della struttura statale, occorreva attivare processi di riorganizzazione territoriale legati alla definizione di programmi economici: “Difficile dire in quali anni, lungo il decennio tra il ’40 e il ’50, Olivetti abbia sviluppato in direzione risolutamente antistatalista le sue teorie sulla pianificazione (…). Subito dopo la liberazione, Olivetti aveva sperato in una rifondazione su basi totalmente decentrate e regionaliste dello Stato, in parallelo con una definizione delle sue funzioni nella sfera della pianificazione: quando vide disattesa questa speranza, dovette convincersi che ben poco spazio andava lasciato allo stato nella promozione dell’attività economica”11.

 

 Figura 6 - Schema di ipotetico sviluppo industriale e residenziale del Canavese. Fonte: Urbanistica n. 33, 1961

 

Il programma di studi per l’area del Canavese costituisce l’occasione per attuare le idee e le convinzioni che Olivetti sosteneva potessero trasformare in modo organico il territorio. In effetti, nel programma per il Canavese è possibile individuare l’applicazione delle teorie urbanistiche più significative di Olivetti. Osserva Bruno Caizzi: “Senza essere contrastato da mille resistenze, senza doversi estenuare nelle anticamere dei ministeri alla ricerca di compromessi amministrativi e di accondiscendenze burocratiche, (Adriano Olivetti) poté studiare un piano urbanistico meno esteso di quello della Valle d’Aosta, rimasto sulla carta, ma più puntuale e nella sua parte fondamentale, attuato. Ivrea col suo territorio intorno offriva un tema assai impegnativo e allettante di piano regolatore: una città nuova da armonizzare col vecchio centro faticosamente articolato fra fiume e colle, una grande industria in espansione, una popolazione operaia che in larga misura si sposta quotidianamente verso il capoluogo dai paesi minori del Canavese, una persistente complementarità fra l’economia industriale della città e quella prevalentemente agricola del contado”12.

Nel 1952 il Comune di Ivrea, appoggiato dai finanziamenti della società Olivetti, decise di far redigere il piano regolatore generale della città.

L’incarico fu affidato ad un gruppo di tecnici, il Gtcuc – gruppo tecnico per il coordinamento urbanistico del Canavese - composto dagli architetti Quaroni, Renacco, Fiocchi e dall’ingegnere Ranieri. Il gruppo lavorò in collaborazione con l’autorità comunale di Ivrea e con una squadra di consulenti specializzati in statistica, geografia antropica, economia agraria, economia generale, pedagogia e igiene mentale. Il piano assunse le forme di un piano intercomunale col fine di analizzare, valutare e programmare l’influenza economica e sociale che la città esercitava sul suo circondario. 

In sette punti vennero individuate le proposte e le linee direttrici del piano:

“1. Il concetto di espansione di Ivrea a grappolo, al fine di mantenere nella crescita della città il maggior perimetro di contatto con il verde circostante.

2. L’idea di una città federazione di unità residenziali, capace di soddisfare i desideri di ciascuno dei suoi componenti e più ancora quelli delle loro associazioni.

3. La previsione di una anulare interna che dia maggior vita al punto ambientalmente più interessante della città e del nuovo ponte sul fiume che offra la possibilità di comunicazione nel senso più stretto della parola e nel suo più ampio significato di contatto umano stabilisca anche formalmente un tentativo di unione tra la città vecchia e quella nuova.

4. La previsione di quartieri residenziali adatti a soddisfare una sentita esigenza di vita associata integrati da sufficienti attività complementari che escludano il materializzarsi di uno zoning di classe.

5. L’oculato risanamento del vecchio centro che, salvaguardando l’aspetto generale della zona ed il suo caratteristico impianto urbanistico, sarà verificato con l’inserimento di ampie attrezzature a servizio di tutta la città e dei comuni limitrofi onde allontanare il pericolo di trasformare questa zona storica un pezzo da museo archeologico.

6. L’espansione industriale che avverrà non in modo intensivo tale da formare compatti monoblocchi ma in modo estensivo e discontinuo separando le officine con spazi liberi, agricoli, che ne assicurino un certo respiro ed un senso di libertà, creando così un quadro ambientale sano, vivace e più gradevole, tale da influire positivamente sulla psicologia di chi lavora.

7. L’ordinamento della rete delle grandi comunicazioni che, senza intaccare le zone di naturale sviluppo della città, sia sufficientemente prossima al complesso urbano, onde riversare in questo i benefici dell’importante traffico turistico che i programmi in atto favoriranno sempre di più”13.

 

 Figura 7 - Progetto di una scuola nel quartiere di nuova costruzione ad Ivrea. Progetto di L. Quaroni e A. De Carlo. Fonte: Tafuri M. (1964), Ludovico Quaroni e lo sviluppo dell’architettura moderna in Italia, Milano

 

All’interno del programma per l’area del Canavese, due sono le questioni in cui si rispecchia fortemente l’ideologia e la metodologia proposta da Adriano Olivetti: l’importanza della interdisciplinarità nella fase di analisi e la dimensione dell’area di intervento. Nel discorso tenuto nel 1956 al VI Congresso Inu - Piani intercomunali e piani comunali - Adriano Olivetti dirà: “Nella maggior parte delle nostre regioni, con l’eccellenza di quelle minori che comprendono soltanto una o due province, né i confini delle regioni stesse, né le unità amministrative locali, le province in cui sono divise si basano su fatti economici, storici e culturali omogenei e unitari. Risultato: l’assenza di una vera e feconda, vitale iniziativa entro l’area locale, onde una dispersione di interessi e una confusione nello sforzo (…). L’uomo non può più operare da solo in tutti i campi. La concreta, nuova definizione delle aree subregionali - un tracciamento scientifico di queste aree e l’instaurazione di una nuova volontà amministrativa e culturale - è uno degli essenziali compiti, preliminari alla creazione di una civiltà cooperativa ed assistenziale. Poiché, ci ricorda un sociologo illuminato, il Mumford, come l’uomo non può avere rapporti fecondi col mondo circostante finché non possiede un’intima e ferma personalità, così una comunità non può impegnarsi nei necessari scambi e rapporti con altre comunità finché non ha una vita completa su basi indipendenti e solide. Questo significa che la ricostruzione culturale nell’ambito della regione è una parte essenziale del compito politico ed amministrativo. I nostri piani più razionali devono rispettare l’urgenza emotiva delle finalità, dei desideri, dei bisogni umani; il meccanismo più perfetto resta immoto finché i suoi organi non vengano azionati da questi mezzi”14.

In effetti nella relazione al piano, lo stesso Nello Renacco spiegava come: “Tutti gli aspetti della vita si ritrovano in una collettività urbana. Perciò tutte le discipline che in qualche modo si riferiscono all’uomo e al suo ambiente, dovrebbero collaborare con l’urbanistica nello studio di una pianificazione urbana e ancor più nelle pianificazioni di portata più vasta. Nell’équipe di Ivrea si è cercato di avere la collaborazione di quelle scienze che sembravano fondamentali: la geografia, in quanto studio dell’ambiente, e pensando naturalmente alla geografia umana e ai settori di questa che più si interessano al significato dinamico dei dati geografici; l’economia, come studio delle possibilità produttive della collettività, ed anche delle sue possibilità di consumo; l’agraria data la particolare importanza dell’economia agricola nella zona; la statistica come moderno strumento di indagine dei fenomeni collettivi; infine, quelle che più tradizionalmente sono chiamate scienze umane: la storia, la pedagogia, la psicologia, la sociologia. In quest’ultima, che ha per suo oggetto lo studio delle società umane nel loro insieme, sembrerebbero assorbite tutte le altre ricerche, come altrettanti capitoli particolari di un’opera generale. E non è ben chiaro se l’urbanistica debba essere anch’essa un capitolo. È posto così il problema dei rapporti tra le diverse discipline all’interno dell’équipe. Il problema non si presenta facile, per l’incerta definizione dei campi di studio di alcune discipline. La soluzione dovrebbe essere cercata in una cooperazione di tutte, piuttosto che in una subordinazione di alcune ad altre. O, meglio, nella subordinazione di tutte, alla pari, ad una scienza della pianificazione, che non coincida più con nessuna disciplina specializzata, ma che abbia per sua specialità esclusiva lo studio delle interrelazioni: che tragga dalle scienze specializzate i suoi dati, relativi all’ambiente o alla produzione o alla struttura sociale o ad altro, e che rinvii alla scienze specializzate per i provvedimenti tecnici necessari ad intervenire nelle situazioni (…). Data la complessa struttura delle città moderne, e dato ciò che oggi si chiede alla pianificazione, l’urbanista non può essere una sola persona a meno di non farne un autocrate. Se l’urbanista è chi fa il piano, l’urbanista coincide con l’intera èquipe”15.

La fase di analisi fu così strutturata: “Per 48 comuni, attenendosi a uno schema preordinato che i fatti modificavano (e curando all’estremo la storicizzazione dei dati) con la propria evidenza, vennero stese 48 monografie che contenevano: dati fisici, dati economici, dati edili, dati urbanistici, dati sociologici, ecc. praticamente dalle coerenze alle condizioni delle strade; dalle caratteristiche atmosferiche alle colture e divisioni delle proprietà; dalla situazione religiosa a quella politica; dalle professioni alle età della popolazione; dalle caratteristiche dei nuclei familiari alla frequentazione e condizione delle scuole, asili; dai bilanci comunali al numero di lettere, cartoline, di telegrammi, di telefonate in arrivo o in partenza; dalla demografia alle emigrazioni e immigrazioni; dalla partecipazione alla lotta partigiana, alla presenza o meno di oratori, sale da ballo, cinema, ecc., nulla venne trascurato. Di tutto si cercò di dar ragione, indicando anche quali rapporti si desumevano, dai dati e dagli incontri con la popolazione, tra il comune in esame e la città di Ivrea”16.

 

 Figura 8 - Grafico indicante l’andamento della popolazione nel Canavese. Fonte: Urbanistica n. 33, 1961

 

Nel 1952 Olivetti affermava: “Un piano regionale - esteso cioè al territorio di una regione storica - non può coordinare l’economia edilizia. Esso si presta invece assai bene a predisporre la rete delle comunicazioni stradali, autostradali, ferroviarie e a porre taluni problemi di insieme. Ma la soluzione atta a diventare esecutiva di complessi edilizi rispondenti alla coscienza dei nuovi tempi e alle esigenze umane e sociali dell’industria, dell’agricoltura, ai problemi di un nuovo turismo seriamente inteso, investe problemi ravvicinati di coordinamento e problemi tecnico-organizzativi che solo un’autorità nuova, dotata di vasti e congeniali poteri, potrà realizzare con successo ed adeguatezza”17.

Questa tematica fu appunto ripresa negli studi per il Canavese per la definizione dell’area di intervento. Nella relazione, Renacco sosteneva appunto: “La regione individuata intorno a Ivrea, che si è convenuto chiamare eporediese, rappresenta una subregione del Canavese che a sua volta per lunga tradizione storica costituisce una subregione del Piemonte. L’eporediese o comprensorio di Ivrea, rappresenta dunque l’unità territoriale minima a cui possa applicarsi un piano regionale che abbia per centro Ivrea. La sua definizione solleva l’esigenza di una pianificazione urbanistica subregionale. La legge urbanistica, come è noto, prevede tre livelli di pianificazione: i piani comunali, i piani intercomunali e i piani territoriali di coordinamento, il cui campo di applicazione non è ulteriormente definito. Di fatto, nella pratica riconosciuta dal Ministero dei lavori pubblici i piani territoriali sono stati interpretati come piani regionali identificando i territori di loro competenza con quelle regioni in cui, per lunga tradizione, si è abituati a ripartire il territorio nazionale e che hanno, per certo una realtà storica e sociale ma non hanno una precisa figura giuridica. Crediamo che gli studi condotti a Ivrea, in questo campo, valgano a mostrare l’opportunità di prendere in considerazione i piani subregionali, intermedi tra quelli comunali e quelli regionali. Si intende che non bisogna fermarsi a questo: i piani subregionali, o comprensoriali, saranno a loro volta nuclei di piani intercomprensoriali; ed infine di piani regionali”18.

Intanto, nel 1954 venne costituito l’Istituto per il rinnovamento urbano e rurale (I-Rur) del Canavese, il cui obiettivo era l’orientamento dello sviluppo e del riequilibrio delle aree in cui l’espansione della Olivetti gravitava. Come osserva Giuseppe Berta: “Con la costituzione dell’I-Rur del Canavese nel 1954, Olivetti aveva sperato di fornire un’esemplificazione pratica di ciò che intendeva per pianificazione decentrata basata sull’integrazione di industria e agricoltura, e di offrire una soluzione organizzata che fosse trasferibile anche in realtà sociali assai difformi dalla situazione canavesana. L’I-Rur può a giusto titolo essere considerato come punto d’approdo nella storia dell’impegno olivettiano per una gestione razionale del territorio, un impegno che aveva avuto inizio con l’elaborazione del piano regolatore della Valle d’Aosta nel 1937 e aveva trovato slancio negli anni cinquanta col problema della redazione del piano regolatore di Ivrea”19. L’aspetto più innovativo è costituito senz’altro da una applicazione dell’ideologia di Olivetti che vedeva in una riorganizzazione dei confini amministrativi, definita dal piano, la possibilità di realizzazione del piano stesso. Olivetti intendeva l’istituzione dell’I-Rur, ente tecnico-finanziario, come “atto a realizzare questi strumenti di lavoro della pianificazione urbanistica per rendere la formazione di un piano e la sua esecuzione un processo unitario continuo”20.

In effetti, nello statuto dell’I-Rur si legge: “Art. 3. L’I-Rur si propone:

a) di studiare ed effettuare programmi su base comunale ed intercomunale, intesi a migliorare le condizioni sociali ed economiche del Canavese, lo standard di vita ed il livello culturale della popolazione, in vista soprattutto di dare un contributo al problema del pieno impiego della mano d’opera;

b) di promuovere, creare o sviluppare l’organizzazione tecnica necessaria all’esecuzione dei piani di cui alla precedente lettera a); di promuovere, creare o sviluppare ed eventualmente gestire concrete attività artigiane, industriali od agricole, ed assumere partecipazione ad attività artigiane, industriali od agricole ed in genere a qualunque attività economica, sempre nell’ambito ed agli scopi di cui alla precedente lettera a);

c) di coordinare e controllare gli organismi di cui alla lettera b);

d) di porre a disposizione la sua organizzazione ed attività per la più celere esecuzione di tutti i piani di interesse sociale che verranno formulati dalle amministrazioni comunali del Canavese, anche svolgendo per le medesime amministrazioni una consulenza sociale ed economica;

e) di assumere tutte le funzioni che gli possono essere delegate da enti pubblici centrali o locali, nell’ambito dei suoi scopi statuari;

f) di aderire, associarsi o federarsi ad istituti che si pongano sul piano provinciale, regionale, nazionale o internazionale scopi analoghi a quello dell’I-Rur”21

Nel 1955 il consiglio comunale respinse il piano. Un anno dopo, venne approvato un piano ispirato agli stessi criteri di quello respinto di cui fu utilizzato solo il materiale di indagine.

 Figura 9 - Schema andamento della popolazione dei 48 comuni nel Canavese: i cerchi pieni indicano la crescita della popolazione; i cerchi vuoti indicano la decrescita. Fonte: Urbanistica n. 33, 1961

 

 Figura 10 - Ambiente di lavoro nello stabilimento “Olivetti” di Pozzuoli

 

 

 

 

Note

1 Olivetti A.(1949), Riprendendo il cammino, in Urbanistica, n. 1, p. 2.

2 Al riguardo si confronti il testo di Rossano Astarita (2000), Gli architetti di Olivetti. Una storia di committenza industriale, Milano.

3 Berta G.(1980), Le idee al potere. Adriano Olivetti tra la fabbrica e la Comunità, Ivrea, p. 144.

4 Il piano per un nuovo quartiere per Ivrea costituiva una parte integrante del piano per la Valle d’Aosta. Il territorio del circondario di Ivrea fu restituito alla provincia di Torino in occasione della costituzione della Regione autonoma della Valle d’Aosta nel febbraio del 1948.

5 Olivetti A.(1934), Prefazione al Piano di un quartiere nuovo a Ivrea, Ivrea. Edizione consultata: Il Piano Regolatore della Valle d’Aosta, Torino, 2001, p. 225.

6 Piccinato L. (1976), Relazione al Piano Regolatore della città di Napoli, in Urbanistica, n. 65, 1976, p. 7.

7 Piccinato L. (1951), Pianificazione regionale, in Malusardi F.(1993), Luigi Piccinato e l’urbanistica moderna, Roma, p. 211.

8 Ivi, p. 217.

9 Olivetti A. (1952), Discorso inaugurale al IV Congresso INU, in Urbanistica, n. 10/11, p. 1.

10 Berta G. (1980), Le idee al potere. Adriano Olivetti tra la fabbrica e la Comunità, Ivrea, p. 39.

11 Ivi, p. 128.

12 Caizzi B.(1962), Camillo e Adriano Olivetti, Torino, p. 293.

13 Renacco N. (1955), Il Piano Regolatore Generale di Ivrea, in Urbanistica, n. 15/16, p. 192.

14 Olivetti A. (1956), Urbanistica e libertà locali, in “Comunità” n. 44, consultato in Fabbri M., Greco A., Menozzi L., Valeriani E. (1986), (a cura di), Architettura urbanistica in Italia nel dopoguerra, Roma, p. 44.

15 Renacco N. (1955), Il Piano Regolatore Generale di Ivrea, in Urbanistica, n. 15/16, p. 190.

16 Carlo Doglio, direttore della fase di analisi in Caizzi B. (1962), Camillo e Adriano Olivetti, Torino, p. 294.

17 Olivetti A. (1952), Condizioni per il progresso dell’urbanistica italiana, in Urbanistica, n. 9, p. 2.

18 Renacco N. (1955), Il Piano Regolatore Generale di Ivrea, in Urbanistica, n. 15/16, p. 193.

19 Berta G. (1980), Le idee al potere. Adriano Olivetti tra la fabbrica e la Comunità, Ivrea, p.162.

20 Olivetti A. (1952), Condizioni per il progresso dell’urbanistica italiana, in Urbanistica, n. 9, p. 3.

21 Statuto dell’Istituto per il rinnovamento urbano e rurale nel Canavese in Berta G. (1980), Le idee al potere. Adriano Olivetti tra la fabbrica e la Comunità, Ivrea, p.260.

 

 

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