Numero 12/13 - 2006

 

Giovanni Campo  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giovanni Campo, senatore della Repubblica e illustre urbanista. Un ricordo


Giuseppe Dato


 

Giovanni Campo è venuto improvvisamente a mancare nell'aprile del 2006, nel pieno dell'attività scientifica e professionale e della mai sopita militanza politica. Recentemente aveva iniziato la sua collaborazione, impegnata come sempre e di autorevole profilo culturale, con areAVasta che ha pubblicato articoli a sua firma e dei suoi più stretti collaboratori. Giuseppe Dato ricorda l'uomo, l'amico e il docente di tecnica e pianificazione urbanistica nell'Università di Catania

 

 

Il 4 aprile scorso è venuto a mancare Giovanni Campo, professore ordinario di Tecnica e pianificazione urbanistica nell’Università di Catania.

Quali parole impiegare per ricordarlo? Non saranno mai giuste e appropriate come vorrei.

Ho conosciuto Giovanni nel 1974, quando da assistenti ordinari iniziavamo la nostra carriera accademica presso la Facoltà d’Ingegneria dell’Ateneo di Catania; eravamo usciti dalle aule universitarie in un periodo della storia del nostro paese attraversato da forti tensioni sociali, da profondi cambiamenti e da calamità naturali (il terremoto del Belice). Questi eventi avevano segnato molto il nostro modo di intendere la ricerca scientifica e il nostro stare nell’istituzione universitaria; ci accomunava una comune convinzione: gli studi sulla città e il territorio, in particolare quello siciliano, non avrebbero avuto senso, non sarebbero serviti se non venivano alimentati da una profonda riflessione sulla natura del nostro sistema insediativo comunque determinato dalla struttura sociale esistente e dalla partecipazione diretta ai problemi quotidiani della gente comune. Così, mentre iniziavamo le nostre prime riflessioni sugli squilibri urbani e territoriali in Sicilia, ci capitava spesso di partecipare insieme a riunioni organizzate da comitati di quartiere che negli anni ’70, a Catania, sorgevano spontanei, al di fuori delle logiche dei partiti, per rivendicare il diritto alla casa e ad una condizione urbana migliore. Ci trovavamo di fronte ad un fenomeno sicuramente non nuovo nella storia urbana, quello dell’abusivismo edilizio, ma che in quegli anni cominciava a radicarsi come costume sociale diffuso, prima come risposta ad un bisogno primario per i ceti sociali più poveri e poi come casa di villeggiatura per i ceti sociali più abbienti.

A fronte di una così palese violazione delle regole d’uso del territorio, su cui si è sempre fondata la disciplina urbanistica, il nostro sapere appariva debole e gli strumenti di controllo della legislazione urbanistica vigente alquanto inattuali. Da questa presa di coscienza iniziammo itinerari di ricerca che pur avendo oggetti di studio differenziati – dalla marginalità urbana storica e attuale al degrado urbano e territoriale – correvano paralleli e spesso si nutrivano di scambi e punti di vista anche diversi, come è normale che avvenga fra persone che vogliano costituirsi in comunità scientifica.

Una prima riposta alle problematiche suscitate dall’abusivismo edilizio e urbanistico Giovanni la intese dare con il testo “Norme per la pianificazione urbanistica in Sicilia”. Questo lavoro, del 1979 e ampliato con una seconda edizione nel 1981, commenta puntualmente la LrS 27.12.1978, n. 71 e con certosina pazienza raccoglie in sintesi sistematica leggi, decreti e circolari. Esso, ponendo l’accento sulla complessità del pianificare, in Sicilia in particolare, si rivolgeva alle Amministrazioni pubbliche e soprattutto ai singoli cittadini, e a questo Giovanni teneva molto, perché potessero meglio comprendere i propri doveri e i propri diritti in tema di servizi sociali (casa, scuola, attrezzature sanitarie, ecc.). Era un suo dichiarato auspicio che tali diritti divenissero oggetto di riflessione quotidiana da parte dei Consigli di quartiere.

Accanto al tema dell’abusivismo edilizio, per il quale ha proposto intelligenti soluzioni sia che esso si manifestasse nei nostri centri storici, sia che fosse componente costitutiva delle nuove periferie urbane, Giovanni Campo ha declinato un interesse specifico verso la nozione di rischio delle nostre città e del nostro territorio con particolare riguardo a quello sismico.

 

 

 

Egli, nel solco di confronti già avviati dal 1971 con urbanisti, sismologi e scienziati delle costruzioni (Vincenzo Cabianca, Alfred Rittmann, Marcello Carapezza, Giuffrè, Grandori, Petrini, Gavarini) e delle ricerche promosse negli anni ’80 dal CNRG.N.D.T. (Gruppo Nazionale di Difesa dai Terremoti) fonda un metodo sperimentale di costruzione di scenari di vulnerabilità in casi concreti di città e insediamenti della Sicilia orientale con un costante riferimento alla pianificazione urbanistica. Ma la ricerca scientifica per Giovanni non poteva separarsi dall’impegno civile: nel 1988 è tra i fondatori del Cispa (Centro d’iniziative e studi per la prevenzione antisismica) e negli anni successivi, nel ruolo di vice-presidente della sezione regionale dell’Inu, lo vediamo pazientemente proporre leggi regionali di prevenzione antisismica nelle zone della Sicilia più pericolose per la presenza di depositi di sostanze tossiche, urticanti, esplosive, ecc.

Era una sua capacità specifica quella di spaziare su problematiche diverse – dalla politica dei trasporti, alla difesa idrogeologica e alla tutela paesistica del territorio – che puntualmente ha restituito come servizio alla collettività nel suo ruolo di componente della Commissione per i centri storici di Ragusa Ibla e di Ragusa Superiore; di consulente dell’Assessorato regionale dei beni culturali, ambientali e della Pubblica istruzione per la redazione delle Linee guida del piano territoriale paesistico siciliano e per l’approvazione dei piani territoriali paesistici delle isole minori (Egadi ed Eolie); di componente del comitato tecnico-scientifico presso l’Assessorato regionale del territorio e dell’ambiente per la redazione del piano territoriale urbanistico della Regione Sicilia; di componente di diritto del Consiglio superiore dei lavori pubblici; di consulente della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Catania per la redazione del piano paesaggistico della Provincia di Catania.

Giovanni Campo ha prodotto innumerevoli saggi e articoli su riviste scientifiche nazionali e anche su quotidiani e riviste locali (“Città d’Utopia”). In tutti emerge il suo costante riferimento ai diritti garantiti dalla Costituzione Repubblicana, il suo collocarsi sempre dalla parte dei più deboli e dei più sfortunati con iniziative di alto spessore e significato: con il dialogo diretto con i soggetti portatori di quel disagio sociale che la crescita della città, asservita alla sola logica del mercato, rendeva evidente e insopportabile; con i disegni di legge che ha istruito nel ruolo di Senatore nella XII legislatura.

Durante il suo mandato parlamentare, oltre ad aver promosso la formazione delle Facoltà di Architettura di Siracusa e Agrigento, ha presentato ben due disegni di legge (rispettivamente Atti Senato 1071/1994 e 2049/95). Il primo, prendendo spunto dall’ennesimo condono per gli abusi edilizi-urbanistici commessi, proponeva di destinare i proventi ottenuti non soltanto a miglioramenti antisismici ma anche a misure per il risanamento delle strutture urbane e territoriali. Il secondo, contenente una “Disciplina-quadro del riordino del territorio a fini di sviluppo economico compatibile con i principi della salvaguardia del paesaggio, dell’ambiente, del patrimonio archeologico, storico, architettonico, urbanistico, nonché della tutela della salute, della sicurezza e dell’incolumità pubbliche” aveva lo scopo dichiarato di riproporre una riforma urbanistica complessiva al fine, fra l’altro, di unificare le varie tipologie settoriali di pianificazione urbanistica in un unico piano regolatore del territorio capace di “contemperare le esigenze private di sviluppo, con le esigenze pubbliche di fruizione di elementi territoriali considerati beni primari per la vita (l’acqua, l’aria, il suolo)” e perciò beni d’uso. Voglio augurarmi che nella prossima legislatura qualche parlamentare ne sappia cogliere lo spirito innovativo e di rottura con le tradizionali leggi urbanistiche prevalentemente attente alle questioni dello ius aedificandi e lo voglia riproporre soprattutto per quegli aspetti che riguardano la prevenzione dei rischi ambientali per la quale Giovanni si è battuto anche a New York nella sede delle Nazioni Unite nei lavori preparatori della Conferenza mondiale Habitat II sugli insediamenti umani.

I temi della sicurezza preventiva nella progettazione di riordino di città e territori e di partecipazione democratica alla pianificazione urbanistica e territoriale sono ben compendiati nei suoi due volumi del 2000 “Città e territori a rischio. Analisi e piani di prevenzione civile” e “Strutture urbane e territoriali”.

Giovanni amava molto la Sicilia, che, come Leonardo Sciascia, assumeva a metafora del mondo; ne soffriva nel vederla oggetto di mercificazione e di degrado ambientale sempre più incontrollabile. Nella sua ultima fatica, “Anabasi di Sicilia. Dalla foce alle sorgenti di fiumi ormai senz’acqua” (2004) ci ha lasciato una prima parte di un disegno più vasto e molto suggestivo che attraverso la risalita metaforica di molti fiumi siciliani vuole riprendere le fila di un discorso democratico, partendo da una presa di coscienza dell’identità locale dei piccoli centri interni e riscoprendo i valori della solidarietà sociale, necessari per costruire reti ecologico-politiche contro la globalizzazione dilagante. Dalle note struggenti sui paesi del Belice, che “rischiano di essere distrutti dallo sviluppo e dal globale che avanzano e desertificano inquietanti più che il terremoto” emerge la passione dello studioso e dell’intellettuale che, memore di eventi vissuti in prima persona e che avevano motivato la scelta di un mestiere difficile, quello del pianificatore, non si stanca di porre quesiti apparentemente semplici ma di cui partecipa agli altri la complessità di implicazione sociale e istituzionale: una collettività, si chiedeva, non deve pensare alla protezione civile in caso di calamità naturali? L’acqua, i fiumi, le coste, il paesaggio non dovrebbero essere beni collettivi? Nella pianificazione della città del futuro non è più giusto dare voce ad una pluralità di soggetti, quali gli anziani, gli immigrati, i bambini i cui punti di vista sono spesso sottorappresentati?

Questi e molti altri pensieri si trovano negli scritti di Giovanni, la cui profondità e onestà intellettuale rimando all’attenzione degli studenti che continueranno a frequentare le aule universitarie o che avranno modo comunque di conoscerlo. Ai giovani ricercatori Giovanni ha dedicato tempo ed energie con spirito di dedizione e soprattutto con una grande capacità comunicativa che rendeva l’uomo particolarmente simpatico e amabile anche per l’ironia e il distacco dalle vicende umane meno nobili. La comunità scientifica nazionale non cesserà di ricordarlo; io lo ricordo come amico sincero e uomo buono.

 

 

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