Numero 12/13 - 2006

 

La pianificazione regionale  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La fase recente della pianificazione territoriale regionale


Anna Mesolella


 

Il ruolo e le responsabilità della pianificazione territoriale e dei soggetti ad essa preposti si ampliano e dilatano in forme sempre più complesse. Anna Mesolella, impegnata nel progetto Sphera, ritiene che i riferimenti conoscitivi, la costruzione di sfondi di riferimento multidisciplinari condivisi, l'approccio dinamico all'analisi dei contenuti territoriali, la costruzione di una visione di territorio come base conoscitiva del progetto di piano, costituiscano basi fondamentali su cui poggiare l'iniziativa regionale in tema di organizzazione del territorio

 

 

Da circa un decennio si è verificata in Italia una fase di ripresa della pianificazione territoriale regionale, un processo concomitante con l’acquisizione di un ruolo maggiormente significativo delle regioni sia nell’ambito delle politiche comunitarie (alla ricerca di efficacia attraverso una loro maggiore territorializzazione), che nell’ambito dei processi di decentramento istituzionale e di riforma del Titolo V della nostra Costituzione.

I piani territoriali redatti in Italia negli ultimi anni tentano di promuovere una evoluzione rispetto alle passate esperienze, prevalentemente poco operative e piuttosto retoriche, enunciazione di proposte generali o di indirizzo per strumenti da redigersi in tempi successivi, sebbene sorrette da studi anche di notevole consistenza. L’odierna fase di sperimentazione non è facilmente interpretabile per la diversità dei processi a cui dà luogo nelle varie regioni, diversità che, del resto, si riflette anche nelle differenti denominazioni che lo strumento di pianificazione territoriale regionale ha acquisito nelle recenti leggi regionali. Fra l’altro i testi legislativi distinguono fra piani (piano territoriale regionale, generale o di coordinamento o piano di indirizzo territoriale o piano urbanistico territoriale) e quadri (quadro di riferimento regionale, quadro strutturale regionale, quadro territoriale regionale). Tuttavia questa distinzione non è netta: il piano urbanistico territoriale dell’Umbria, così come il piano territoriale regionale generale del Friuli Venezia Giulia, sono descritti dalle rispettive leggi regionali come quadri di riferimento per la pianificazione provinciale, comunale, di settore o per le trasformazioni edilizie e urbanistiche.

 

 

Verso forme di piano miste

 

Ad una molteplicità di denominazioni e forme dello strumento urbanistico fanno riscontro esperienze di pianificazione regionale piuttosto disomogenee, che si configurano come processi eclettici (Fabbro, 2003), per quanto sia riconoscibile una comune tendenza verso un approccio alla pianificazione più negoziale e concertativo, dovuto anche all’influenza dei principi di sussidiarietà e copianificazione diffusi a più livelli istituzionali.

La pianificazione territoriale si trova di fronte alla necessità di operare in un contesto in cui agiscono forme di governance multilivello (reti istituzionali e informali) e il piano territoriale regionale sperimenta l’approccio strategico alla pianificazione come quello che, per la sua natura politico-programmatica, è maggiormente utile al governo del territorio in questo contesto. Sono le stesse condizioni di incertezza, complessità, frammentazione istituzionale in cui si sviluppa la decisionalità territoriale a determinare la necessità di una forte sinergia cooperativa fra attori differenti, pubblici e privati, alle diverse scale. Naturalmente alla scala regionale si pongono diversi problemi di relazione con gli attori territoriali che è più complesso individuare e coinvolgere se si allarga l’inclusione anche agli attori non istituzionali. Inoltre l’approccio strategico presenta i rischi di una insufficiente garanzia di obiettivi di equità distributiva e di giustizia sociale e di una possibile, pericolosa, marginalizzazione di alcuni attori e interessi (ad esempio quelli non organizzati) e di esclusione di alcuni valori (ad esempio quelli legati al futuro), insiti nell’emergere delle contemporanee forme di governance. Anche per ridurre questi rischi e per contemplare obiettivi molteplici a breve e lungo termine, si sperimentano forme di pianificazione in cui sono compresenti in vari modi caratteri attribuibili sia ad un approccio strategico che ad un approccio di tipo strutturale.

Schematicamente si possono osservare, dunque, due linee di tendenza nei recenti piani regionali. La prima linea di tendenza, più di rottura con il piano conformativo-urbanistico del passato, conduce verso un approccio strategico alla pianificazione, che tenta di costruire a monte del processo una visione di futuro sulla base di scenari condivisi di riferimento e di prospettiva, e a valle un sistema concertato e multilivello di implementazione, dialogando con la pianificazione regionale di settore e di altri livelli e con la programmazione economica, nell’ambito di una attività di concertazione relativa a specifiche previsioni. Il piano, infatti, cerca di derivare le sue strategie da una “visione guida di orientamento dinamico degli attori” (Regione Marche, 1998) e fonda sulla costruzione del consenso rispetto a specifici progetti e programmi di territorio. La visione guida ambisce soprattutto a riportare nel piano differenti punti di vista, mentre il consenso su progetti e programmi di territorio porta a costruire accordi su quadri organici di composizione di azioni e di differenti interessi relativi alle azioni. Questo percorso si basa su meccanismi di governance territoriale che possano aiutare a garantire una considerazione delle ragioni e degli interessi dei territori alle diverse scale non subordinata al piano regionale ed un’apertura strutturata ed esplicita agli interessi di attori pubblici e privati, anche non istituzionali. L’approccio al riconoscimento degli interessi è però di tipo strategico nel senso che gli interessi sono quelli che si presentano sul mercato politico per promuovere progetti di territorio, si accordano nell’ambito di relazioni mutevoli di potere e costituiscono la governance territoriale multilivello. Alcune esperienze di pianificazione territoriale (fra cui l’esperienza campana) esplorano la possibilità di riconoscere come interlocutori attivi nel processo di pianificazione strategica i sistemi territoriali, concepiti come aggregazioni locali di soggetti pubblici e privati, istituzionali e non. In tali casi il piano strategico promuove un processo di interazione non tanto con i soggetti forti o organizzati, ma con quelli che riconosce come possibile risorsa endogena per il processo di sviluppo regionale, in sintonia con l’idea di regione come costrutto intenzionale di una comunità di sistemi territoriali.

La seconda linea di tendenza consolida un approccio strutturale che, partendo da un’etica di fondo di tipo neocontrattuale, promuove obiettivi di equità distributiva e giustizia sociale. In genere i piani strutturali cercano di conciliare le ragioni del territorio, dell’ambiente e del paesaggio con i progetti di sviluppo locale, le regole e l’azione progettuale (si veda l’esempio del piano di indirizzo territoriale della Toscana). Il piano in questo caso propone una sottrazione alla contrattazione negoziale del progetto di alcuni interessi da tutelare e garantire, elaborando una carta o statuto dei luoghi come garanzia della considerazione prioritaria degli interessi connessi con rischi, criticità ambientali e valori collettivi. Tali piani, considerando insieme invarianti prescrittive e progetti strategici per il futuro, si configurano come un insieme di elementi caratterizzati da natura, dinamiche e gradi di incertezza diversi e incoerenti, che penalizzano a volte le aspirazioni progettuali, riducendosi ad una definizione di sistemi di invarianti strutturali.

Entrambi gli approcci presentano dunque dei punti critici: il primo, quello strategico, dei rischi nei confronti di valori e risorse; il secondo, quello strutturale, delle incoerenze nel conciliare invarianti e progetti strategici.

Si delinea allora la necessità di riflettere su un approccio misto alla pianificazione, strategico e strutturale-regolativo (Fabbro, 2004). Il piano, in questo caso, non è più integralista, ma si articola in più strumenti. Il piano strategico si occupa solo degli assetti generali futuri; mentre le conoscenze strutturali, relative a rischi e valori, sono demandate alla Carta regionale dei luoghi che serve a condurre preliminarmente valutazioni di compatibilità (compresa la valutazione ambientale strategica) di tutti i piani e progetti di territorio. In tale approccio si prospetta una nuova interpretazione della conoscenza come conoscenza indipendente dal progetto e ricercata per produrre la Carta dei luoghi come “carta delle regole” (Properzi, 2003), in cui ci si accorda consensualmente su aspetti essenziali da tutelare e valori da proteggere, anche prima che si formino interessi relativamente a specifici progetti strategici.

 

 

Spunti innovativi nei recenti processi di pianificazione territoriale regionale

 

Il ruolo e le responsabilità della pianificazione territoriale e dei soggetti ad essa preposti si ampliano e diventano sempre più complessi in quanto le recenti trasformazioni dei contesti socio-economici e territoriali impongono una rivisitazione dei modelli interpretativi, culturali e di governo del territorio, un arricchimento delle strategie di sviluppo e dei conseguenti strumenti per perseguirle e l’adozione di approcci alla pianificazione capaci di implementare i principi integrati che si sono diffusi a livello locale e internazionale.

Riconoscere spunti innovativi in questo senso nelle esperienze di pianificazione regionale più recenti è un’attività relativa e problematica nel senso che ripercorrendo l’esperienza storica della pianificazione territoriale italiana è possibile ritrovare alcuni attuali aspetti evolutivi che nel passato si erano già presentati in forme e con modalità differenti.

Seppur con questa consapevolezza ci sembra sia possibile evidenziare almeno quattro aspetti innovativi nei recenti processi di pianificazione regionale.

Un primo aspetto riguarda i riferimenti conoscitivi e interpretativi che sono posti a fondamento del progetto di piano territoriale, nel tentativo di comporre uno sfondo di riferimento condiviso multidisciplinare. In proposito, nelle più recenti esperienze, è possibile delineare tre linee di tendenza, talvolta compresenti.

In primo luogo si sminuisce l’esigenza di costruire ad hoc per la redazione del piano territoriale degli apparati analitici originali e consistenti, come è avvenuto nel passato, ma diventa sempre più importante mettere a sistema quanto già è stato prodotto per altri piani, in altre occasioni, con lo scopo dichiarato di condividere uno sfondo di riferimento comune non solo fra differenti attori, ma anche fra diversi strumenti di pianificazione, con l’obiettivo di favorire una consultazione interattiva su strategie e azioni programmate all’interno delle varie amministrazioni o dei vari settori. Si utilizza, dunque, un patrimonio di informazioni e di studi già prevalentemente disponibile, promuovendo anche la coerenza fra piani di tipo diverso. Si potrebbe citare l’esempio del piano di indirizzo territoriale della Toscana costruito in sinergia con il piano regionale di sviluppo con cui ha condiviso “una comune interpretazione dello sfondo regionale e della sua dinamica evolutiva e, soprattutto, una comune rappresentazione dei contesti regionali per grandi sistemi areali e sottosistemi territoriali locali”. Ciò ha anche consentito allo strumento di pianificazione di non essere subordinato a quello di programmazione, tanto da imporre l’inefficacia delle previsioni contenute negli strumenti attuativi del piano settoriale regionale, se non inserite nel piano di inquadramento territoriale (Pit).

In secondo luogo si costruisce un preliminare sfondo di riferimento multidisciplinare condiviso fra vari attori. È questo, per esempio, il caso sia del Pit della Regione Marche, per il quale sono state promosse delle consultazioni territoriali attraverso lo svolgimento di seminari tematici, che del piano territoriale del Veneto, per il quale è stata elaborata la Carta di Asiago, esito del contributo interdisciplinare di cinque saggi. Entrambe mirano a costruire, seppure con modalità differenti, “una rete di idee e di valutazioni comuni” (Clementi, 1998a) come base per la formazione dello strumento di pianificazione, tentando di arricchire i punti di vista presi in considerazione nel processo.

In terzo luogo si assegna grande importanza al carattere dinamico dell’analisi del contesto territoriale. Si cerca, infatti, di cogliere le situazioni in movimento, le trasformazioni in corso, i processi in atto, anche attraverso piani e progetti in itinere (si veda il Rendiconto dei piani e progetti all’opera del Pit Marche). A proposito degli aspetti relativi alle conoscenze e interpretazioni, il Pit Marche viene descritto, ad esempio, come “una macchina di conoscenze che evolve dinamicamente perfezionando la propria strumentazione di analisi dei processi territoriali ed elaborando interpretazioni mirate sulle tematiche selezionate come prioritarie dal piano” (Clementi, 1998b). Nel piano territoriale regionale (Ptr) della Liguria questa funzione conoscitiva dinamica è assegnata al Quadro descrittivo che intende rispondere alla domanda: “come sta cambiando la Liguria?, piuttosto che a quella come è fatta la Liguria?” (Biondi, 2004). Si propone in questo modo una lettura non tradizionale del territorio regionale, fondata sulla sua “capacità di esprimere progetti”.

Un secondo aspetto innovativo riguarda la costruzione di una visione di territorio come base costitutiva del progetto di piano. Nel caso del Pit Marche, ad esempio, il progetto è stato impostato sulla definizione di scenari di riferimento, sulla costruzione di scenari di prospettiva e sulla verifica dei livelli di coerenza per arrivare ad una visione guida del piano impostata su strategie condivise e contestualizzate nei cantieri progettuali, specifici luoghi della concertazione fra regione, province ed enti locali, “aperti all’ingresso di attori pubblici o privati che intendano cooperare attivamente alla crescita competitiva dei territori locali”. Il piano è inteso come “un insieme di strategie cooperative fondate su una visione di insieme del territorio regionale e del suo futuro”. La visione guida del Pit è quella della Regione Marche come rete di ambienti locali, che propone di “realizzare un grande telaio integrato di infrastrutture tecniche ed ecologiche per mettere in rete gli ambienti locali (a dominante produttiva, ambientale e urbana) e consentire a ognuno di essi uno specifico e congeniale cammino di sviluppo”. Tale visione ha la funzione di orientare i diversi attori, istituzionali e non, portatori di interessi. Con la visione guida il Pit propone uno sfondo condiviso e con i cantieri progettuali esso è orientato all’azione fondata su una “costruzione partecipata, volontaria e condivisa degli ambienti locali”. La visione promuove un’immagine del mutamento in cui i vari attori possano riconoscersi e per cui possano lavorare all’interno delle istituzioni di appartenenza. In tal modo il Pit si propone (Clementi, 1998a) come “una occasione per elaborare un insieme di progetti condivisi”, avvicinandosi più “ad un testo dialogico, che a un repertorio di prescrizioni”. Il Pit fonda, infatti, la sua innovatività nella costruzione del dialogo e di immagini condivise, più che nella definizione di norme favorendo un approccio progettuale, rispetto ad una impostazione prescrittiva.

La visione strategica regionale consente all’ente regione di confrontarsi con gli altri soggetti istituzionali (e non), superando un rapporto di tipo gerarchico, per portare a convergenza diverse visioni di sviluppo e diverse idee di futuro. In questo senso il livello regionale può apparire come quello ideale per una mediazione tra una visione strategica globale (come lo schema di sviluppo socio-economico, con vaghi collegamenti alla realtà fisico-spaziale e visioni locali sub-regionali eccessivamente parziali (Regione Lombardia, 2000). Nelle diverse esperienze in corso sembra sia possibile comunque intravedere delle differenze sostanziali nella individuazione del processo di formazione di tale visione. Alcuni processi promuovono una visione che è predisposta dalla regione per essere offerta alla discussione degli altri attori locali (cfr. Documento programmatico della Regione Lombardia); altri processi, invece, propongono una costruzione collettiva di tale visione, basata su un approccio di community visioning (cfr. Documento programmatico territoriale per le consultazioni della Regione Veneto).

Strettamente interrelato alla costruzione di una visione di territorio è il riconoscimento della centralità della dimensione progettuale che si esprime attraverso l’uso di diversi strumenti progettuali in grado di concentrare le azioni di piano su particolari temi o particolari aree del territorio regionale (ad esempio i cosiddetti campi complessi del Ptr della Campania). Fra questi strumenti acquista un ruolo rilevante e innovativo l’uso del progetto pilota (come nei casi della Campania e della Liguria).

Infatti, accanto ad una visione regionale complessiva, le più recenti esperienze individuano e selezionano temi o aree per i quali si possa operare con approcci e strumenti diretti e operativi, in particolare quando si intuisce o si verifica l’esistenza di un consenso diffuso. L’orientamento al progetto, anche al livello territoriale, è verificabile soprattutto nei piani che promuovono un approccio strategico alla pianificazione territoriale. Attraverso la previsione di diverse modalità attuative del Ptr, a volte già considerate dalla legislazione regionale, a volte promosse nei processi implementati (come nel caso dei cantieri progettuali del Pit Marche), si propone un’apertura del processo decisionale in funzione di una migliore efficacia attuativa, con forme di partecipazione attiva di attori istituzionali e non, pubblici e privati, che si vuole spingere a cooperare. Si tenta in questo modo di promuovere nel piano regionale una “costruzione collegiale di progetti territoriali”.

La centralità della dimensione progettuale caratterizza, ad esempio, il piano territoriale della Liguria che nel Quadro strutturale prevede svariati strumenti: i progetti di iniziativa regionale riguardanti l’intero territorio regionale, i progetti pilota per particolari contesti, i progetti integrati di ambito per il perseguimento di particolari obiettivi e l’individuazione di definiti ambiti di progetto e aree di progetto. Attraverso il Quadro strutturale e il Documento degli obiettivi, il piano ligure si fonda prevalentemente su una impostazione progettuale che individua le strategie per lo sviluppo del territorio regionale, innescando una dinamica fra obiettivi e progetti (Rocco, 2004).

L’uso di programmi di iniziativa regionale e di progetti pilota è presente anche nel processo del piano territoriale della Campania. Questo piano ha dedicato l’individuazione di uno dei suoi cinque quadri di riferimento territoriale ai cosiddetti campi territoriali complessi, ovvero ai contesti critici in relazione ai quali è necessario intervenire, indipendentemente dai tempi della programmazione territoriale. Fra questi campi, che riguardano infrastrutture di interconnessione di grande rilevanza o aree di concentrazione di fattori di rischio1, rientra il Programma di azioni per la mitigazione del rischio Vesuvio composto da una delibera-quadro, dodici azioni integrate e un protocollo di intesa con il Governo, che hanno dato luogo ad una sperimentazione con un progetto pilota di delocalizzazione di residenti da un’area campione. Per tali campi progettuali la Proposta di Ptr ipotizza la possibilità, che andrà stabilita all’interno di Conferenze di pianificazione, di un intervento di pianificazione regionale, coerente con regole di garanzia e di partecipazione degli enti compresi in tali ambiti.

Infine, nel Documento programmatico di avvio del processo di costruzione del piano territoriale della Regione Lombardia il Ptr viene definito esso stesso progetto di territorio, nel senso di “strumento di programmazione che fissa scelte e interventi strategici e che lascia aperte, rispetto alla grande maglia definita dagli elementi e dai criteri strutturali, una gamma rilevante di opportunità alternative di intervento”.

Infine, un ulteriore aspetto innovativo può essere individuato nella inclusione ed esplicitazione all’interno del piano del momento valutativo in sintonia con gli orientamenti comunitari. Nella pianificazione territoriale si avverte, infatti, l’esigenza di una valutazione esplicita e trasparente che non sia solo di tipo ambientale, ma di tipo integrato.

Il Pit delle Marche ha, ad esempio, prefigurato un “tavolo unico delle valutazioni intorno a cui radunare le valutazioni propriamente territoriali, quelle ambientali e, possibilmente, anche quelle di costi-benefici almeno per i progetti più rilevanti”. Il Ptr della Liguria è invece accompagnato dalla sperimentazione di un Rapporto ambientale che si richiama alla Direttiva europea 42/2001 sulla valutazione strategica di piani e programmi e adempie al Dpr 120/2003 in materia di valutazione d’incidenza. Il Rapporto è stato concepito come verifica del ruolo dell’integrazione interdisciplinare di competenze diverse (ambientali e socio-economiche) e del processo di partecipazione, assunti come principi fondamentali di un processo di pianificazione indirizzato all’obiettivo della sostenibilità e come strumento di valutazione del rapporto con gli altri strumenti di pianificazione settoriale (Minetti, 2004).

Ancora più interessante sembra il caso della Regione Emilia Romagna che ha previsto una valutazione di sostenibilità ambientale e territoriale (Valsat)2 come parte integrante del processo del Ptr. Con essa si intende garantire in ogni fase del processo di piano il perseguimento degli obiettivi di integrazione fra aspetti socio-economici e ambientali e di coesione territoriale, derivante dagli indirizzi comunitari, e corredare le scelte strategiche regionali di indicatori di scenario, di impatto e di risultato. La regione ha già avviato il processo valutativo relativo allo Schema di sviluppo del territorio regionale (Regione Emilia Romagna, 2005), documento preliminare contenente gli obiettivi generali e le linee strategiche per l’aggiornamento del Ptr vigente, che costituiscono la base di riferimento per il processo di concertazione con i soggetti istituzionali e le organizzazioni socio-economiche nell’ambito delle conferenze di pianificazione.

Tuttavia, nonostante l’interesse di queste esperienze, non ancora molti processi di piano hanno incluso pratiche valutative. Infatti, sebbene sia forte in questo senso l’influenza comunitaria, sembra evidente in Italia l’assenza di una lunga tradizione valutativa, la difficoltà di introdurre indicatori e prestazioni e una certa resistenza delle strutture tecniche degli enti.

In effetti, tutti i fattori di innovazione descritti si presentano in modo estremamente differenziato nelle diverse esperienze di pianificazione per l’incidenza del contesto di riferimento regionale sull’andamento e l’impostazione dei processi di piano. Il contesto di riferimento incide in particolare in relazione alla propria tradizione di pianificazione di area vasta, all’aggiornamento del riferimento legislativo regionale e alla capacità di dialogo e di costruzione di azioni cooperative fra i diversi soggetti territoriali in vari modi responsabili del governo del territorio.

 

 

Note

 

1 In particolare i campi progettuali complessi si riferiscono a “interventi e strategie di riequilibrio e risanamento ambientale, di bonifica di aree ad alto rischio e valore paesistico, opere e interventi nel settore delle infrastrutture (in particolare nel campo dei trasporti e della mobilità), pratiche per la protezione del territorio e il ripristino di condizioni sociali e urbane di sicurezza, in relazione ai rischi naturali”, Regione Campania, Proposta di Ptr, pag. 312.

2 La Valsat è prevista dalla Lr 20/2000.

 

 

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