Numero 12/13 - 2006

 

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Esperienze e tentativi di pianificazione e programmazione regionale in Campania


Isidoro Fasolino


 

La Campania, già all'indomani del dopoguerra, è stata al centro delle attenzioni di politica e istituzioni finalizzate alla costruzione di strategie di sviluppo sociale ed economico, a partire dalle complesse caratteristiche territoriali che storicamente la contraddistinguono. Isidoro Fasolino ripercorre mezzo secolo di studi, proposte e programmi, spesso risultati inefficaci, pur nella grande qualità degli approfondimenti e delle soluzioni elaborate, che hanno accompagnato la recente storia regionale

 

 

L’inizio del processo di programmazione economica e territoriale regionale può essere ricondotto al 1952, anno in cui vennero iniziati i primi studi propedeutici alla redazione del piano territoriale di coordinamento regionale. Da allora si è passati attraverso una serie di tentativi finalizzati a definire quadri di riferimento per l’assetto fisico-funzionale e lo sviluppo economico della regione, fino a giungere ad oggi, momento particolare in cui, con la Lr 16/2004, la regione si è finalmente dotata di una legge urbanistica quadro e il percorso di formazione del piano territoriale regionale è in avanzata fase di definizione1. Anche le cinque province della Campania hanno avviato il processo di formazione dei rispettivi piani territoriali di coordinamento (Ptc), pur procedendo con fatica e dovendone rimodulare i contenuti sulla base della nuova disciplina urbanistica. In questa condizione del tutto nuova, per quanto concerne i temi del governo del territorio, è sembrato, quindi, interessante esaminare i vari documenti di programmazione economica e pianificazione territoriale a livello regionale concepiti nel tempo, a partire dall’inizio degli anni ’50, dalla Regione Campania. Sono state ripercorse le principali iniziative in tema di assetto e sviluppo del territorio e, attraverso la lettura dei principali documenti e piani, tutti arenatisi lungo il loro iter di formazione senza pervenire ad alcuna effettiva operatività, si evince quanto la pianificazione territoriale nella nostra regione sia stata spesso solo enunciativa di proposte generali o di semplice indirizzo. Non a caso tali documenti di programmazione sono definiti spesso come studi, indirizzi o schemi piuttosto che piani. Il sostanziale fallimento dell’attività regionale, in tema di pianificazione e programmazione economica e territoriale, è evidenziato dalla periodica riformulazione di una diagnosi in cui si ripetono termini quali: squilibrio insediativo ed ecologico, disoccupazione, arretratezza economica e sociale, abusivismo, degrado ambientale.

Il primo documento istituzionale della programmazione regionale in Campania è rappresentato dallo Statuto, approvato con legge 22 maggio 1971, n. 348, che dedica alla programmazione il Titolo VIII, in cui si afferma che “la Regione adotta la programmazione come metodo fondamentale nella sua attività legislativa, amministrativa e di controllo, nel quadro della programmazione nazionale”.

 

 

Il documento Novacco-Rossi Doria (1957)

 

I primi studi propedeutici alla redazione del Ptc della Regione Campania furono avviati nel 1952, presso il Provveditorato alle opere pubbliche della Campania, per iniziativa del Ministero dei LLpp e a cura dell’Ufficio Ptc. Il lavoro si protrasse fino al 1955 e venne sintetizzato in una raccolta di relazioni, elaborazioni, dati statistici, rappresentazioni cartografiche, ecc. Nel 1956, a due anni dalla elaborazione dello schema Vanoni2, e sul binario di questo, fu redatto il documento Novacco-Rossi Doria3 sulla base di vari studi elaborati in seno al comitato per il Ptc campano. In sintesi, il documento recepiva la logica di sviluppo proposta dallo schema Vanoni, cioè una impostazione politico-economica fondata su grandezze aggregate e connessioni globali, e riconfermava le scelte localizzative di impianti produttivi nelle zone interne più attrezzate e il potenziamento di iniziative preesistenti. Dal punto di vista territoriale, quindi, lo schema proponeva la localizzazione delle attività produttive nella regione in coerenza con l’ipotesi di distribuzione dei posti di lavoro e anticipava, quindi, la successiva politica del riequilibrio4.

Il territorio regionale veniva suddiviso in 15 zone omogenee, delimitate per struttura sociale, produttiva e urbanistica. Tali zone omogenee erano localizzabili schematicamente in tre fasce parallele alla costa: la zona attiva, corrispondente alla fascia costiera fra il Volturno e il Sele, caratterizzata dalla presenza delle aree più urbanizzate, in cui sono presenti attività industriali, terziarie e di agricoltura intensiva; la zona intermedia, relativa alla parte centrale della regione, con i capoluoghi di Benevento e Avellino, agricola a media intensità; la zona estensiva, costituita dalla zona interna campana, prevalentemente montana, accidentata e destinata ad una attività agricola scarsamente produttiva (Figure 1 e 2).

 

Figura 1 - Documento Novacco-Rossi Doria. Il territorio regionale (1957)

Fonte: Colletta M., 1979

 

Figura 2 - Documento Novacco-Rossi Doria. Analisi e proposte per l'intervento industriale (1957)

Fonte: Colletta M., 1979

 

La proposta di piano urbanistico intercomunale del comprensorio di Napoli (1964)

 

La proposta di piano urbanistico intercomunale del comprensorio di Napoli5 mira a far coincidere l’area metropolitana di Napoli con il comprensorio individuato dal consorzio per l’area di sviluppo industriale della provincia napoletana in modo da giustificare la scelta dell’intercomunalità. La finalità della proposta è il riequilibrio dei rapporti esistenti tra Napoli e il suo hinterland scardinando lo sviluppo radiocentrico mediante la localizzazione di nuovi insediamenti industriali e residenziali che individuano nuove direttrici di sviluppo extraurbano da realizzare anche mediante il rafforzamento delle infrastrutture di trasporto.

Il piano urbanistico individua 9 comprensori: puteolano-giuglianese, sarnese-nocerino, Napoli città, Villa Literno, nolano, aversano, acerrano, vesuviano, area nord di Napoli.

Il territorio maggiormente urbanizzato nel piano è schematicamente costituito da due strutture lineari ed un collegamento trasversale. Le strutture lineari si estendono da Pozzuoli a Castellammare, dove si prevede una razionalizzazione con destinazione a residenza e terziario, e da Villa Literno a Nola, dove si propone il rafforzamento con nuove localizzazioni di attività e assi stradali. Il piano prevede, infine, l’espansione residenziale e industriale del capoluogo verso nord-est, il centro direzionale nell’area contigua alla stazione centrale di Napoli, nuove aree residenziali 167 a Secondigliano e Ponticelli, nuovi poli di sviluppo e di riequilibrio a Mondragone e a Battipaglia (Figura 3).

 

Figura 3 - Piano del comune e del comprensorio di Napoli - Schema Piccinato (1964)

Fonte: Regione Campania - Italtekna, 1986

 

Lo schema di sviluppo economico della Campania (1969)

 

Con la costituzione, nel 1965, del comitato regionale per la programmazione economica della Campania (CrpeC)6, si avvia in Campania una riflessione sugli indirizzi da seguire in materia di assetto del territorio. Il CrpeC formulò, quale uno dei documenti che illustrasse tali indirizzi, lo schema di sviluppo economico regionale 1966-1970 (Sse) cercando di affrontare in modo organico i problemi della pianificazione regionale7.

Nell’agosto del 1969 il CrpeC approvava lo Sse in cui si indicavano, appunto, i nuovi criteri da perseguire per una struttura economica della regione con caratteri autopropulsivi8.

Lo Sse si proponeva, come obiettivo principale, quello di garantire il massimo livello di occupazione ed una più efficiente distribuzione degli occupati nei vari rami produttivi, con aumento nel settore industriale e nel terziario, attraverso una ristrutturazione delle attività produttive. Tra di esse è considerata trainante l’industria manifatturiera.

Lo Sse, inoltre, per quanto riguarda l’assetto territoriale, si limitava soltanto a formulare un quadro di riferimento individuando le tendenze spontanee di evoluzione degli insediamenti.

Ulteriori obiettivi dichiarati dello Sse erano: il decongestionamento della fascia costiera e l’integrazione geografica ed economica dei territori interni.

Per l’area metropolitana di Napoli si proponeva, tra l’altro, di contenere la funzione residenziale e di inquadrare gli effetti urbani degli agglomerati industriali che gravano su Napoli in una prospettiva regionale. Ciò avrebbe dovuto impedire una ulteriore espansione a macchia d’olio della città, puntando, viceversa, su assi perpendicolari alla costa, ad esempio sull’asse Napoli-Avellino per l’espansione industriale.

 

 

Il piano territoriale di coordinamento della Campania (1970)

 

I primi studi propedeutici alla redazione del piano territoriale di coordinamento (Ptc) della Regione Campania furono avviati nel 1952, presso il Provveditorato alle opere pubbliche della Campania, per iniziativa del Ministero dei LLpp9 e a cura dell’Ufficio Ptc. Il lavoro si protrasse fino al 1955 e venne sintetizzato in una raccolta di relazioni, elaborazioni, dati statistici, rappresentazioni cartografiche, ecc. Nel 1956 si chiude lo studio economico-urbanistico sul territorio regionale.

Sulla scorta delle elaborazioni del progetto ’8010 si giunge, dopo 12 anni, a formulare le ipotesi di assetto territoriale (Ipat) della regione11. Le Ipat, sulla base delle risoluzioni per l’elaborazione del piano territoriale di coordinamento12, si ponevano come obiettivo, pensato per un periodo temporale di un trentennio, ancora una volta quello di orientare il processo di sviluppo verso l’interno della regione, in maniera tale da promuovere una inversione di tendenza alla concentrazione verso la costa. La regione è articolata in sette nuove entità territoriali o comprensori autosufficienti dal punto di vista funzionale.

Le Ipat si articolano in vari punti di contenuto economico-urbanistico e, in particolare, si rilevano due fasi: una prima, di analisi delle caratteristiche economiche e territoriali esistenti nella regione; una seconda, che indica le scelte politico-operative da attuare. Si va, quindi, dalla conoscenza generale della realtà regionale, dal punto di vista geografico, demografico ed economico-sociale, alle finalità e obiettivi dell’ipotesi stessa, dall’aderenza delle finalità proposte dal programma di sviluppo economico 1965-1969 e successive elaborazioni in materia di pianificazione nazionale, al ridisegno territoriale mediante nuovi elementi strategici di intervento: quello di fondo relativo alle zone interne e quello per comprensori per le zone di pianura e fondo valle. I comprensori sono ulteriormente classificati in base alle infrastrutture e alla consistenza delle attrezzature produttive; sono collegati tra loro mediante alcune direttrici principali e altre secondarie da potenziare, o realizzare, e da due nuove direttrici interne ed un nuovo sistema infrastrutturale metropolitano.

Presa coscienza delle problematiche presenti nella regione, viene indicato l’obiettivo principale, da perseguire in un quadro di interventi futuri, consistente nell’identificazione di un processo di sviluppo proiettato verso le zone interne della regione, al fine di promuovere una inversione di tendenza rispetto alla concentrazione verso la costa. Il meccanismo di riequilibrio economico consisteva, pertanto, nella decompressione della fascia costiera e nel potenziamento delle strutture produttive e urbane poste sulla direttrice interna, dal confine con il Lazio al Vallo di Diano, attraverso la creazione di aree di concentrazione (Figura 4).

 

Figura 4 - Piano territoriale di coordinamento della Campania - Travaglini-Piccinato (1971)

Fonte: Regione Campania - Italtekna, 1986

 

Le opzioni Cascetta (1974)

 

La proposta di indirizzi politico-operativi per la programmazione economica e territoriale della regione, in breve opzioni Cascetta13, si presenta come una istanza a rivedere le precedenti esperienze sulla base di alcune opzioni che riguardano innanzitutto: il massimo potenziamento dell’occupazione; il rafforzamento delle strutture produttive esistenti; il perseguimento di uno sviluppo armonico polisettoriale con valorizzazione delle risorse interne alla regione. Nella delibera di adozione della proposta si ribadiva la necessità di avviare immediatamente l’elaborazione del Ptc nel quale fosse assicurata la necessaria partecipazione delle autonomie locali al processo di programmazione regionale. Il documento, pur ribadendo la necessità di rapportare la programmazione economica con quella territoriale, nonché di uscire dalla logica delle indicazioni generali per pervenire alla formulazione di opzioni meno astratte, non superava lo scollamento tra dibattito politico e dinamica territoriale reale, finendo per puntualizzare, in definitiva, solo alcuni obiettivi territoriali sui quali già concordavano documenti programmatici e dibattito politico.

Le opzioni ripropongono la descrizione duale del territorio campano, costituito, da un lato, dall’area metropolitana napoletana (con Napoli, la piana campana, la piana sarnese-nocerina e caudina, la penisola sorrentino-amalfitana) e, dall’altra, dalla rimanente parte del territorio regionale. In tale area metropolitana, i nuovi impianti produttivi sarebbero stati localizzati nelle zone marginali (aree a est dell’autostrada del sole, Valle Caudina, Piana di Baiano, alta valle del Sarno) in modo da riqualificare la fascia costiera.

Con le opzioni si acquisiva finalmente la coscienza della necessità di una strategia regionale unitaria, superando sterili enunciazioni di priorità tra la conurbazione napoletana e le aree interne. Esse recepivano l’indirizzo strategico dell’organizzazione territoriale per direttrici di sviluppo, introdotto dal CrpeC nelle Ipat. La direttrice interna era individuata partendo dalla media valle del Volturno fino a raggiungere il Vallo di Diano.

La prima opzione fondamentale lungo la quale indirizzare il rilancio dello sviluppo della regione riguarda l’esigenza di potenziare al massimo l’occupazione nell’impiego delle risorse disponibili finalizzato ad un sostanziale miglioramento della struttura produttiva regionale. Si riteneva che la politica degli investimenti produttivi dovesse essere accompagnata da una rigorosa politica territoriale non disgiunta da una razionalizzazione degli interventi di localizzazione per evitare un accrescimento degli squilibri peraltro già esistenti: continuare a realizzare interventi produttivi e servizi dove già esistevano sarebbe equivalso a rinunciare definitivamente al recupero e alla riqualificazione di vaste parti del territorio regionale.

Per lo sviluppo del turismo, sono in buona parte riprese le indicazioni dei comprensori turistici di cui al piano di coordinamento degli interventi pubblici nel Mezzogiorno14, privilegiando le aree costiere del Cilento e prospettando il rilancio della montagna, attraverso una rete di attrezzature ricettive, sportive e di svago da realizzare nelle stazioni invernali del Matese, del Partenio, del Terminio, del Cervialto, del Cervati e in quelle estive del Taburno, degli Alburni e del Gelbison. Un ruolo complementare ai suddetti interventi finalizzati allo sviluppo del turismo è assegnato alla riqualificazione del porto di Salerno e all’insediamento del complesso universitario tra Avellino e Salerno nella Valle dell’Irno.

L’aver voluto relazionare l’intera economia del territorio a quella industriale, che assurge al ruolo di protagonista anche in una fase storica contrassegnata dalla crisi energetica, costituisce forse il limite fondamentale della politica economica contemplata nelle opzioni (Figure 5 e 6).

 

Figura 5 - Opzioni Cascetta (1974)

Fonte: Consiglio Regionale della Campania, 1974

 

Figura 6 - Territorio regionale campano ridisegnato secondo le Opzioni Cascetta (1974)

Fonte: Colletta M., 1979

 

 

Gli indirizzi di assetto territoriale (1982)

 

Per definire il programma degli interventi finalizzati alla gestione del processo di ricostruzione post-sisma nelle aree terremotate nel novembre 1980 in Campania e Basilicata, la Regione Campania elaborava, a mezzo del comitato tecnico scientifico (Cts), gli indirizzi di assetto territoriale (Iat) previsti dalla legge 14.5.1981, n. 21915. Gli Iat costituivano, dunque, il documento programmatico per organizzare sul territorio regionale i possibili investimenti, ordinari e straordinari, nel quadro di una corretta politica urbanistica e territoriale.

L’attenzione del Cts si concentrava su alcuni settori fondamentali come la casa, i beni culturali e il turismo, l’industria, l’agricoltura, il sistema distributivo, la rete dei trasporti, e procedeva a elaborare l’inventario delle risorse disponibili nel quinquennio 1982-1985 per definire le scelte prioritarie e le aliquote dei fabbisogni che era possibile soddisfare con le disponibilità reali.

Il Cts individuava, in conseguenza, il quadro di riferimento su cui impostare un disegno di organizzazione urbanistica del territorio, nel quale gli investimenti, di cui alle risorse disponibili, potessero garantire i seguenti risultati:

- dare inizio ad un processo di ricuciture e di riqualificazione del sistema urbanistico esistente in un’ottica territoriale;

- garantire il riequilibrio e lo sviluppo economico e territoriale;

- consentire la creazione di strutture gestionali di servizio e a sostegno dello sviluppo;

- rendere possibile l’integrazione e la razionalizzazione della rete dei trasporti su rotaie e su gomma in un contesto urbanistico generale;

- rendere possibile la ricostruzione in chiave territoriale urbanistica delle strutture urbane colpite dal sisma.

Le strategie di sviluppo degli Iat, comunque, riguardavano con priorità le aree colpite dal sisma, in modo da disincentivare lo spopolamento di tali aree. Si promuovono alcune infrastrutture civili, fra cui l’interporto di Nola e il complesso universitario fra Avellino e Salerno. Si ipotizza la creazione di nuclei industriali in posizione baricentrica rispetto ai bacini di utenza e di traffico, lungo la nuova direttrice Ofantina nell’area dell’epicentro del sisma, e il trasferimento di alcune localizzazioni produttive manifatturiere nelle zone interne della regione, lungo la direttrice Nola-Avellino, proseguendo per S. Giorgio del Sannio e Grottaminarda (Figura 7).

 

Figura 7 - Ipotesi di assetto territoriale della Campania (1982)

Fonte: Giannattasio G., 1994

 

Il piano territoriale regionale per la tutela paesistico-ambientale (1986)

 

La proposta di piano territoriale regionale per la tutela paesistico-ambientale (Ptrtpa)16 matura nel secondo semestre del 1986 con l’obiettivo di avviare un processo di pianificazione che consentisse di ottemperare al disposto di cui all’art. 1 bis della legge 431/1985. Essa tendeva, quindi, a formulare la strategia regionale paesistico-ambientale orientata a definire le strumentazioni atte a mobilitare l’elaborazione dei piani degli ambiti paesistici, attraverso piani di secondo livello, intermedio fra regionale e comunale.

La proposta di Ptrtpa muove dalla considerazione che la tutela deve esercitarsi attraverso una pianificazione da elaborarsi secondo una metodologia che anteponga la salvaguardia dei valori paesistico-ambientali ad ogni altra esigenza. Prevedeva la suddivisione del territorio regionale in zone omogenee di tutela, con relative specifiche norme per le aree con particolari caratteristiche. Individuava, in particolare, 7 spazi paesistici17 e un insieme di 30 ambiti di tutela ambientale18, perimetrati sulla base di indagini, ricerche e studi che tenevano conto, oltre che degli aspetti fisici e formali, anche delle componenti storico-sociali, economiche e ambientali dei diversi territori della regione. Gli spazi e gli ambiti costituiscono riferimento per ulteriori eventuali analisi delle caratteristiche ambientali, effettuate per sistemi e con scomposizione per fattori, con la predisposizione di relativi piani integrativi che definiranno in dettaglio le destinazioni d’uso del territorio con riferimento a indicazioni, norme e prescrizioni contenute nella proposta di Ptrtpa (Figura 8).

 

Figura 8 - Proposta di piano territoriale regionale per la tutela paesistico-ambientale

Fonte: Forte F., 1993

 

Il piano di assetto del territorio (1986)

 

Con il piano di assetto del territorio (Pat)19 la Regione Campania intendeva promuovere un modello di sviluppo non più basato sui grandi insediamenti industriali localizzati in prossimità delle grandi agglomerazioni urbane, ma sulla integrazione delle attività locali primarie, secondarie e terziarie e sulla industrializzazione a carattere avanzato diffusa sul territorio. Tale modello era finalizzato a creare nuovi poli produttivi integrati nella realtà regionale e interessare una fascia territoriale intermedia comprendente i capoluoghi di Caserta, Benevento, Avellino e Salerno (Tetrapoli) proponendo, dunque, il rafforzamento dell’area intermedia della regione. La logica dell’industrializzazione diffusa, già presente nella legge 219/1981, è accompagnata, nel Pat, dall’integrazione con attività primarie e servizi.

Obiettivo centrale dichiarato del Pat è il “riequilibrio economico e territoriale, nei termini di decongestionamento e razionalizzazione dell’area costiera, con particolare riguardo a quella napoletana, e di sviluppo più intenso delle zone interne; riequilibrio da ottenere in una prospettiva di generale sviluppo economico e di miglioramento della qualità dell’ambiente”.

Il Pat individua complessivamente 8 aree programma20. Le aree sono individuate considerando la contiguità territoriale, una soglia minima demografica che garantisca la formazione di un meccanismo di sviluppo relativamente autonomo e il riconoscimento di componenti di sviluppo compatibili con le caratteristiche degli ambiti. Sono, inoltre, coerenti con le delimitazioni dei comuni e delle unità sanitarie locali (Usl).

Nel Pat non vi è, dunque, una strategia per fasce a differente dotazione di risorse, ma per ambiti, o aree programma, situati per lo più in una sola provincia, con l’esclusione dell’ambito intermedio di riequilibrio che interessa tutte le province campane. Si tenta di promuovere, quindi, una politica regionale di sviluppo per programmi organici riferiti ad aree e non per programmi settoriali (Figure 9 e 10).

Figura 9 - Piano di assetto territoriale (1986)

Fonte: Forte F., 1993

 

Figura 10 - Piano di assetto territoriale. L'area di riequilibrio (1986)

Fonte: Consiglio Regionale della Campania, 1986

 

 

Il piano regionale di sviluppo (1990)

 

Il piano regionale di sviluppo (Prs)21 si propone di rappresentare un disegno di programmazione nuovo e organico, uno scenario delle grandi opzioni nel quale sono precisate le istanze della società campana. In esso si definiscono le linee di una programmazione globale che considera tutti insieme i fattori dello sviluppo: territorio, ambiente, settori produttivi e servizi.

Il Prs definisce gli obiettivi e le linee strategiche alle quali dovranno attenersi i programmi in corso e quelli futuri, mentre appare poco operativo nel definire precise opzioni di intervento.

Gli obiettivi del Prs sono: la valorizzazione dell’agricoltura, principale settore di base; l’aumento di competitività dei sistemi industriali; la crescita dell’apparato dei servizi; la razionalizzazione e il completamento delle reti idriche e acquedottistiche; la valorizzazione dei patrimoni culturali, storici e ambientali.

Il Prs presenta una parte dedicata agli aspetti territoriali nella quale, ai fini della programmazione dello sviluppo, sono individuate delle unità territoriali che esprimono l’aspirazione all’individuazione di differenziate strumentazioni per lo sviluppo delle specificità delle risorse locali. Tali unità territoriali, facendo riferimento a soggettualità politico-amministrative, quali province e comunità montane, consentono di ancorare la programmazione su basi istituzionali. Sulla base di tale impostazione, si propone l’individuazione della metropoli regionale, connessa al capoluogo, e di unità territoriali per lo sviluppo (Uts) costituite da: aree urbane (Napoli, Caserta, Aversa, Nola, Vesuvio-Nocera-Sarno, Salerno, Irpinia centrale, Sannio), direttrici e unità ambientali di raccordo (Taburno, Partenio, Penisola sorrentino-amalfitana, Isole di Ischia, Capri e Procida). Per ognuna delle Uts si individuano specifiche finalità delle politiche di sviluppo (Figura 11).

 

Figura 11 - Piano regionale di sviluppo. Schema (1990)

Fonte: Smarrazzo D., 1999

 

Valutazioni conclusive

 

Nel corso della sua ultra trentennale attività legislativa, la Regione Campania ha generalmente dimostrato un’attenzione del tutto episodica ai temi, alle problematiche e alle esigenze del governo del territorio.

Le trasformazioni realizzate nel corso degli anni sul territorio regionale, e quelle ancora in corso, sono avvenute in assenza di una strategia di pianificazione di livello regionale e di qualsiasi indirizzo di area vasta.

Nel corso degli anni ’90 si registra una ulteriore caduta di attenzione alla pianificazione da parte della regione, la quale limita la propria attività alla formazione di piani di settore, proponendo un approccio alla programmazione per progetti, con pretesa di strategicità e intersettorialità.

Più volte è stata anche avvertita la necessità e l’urgenza di un inquadramento programmatico dell’intervento pianificatorio sul territorio. Ma le buone intenzioni sono state sempre vanificate dalla scarsa affezione che la regione ha mostrato per i suoi stessi propositi.

Dai documenti esaminati traspare, pur con tutti i limiti esposti, un positivo intento di realizzare un profilo di interdipendenza e di integrazione orizzontale tra programmazione economica e pianificazione territoriale. Nella realtà, tali acquisizioni teoriche non trovano ancora una verifica reale.

Anche il quadro di integrazione verticale tra i livelli regionali e subregionali di programmazione e pianificazione rimane indefinito, data la debole connotazione attribuita allo strumento del comprensorio e l’assenza dell’istituzione dell’ente intermedio che si protrarrà fino alla legge 142/1990 di riordino degli enti locali.

Le ragioni di tali carenze sono riconducibili non solo ad una generica arretratezza culturale, inefficienza amministrativa, ma anche al forte radicamento di una logica di intervento sul territorio che preferisce agganciarsi periodicamente alle emergenze e alle opportunità piuttosto che fondarsi su una sistematica attività di governo delle dinamiche territoriali. Si tratta di una logica che privilegia la spesa, vale a dire la rapida spendibilità delle risorse finanziarie straordinarie, elargite per le differenti urgenze e occasioni, a scapito della programmazione. È una logica che ricorre alla predisposizione di elenchi di opere piuttosto che di adeguati strumenti di pianificazione e di coerenti strategie di organizzazione e riqualificazione territoriale.

Con la Lr 16/2004 e con l’adozione del Ptr, come si diceva nell’introduzione, si è oggi in una condizione nuova che lascia ben sperare. Il Ptr non può essere, quindi, un programma di interventi ma deve definire le linee strategiche alle quali i programmi in corso dovranno, per quanto possibile, adeguarsi e in futuro ispirarsi. È però necessario porre in essere una prassi dinamica di pianificazione territoriale per l’orientamento e la verifica delle decisioni in un processo di programmazione-attuazione che non può che essere compiuto da un vasto insieme di piani e programmi d’intervento. La Campania è, come emerso dal presente excursus sui tentativi di pianificazione, una regione caratterizzata, da un lato, dal proverbiale squilibrio tra zone interne e zone costiere e, dall’altro, dall’egemonia dell’area metropolitana di Napoli praticamente sull’intero territorio regionale. Ma all’interno di tale schema generale l’articolazione è più variegata e i problemi relativi a tali aree potranno essere risolti, più credibilmente, mediante opportuni stralci territoriali o tematici dei Ptc delle cinque province campane. Il Ptr dovrà assolvere al ruolo attivo di conoscenza delle situazioni e di controllo della coerenza fra le diverse iniziative di intervento per un ordinato assetto territoriale e uno sviluppo senza spreco di risorse.

 

 

Note

 

1 La proposta di piano territoriale regionale è stata adottata con deliberazione di Gr n. 287 del 25.2.2005 e pubblicata sul Burc numero speciale del 13.5.2005 con il titolo: “Lr 22 dicembre 2004, n. 16 – Norme sul governo del territorio – Proposta di Piano Territoriale Regionale – Adozione (con allegati)”.

2 Lo schema Vanoni, così chiamato abitualmente ma ufficialmente intitolato schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito in Italia nel decennio 1955-1964, è un documento di politica economica nazionale mirato a risolvere i problemi di disoccupazione, depressione meridionale e sbilancio dei conti con l’estero.

3 Il documento Novacco-Rossi Doria, o piano regionale della Campania, redatto fra il 1956 e il 1957 e pubblicato fra il 1961 e il 1962, più che un piano, è uno studio che affronta contestualmente aspetti economici e territoriali della Campania. La fonte di riferimento è lo schema Vanoni.

4 Il documento venne poi indicato come piano di tendenza, con previsioni, proiettate al 1971, riferite a 400.000 nuovi posti di lavoro in settori extragricoli e 400.000 emigrazioni di forze attive.

5 Il Ministero dei LLpp, con nota in data 26.6.1962, comunicava all’amministrazione comunale di Napoli che, esaminato il Prg di Napoli, adottato nel 1958 con deliberazione del commissariato straordinario, riteneva che tale Prg dovesse essere rielaborato. Nel 1964, su parte dell’area identificata come zona attiva dal documento Novacco-Rossi Doria, costituita da 96 comuni nelle province di Napoli, Salerno e Caserta, fu così promossa una proposta di piano urbanistico intercomunale del comprensorio di Napoli, redatta da un gruppo di lavoro coordinato da Luigi Piccinato.

6 Con decreto del Ministero del bilancio 22.9.1964, pubblicato nella Gu n. 262 del 24.10.1964, era istituito, in ogni regione, escluse quelle a statuto speciale, un comitato regionale per la programmazione economica (Crpe) con lo scopo di collaborare con lo stesso Ministero ai fini dell’attuazione della programmazione economica nazionale. Il Crpe aveva, tra l’altro, l’incarico di predisporre, secondo le direttive del Ministero del bilancio, uno schema di sviluppo economico regionale (Sse) in cui inquadrare le Ipotesi di assetto territoriale (Ipat). La successiva Circolare congiunta da parte dei Ministri del bilancio e dei LLpp del 23.7.1966 stabiliva, tra l’altro, che le Ipat assunte dagli Sse dovessero essere quelle da porre a fondamento della elaborazione dei Ptc di cui alla legge 1150/1942, e precisava la procedura e le modalità di formulazione di dette Ipat. I Ptc, quindi, sarebbero stati elaborati sulla base delle Ipat prescelte dai Crpe e formati, nella loro definitiva stesura, dopo l’intervenuta approvazione, da parte del Cipe, degli Sse e, quindi, delle Ipat in essi contenute.

7 Successivamente alla Circolare congiunta del 23.7.1966 e all’insediamento della Commissione di studio per la redazione del Ptc della Regione Campania, il CrpeC, nel maggio 1967, esprimeva le proprie indicazioni generali per la formulazione di Ipotesi di assetto territoriale (Ipat) ribadendo la necessità che una manovra di uno sviluppo programmato prevalesse sulle tendenze spontanee.

8 Lo schema di sviluppo economico regionale 1966-1970 è suddiviso nelle seguenti parti: Parte prima: Condizioni, Caratteristiche e obiettivi del processo di sviluppo regionale. Capitolo I - Principali condizioni per uno sviluppo equilibrato dell’economia campana nel quadro dello sviluppo del Mezzogiorno e dell’intera economia nazionale. Capitolo II - Il bilancio economico della Regione. Appendice. Previsione demografiche. Capitolo III - L’assetto territoriale. Parte seconda: Prospettive e politiche a livello dei settori produttivi. Capitolo IV - L’agricoltura. Capitolo V - L’industria. Capitolo VI - L’artigianato. Capitolo VII - Le attività terziarie. Capitolo VIII - Le attività turistiche. Parte terza: Le politiche degli impieghi sociali. Capitolo IX - L’istruzione e la ricerca scientifica. Capitolo X - La sanità e l’assistenza. Capitolo XI - Il trasporto e il sistema portuale. Capitolo XII - La difesa e conservazione del suolo.

9 Il Ministero dei LLpp dispone l’avvio, in base all’art. 5 della legge 1150/1942, di studi parziali e integrati per la formulazione dei Ptc regionali. Le commissioni di studio per la definizione delle ipotesi di Ptc insediate nello stesso anno, se da un lato ritrovano nello schema Vanoni le assunzioni metodologiche relativamente all’ipotesi di sviluppo economico, dall’altro deducono i criteri di analisi e classificazione dei territori per fasce a differente dotazione di risorse.

10 Progetto ’80 è la sigla con cui viene comunemente denominato il documento preliminare al programma economico nazionale 1971-1975, redatto nel 1969 dal Ministero del bilancio e della programmazione economica, che rappresentò il primo e ultimo tentativo di avviare nel nostro paese un processo di programmazione economico e territoriale a scala nazionale.

11 Le ipotesi di assetto territoriale (Ipat) della Regione Campania furono promosse, nel 1968, dal Provveditorato alle OOpp e redatte sulla base delle indicazioni formulate dal CrpeC, nel 1967, circa le direttive da seguire per la redazione del Ptc; del programma economico nazionale; delle elaborazioni del progetto ’80. Le Ipat, elaborate dalla Commissione di studi (Travaglini-Piccinato) e presentate al Provveditorato alle OOpp, ove furono ampiamente discusse e arricchite da ulteriori contributi, furono inviate, nel 1969, al CrpeC che le approvò nel 1970, esprimendo il proprio parere nelle risoluzioni per l’elaborazione del piano territoriale di coordinamento. La Giunta regionale le adottava nel 1971.

12 In esse si sottolineava come, per perseguire obiettivi di integrazione dei territori interni nel processo di sviluppo, di qualificazione in senso metropolitano dell’area costiera incentrata su Napoli e di articolazione policentrica dell’armatura urbana e industriale regionale, fosse necessario prevedere, nei territori interni, delle direttrici di sviluppo come elementi propulsivi e vitalizzanti a sostegno degli assi infrastrutturali di collegamento a lungo raggio.

13 Con la costituzione del primo governo regionale in Campania, nel 1971 si avvia un dibattito sull’assetto del territorio che sfocia più tardi nella proposta degli indirizzi politico-operativi per la programmazione economica e territoriale della regione, documento politico-programmatico nato dall’accordo interpartitico della giunta di centro-sinistra e approvato con delibera della Giunta regionale nella seduta del 21.6.1974. La proposta è nota come opzioni Cascetta, dal nome del presidente della Giunta regionale, Vittorio Cascetta, che aveva varato tale documento politico-programmatico.

14 Il piano di coordinamento degli interventi pubblici nel Mezzogiorno predisposto, ai sensi dell’art. 1 della legge 717/1965, dalla Cassa per il Mezzogiorno sulla base delle direttive espresse per la definizione del primo programma quinquennale di sviluppo economico nazionale, costituisce il primo documento ufficiale nel cui ambito viene proposta una strategia unitaria di interventi, volti a configurare una politica globale del territorio delle regioni del Mezzogiorno.

15 In seguito al sisma del 23.11.1980, la Regione Campania, con delibera di Giunta regionale n. 309 del 7.1.1981, come previsto dal titolo VIII della legge 219/1981, si dota di un comitato tecnico scientifico (Cts), come organismo consultivo, con il compito di definire gli indirizzi necessari per avviare il piano territoriale di riferimento per la utilizzazione delle risorse finanziarie rese disponibili dalla stessa legge 219/1981. Gli indirizzi di assetto territoriale (Iat) predisposti dal Cts, furono approvati dalla Giunta regionale il 24.8.1981 e formalizzati nella risoluzione del Consiglio regionale dell’aprile 1982.

16 La Giunta regionale della Campania, nella seduta del 15.12.1986, adottava la proposta del Ptrtpa per il Consiglio regionale. L’adozione avveniva con sostanziali stravolgimenti, finendo per arenarsi nell’esame degli organi consiliari. Il Governo regionale ha, nel 1989, riproposto la formazione degli specifici piani dei 30 ambiti paesistici, a suo tempo individuati, attribuendo priorità alla formazione dei piani paesistici nelle aree dichiarate di notevole interesse pubblico con i DDmm del 28 marzo 1985 (Galassini). I piani paesistici riguardanti tali territori furono consegnati alla Regione Campania dalla società incaricata Infratecna spa.

17 Il Ptrtpa individua spazi paesistici definiti e delimitati in base a elementi naturali, le cui interazioni condizionano i tipi vegetali e le basi per la vita sociale, naturale e vegetale: 1. Cilento e Vallo di Diano; 2. Sele e Calore Salernitano; 3. Tammaro e Ofanto; 4. Taburno e Calore Beneventano; 5. Golfo di Napoli; 6. Matese; 7. Regi Lagni, Volturno e Mazzoni.

18 Il Ptrtpa individua ambiti di tutela ambientale, caratterizzati da relazioni di contiguità ad una o più direttrici fondamentali che rappresentano gli assi portanti dei rapporti formali e visivi: 1. Golfo di Salerno; 2. Piana del Sele; 3. Alburni; 4. Cilento; 5. Alto Calore Salernitano; 6. Vallo di Diano; 7. Alto e Medio Sele; 8. Ofanto; 9. Alto Calore e Alto Sabato; 10. Ufita; 11. Sistema appenninico (Terminio-Cervialto); 12. Picentini; 13. Tammaro; 14. Valle di Benevento; 15. Taburno; 16. Isclero-Valle Caudina; 17. Regi Lagni; 18. Valle del Sarno; 19. Penisola sorrentino amalfitana; 20. Vesuvio; 21. Area Napoletana ad alta concentrazione urbana; 22. Isole; 23. Area Flegrea; 24. Matese; 25. Telese; 26. Alto Volturno; 27. Tifatini; 28. Medio Volturno; 29. Basso Volturno - Foce Garigliano; 30. Roccamonfina - Aurunci.

19 Il Pat, redatto dalla Italtekna su incarico della Regione Campania nel 1986, trae origine dall’art. 35 della legge 219/1981 ed è connesso ai progetti regionali di sviluppo redatti, ai sensi di tale legge, con riferimento all’area epicentrale Campana, all’area interna del Sannio, all’area metropolitana di Napoli e di Salerno. Il Pat è definito nel disegno di legge n. 200, di iniziativa della Giunta regionale, di cui alla delibera 97 del 26.6.1996, avente ad oggetto “Normativa di attuazione del Piano di Assetto Territoriale” come documento fondamentale del Ptr, atto intermedio della politica di programmazione regionale e quadro di riferimento e orientamento.

20 Le aree programma o ambiti territoriali sono: l’area di concentrazione di Napoli e Salerno; l’area forte programmatica di riequilibrio comprendente i centri urbani di Caserta, Benevento e Avellino; le due aree cerniera del Basso Volturno Aurunci e del Basso Sele e Tusciano, le tre aree interne Alifana e del Matese, dell’Alto Sannio e dell’Arianese e Monti Picentini; l’area marina e montana del Cilento e Vallo di Diano.

21 Il piano regionale di sviluppo (Prs) fu approvato con delibera di Giunta regionale n. 33 dell’1.3.1990. Il Prs si inquadra nella strategia del secondo triennio del programma triennale di intervento della legge 64/1986 verso grandi progetti strategici promuovendo iniziative di vasto respiro.

 

 

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