Numero 12/13 - 2006

 

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Trasformazioni nelle grandi aree urbane fra il 1950 e il 1990. La città di Napoli


Paola Marotta


 

La seconda metà del '900, fra ricostruzioni postbellica e postsismica, ha visto l'area napoletana al centro di un poderoso impegno culturale, tecnico e politico, spesso vanificato dall'incapacità realizzativa della sua classe dirigente. Paola Marotta ripercorre e commenta le proposte di riassetto urbanistico succedutesi nel tempo, cogliendone le interconnessioni territoriali e la dimensione programmatica di area vasta

 

 

La lettura delle politiche e delle scelte adottate per il territorio metropolitano di Napoli negli ultimi cinquanta anni definisce un quadro conoscitivo che contribuisce alla comprensione dei fenomeni di saldatura urbana recentemente verificatisi tra Napoli e i comuni limitrofi.

Se le azioni effettuate per il territorio metropolitano coinvolgono e definiscono l’assetto urbanistico della città, attraverso lo studio di processi teorici e pratici a scala territoriale, è possibile rintracciare gli strumenti per una lettura dei processi di trasformazione attualmente in atto.

Nel rilevare che già agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso, nei programmi di espansione e di trasformazione del territorio venivano delineate le intenzionalità di definire azioni su vasta scala1, il punto di partenza per l’analisi dell’area napoletana è il piano regolatore di Luigi Piccinato del 1939. Nel piano l’estensione delle problematiche ad una dimensione territoriale costituiva uno dei principi base: “un piano regolatore che abbia come primo obiettivo una messa a punto di tutte le questioni, dalle più generali alle particolari, deve affrontare prima di ogni altro tema quello di un piano regionale, come quello che inquadra in sé e misura ogni altro problema urbanistico e cittadino”2. Inoltre, all’esigenza di inquadrare le problematiche napoletane in un piano territoriale, si accompagnava la consapevolezza della necessità di una organizzazione amministrativa costruita “su un organico complesso di disposizioni di leggi che permetta di assoggettare al piano regolatore regionale i singoli organismi amministrativi che ora reggono, separati gli uni dagli altri, i vari comuni della regione napoletana”3.

Dunque, già alla fine degli anni Trenta, appariva chiara l’esigenza di contestualizzare la città nel suo territorio predisponendo precise linee di sviluppo e di espansione che limitassero contemporaneamente situazione di soffocamento e di uso intensivo e distruttivo delle aree libere.

Il dibattito sulla politica territoriale in Campania e sulle scelte da operare rispetto alla crescita del sistema industriale riprenderà in modo più esplicito contestualmente all’approvazione della legge 634/1957 che avvierà la politica statale straordinaria per il Mezzogiorno. Tuttavia, della necessità di inquadrare le scelte per la città in un programma a scala territoriale si era parlato in concomitanza alla redazione del piano regolatore tra il 1954 e il 1958 durante l’amministrazione Lauro. In relazione alle previsioni demografiche e alla necessità di reperire aree per la nuova edificazione all’esterno del territorio comunale venne proposta la redazione di un piano intercomunale. Il piano, incentrato sulla localizzazione dei nuovi insediamenti edilizi, prevedeva la creazione di una “città satellite” a Cuma4 per una popolazione di 470.000 abitanti e per un’estensione di 1.875 ettari. Il piano, pur non approvato, in qualche modo segnò l’avvio di una politica speculativa sul territorio dei Campi flegrei.

Nell’immediato dopoguerra il territorio dell’area napoletana presentava una struttura fortemente polarizzata dalla concentrazione di attività economiche e produttive nel centro urbano di Napoli. Ad una configurazione del sistema infrastrutturale storicamente monocentrico e convergente verso la città, si era accompagnato un processo di espansione dell’urbanizzazione lungo le arterie principali e in corrispondenza delle nuove infrastrutture viarie: “i nuovi interventi elevano l’accessibilità di vaste aree, ma sempre in riferimento a quelle centrali tradizionali estendendo così le periferie residenziali fino a decine di chilometri dai centri urbani dominanti. … Sono gli anni in cui inizia la saturazione residenziale, edilizia, industriale di Napoli: l’urbanizzazione si intensifica notevolmente nella periferia sconvolgendo la struttura degli antichi casali agricoli napoletani. … Le funzioni urbane permangono tuttavia nel capoluogo e l’area napoletana comincia a configurarsi come una vasta conurbazione tra le più squalificate”5.

Nel 1961, in relazione all’art. 21 della legge 634/1957 che prevedeva l’istituzione dei Consorzi delle aree di sviluppo industriale, costituita l’Asi di Napoli, furono avviati gli studi per la formazione del piano del comprensorio di competenza. La scelta di attuare interventi settoriali di piani industriali comportava una riflessione sul ruolo dei piani urbanistici regionali6 ma soprattutto poneva la questione del ruolo dei consorzi industriali rispetto alle dinamiche di riordino e sviluppo territoriale.

Intanto, tra il 1962 e il 1964, l’amministrazione comunale di Napoli affidava l’incarico ad una commissione, presieduta da Luigi Piccinato, di redigere un documento programmatico che definisse gli indirizzi e le strategie per il riordino urbanistico del territorio comunale.

Venne dunque redatto lo Schema del piano comprensorio di Napoli7: un programma unitario, a scala territoriale, attuabile attraverso una riorganizzazione delle infrastrutture viarie ed una ridistribuzione coordinata delle zone industriali e dei servizi urbani le cui linee strategiche comprendevano la decompressione e riqualificazione funzionale della fascia costiera, la crescita di un sistema industriale decentrato rispetto alla città, la promozione dell’articolazione metropolitana8.

Figura 1 - Schema intercomunale (1958)

 

 

Dopo circa un anno, nella prima relazione al piano, veniva denunciato lo squilibrio economico, sociale e urbanistico tra la città e il territorio attiguo. Occorreva creare le condizioni per invertire i processi di congestionamento all’interno della città e lungo la fascia costiera: “la città prevista dal Piano Regolatore e dal Piano Comprensoriale si configura come una grande area metropolitana organizzata nel territorio circostante, che avrà come capisaldi uno sviluppo aperto, distribuito da nord-ovest a sud-est nella fascia dell’entroterra, collegato con la fascia costiera principalmente con un sistema urbano facente capo, da nord-est al sistema portuale, alle zone direzionali e alla attuale compagine cittadina”9. Un programma unitario, dunque, attuabile attraverso una riorganizzazione delle infrastrutture viarie e una ridistribuzione coordinata delle zone industriali e dei servizi urbani: “vengono inoltre fissati per il territorio urbano alcuni obiettivi fondamentali: la decompressione edilizia con diminuzione drastica delle densità fino ad allora consentite; una struttura viaria adeguatamente aperta che impedisca l’espansione a macchia d’olio; un sistema di infrastrutture per collegare il porto all’entroterra; la realizzazione di attrezzature collettive e di servizi; il risanamento conservativo e la valorizzazione del centro storico”10.

In particolare, per poter ripristinare una situazione di equilibrio e con l’obiettivo di decongestionare la città e la zona costiera, occorreva fondare il modello di sviluppo urbano ed economico lungo due linee parallele: la prima da Pozzuoli a Castellammare secondo un processo di riordino e riqualificazione delle preesistenze, la seconda, parallela e interna, come fascia di sviluppo lungo la quale dislocare una rete di aree residenziali e produttive, poste ad una distanza dal mare e dalla città, tale da evitare fenomeni di conurbazione: “si esprimeva, in sostanza una logica complessivamente tesa alla organizzazione, ad una certa distanza nell’interno, di una struttura insediativa sufficientemente forte e integrata da sfuggire alla gravitazione insediativa verso il capoluogo e da mettere, anzi, in essere una propria capacità di attrazione, anche al fine di tutelare il residuo patrimonio agricolo e ambientale più a ridosso delle aree conurbate”11.

Le due strutture parallele avrebbero dovuto essere collegate da strutture relazionali e insediative.

Gli interventi infrastrutturali previsti dallo schema comprensoriale erano quindi:

- l’asse a scorrimento veloce, parallelo alla fascia costiera, Villa Literno-Nola;

- un tronco autostradale a est del Vesuvio;

- l’ampliamento e potenziamento del tronco autostradale Napoli-Pompei;

- la realizzazione di un nuovo sistema a scorrimento veloce nella zona urbana (la tangenziale);

- il completamento del tronco Lago Patria-Melito fino all’innesto con la Napoli-Bari;

- il potenziamento del tronco Qualiano-Cancello Arnone al fine di garantire il collegamento tra i due assi est-ovest.

Rispetto al sistema su ferro le scelte puntavano ad una integrazione delle connessioni tra i sistemi esistenti della rete delle Ferrovie dello Stato, della Circumvesuviana, della Circumflegrea e della Cumana, con l’obiettivo di creare una rete metropolitana urbana. Inoltre, era prevista la creazione di un tronco di collegamento tra il ramo ferroviario Caserta-Salerno e il ramo Napoli-Aversa-Roma.

La localizzazione degli insediamenti residenziali e industriali era prevista secondo questo schema:

- un’area industriale ed una residenziale nel territorio di Giugliano;

- due aree industriali e cinque aree residenziali lungo l’asse di scorrimento Napoli-Marcianise;

- un’area industriale ed una residenziale a sud di Pomigliano d’Arco;

- tre aree industriali e due aree residenziali tra Pompei e Nocera Inferiore.

Figura 2 - Proposta di assetto territoriale regionale (1964)

 

 

È importante evidenziare come attraverso le indicazioni espresse nel progetto a scala territoriale venissero precisate le indicazioni strategiche per la definizione del piano regolatore per Napoli: la realizzazione di un sistema di connessioni infrastrutturali tra città e territorio, la riduzione della densità edilizia del centro urbano, l’incremento delle dotazioni di attrezzature, il potenziamento dei servizi e delle attività direzionali e turistiche, il risanamento del centro storico.

Oltre che definire le strategie per il piano regolatore, lo schema per il comprensorio individuava una serie di orientamenti che furono recepiti nel piano Asi di Napoli approvato nel 1968. In particolare vennero recepite le indicazioni localizzative e infrastrutturali con un correttivo indotto dalla localizzazione dell’Alfa Sud a Pomigliano d’Arco12. Gli interventi previsti furono suddivisi in sette agglomerati così localizzati: Caivano (293 ha), Acerra (268 ha) e Nola-Marigliano (388 ha) lungo l’asse Aversa-Nola al confine con la Provincia di Caserta; Giugliano (113 ha) e Arzano (80 ha) nel settore nord-ovest; Pomigliano d’Arco (301 ha) nel nord-est; infine, più verso il salernitano, l’agglomerato della foce del Sarno (66 ha).

Le scelte operate per la localizzazione delle Asi implicavano una serie di conseguenze che comportarono effetti di ulteriore centralizzazione di Napoli rispetto al territorio. In effetti, la validità di piano territoriale del piano dell’area di sviluppo industriale era stata definita dal Ministero solo per il settore delle localizzazioni industriali e delle infrastrutture connesse; pertanto venivano a definirsi vaste zone agricole da infrastrutturare che diventavano in questo modo i poli di attrazione dell’edilizia speculativa. Come osserva Alessandro Dal Piaz: “dal momento che il piano regolatore dell’area di sviluppo industriale non considerava in alcun modo i problemi della riqualificazione urbana degli aggregati insediativi preesistenti, o quelli dell’adeguamento al loro interno di attrezzature e servizi o quelli dello sviluppo di moderne attività terziarie opportunamente diffuse secondo un reticolo equilibrato, esso finiva – al di là delle proiezioni nel territorio di nuove localizzazioni produttive – per rafforzare il ruolo dominante di Napoli, il cui potere polarizzante veniva confermato e anzi esaltato”13.

Figura 3 - Localizzazione aree Asi (1968)

 

 

Tra il 1966 e il 1969 venne elaborata da una nuova commissione, coordinata da Luigi Piccinato, la Proposta di assetto territoriale regionale14 per conto del Provveditorato alle opere pubbliche. Articolato in due fasi, una di analisi delle caratteristiche economiche e territoriali, una di indicazione delle scelte politiche da attuare, lo schema proponeva una nuova distribuzione demografica sull’intero territorio regionale, indicando processi di sviluppo per invertire la tendenza della concentrazione demografica dalla fascia costiera all’interno. Si proponeva, quindi, un assetto del territorio strutturato in una forma di policentrismo: entità territoriali o comprensori, aree urbanizzate autosufficienti e integrate, organicamente relazionati da canali di connessione. La Proposta presentava alcuni limiti e venne criticata perché ritenuta estranea ad un’effettiva valutazione e valorizzazione delle risorse territoriali. Inoltre, venne evidenziato la mancanza di un approfondimento circa la definizione del comprensorio e soprattutto la mancanza di una definizione precisa della natura e, quindi, degli obiettivi e dei ruoli, dei canali di collegamento15.

Tuttavia i contenuti della Proposta furono ripresi e approfonditi nello studio per lo Schema del piano generale del comprensorio di Napoli, disposto dal Provveditorato alle opere pubbliche nel 1970. Lo schema era articolato secondo tre parti: il sistema degli squilibri, il sistema dei criteri di intervento e il sistema degli interventi operativi.

L’assetto del territorio del comprensorio di Napoli veniva dunque analizzato attraverso gli squilibri tra la concentrazione della popolazione e la localizzazione delle componenti residenziali e di servizio. Oltre ad una consapevolezza del potenziamento del ruolo di Napoli rispetto al territorio, si denunciava un aggravarsi dello squilibrio tra carico demografico e capacità insediativa del territorio. Rispetto ad una previsione all’anno 2000 di 4.115.000 abitanti, la domanda di aree di nuova urbanizzazione per il soddisfacimento della domanda abitativa e di servizi risultava pari al 24% dell’area comprensoriale.

Il sistema dei criteri di intervento si basava sul principio del riequilibrio dimensionale e distributivo della popolazione attraverso una limitazione della crescita edilizia nei centri maggiori ed un potenziamento di insediamenti residenziali, industriali e di servizio nel settore nord-est del comprensorio: “il criterio di riequilibrio urbanistico proposto si fondava su un meccanismo di sviluppo integrante le componenti secondo un disegno globale di distribuzione della popolazione, di destinazione d’uso del territorio, di definizione della rete cinematica ponendo, come limite allo sviluppo degli insediamenti, vincoli territoriali riguardanti le zone di fondamentale e particolare importanza agricola, le zone turistiche e quelle di particolare interesse storico-ambientale”16.

Sulla base di questa linea strategica gli interventi operativi erano articolati secondo un sistema policentrico di unità territoriali (subcomprensori) con funzioni di riequilibrio e di “dimensioni tali da garantire l’effetto città e costituire quindi degli operatori di primo livello nel meccanismo delle interrelazioni comprensoriali”17.

Figura 4 - Il programma straordinario per le aree esterne alla città di Napoli (1980)

 

 

Con la suddivisione in sub-comprensori si sarebbe venuto a creare un sistema di unità territoriali connesse in cui Napoli costituiva il polo terziario; le attrezzature di primo livello, localizzate secondo una direzione nord-sud (strutture spinali), dovevano essere collegate da reti di interscambio alle funzioni di secondo livello dei singoli comprensori; la realizzazione di strutture urbanistiche, caratterizzate da relazioni tra residenza e industria, avrebbe innescato l’effetto città. Il comprensorio dunque era inteso come sistema policentrico in cui la riorganizzazione e lo sviluppo dell’industria costituivano gli elementi capaci di orientare la localizzazione di residenza e servizi e quindi in grado di orientare le forme di riequilibrio territoriale: “la priorità veniva quindi attribuita agli interventi finalizzati allo sviluppo produttivo industriale e quindi alle opere infrastrutturali; successivamente si sarebbero dovute realizzare le strutture spinali di residenza e servizi, quindi la ristrutturazione degli abitati esistenti”18.

Nel mese di giugno del 1974 la giunta regionale approvò la Proposta degli indirizzi politico-operativi per la programmazione economica e territoriale della Regione Campania. Si trattava di un documento politico-programmatico voluto dalla giunta di centro sinistra in cui venivano delineate le principali strategie di sviluppo economico e di valorizzazione, conservazione e razionalizzazione delle risorse territoriali. Rispetto a Napoli e alla sua area metropolitana le proposte puntavano ad una riqualificazione attraverso la localizzazione delle aree industriali lungo la fascia esterna della città, l’articolazione policentrica delle attività terziarie e la riorganizzazione del sistema infrastrutturale.

In particolare le tematiche relative alla politica dei trasporti verranno approfondite in relazione alla convinzione che costituivano una componente primaria nella definizione dei programmi di riequilibrio economico e territoriale. Già agli inizi degli anni Settanta la regione aveva proposto come linee di intervento l’organizzazione e l’incremento del sistema infrastrutturale, la riorganizzazione dei servizi e della gestione dei servizi e il rilancio del sistema ferroviario.

Figura 5 - Il progetto del sistema delle strade nel Programma straordinario (1980)

 

 

Agli inizi degli anni Settanta fu approvato il Piano comprensoriale dei trasporti redatto dal Comune di Napoli, correlato alle indicazioni espresse nei precedenti piani comprensoriali, costituiva uno strumento di riferimento per la riqualificazione del centro urbano di Napoli, per il recupero del centro storico e per la riorganizzazione delle periferie. Il sistema era impostato principalmente sulle interrelazioni tra Napoli, le nuove città di Aversa e Nola, il nuovo centro direzionale e gli insediamenti industriali delle Asi. All’interno della città, si prevedeva la realizzazione di sistemi su ferrovie metropolitane veloci, ad alta frequenza, automatizzate, oltre ad un sistema di autostrade urbane ed extraurbane strutturato in base alle direzioni prevalenti. A scala territoriale l’obiettivo era sempre il riequilibrio demografico e organizzativo rispetto al predominante ruolo fisico e funzionale di Napoli sul suo territorio: “la rete comprensoriale è interessata dalla trasformazione dell’attuale sistema centrato su Napoli, in un assetto policentrico orientato secondo due direttrici di insediamento, quella costiera e quella interna, la prima derivante dalla strutturazione della realtà esistente, la seconda originata dalla stessa azione di riequilibrio che trova concretezza in una serie di insediamenti allineati lungo la direttrice Nola-Aversa-Teano. Tra queste due direttrici dovrebbero stabilirsi delle relazioni trasversali, tra cui quelle nord-sud attorno all’asse baricentrico Napoli-Caserta, lungo il quale insediare il Centro Direzionale Regionale”19.

La politica territoriale agli inizi degli anni Ottanta veniva fortemente condizionata dalle vicende legate al terremoto del novembre 1980. Alle già evidenziate problematiche dell’area napoletana si aggiungeva la necessità di localizzare i nuovi insediamenti abitativi previsti dal programma di ricostruzione20.

I danni e le conseguenze del terremoto del 23 novembre 1980 costrinsero l’amministrazione comunale a trovare le soluzioni allo stato di emergenza che si era venuto a creare: 147.000 sfollati, 6.810 edifici inagibili, 4.675 ordinanze di sgombro, 300 strade chiuse al traffico, 200 scuole occupate dagli sfollati.

Il primo atto legislativo approvato, il decreto n. 776 del 26 novembre 1980, convertito nella legge 22 dicembre 1980, n. 874, affidava al commissario straordinario per le zone terremotate il compito di provvedere alla installazione di alloggi temporanei da destinare alle famiglie senza tetto, disponendo anche alla realizzazione delle necessarie infrastrutture, e di provvedere alla concessione di contributi per un importo pari a dieci milioni di lire per il ripristino di abitazioni o di parti di condominio sinistrate.

In relazione a questi atti si aprì un dibattito sulle scelte urbanistiche da adottare. In particolare l’Istituto nazionale di urbanistica evidenziava la necessità di individuare le possibili zone di espansione edilizia nell’ambito di un programma di sviluppo urbanistico dell’intera area napoletana. Si riteneva, infatti, opportuno che le aree di espansione fossero individuate fuori dell’area del comune, opportunamente distribuite sul territorio e prevedendo una forma di accordo tra i comuni per l’attuazione di strumenti pianificatori a scala sovracomunale. Tra gli studi elaborati in quegli anni anche il documento elaborato dal Cresme21, Proposta per Napoli, definiva l’importanza dell’estensione della strategia di intervento alla scala metropolitana e individuava nella realizzazione delle nuove residenze uno degli elementi atti ad attivare la riorganizzazione urbano-territoriale della conurbazione napoletana. In particolare, in relazione al sistema della mobilità esistente e programmata, furono individuate due alternative per la localizzazione dei nuovi insediamenti. Una prima ipotesi considerava la possibilità di realizzare un sistema insediativo lineare lungo la ferrovia Villa Literno-Pozzuoli associato alla futura possibilità di un collegamento metropolitano con Napoli e i comuni della fascia vesuviana, nonché all’ipotesi di realizzazione di un parco naturale e archeologico nei Campi Flegrei. La seconda soluzione proponeva la realizzazione dei nuovi insediamenti, anche in una logica di riconnessione e riorganizzazione degli insediamenti esistenti, in corrispondenza della tratta della linea della Circumvesuviana Napoli-Baiano verso i comuni più interni di Cimitile e Baiano. Da un punto di vista operativo e gestionale si proponeva di istituire un organismo a cui affidare l’integrale gestione delle operazioni sia nella prima fase di nuova espansione sia nella seconda fase di riqualificazione dell’esistente.

In una fase convulsa dovuta al post terremoto, in attuazione al titolo della legge 219/1981, venne redatto il programma per l’Intervento straordinario per la ricostruzione dell’area napoletana che, oltre a definire localizzazione e dimensioni dei nuovi insediamenti abitativi, si poneva l’obiettivo di attivare un programma di riqualificazione e riequilibrio dell’hinterland napoletano.

Rispetto alla problematica dell’area a cui estendere l’intervento, venne adottata la perimetrazione individuata dal Comitato tecnico scientifico regionale che comprendeva la Provincia di Napoli, escluso le Usl e la penisola sorrentina, e alcuni comuni della Provincia di Caserta. Questa scelta confermava in qualche modo la volontà di spingere l’espansione verso l’interno a nord di Napoli e limitare la congestione della fascia costiera. L’intero programma trovava il suo riferimento strategico e operativo negli Indirizzi di assetto del territorio approvati dalla giunta regionale nel mese di agosto del 1981. Le linee di intervento proponevano la ricucitura e la riqualificazione del sistema urbanistico territoriale; l’utilizzo di strumenti e finanziamenti straordinari per la realizzazione degli interventi infrastrutturali necessari; una riorganizzazione a scala locale e regionale del reinsediamento della popolazione.

Il territorio napoletano fu diviso in quattro sub-aree: l’area di Pozzuoli e di Giugliano, la direttrice aversana, la direttrice nolana e l’area vesuviana. È importante evidenziare come i criteri in base ai quali vennero individuati i comuni per la localizzazione dei nuovi insediamenti furono definiti secondo un ragionamento a scala regionale. I fattori presi in considerazione furono: “lo stato della strumentazione urbanistica dei comuni dell’area napoletana, in prevalenza dotati di soli Programmi di Fabbricazione, spesso obsoleti; le condizioni di degrado dei centri urbani e di compromissione di estese aree agricole circostanti; i fenomeni di congestione urbana e di traffico, di precarietà del sistema idrogeologico in più casi, e più generalmente di carenze di infrastrutture idriche e fognanti, di idonei collegamenti cinematici con la città di Napoli; la preoccupazione di non condizionare con scelte di emergenza quelle che avrebbero potuto essere future opzioni di riequilibrio e di assetto socio-urbanistico dell’area napoletana, pure allo studio da parte della Regione e comunque auspicate dalla L. 219 stessa all’art. 35 sui Programmi Regionali di Sviluppo; la commistione, senza soluzione di continuità, dei comuni di «corona» alla città di Napoli, con connotazioni di degrado e nello stesso tempo di imperfette caratteristiche «urbane», che sollecitano forti interventi riqualificativi; lo stato di operatività dei Piani di Zona «167» nella prevalenza dei comuni dell’area napoletana, dovuto al loro sovradimensionamento, alla carenza di adeguate assegnazioni finanziarie, nonché a irrisolti problemi infrastrutturali”22.

I successivi anni Ottanta furono caratterizzati da vicissitudini politiche incerte e da un dibattito urbanistico vincolato più a posizioni politiche e interessi economici che non ad un programma culturale che completasse il ragionamento sulla città e l’area metropolitana avviato negli anni Sessanta. Alla fine degli anni Ottanta l’hinterland napoletano già presentava una situazione di forte crescita edilizia a cui non si è accompagnato un incremento o anche solo un adeguamento delle funzioni alla nuova dimensione.

 

 

Note

 

1 In particolare ci si riferisce all’esperienza di Adriano Olivetti per il piano regolatore della Valle d’Aosta del 1934 considerato uno dei primi piani estesi alla scala provinciale in cui si esprimeva l’esigenza di correlare la nuova espansione urbana alle organizzazioni territoriali dell’industria e della agricoltura.

2 Relazione al Piano Regolatore della città di Napoli, Napoli, 1936, p. 19.

3 Relazione al Piano Regolatore della città di Napoli, Napoli, 1936.

4 “Il Monte Nuovo, il lago d’Averno, il lago Fusaro, l’acropoli e la città antica di Cuma, la pineta di Licola, il Monte Ruscello, i crateri del Campiglione, la via Campana antica, venivano letteralmente sommersi dalla marea edilizia che senza soluzione di continuità, si abbatteva implacabilmente «sul territorio a più alto prestigio culturale d’Italia», cancellando le più insigni testimonianze archeologiche, le più celebri bellezze naturali e paesistiche e gli aspetti scientificamente più interessanti dei fenomeni vulcanici e delle caratteristiche geologiche dei Campi Flegrei”. In De Lucia V. E., Jannello A. (1976), L’urbanistica a Napoli dal dopoguerra ad oggi: note e documenti, in “Urbanistica”, n. 65, p. 31.

5 It. Urb. 80. Rapporto sullo stato dell’urbanizzazione in Italia, “Quaderni di Urbanistica Informazioni, n. 8, 1990, p. 231.

6 Già alla fine degli anni Cinquanta il Ministero dei lavori pubblici aveva promosso gli studi per un piano regionale della Campania. Il lavoro fu condotto da Nello Novacco e Manlio Rossi Doria e costituisce il primo documento in cui veniva analizzata in modo sistematico e unitario le realtà insediative e l’organizzazione produttiva. Rispetto ad una situazione di squilibrio e arretratezza, le analisi e le indicazioni di Novacco e Rossi Doria si ponevano come “una proposta, in sostanza, di razionalizzazione delle tendenze spontanee in riferimento al metodo e alla logica dello «schema Vanoni», finalizzata all’impostazione di un coordinamento unitario alla scala regionale delle scelte urbanistico-edilizie degli enti locali, di un’ipotesi di consequenzialità (anche sul piano delle priorità) nell’organizzazione degli interventi pubblici, di un quadro di limiti e salvaguardie a garanzia delle risorse paesistico ambientali più importanti”. In Dal Piaz A. (1985), Napoli 1945-1985. Quarant’anni di urbanistica, Napoli, p. 50.

7 Cfr. Cerami G., Forte F. (1983), L’area metropolitana di Napoli. Metodologie e indirizzi per il piano dell’area napoletana, Napoli.

8 Lo schema proposto da Piccinato faceva riferimento ai contenuti dello studio di Novacco e Rossi Doria.

9 Relazione del Piano del comprensorio del Comune di Napoli del 28 gennaio 1964.

10 De Lucia V. E., Jannello A., op. cit., p. 36.

11 Dal Piaz A. (1985), Napoli 1945-1985. Quarant’anni di urbanistica, Napoli, p. 55.

12 “Per il piano regolatore di sviluppo industriale dell’area di Napoli, l’obiettivo della decompressione funziona sostanzialmente da alibi subdolo e mistificatorio. Di quale decompressione si tratti, è facile comprenderlo già dall’esplicita affermazione circa il ruolo di baricentro regolatore da assegnare all’Alfa Sud di Pomigliano d’Arco: un baricentro che si colloca a poco più di 10 km dalla costa e dal centro della città di Napoli e che chiude definitivamente la lungamente riaffermata prospettiva di apertura verso l’interno”. In De Lucia V. E., Jannello A. (1976), L’urbanistica a Napoli dal dopoguerra ad oggi: note e documenti, in “Urbanistica”, n. 65, p. 47.

13 Dal Piaz A. (1985), Napoli 1945-1985. Quarant’anni di urbanistica, Napoli, p. 53.

14 La proposta venne presentata nel 1969 al Comitato regionale di programmazione economica che espresse parere favorevole nel 1970.

15 “La pianificazione regionale, in definitiva affrontata con il bagaglio concettuale e strumentale della pianificazione urbanistica (standard e zonizzazione, sia pure in versione sui generis), con il risultato di produrre elaborazioni inefficaci e astratte e, di riflesso, di contribuire involontariamente alla svalutazione che, con ben altra interessata consapevolezza, forze diverse tentavano di condurre nei confronti della pianificazione urbanistica attaccandone sul piano culturale proprio l’apparato concettuale e strumentale”. In Dal Piaz A. (1985), Napoli 1945-1985. Quarant’anni di urbanistica, Napoli, p. 64.

16 Cerami G., Forte F. (1983), L’area metropolitana di Napoli. Metodologie e indirizzi per il piano dell’area napoletana, Napoli, p. 76.

17 Relazione Schema del Piano Generale del Comprensorio di Napoli in Cerami G., Forte F., op.cit., p. 77.

18 Cerami G., Forte F., op.cit, p. 78.

19 Cerami G., Forte F., op.cit, p. 88.

20 “Il rigonfiamento della periferia napoletana si lega alla vivace dinamica demografica di un’area che già racchiude contingenti di popolazione in eccesso e, più di recente, alle conseguenze indotte dal sisma del 1980, che ha spinto alla realizzazione di un vasto parco di alloggi in buona parte accentrato su spazi relativamente prossimi al nucleo centrale. … Sembra l’avvio di un’ulteriore fase di colmata progressiva di ogni interstizio, ancora libero, in presenza di un decentramento che resta soprattutto residenziale, alimentato oggi, più che nel passato, dall’acuirsi dei problemi della metropoli partenopea”. In Viganoni L. (1992) (a cura di), Città e metropoli nell’evoluzione del Mezzogiorno, Milano, p. 20.

21 Il gruppo di tecnici che elaborò il documento era coordinato da Vezio De Lucia.

22 Dal terremoto al futuro. La ricostruzione a Napoli, vol. 1, Napoli, 1991, p. 183.

 

 

Le Figure 1, 2 e 3 sono tratte da: De Lucia V. E., Jannello A. (1976), L’urbanistica a Napoli dal dopoguerra ad oggi: note e documenti, in “Urbanistica”, n. 65.

Le Figure 4 e 5 sono tratte da: Dal terremoto al futuro. La ricostruzione a Napoli, volumi 1-2, Napoli, 1991.

 

 

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