Numero 10/11 - 2005

 

Il territorio rifiutato  

 

Area Vasta n. 10/11 Luglio 2004 - Giugno 2005 Anno 6

numero 10/11  anno  2005

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In copertina Lello Lopez,

Da lontano, 2004

acrilico su tela, cm 40x30.

Fotografia di Vince Gargiulo

 

ISSN 1825-7526

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quattro R1 per non litigare


Laura Fregolent


 

Lo sviluppo sostenibile impone una risignificazione dell'azione politica nella quale la dimensione ambientale dei problemi non è l'unica dimensione della quale tener conto. In tale ottica vengono lette e restituite, da un lato, le azioni intraprese dai gruppi ambientalisti, dall'altro, le risposte date dalla politica ai diversi livelli territoriali. In relazione a ciò, Laura Fregolent prende ad esempio la Regione Veneto e, in particolare, i problemi legati allo smaltimento dei rifiuti solidi in discarica, verificatisi in alcune realtà comunali

 

 

Il quadro di riferimento

 

I conflitti legati alla localizzazione di impianti a elevato impatto ambientale, presentano, molto spesso, una duplice anima, essere cioè da un lato forme di contestazione molto specifica, territorialmente definita, che non sempre abbraccia ambiti e temi che vanno al di là dell’oggetto della protesta, dall’altro, proprio per la loro specificità, di riuscire a mettere a nudo problemi contingenti che l’amministratore pubblico e il politico spesso non sanno affrontare, gestire e dirimere con efficienza ed efficacia. Inoltre, nell’arco degli ultimi anni, osserviamo come si siano trasformate le forme e le modalità del conflitto: esso è ora meno ideologizzato, ha assunto un carattere più sfumato dal punto di vista dei principi ideologici e politici per essere più territorializzato, legato a questioni per le quali si cercano soluzioni contingenti, talvolta immediate; nasce e si sviluppa alla micro-scala e interessa gruppi ristretti di popolazione.

L’analisi sulle problematiche connesse allo smaltimento dei rifiuti e le quantificazioni relative, si confronta con una produzione e conseguente smaltimento di rifiuti urbani, e speciali, legata ad un modello di consumo che non presenta evidenti processi di cambiamento o ri-orientamento. Il modello di sviluppo imperante, e con esso i sistemi di distribuzione di beni e merci, è un modello altamente dissipativo e, nonostante le progressive innovazioni tecnologiche e le politiche di smaltimento/riciclaggio, è responsabile della quantità di rifiuti che noi stessi produciamo. Rispetto a ciò, talvolta, anche le armi a disposizioni di amministratori e politici appaiono spuntate, incapaci di far fronte alle questioni e di orientare le scelte verso soluzioni adeguate e condivise.

Partendo da queste considerazioni generali su livello e forma assunti dalla conflittualità, nel caso preso ad esempio, cioè quello della Regione Veneto2, si ipotizza, specificatamente in materia di rifiuti, che la conflittualità, oltre alle motivazioni di carattere sociale elencate, sia diminuita grazie all’introduzione del DLgs 22/1997 meglio noto come decreto Ronchi e alla conseguente sua applicazione oltre che ad una gestione, forse, più oculata da parte degli enti interessati.

 

 

I conflitti a scala locale3

 

Il progressivo calo di rifiuto smaltito in discarica, grazie all’introduzione e all’applicazione del decreto Ronchi e all’avvio della raccolta differenziata, ha significato oltre che una consapevolezza maggiore nel cittadino impegnato a seguire criteri e dettami della differenziazione, anche una diversa procedura di smaltimento e di distribuzione a livello locale del rifiuto da riciclare, questo, nonostante, l’incremento pro capite di rifiuti prodotti; infatti, dai 451 kg/abitante del 1998 si passa ai 469 del 2000, ai 485 del 2002, registrando però una piccola inversione di tendenza del -1,9% nel 2003. La percentuale di rifiuto differenziato sul totale del rifiuto urbano prodotto è, a livello regionale, del 18,93% nel 1998, del 28,4% nel 2000 e del 39,5% nel 2002, con variazioni significative per le singole province: 25,4% a Belluno, 46,2% a Padova, 51,8% a Treviso4. Tale progressione è registrabile anche negli anni successivi; infatti, nel 2003, Belluno tocca il 28,82%, Padova il 52,22%, Rovigo il 37,76%, Treviso il 58,46%, Venezia il 29,18%, Vicenza il 51,13% e Verona il 38,09%, risultati che portano la regione al 43,09% di rifiuto differenziato su rifiuto urbano prodotto, quando la percentuale nazionale è di poco superiore al 21%, e a superare nel 2004 la soglia del 50% di rifiuto riciclato, raggiungendo con largo anticipo gli obiettivi stabiliti5.

Ci troviamo, quindi, in una situazione di relativa virtuosità da parte degli enti di gestione, che ha significato una radicale riduzione del rifiuto indifferenziato smaltito in discarica, anche se paiono quanto mai necessarie politiche di informazione e sensibilizzazione del cittadino, volte a contenere, a monte, la produzione di rifiuti6. A fronte dei dati riportati non pare comunque azzardata l’ipotesi che tale trend, positivo, abbia avuto un’influenza a livello locale e abbia di conseguenza ridotto i motivi di micro-conflittualità, anche se non possiamo dire che la conflittualità in Veneto, per questioni legate alle politiche di smaltimento dei rifiuti, sia stata annullata, anzi: una ricognizione, seppur sommaria, dei movimenti di protesta presenti, prendendo in considerazione quelli relativi all’apertura di nuove discariche o alla gestione delle esistenti, o alla proposta di costruire impianti di compostaggio e riciclaggio, inceneritori o termovalorizzatori, ci permette di mettere in evidenza una conflittualità anche se contenuta.

Le proteste esistono ma incentrate prevalentemente sulle questioni legate alle grandi opere, soprattutto infrastrutturali, o sui problemi di inquinamento e bonifica dei siti inquinati7 e questo atteggiamento potrebbe in parte essere frutto proprio del tendenziale abbattimento della quantità di rifiuti smaltiti in discarica, delle politiche orientate alla non apertura di nuove discariche, della quota crescente di rifiuto organico che viene smaltito negli impianti di compostaggio anziché finire nell’indifferenziato rifiuto solido urbano. Al 2003 gli impianti per il compostaggio di rifiuto selezionato sono: 56 per il trattamento dei residui lignocellulosici8 e 3 digestori anaerobici, ai quali si aggiungono 9 impianti di biostabilizzazione9 e 16 per il compostaggio10, impianti, questi ultimi, cardine del sistema oltre che della filosofia del riciclaggio, che però, presentano talvolta controindicazioni e alcuni impatti significativi, dati per esempio dallo stoccaggio di grandi quantità di rifiuto da lavorare, odori, traffico di camion per la raccolta, ecc., che provocano la nascita di comitati e proteste come accaduto per gli impianti di Este (Padova), Trevignano e Lovadina (Treviso). Mentre altre micro-conflittualità, alcune definitivamente conclusesi, altre con qualche strascico giudiziario, si sono registrate su tutto il territorio regionale nel corso degli ultimi 15 anni.

Alcuni conflitti significativi, tra quelli che possono definirsi come conclusi (più che risolti), si sono verificati in presenza di proposte per la costruzione di impianti di termovalorizzazione11 considerati l’ultima frontiera alla soluzione del problema rifiuti, come nel caso di Dueville (Vicenza) dove la protesta cittadina contro l’inceneritore con torcia al plasma, raccolta dal Comitato Antitorcia, ha costretto l’amministrazione comunale a rivedere le sue posizioni iniziali (Giornale di Vicenza, 30 luglio 2000). Il caso è abbastanza significativo: il Ministero dell’industria concede ad una società privata l’autorizzazione per l’installazione di un inceneritore al plasma, concessione che trova immediato accoglimento da parte dell’amministrazione comunale che rilascia pareri e autorizzazioni in tempi celeri. La vicenda ha un iter accelerato sia presso il comune che la regione, cosa che non stupisce pensando alla necessità da parte dell’operatore pubblico di trovare soluzioni rapide ad un problema pressante, anche se ciò ovviamente non giustifica la frettolosità con cui l’operazione è stata condotta. Inoltre, nel programma relativo allo smaltimento dei rifiuti la regione prevedeva la localizzazione di un inceneritore nell’area vicentina, che sostanzialmente sarebbe stato di supporto all’inceneritore di Schio (oramai obsoleto), alla discarica di Sarcedo12 (chiusa per completamento il 31 dicembre 2004 e per altro anch’essa interessata dalle proteste dei cittadini costituitisi in comitato, e tuttora attivi) e la discarica per rifiuti solidi urbani di Grúmolo delle Abbadesse. La vicenda dell’inceneritore di Dueville presentava alcuni punti oscuri, non solo per la celerità del procedimento amministrativo, ma anche per la scarsa sperimentazione di un impianto di questo tipo, utilizzato nel caso di Dueville, sia per rifiuti industriali non pericolosi sia per rifiuti solidi urbani. In questo ultimo caso, per l’amministrazione comunale l’operazione costituiva sicuramente la soluzione ottimale ai problemi del comune: un impianto sicuro dal punto di vista ambientale – così nella descrizione fatta da alcuni tecnici ed esperti – niente scorie e niente fumi e a costo zero per i cittadini, insomma all’apparenza una vera occasione che l’amministrazione ha pensato di cogliere, non facendo però i conti con la popolazione e con i timori che impianti di questo tipo suscitano.

Un altro caso, in parte simile, lo si riscontra nel trevigiano dove i comitati Vivere domani di Montebelluna, Trevignano e Volpago hanno impedito la costruzione di un inceneritore da parte della società pubblico-privata Montepower, che doveva trasformare in energia 135.000 t/anno di spazzatura. In questo caso i comitati hanno avuto l’appoggio delle amministrazioni, in Particolare a Montebelluna, comune nel quale doveva insediarsi l’impianto e dove sono nati un comitato di protesta ed una lista civica con un programma che avrebbe impegnato l’amministrazione, eventualmente eletta, contro l’impianto e allo scioglimento della società Montepower costituitasi appositamente per la realizzazione dell’impianto. Così è stato: alle proteste, all’impegno civico, ai cortei e alle manifestazioni è seguito l’acquisto da parte dell’amministrazione comunale di tutte le quote societarie della Montepower onde scongiurare una possibile futura localizzazione di un nuovo impianto (La tribuna, 20.9.2002; 20.10.2003).

Un conflitto significativo e di forte impatto, per risposta e coinvolgimento della popolazione del comune e per le ricadute a livello politico locale, è stato quello contro l’ampliamento e l’utilizzo di cave e discariche esistenti, per il conferimento di rifiuti urbani, a Sernaglia della Battaglia (Treviso) a fine anni ’80, comune che si è visto anche recentemente impegnato contro una richiesta di stoccaggio di amianto in un’ex discarica (Il Gazzettino, 3.12.2004); oppure nel rodigino le vicende, di metà anni ’80, della discarica di Torretta collocata al limitare del Comune di Bergantino (Rovigo), dove sorse un agguerrito comitato di protesta che si batté contro l’ampliamento della discarica stessa; nel padovano dove per la discarica di Ponte San Nicolò (Padova), che fa parte con la discarica “Vasco de Gama” ed un inceneritore di un sistema integrato di smaltimento di rifiuti solidi urbani (Rsu), si assisté ad una vicenda processuale ancora in corso, ma anche nel Comune di Limena (Padova) dove si è costituito, nel corso degli anni ’90, un comitato prima contro la discarica “Vasco de Gama” sopra citata e poi contro un progetto di inceneritore; a Valeggio (Verona), a fine anni ’90, un comitato si è mobilitato contro la discarica e la successiva proposta di risagomatura della stessa; e per finire nel vicentino dove a Grùmolo delle Abbadesse (Vicenza) le proteste sono legate ad una vicenda, dai numerosi illeciti nell’iter amministrativo, per la realizzazione di una discarica di Rsu e speciali assimilabili agli urbani, che come si legge anche nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta (7.2.2001) sono dovuti alla mancata osservanza di alcune prescrizioni autorizzative per i lavori in corso d’opera13.

A questi comitati e proteste serrate sorte nel corso degli anni, si aggiungono i dibattiti e le contestazioni che hanno attraversato e attraversano la regione, con toni più soffusi su ipotesi, possibili scelte, proposte localizzative di impianti, che hanno il pregio di mettere in evidenza un’attenzione, seppur limitata e contingente, del cittadino e un monitoraggio costante e attento da parte delle associazioni ambientaliste.

 

 

Ma il problema resta

 

Queste esperienze, seppur diverse per sviluppi politici e coinvolgimento sociale, evidenziano come i progetti ad alto impatto ambientale e sociale richiedano che i cittadini siano informati e che le informazioni fornite siano chiare, qualificate e dettagliate: un processo di cui le amministrazioni coinvolte dovrebbero farsi carico e in modo corretto e consapevole (piuttosto che occasionalmente e marginalmente). La mobilitazione dei cittadini, infatti, non può sempre ridursi ad un movimento di mera protesta, sicuramente utile e proficua quando fa emergere questioni sottaciute, nebulose o mascherate come possono essere in parte gli esempi riportati, ma deve essere in grado anche di contribuire alla formulazione di soluzioni alternative che risolvano (e non spostino) i problemi di carattere ambientale e sociale. Ne consegue che il cittadino va posto nella condizione di comprendere la portata degli eventi, di essere a conoscenza di ciò che accade, di esprimere un parere quanto più oggettivo possibile. Invece, le denunce, anche se non solo per mancanza d’informazione, hanno spesso il carattere della protesta contingente che coinvolge direttamente il cittadino, mentre è possibile rilevare che quando si tratta di battersi per questioni altre, più ampie, che non coinvolgono direttamente le comunità nella loro circoscritta dimensione e nei loro interessi prettamente locali, si produca un generale disinteresse dietro al quale i più si mettono al riparo. La sindrome di nimby (not in my backyard), che esprime chiaramente ed efficacemente queste forme di coinvolgimento interessato, suggerisce la dimensione macro del problema, evidenzia un’inefficienza tutta politica di gestione degli interessi locali e di soluzione delle micro-conflittualità. Ne siano un esempio le modalità con cui l’ente regionale, da un lato, tenti di proporre soluzioni, la cui applicazione non può che creare problemi di consenso politico a livello locale, ma nel fare ciò non affronta la questione in termini diretti, cooperativi e concertativi con le amministrazioni stesse, un po’ nella speranza, tutta italiana, che le cose … nel tempo, si risolvano; dall’altro le amministrazioni locali troppo prese dalla soluzione contingente di piccoli o grandi problemi, sono di rado soggetti propositori di politiche che partendo dalla scala locale riescano a coinvolgere l’ente sovraordinato in una politica complessiva e solutiva.

Esemplificativa in questo senso la scelta contenuta nel piano regionale per il recupero e lo smaltimento dei rifiuti urbani che prevede, come passaggio ultimo nel ciclo di trattamento e recupero dei rifiuti, la realizzazione di tre termovalorizzatori14 a servizio rispettivamente delle province di Belluno-Treviso, Padova-Rovigo e Vicenza-Verona i cui siti dovranno però essere individuati dalle province interessate. Aspetteremo con fiducia il lavoro delle province al quale seguirà, come ovvio, la protesta dei comuni coinvolti e il probabile rallentamento di una qualsiasi decisione, quando sarebbe molto più proficuo avviare una campagna di sensibilizzazione e informazione sul problema, cercando di individuare criticità e ipotesi di soluzione, ma soprattutto localizzando a livello territoriale siti idonei che non siano il risultato di una pura concertazione politica ma presentino le caratteristiche tecnico-fisiche adeguate all’insediamento di un impianto di termovalorizzazione. Il territorio, risorsa esauribile, andrebbe in quest’ottica valutato non solo dal punto di vista degli impatti ambientali che le attività antropiche legate allo smaltimento dei rifiuti hanno su di esso, ma anche dal punto di vista della compromissione del paesaggio, delle localizzazioni improprie degli impianti con inevitabili ricadute negative dovute a processi non pianificati. Tale presupposto se inteso come pre-condizione per l’individuazione di aree dedicate a gestione e smaltimento di rifiuti, eviterebbe dal punto di vista ambientale la compromissione di suolo e paesaggio, di risorse idriche o corpi d’acqua superficiali, consentirebbe dal punto di vista sociale la condivisione degli obiettivi, faciliterebbe dal punto di vista economico scelte più vantaggiose.

Una risignificazione dell’azione politica, attraverso una pianificazione sul lungo periodo delle scelte e degli obiettivi da raggiungere, con il supporto di adeguate e mirate pratiche di partecipazione allargata, consentirebbe – sulla base dei principi di sostenibilità ambientale – di affrontare i problemi legati allo smaltimento dei rifiuti uscendo dall’ottica dell’emergenza. Operazione quanto mai necessaria perché, pur riconoscendo al decreto Ronchi di aver segnato una svolta importante nelle politiche di smaltimento, non dobbiamo dimenticare che la raccolta differenziata può fare molto (e fa molto!) relativamente all’abbattimento della quantità di rifiuto conferito in discarica o incenerito, ma la progressiva produzione di rifiuti non può essere arrestata con il solo differenziare: questo vale per i rifiuti urbani ma soprattutto per i rifiuti speciali e pericolosi (pensiamo ad esempio a tutti i rifiuti tecnologici quali computer, telefonini, ecc., in continuo aumento) che richiedono trattamento e smaltimento specifici. La produzione di rifiuti è fortemente legata agli stili di vita, solo un ripensamento del modello di sviluppo in atto, ad alto consumo di merci e generazione di rifiuti, ed un orientamento del mercato alla produzione di merci di più lunga durata, può aiutare significativamente il lavoro dell’amministratore pubblico, oltre che incidere sulle sue scelte, orientandolo ad una pianificazione attenta, frutto di politiche condivise, che dia agli obiettivi concretezza e ai problemi soluzione.

Non solo di discariche o termovalorizzatori si tratta, bensì di informazione corretta, di apprendimento collettivo e di politiche meno distratte.

 

 

Note

 

1 Per una corretta gestione dei rifiuti l’Unione europea indica quattro parole chiave che corrispondono ad altrettante fasi necessarie a risolvere i problemi che l’aumento della produzione di rifiuti sta ponendo. Le parole sono: riusare cioè comprare prodotti durevoli e che abbiano una vita relativamente lunga; ridurre cioè contenere l’acquisto di imballaggi; riciclare ovvero differenziare i rifiuti per poterli riciclare e infine recuperare cioè utilizzare le porzioni di rifiuto residuo per produrre energia.

2 Alcuni dati: i rifiuti urbani sono circa 2.000.000 di t/anno, a fronte di rifiuti speciali di circa 8.000.000 di t/anno, di cui 450.000 t/anno vengono classificate come rifiuti pericolosi e 1.850.000 t/anno rientrano nella categoria dei rifiuti inerti (Corriere del Veneto, 18.2.2005).

3 Un ringraziamento per le informazioni relative alla conflittualità locale va ai circoli regionali veneti di Legambiente e in particolare ad Angelo Mancone che gentilmente ha accolto la richiesta e attivato la rete dei circoli. Ogni errore o errata interpretazione delle informazioni fornite è, come ovvio, solo dell’autrice.

4 Nell’anno di entrata in vigore del decreto Ronchi, la situazione provinciale trevigiana della raccolta differenziata non era omogenea; infatti, i tre bacini erano così articolati: Tv1 44,1%, Tv2 10,7% e Tv3 40,7%, portando la media provinciale al 27,9%. Tale valore, progressivamente cresciuto negli anni, ha visto nel 1999 la percentuale salire al 35,4% (rispetto al 15% previsto dal decreto), nel 2001 al 44,8% (rispetto al 25% previsto) e nel 2003 al 58,5% (rispetto al 35% previsto). Nel tempo si è anche assottigliata la differenza inizialmente esistente tra i tre bacini: nel 2003 il Tv1 ha raggiunto il 57,3%, il Tv2 il 57,5% e il Tv3 il 61,6% (http://ecologia.provincia.treviso.it/stato_ambiente_2004/default.htm).

5 Come si legge nel programma regionale per la riduzione dei rifiuti biodegradabili da collocare in discarica previsto all’art. 5 del DLgs 36/2003 di attuazione della Direttiva Ce 31/1999 “sono già stati raggiunti gli obiettivi previsti per il 2008 in tutti gli Ato della Regione Veneto. In più si sottolinea che gli Ato di Padova, Verona Sud e Vicenza, si sono contraddistinti per aver già raggiunto, con largo anticipo quindi sulle scadenze indicate, anche gli obiettivi al 2011. Da ultimo va evidenziato che la provincia di Treviso si è contraddistinta per aver già raggiunto anche il terzo obiettivo (2018). In questa particolare classifica la provincia che presenta la maggiore criticità è stata Venezia che registra un valore di Rub da avviare a discarica nel 2002 pari a 223 kg/ab anno. La situazione viene peraltro recuperata nel 2003 ove la provincia riesce comunque a recuperare il gap con le altre amministrazioni provinciali venete sfiorando in anticipo la soglia individuata dal DLgs 36/2003 e raggiungendo il valore di 159 kg/ab anno” (Regione Veneto, 2004).

6 Andrebbero fatte analisi puntuali, ad esempio, sui progressivi cambiamenti e incrementi nei consumi, sulla produzione di merci sempre più impacchettate e sigillate, ma anche sull’introduzione nel mercato di gamme sempre più varie di prodotti che accontentano qualsiasi bisogno e desiderio. Al prodotto un tempo sfuso che si trovava nel negozio di alimentari e che consentiva l’acquisto di porzioni anche ridotte, si sostituisce un prodotto confezionato sul mezzo chilo, sul chilo, sui due chili, la bottiglia grande di olio ma anche quella per il single che ha consumi contenuti, l’insalata lavata e quella fatta a strisce, le carote intere ma anche quelle julienne, il tutto, ovviamente, conservato in appositi sacchetti sottovuoto.

7 Un esempio è costituito dall’Assemblea permanente dei cittadini per il rischio chimico, attivo sui rischi del polo chimico di Marghera e sulla necessità di una chiusura degli impianti, ma che non trascura una riflessione anche sul destino dei siti contaminati in genere e sul problema della loro bonifica (http://www.margheraonline.it).

8 Sono dislocati in tutte le province, si tratta di impianti che in genere hanno una potenzialità inferiore a 1.000 t/anno e che pertanto non richiedono alti investimenti tecnologici. Sono una rapida ed economica via al trattamento in loco degli scarti vegetali nei periodi dell’anno in cui c’è maggiore produzione (http://www.arpa.veneto.it/indice.htm).

9 Impianti che producono biostabilizzato e frazione secca da avviare in discarica oppure che raffinano la frazione secca per la produzione di combustibile derivato da rifiuti (Cdr). La quantità totale autorizzata degli impianti veneti raggiunge le 593.500 t/anno (http://www.arpa.veneto.it/indice.htm).

10 Ricevono differenti tipologie di rifiuto selezionate, nel 2003 la potenzialità totale di trattamento è aumentata per l’avvio di due nuovi impianti in Provincia di Vicenza raggiungendo le 692.330 t/anno di potenzialità totale autorizzata

(http://www.arpa.veneto.it/indice.htm).

11 Le quantità complessive di rifiuto avviate a termotrattamento e valorizzazione energetica rimangono per l’Italia molto basse. Il confronto con i dati europei vede l’Italia nel gruppo dei paesi che fa meno ricorso a questa forma di trattamento; la media europea, infatti, è pari a circa il 19%, con percentuali intorno al 30% nel nord Europa e valori più contenuti nell’area mediterranea

(http://www.apat.gov.it/site/it-IT/Temi/Rifiuti/Ge-

stione/L’incenerimento_dei_rifiuti_urbani/).

12 Il Comune di Sarcedo fu interessato, nel corso degli anni ’90, da una vicenda giudiziaria che lo coinvolse, insieme ad altri comuni dell’area, contro la ditta Corsea. La ditta aveva presentato un progetto di ampliamento della discarica, approvato della Provincia di Vicenza, ma bloccato dall’intervento dei comuni contrari all’ampliamento anche per la localizzazione della discarica in zona di ricarica degli acquiferi.

13 Oppure, a inizio 2004, le proteste e la costituzione di un comitato contro l’impianto di riciclaggio di pneumatici previsto nel Comune di Piove di Sacco, oppure, sempre per rimanere in tema di rifiuti speciale, le vicende legate alla richiesta di ampliamento della discarica in località Ca’ di Capri a cavallo tra i Comuni di Verona e Sona, che ha visto il comune, Legambiente Verona e un comitato di cittadini chiedere al Tar, con separati ricorsi, l’annullamento della delibera regionale, in quanto, la variante avrebbe trasformato la discarica da tipo B a tipo C, senza preventiva valutazione di impatto ambientale, consentendovi quindi il conferimento di rifiuti speciali pericolosi.

14 Al momento la regione conta 4 impianti per incenerimento e termovalorizzazione di rifiuti urbani, ospedalieri e Cdr.

 

 

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