Il processo di sistematizzazione delle norme
e degli strumenti per il governo del
territorio – dopo quasi dieci anni di
prove innovative legate alla Lr 5/1995 e
a tre anni dalle modifiche della
Costituzione del 2001 – si è concluso. Con
la Lr 61/2004 sono state approvate modifiche
e integrazioni alle Norme sulla
programmazione regionale e con la Lr
1/2005 sono state emanate le nuove Norme
del governo del territorio. Quest’ultima
legge ha assunto anche la forma di un vero e
proprio compendio, con un riordino e una
sincronizzazione delle diverse norme
disperse in tutte quelle materie che
direttamente o indirettamente attengono al
governo del territorio (dal recupero del
patrimonio edilizio esistente agli
interventi di trasformazione nelle zone a
prevalente funzione agricola, dalla
normativa edilizia alla disciplina
paesaggistica, dalla mobilità alla gestione
dei tempi, ai porti e approdi turistici,
fino a giungere alla bioarchitettura e alla
difesa del suolo, nonché ai temi collegati).
Un dispositivo normativo imponente di 210
articoli.
Il modello Toscana ha trovato così
una più stabile organizzazione con una
scelta radicale: stabilire dei legami
stretti e non formali tra la programmazione
dello sviluppo e le forme del governo del
territorio. Ciò ha portato a ripensare al
rapporto tra gli enti istituzionali e anche
a ridefinire contenuti, ruolo ed efficacia
della tecnica degli strumenti dell’azione
istituzionale.
Nel modello Toscana il governo del
territorio è inteso come “l’insieme delle
attività relative all’uso del territorio,
con riferimento sia agli aspetti conoscitivi
che a quelli normativi e gestionali,
riguardanti la tutela, la valorizzazione e
le trasformazioni delle risorse territoriali
e ambientali”. Da ciò emerge la nozione di
territorio come risorsa collettiva,
che esprime un proprio carattere in quanto
risultato di un’azione sociale di lungo
periodo. Proprio per questo qualsiasi
progetto di trasformazione o forma di
governo necessita di una collaborazione
interistituzionale degli enti, che di fatto
hanno la competenza in materia, e il
coinvolgimento delle comunità insediate; e
al contempo deve assicurare il coordinamento
delle politiche e la sinergia delle
intenzionalità di tutti i settori e di tutti
i soggetti che incidono sulle risorse
stesse.
Il governo del territorio è, quindi, il
mezzo in mano alle istituzioni pubbliche
per rendere coerente l’intenzionalità dei
programmi politici con le politiche del
territorio e con quelle della
programmazione, e questa con i programmi di
sviluppo e i soggetti locali.
Come si manifesta concretamente questo
collegamento? Prima di tutto dividendo in
due la forma del piano: una che contiene il
cosiddetto statuto del territorio;
l’altra che contiene obiettivi, indirizzi
e azioni progettuali strategiche.
Secondariamente affidando ad un unico
procedimento amministrativo il compito
di formalizzare i piani, o i programmi nel
caso delle politiche settoriali.
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Figura 1 - Interdipendenza nei
processi di pianificazione e
programmazione in Toscana |
Lo snodo intorno al quale ruota il riordino
è, quindi, lo statuto e il procedimento
unificato. Mentre il secondo ha una
organizzazione di natura procedurale e di
rapporti tra gli enti, il primo ha a che
fare con il nucleo fondativo della
pianificazione territoriale e urbanistica.
Perché è importante lo statuto nel riordino
operato in Toscana? Perché esso contiene le
invarianti strutturali – la principale
innovazione introdotta con la precedente Lr
5/1995, ora abrogata in quanto assorbita
nella nuova legge – cioè le risorse, i beni
e le regole relative all’uso, nonché i
livelli di qualità e le relative prestazioni
minime che si intendono sottoporre a tutela
per garantirne nel tempo il beneficio che la
società ricava dal loro uso.
Lo statuto, dunque, comprende gli “elementi
cardine dell’identità dei luoghi” e la sua
costruzione deve portare a “percorsi di
democrazia partecipata delle regole di
insediamento e di trasformazione del
territorio interessato”.
Lo statuto del territorio – obbligatorio per
tutti i livelli della pianificazione –
dettaglia, dunque, i principi della
territorialità, rappresentativa di tutti gli
elementi fisici, morfologici, culturali,
ecc., da rispettare nel lungo periodo sia
dagli atti di pianificazione che dagli atti
di programmazione; al contempo è la griglia
delle regole non negoziabili del territorio:
i principi per l’utilizzazione e per le
prestazioni delle risorse e le regole
evolutive del paesaggio. Proprio per questo
contiene anche il piano paesaggistico,
così come identificato dal recente Codice
Urbani, rappresentando, quindi, una sorta di
proiezione al futuro delle regole non
negoziabili.
In virtù di questa sua funzione di
contenitore delle regole è anche lo
strumento di valutazione per tutta
l’intenzionalità istituzionale a tutti i
livelli: è la matrice prima che misura la
sostenibilità delle azioni di
trasformazione, perché contiene tutto ciò
che non può essere negoziato.
L’impostazione tecnica e la scelta di
politica amministrativa è stata recepita
prima di tutto nel riordino della normativa
sulla programmazione regionale (la già
citata Lr 61/2004). Si dispone, infatti, la
dipendenza degli effetti territoriali delle
strategie contenute nel programma
regionale di sviluppo (Prs) dallo
statuto del territorio del piano di
indirizzo territoriale della regione1,
che è lo strumento principale della filiera
individuata dalla nuova legge.
Quali sono gli attrezzi dell’agire
istituzionale?
Anche qui un profondo riordino con una
sottolineatura, che farà certamente
discutere: il governo del territorio è
perseguito mediante gli strumenti
della pianificazione territoriale (il
piano di indirizzo territoriale
regionale, il piano territoriale di
coordinamento provinciale, il piano
strutturale comunale) e anche attraverso
gli atti del governo del territorio (regolamento
urbanistico comunale, piani complessi
di intervento, piani attuativi degli
strumenti della pianificazione territoriale,
e qualora incidano sull’assetto costituito
dagli strumenti della pianificazione
territoriale in vigore, anche i piani
e i programmi di settore, accordi
di programma e gli altri atti della
programmazione negoziata comunque
denominati).
La doppia distinzione tra strumenti e
atti è un altro tassello del riordino
normativo introdotto per cercare di
adattare le forme dell’azione
amministrativa alla contemporaneità del
veloce mutamento delle relazioni sociali,
economiche e culturali da cui prende forma
il territorio attuale. Le nuove dimensioni
di riferimento del mercato innescano,
infatti, competizioni estese – quasi sempre
sganciate da regolazioni nazionali o
regionali – e fanno emergere forme locali di
sviluppo e di organizzazione che, per
competere nella tendenza all’omologazione
del mercato globale, hanno bisogno di
valorizzare le proprie specificità
socio-economiche, ma soprattutto
territoriali.
Ma ritorniamo alla forma del piano.
Tutti gli strumenti della pianificazione
territoriale, accanto alla parte
statutaria devono contenere anche una
parte strategica. Essa racchiude ed
esplicita gli aspetti operativi e gestionali
attraverso delle azioni e dei progetti, in
connessione con la programmazione economica
nel medio periodo (eventualmente anche
legata all’arco di una legislatura). L’idea
di fondo è duplice: prima di tutto spostare
l’attenzione dei piani dal sistema della
pura e semplice regolazione a quello della
progettualità concreta e possibile;
secondariamente a dare una sponda
normativa ai piani strategici, così come
questi hanno preso corpo nell’esperienza
italiana, o, come direbbero i cultori
anglosassoni, riportare la governance
territoriale nel government
ordinario.
Proprio per questa ulteriore sottolineatura
i principi del governo del territorio – così
come specificati prima – sono affermati
anche per le azioni di settore. Spariscono
dalle norme regionali relative i
procedimenti ora previsti per la formazione
e l’approvazione dei diversi piani e
programmi, sostituiti dalla definizione di
uno schema di procedimento unificato.
Vengono, così, ricondotti ai principi del
governo del territorio i procedimenti di
settore, il cui esito operativo induce
effetti sul territorio e che, ad oggi,
rispondono a criteri in varia misura
separati, estranei, e talvolta conflittuali.
Come?
Affidando al soggetto titolare del
procedimento la responsabilità della
perfetta legittimità del piano o del
programma e del relativo procedimento, non
essendoci alcun soggetto sovraordinato che
approva: assunto già presente nella
precedente Lr 5/1995 e ora rafforzato
eliminando le residue ambiguità. La nuova
legge si colloca, infatti, sulla linea delle
“intese” e della “leale collaborazione”,
così come definite dalla sentenza 303/2003
della Corte costituzionale.
L’avvio del procedimento è il momento in cui
il soggetto titolare provoca l’incontro e la
sinergia di tutti i soggetti dai quali si
attende un apporto di conoscenze, regole e
obiettivi, e di quelli che per competenza
sono tenuti a esprimersi. I soggetti
interessati all’avvio non saranno solo i
livelli istituzionali, ma tutti quei
soggetti, pubblici e privati, la cui
partecipazione il titolare del procedimento
ritenga utili. Nel corso dell’iter il
soggetto titolare del procedimento può
attuare verifiche per la correttezza dello
sviluppo progettuale e per eventuali
correttivi. Elaborato il progetto, la sua
legittimità e la compatibilità e coerenza
con gli strumenti di riferimento viene
certificata formalmente dalle strutture
tecniche responsabili del procedimento
(autocertificazione). Tutto avviene prima
che l’organo politico istituzionale assuma
le proprie determinazioni. Sono esclusi
dall’obbligo di seguire tutti i passaggi del
procedimento unificato (salvo che per
l’autocertificazione) gli atti gestionali
che sviluppino i propri effetti nell’ambito
esclusivo delle competenze di un unico
soggetto.
Per evitare patologie nei rapporti
interistituzionali si è previsto un sistema
di warning precoce (durante il
procedimento unificato chi intende tutelare
le proprie competenze viene interessato
ordinariamente all’avvio del procedimento e
prima dell’adozione dell’atto, e comunque ha
facoltà di presentare osservazioni). In caso
di divergenze si deve ricorrere ad un
soggetto terzo (sino a oggi il giudice
amministrativo) rappresentativo di tutti i
livelli istituzionali. Nella Lr 1/2005 si è
prevista una Commissione paritetica
tra regione, province e comuni, alla quale
si potrà rivolgere il soggetto che riterrà
violate le proprie competenze, le
prescrizioni del proprio strumento di
pianificazione o la stessa legge. Il ricorso
produrrà l’automatica sospensione dell’atto
fino alle determinazioni del comitato. Sono
peraltro previste misure di salvaguardia e
poteri sostitutivi a tutela delle competenze
di ciascun soggetto istituzionale.
Il procedimento unificato facilita – almeno
nelle intenzioni del legislatore regionale –
anche l’applicazione del sistema delle
valutazioni integrate degli effetti
ambientali/territoriali, economici, sanitari
e sociali indotti dalle trasformazioni del
territorio, dando attuazione robusta e ampia
alla Direttiva 2001/42/Cee. Le valutazioni
saranno effettuate prima dell’adozione.
Quindi, passaggio da un modello di politiche
settoriali, organizzate sul territorio
regionale secondo logiche autoreferenziate,
a modelli di politiche integrate e coerenti
che facciano perno sull’intersettorialità,
sul partenariato e sul radicamento con le
specificità e territorialità di singoli e
ben definiti spazi regionali.
In conclusione tutto l’impianto della nuova
legge fa appello a un assunto di politica
amministrativa: alle istituzioni pubbliche
il compito di garantire le regole e i
criteri per conservare il patrimonio
collettivo e al rapporto pubblico/privato
quello di elaborare progetti per lo
sviluppo. La prima componente è legata allo
statuto del territorio; la seconda alle
azioni strategiche.
Note
1
Così recita l’articolo 5 bis (Raccordo
con la pianificazione del territorio)
della Lr 61/2004: “1. Il Prs individua le
strategie dello sviluppo territoriale, nel
rispetto di quanto disposto dallo Statuto
del territorio del Piano di indirizzo
territoriale della Regione. 2. Le
prescrizioni relative alle risorse
essenziali del territorio, contenute negli
atti di programmazione settoriale e
intersettoriale, sono sottoposte ad
accertamento di conformità e compatibilità
con gli strumenti della pianificazione
territoriale, secondo modalità e procedure
definite dalla normativa regionale vigente
in materia di governo del territorio”. |