I processi degenerativi del paesaggio
agricolo
La costruzione storica del paesaggio
agricolo, nel suo formarsi come risultato e
conseguenza di attività antropiche di uso
del suolo, dà spesso origine a particolari
forme di complessità territoriale che
contribuiscono, a volte in maniera
significativa, ad assegnare senso ai
luoghi. L’azione di antropizzazione
storica diventa così non solo espressione di
ragioni di mera funzionalità, ma assume
carattere di identità, come specifica
connotazione di determinate modalità
insediative nel territorio (Magnaghi, 1990;
2002; Ferraresi, 1990).
Questo processo di territorializzazione si
struttura attraverso una mutua interazione
fra luoghi e attività umane: lo spazio
fisico assume un valore strettamente legato
all’interesse antropico per i luoghi, e le
attività umane possono caratterizzarsi in
relazione alle peculiarità di quei luoghi.
Né questo processo può essere inteso come
mero accumulo di artefatti sul territorio,
trattandosi, molto più, di una lenta
stratificazione che nel suo consolidarsi
produce continue ri-configurazioni di
complessità (Morin, 1986).
Nonostante l’attività agricola sia spesso
all’origine di processi di identificazione
dei luoghi, molte volte le odierne pratiche
agricole si configurano come elementi di
compromissione delle identità e delle
qualità territoriali e paesaggistiche.
Sempre più frequentemente, infatti, si
manifestano oggi situazioni di discontinuità
nella stratificazione del territorio che si
traducono in una considerevole riduzione
della complessità territoriale. La causa di
ciò va ricercata nell’uso omologante del
suolo agricolo, le cui trasformazioni spesso
rispondono a processi economici di ampia
scala, dipendenti da decisioni e dinamiche
appartenenti a realtà esterne ai contesti
locali. In questa prospettiva, le
trasformazioni che si innescano a livello
locale rischiano di assumere forme non
compatibili con l’integrità e il valore
storico paesaggistico dei luoghi. Il
presente contributo riflette su uno di tali
processi.
È oggi di grande attualità, in Puglia, il
tema dell’espianto degli ulivi secolari,
problema comune ad alcune porzioni del
territorio regionale caratterizzate da una
presenza imponente di uliveti storici. Il
legame storico tra le comunità locali e le
attività antropiche legate alla coltura
dell’ulivo è talmente forte e radicato nella
cultura economica e produttiva locale, che
in alcuni casi la presenza dell’ulivo
connota fortemente il paesaggio. Vaste
distese olivetate ne compongono l’unità
morfologica, costituendo visivamente un
elemento identitario della realtà locale,
legate come sono all’economia, alla cultura
e alle tradizioni delle comunità insediate.
Il fenomeno dello sradicamento e della
commercializzazione degli ulivi
plurisecolari, destinati a decorare i
giardini di ville e parchi di altre parti
d’Italia, determina spesso forti alterazioni
del paesaggio storico vegetazionale e
produttivo, con le componenti naturalistiche
spesso trasformate in forme prevalentemente
relittuali o comunque tali da non riuscire a
determinare processi autonomi di
rigenerazione e integrazione ecologica.
La rottura dell’equilibrio territoriale e la
compromissione dell’ecosistema non si
realizza dunque solo perché il territorio
agricolo viene sottratto, frammentato e in
definitiva occupato dall’espansione
insediativa, ma anche perché la
trasformazione delle pratiche agricole
riveste gli stessi caratteri dei processi
urbanizzativi che stanno producendo quasi
ovunque forme insediative standardizzate e
decontestualizzate (Selicato, 2001),
omologando il territorio in ogni sua
componente. Questa rottura di equilibrio
avviene cioè quando l’attività agricola
assume una valenza produttivistica assoluta
per la quale anche il territorio rurale si
semplifica e perde complessità.
L’agricoltura viene dunque “destrutturata
nella sua capacità di produzione del
territorio”, venendo meno ad una delle sue
funzioni storiche (Ferraresi, 1993). Il
rischio che l’agricoltura non produca più il
territorio, ma finisca solo per utilizzarlo
in modo indiscriminato e indifferenziato,
determina in definitiva una progressiva
perdita di ambiente, inteso come luogo
vitale, fruibile per l’abitare, per il
riposo e anche per lo svago (Ferraresi,
1993; Magnaghi, 2002).
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Figura 1 - Il paesaggio degli
uliveti storici |
Il paesaggio agricolo degli uliveti storici
a sud-est di Bari
Con obiettivi di tutela e di riequilibrio
territoriale, in una prospettiva di rischio
crescente di modificazione dell’integrità
paesaggistica e di alienazione
dell’equilibrio storico ed economico legato
ad attività antropiche antiche e radicate
nella cultura locale, è stato condotto uno
studio1 relativo alla fascia
costiera adriatica pedecollinare ricoperta
da uliveti plurisecolari, compresa tra le
Province di Bari e Brindisi. L’area, che si
estende da Monopoli a S. Vito dei Normanni,
attraversando i territori di Fasano, Ostuni
e Carovigno, è lunga circa 40 km e larga fra
cinque e sette km. Contiene interamente i
grandi centri urbani di Monopoli e Fasano e
il più piccolo abitato di Carovigno, con i
centri di Ostuni e S. Vito dei Normanni
disposti più a margine, pur con ampie
propaggini insediative che in entrambi i
casi si spingono all’interno di zone
densamente ricoperte da uliveti storici.
Se la diffusione insediativa, legata
soprattutto al diffondersi del fenomeno
delle seconde case, si è distribuita ai
margini della piana olivetata, la nuova
minaccia, costituita dalla
commercializzazione degli ulivi secolari per
trasformarli in elementi simbolici e di
arredo, rischia di comprometterne
irrimediabilmente la struttura
agricolo-produttiva e
paesaggistico-ambientale. Una minaccia che
si è intensificata nel corso degli ultimi
tempi e che sta quindi de-strutturando i
luoghi, omologando così il territorio e
provocando una progressiva perdita di
identità, per riprodurre altrove una
presunta qualità solo estetica, del tutto
priva di significati storici, antropologici
e culturali. Parafrasando Bonomi (2000), è
il “vero” che qui diventa “falso” due volte:
ad un luogo privato della sua autenticità se
ne contrappongono altri, decontestualizzati,
dove gli ulivi assumono unicamente funzioni
ornamentali e di decoro.
Da queste motivazioni è nata dunque l’idea
progettuale della istituzione di un parco
agrario, nella convinzione che attraverso
una tale proposta si possa non solo
tutelare, ma anche valorizzare
economicamente, questo enorme e irripetibile
patrimonio territoriale.
L’analisi storica condotta attraverso lo
studio di antichi documenti catastali di
tipo descrittivo2 ha posto in
evidenza non solo quanto remota e diffusa
fosse la presenza di uliveti nel territorio
in esame, ma anche quanto significativo,
specifico e irripetibile fosse il ruolo che
questi luoghi avevano nella cultura
contadina, nelle tradizioni, nella volontà
generale e nelle leggi non scritte che
regolavano i rapporti sociali delle comunità
insediate (cfr. Maciocco, 1991; Magnaghi,
1990; Selicato, 1990a; Selicato, 1990b).
L’alternarsi di grandi piantate olivetate,
pascoli e seminativi sembra rispondere ad un
progetto complessivo di organizzazione del
territorio agricolo, risultato di un lungo
processo di interazione tra attività umane e
risorse naturali. Si è potuto così
concretizzare un paesaggio che è testimone
non solo della storia degli uomini che
l’hanno vissuto, ma anche dei saperi che
essi vi hanno profuso realizzando le opere
con cui l’hanno plasmato e costruito: un
paesaggio realizzato come costruzione
collettiva, che ha preso forma nel tempo
sotto l’incessante azione degli uomini, che
vi hanno depositato materiali, fatica e
intelligenza (Besio, 2002).
Questa complessità è tuttora riconoscibile,
nonostante i numerosi processi di
omologazione territoriale in atto, nella
ricchezza e nell’articolazione delle sue
componenti strutturali, rappresentate non
solo dal sistema agricolo-produttivo degli
impianti a uliveto, ma anche dal sistema
dell’organizzazione storico-insediativa
delle grotte rupestri, delle masserie, delle
torri costiere e delle ville rurali della
borghesia sette-ottocentesca, dalla
struttura geomorfologia delle lame e dal
sistema idrico del sottosuolo ad esse
connesso, dagli ecosistemi naturali ancora
una volta prevalentemente associati al
reticolo delle lame.
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Figura 2 - Ulivi nel loro territorio |
Il quadro istituzionale e i riferimenti
legislativi
Questa particolare monumentalità dei luoghi
non trova tuttavia adeguati riscontri nelle
leggi di tutela ambientale e nei vigenti
strumenti di pianificazione del territorio.
Troppo labili e suscettibili di
interpretazioni sembrano, infatti, le leggi
di salvaguardia. Rispetto agli stessi
obiettivi di tutela, poi, risulta alquanto
frammentaria e lacunosa la disciplina del
territorio agricolo prevista nei piani
urbanistici e alla quale fa ampio
riferimento la zona olivetata qui esaminata.
La difesa degli ulivi secolari, in
particolare, è affidata ad una legge vecchia
di oltre mezzo secolo3, che
sostanzialmente vieta l’abbattimento degli
alberi, salvo quelle situazioni di grave
deperimento o di permanente improduttività,
oppure ancora di danno arrecato all’intero
impianto in casi di elevata densità arborea
dello stesso. Si tratta comunque di norme
che consentono maglie interpretative
abbastanza ampie, tanto da non essere
riuscite a impedire il commercio delle
piante secolari (spesso strumentalmente e
artificiosamente giustificato proprio dal
rispetto della predetta normativa).
Più recentemente è stato istituito l’albo
dei monumenti vegetazionali4, nel
quale iscrivere gli alberi di qualsiasi
essenza, anche in forma isolata, che “con le
loro caratteristiche fitologiche e
panoramiche costituiscono elementi
caratteristici del paesaggio”, prescrivendo
per essi il divieto, già previsto dalla
legge precedente, di abbattimento o di
espianto se non per motivi eccezionali. La
formazione e l’aggiornamento dell’albo da
parte dell’assessorato regionale
all’ambiente non appare operazione semplice
e comunque sufficientemente snella da
impedire il protrarsi dello scempio in atto
dovuto allo sradicamento per la
commercializzazione.
Il regime di salvaguardia è assente,
peraltro, anche nel piano urbanistico
territoriale per il paesaggio (Putt/P)5,
che pure ha – fra le sue finalità più
importanti – quella di salvaguardare le
componenti paesaggistiche determinate dal
sistema botanico-vegetazionale. Quasi tutta
l’area olivetata in questione è definita,
infatti, come “ambito territoriale”
caratterizzato dal più basso valore
ambientale6, all’interno di una
classificazione che contempla cinque classi
di valore. Ciò significa che non sono
previste particolari limitazioni
d’intervento, né specifiche prescrizioni di
natura ambientale per una qualsiasi ipotesi
di trasformazione.
Frammentaria, essenzialmente finalizzata a
regolamentare l’edificazione, abbastanza
diversificata nell’articolazione dei suoi
contenuti – anche per la diversa temporalità
che ne ha scandito la formazione – ma
soprattutto ancorata ad una visione
tipicamente localistica di ciascuna realtà
comunale è poi la disciplina del territorio
agricolo introdotta dai piani urbanistici
comunali, che si presenta comunque
sostanzialmente inadeguata a garantire
quelle forme di tutela attiva, che possono
promuovere la valorizzazione dell’intero
comprensorio.
In questa frammentarietà di azioni si
inquadrano, anche, alcune altre iniziative
legislative finalizzate a tutelare specifici
ambiti territoriali ricadenti, totalmente o
solo in parte, all’interno dell’area di
studio, attraverso l’istituzione di aree
protette regionali7 a
prevalente valenza naturalistica. Tuttavia
questi provvedimenti legislativi stentano
ancora a produrre risultati concreti: troppi
veti amministrativi, troppi timori di
vincolo, troppe difficoltà procedurali hanno
di fatto impedito che di tali istituzioni si
cogliessero i primi benefici.
In questo contesto istituzionale e
soprattutto in prospettiva di azioni
unitarie e coordinate, vanno altresì
evidenziate alcune opportunità normative già
presenti nella legislazione vigente, cui
riferire eventualmente la definizione di
strategie unitarie di tutela e di
valorizzazione, per la pianificazione e la
gestione dell’intero comprensorio.
La possibilità di classificare area
protetta l’intero comprensorio, ancorché
tutta da verificare in termini di
opportunità, specificità e praticabilità, è
essa stessa prevista dalla legge regionale8,
che individua anche nella presenza di
“monumenti naturali” o di “formazioni
vegetazionali di particolare pregio
ambientale” gli elementi caratterizzanti di
un determinato territorio da conservare e
valorizzare attraverso l’istituzione di aree
protette.
D’altra parte, la nuova legge urbanistica
regionale9, in termini più
generali, affida al documento regionale di
assetto generale il compito di definire le
linee guida e gli indirizzi della
pianificazione territoriale, riconoscendo
piena legittimità al Putt/P che, a sua
volta, sino a quando non sarà variato, può
avvalersi di piani urbanistici tematici,
cosiddetti di secondo livello, con specifici
indirizzi di tutela e valorizzazione
ambientale nella pianificazione paesistica e
soprattutto con un maggior dettaglio
analitico e progettuale.
Ciò significa, in particolare, che con
“appositi provvedimenti della Giunta
regionale, su proposta dell’Assessore
regionale all’Urbanistica, oppure del
Presidente della Provincia interessata”10,
possono essere perimetrate le aree da
sottoporre a progettazione paesaggistica di
dettaglio, predisponendo piani urbanistici
territoriali tematici di secondo livello11,
aventi anche i contenuti e l’efficacia del
piano territoriale paesistico. Per ciascuna
di tali aree, in sede di perimetrazione,
possono essere individuati sia l’ente
preposto alla formazione del piano, sia le
specifiche direttive per il recupero, la
salvaguardia e la valorizzazione
paesaggistica dei siti e le relative
prescrizioni normative.
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Figura 3 - Ulivi espiantati e pronti
per il trasporto |
Azioni intraprese e tendenze in atto nel
contesto locale
I processi di trasformazione e di degrado
del paesaggio agricolo, come si è detto,
hanno una natura complessa e articolata.
Parte di questo degrado avviene proprio a
opera dei produttori olivicoli, vale a dire
di chi al territorio è legato per tradizione
e uso quotidiano. I fenomeni in atto, però,
sono il risultato locale di processi
esogeni; in particolare la diffusione della
pratica dell’espianto degli alberi di
maggior pregio storico e paesaggistico ha la
sua causa primaria nella crisi del settore
olivicolo locale, a fronte della modifica
degli equilibri del mercato europeo e
italiano, dovuta all’ingresso di nuovi forti
produttori come la Spagna, la Grecia, il
Marocco. A motivare l’espianto non vi è solo
la prospettiva di guadagni legati al
commercio vivaistico, ma anche quella legata
a motivi di opportunità e comodità nella
produzione. Nei casi in cui all’espianto fa
seguito la sostituzione delle piante vecchie
con piante giovani, infatti, a parità di
quantità di olive prodotte (sostituendo un
albero vecchio con più alberi giovani), gli
alberi di minore altezza permettono un costo
minore dei processi di raccolta e di
potatura.
Ciononostante è proprio dal settore
agricolo-olivicolo locale che, nel 2001, si
levarono le prime voci di denuncia nei
confronti di questo nuovo fenomeno di
degrado. Esso per certi versi risultava
molto diverso dagli altri (Tabella 1).
La sua caratteristica peculiare sta proprio
nel fatto che, pur se legato a fattori
esogeni, è opera diretta dei produttori
stessi. Non è il risultato diretto di
interventi dovuti a decisioni esterne,
come la realizzazione di grandi assi di
collegamento stradale o la realizzazione di
nuovi insediamenti produttivi o il
diffondersi delle seconde case, ecc.
L’espianto degli ulivi secolari è frutto di
una sorta di frattura tra la terra e
gli operatori terrieri, una frattura
storica, che gli operatori stessi
percepiscono come qualcosa di sbagliato che
bisognerebbe contrastare.
È così che, in risposta al grido di allarme
lanciato da alcuni rappresentanti del mondo
della produzione olivicola, e su iniziativa
del gruppo di lavoro del Politecnico di
Bari, è iniziato un processo di studio e di
analisi, di sensibilizzazione, di
esplorazione di possibili alternative e di
soluzioni economiche e gestionali che
fossero in grado di invertire le tendenze in
atto. Tale processo, che si inserisce in un
territorio in parte sensibile e per certi
versi già fermentato da altre
iniziative di orientamento ambientale e di
sviluppo rurale (si pensi ad esempio alle
esperienze del programma leader e
dell’Agenda 21 locale nei Comuni di Ostuni,
S. Vito dei Normanni, S. Michele Salentino,
Carovigno, Ceglie Messapica), ha visto il
crescente interesse di attori locali più o
meno legati alla realtà agricola. È tuttavia
assai significativo il ruolo che hanno avuto
proprio le associazioni olivicole locali nel
contribuire alla definizione del problema,
nell’esprimere la loro situazione di
disagio, nel denunciare la loro incapacità
di far fronte al fenomeno da sole. È anche
da parte loro che viene la richiesta di
tutela, accanto alla richiesta
dell’individuazione di strategie
collaborative e coordinate per la gestione
di un territorio che è amministrativamente
diviso, è estremamente frammentato nella
proprietà, ma è senz’altro unitario per
caratteristiche paesaggistiche, vocazioni di
sviluppo, sensibilità e identità
territoriale.
I molti incontri e i dibattiti che si sono
svolti nei mesi seguenti hanno visto insieme
privati cittadini, rappresentanti delle
associazioni ambientaliste, dei produttori
di olio, delle associazioni di categoria,
studenti delle scuole dell’obbligo,
rappresentanti delle istituzioni. Il
consenso intorno all’idea dell’istituzione
di un parco agrario è via via cresciuto,
anche grazie al supporto dei media locali e
nazionali, fino a trasformare questa stessa
idea in qualcosa percepita come possibile e
necessaria. L’immaginario collettivo ha
incominciato a identificare l’eventuale
istituzione del parco con il giusto
riconoscimento del valore e della qualità
dei luoghi. In breve tempo vennero raccolte
diecimila firme per una petizione a favore
dell’istituzione del parco; vennero raccolti
pareri spontanei, suggerimenti, adesioni
formali all’iniziativa da parte di
associazioni ambientaliste, economiche, di
categoria, di scuole, di istituzioni locali.
Come evidenziato altrove (Selicato, 2003),
il formarsi dell’idea del parco sembrò
catalizzare energie latenti di una realtà
territoriale vasta e complessa. Scrive
Celino (2003, p. 99): “è possibile
ipotizzare che la proposta del parco degli
ulivi (…) stia sortendo effetti molto simili
a quelli che le visioni condivise hanno
sulle organizzazioni formali (…), vale a
dire la creazione di un senso di comunanza e
di fiducia capace di legare le persone le
une alle altre impegnandole veramente,
perché essa (la proposta) riflette la loro
visione personale”.
E in effetti, da alcuni degli operatori
economici locali, l’istituzione del parco è
vista come un’opportunità unica e nuova per
lo sviluppo locale, per la creazione di una
vera filiera dell’olio, capace di unire la
frammentata (e quindi debole) realtà
produttiva locale nell’obiettivo di una
gestione unitaria finalizzata alla
commercializzazione di prodotti di qualità,
capace di affrontare i cambiamenti del
mercato con vere ed efficaci strategie di
sviluppo.
Tuttavia questa prospettiva non è condivisa
da tutti. È infatti fortemente presente la
dimensione del conflitto, tra chi vuole il
parco e chi lotta, in maniera palese o
velata, contro la sua istituzione e contro
le regole di tutela e le limitazioni che
esso comporterebbe. Molto spesso entrano in
gioco strategie di disinformazione,
distorsioni del confronto in atto a livello
istituzionale e sociale che sono tipiche dei
contesti decisionali conflittuali e
pluralisti.
Nel febbraio 2003 si è costituita
l’associazione Parco agrario degli ulivi,
della quale fanno parte operatori locali,
produttori, rappresentanti del mondo
associazionistico, privati cittadini, alcune
istituzioni locali, con l’obiettivo di
raccogliere e organizzare le energie che il
territorio stava riuscendo a offrire nei
confronti di questo tipo di mobilitazione
propositiva. L’idea di dare vita ad
un’associazione formale, riconosciuta a
livello istituzionale, rispondeva ad
un’esigenza di maturità da parte delle
formazioni locali interessate alla
istituzione del parco. Da un lato, la
costituzione di un’entità giuridicamente
riconoscibile poteva permettere, laddove se
ne fosse presentata l’occasione, di accedere
a finanziamenti per iniziative legate alla
valorizzazione e tutela del territorio.
Dall’altro lato, il coinvolgimento formale
delle amministrazioni comunali locali ha
comportato da parte di queste ultime
un’assunzione formale di responsabilità, cui
stanno seguendo oggi iniziative
amministrative che, pur se non uniformemente
diffuse nei diversi comuni interessati,
rappresentano sostanziali passi in avanti
nell’obiettivo della tutela del patrimonio
paesaggistico locale. Infine, l’esigenza
della nascita di un’associazione legata
all’idea progettuale dell’istituzione del
parco, ha rappresentato in un certo senso
una risposta all’assenza di una dimensione
amministrativa cui corrispondesse davvero un
territorio percepito come unitario. In altri
termini, la nascita dell’associazione Parco
agrario degli ulivi ha rappresentato una
forma di autoorganizzazione che una
molteplicità di attori locali si è data per
supplire a un’avvertita mancanza
nell’organizzazione istituzionale locale:
l’assenza di un ente – l’ente parco – che
corrispondesse ad un territorio omogeneo per
valori, storia, tradizioni, cultura,
economia, prospettive di sviluppo, problemi.
Riflessioni a partire dall’esperienza
Le caratteristiche dei processi in atto nel
caso qui descritto configurano aspetti
differenti di un problema complesso, tipico
di situazioni in cui un bene o una risorsa –
in questo caso il paesaggio agricolo – è a
libera disposizione di molti attori, i quali
dallo stesso bene possono trarre beneficio
individuale, generando costi che invece
vengono divisi collettivamente. In questi
casi, secondo la teoria delle decisioni,
l’adozione da parte dei diversi soggetti di
comportamenti razionali volti alla
massimizzazione dei profitti individuali
porta a esiti non positivi, o comunque a
profitti minori di quelli che si avrebbero
in caso di collaborazione e coordinazione
delle scelte12. È il caso di un
territorio come quello riguardante la
proposta di istituzione del Parco agrario
degli ulivi, in cui diversi attori economici
percepiscono e risolvono il loro
problema dalla prospettiva del proprio
vantaggio economico – per cui espianto e
ripiantumazione, nel breve periodo,
risultano la soluzione più immediata e
visibile. Ciò avviene, però, senza rendersi
conto del danno arrecato al patrimonio
collettivo e senza considerare i mancati
profitti che sarebbero legati ad una diversa
gestione del territorio come risorsa
collettiva. Ciò che viene a mancare,
infatti, se si guarda il territorio nel suo
complesso e la pluralità di attori che lo
vive e lo usa, è proprio la consapevolezza
delle potenzialità che il paesaggio può
offrire se viene considerato come risorsa
capace di produrre reddito. Anche laddove
questo tipo di consapevolezza sia presente,
l’eccessiva frammentazione della proprietà,
e una certa forma di individualismo da parte
degli operatori agricoli, determinano grosse
difficoltà di coordinare le azioni di
piccole e medie imprese, anche all’interno
delle stesse associazioni di categoria, che
per di più lamentano la mancanza di
obiettivi strategici per affrontare le
mutevoli condizioni del mercato. Pur
essendoci una consapevolezza diffusa che
l’espianto sia qualcosa di dannoso per il
paesaggio (consapevolezza derivante
soprattutto dalla persistenza di tradizioni
storiche radicate e fortemente legate al
senso di identità delle comunità locali),
tuttavia il fenomeno non è facilmente
controllabile o limitabile. Le
amministrazioni pubbliche locali, dal canto
loro, spesso si sono comportate in maniera
poco coerente. Da un lato, timidi segnali di
riconoscimento di questo tipo di patrimonio,
con incerte iniziative di tutela e
valorizzazione, dall’altro, in alcuni casi,
hanno usato esemplari di ulivi secolari
provenienti dalle campagne per decorare
aiuole e ville comunali. È evidente come la
mancanza di regole certe e di una struttura
di controllo (peraltro di non facile
organizzazione, viste le dimensioni
dell’area in esame) minino alla base
possibili forme di tutela.
Il problema si sposta dunque non tanto, o
non solo, sul come diffondere sensibilità e
consapevolezza tra i diversi attori,
istituzionali e non (un valido contributo in
questa direzione è giunto dalla promozione
di attività di partecipazione e
mobilitazione: forum, incontri tematici,
dibattiti, petizioni). Piuttosto
l’attenzione va rivolta all’opportunità di
creare una struttura, di generare un
cambiamento istituzionale che comporti la
nascita di vincoli e legami forti, capaci di
far sorgere efficaci forme di controllo e
tutela, che traducano in pratica delle
sensibilità che sono già presenti, ma che
nella realtà risultano di per sé inefficaci.
Questo non può avvenire se non si prevedono,
come già accennato, due direzioni di azione
regolativa: una, volta alla tutela, l’altra,
volta alla contemporanea valorizzazione e al
rilancio economico dell’intero comprensorio.
Questo a partire dalla consapevolezza che il
rifiuto del territorio passa
attraverso leggerezze individuali legate a
facili prospettive di guadagno, attraverso
difficoltà generate da una contingente
difficoltà economica generalizzata,
attraverso l’ignoranza di forme alternative
di gestione e governo del territorio.
Tuttavia la dimensione territoriale
renderebbe difficile l’individuazione di
efficaci forme di controllo. Allora, se
iniziative di regolamentazione sono
necessarie per indirizzare lo sviluppo e per
attivare processi economici virtuosi e
innovativi, solo il cambiamento profondo
delle radici di senso e di valore degli
operatori e delle comunità locali può
garantire soluzioni davvero adeguate ed
efficaci al problema della tutela del
paesaggio agrario. In casi di gestione del
territorio e del paesaggio, in cui diventa
di straordinaria importanza la creazione di
consapevolezza diffusa a favore di una
tutela attiva del patrimonio storico
agricolo, processi comunicativi e dialogici
possono favorire la creazione e la
traslazione di idee innovative attraverso
diversi livelli istituzionali e sociali,
coinvolgendo amministratori, funzionari,
operatori di settore, cittadini comuni e
opinione pubblica in generale. In una
visione, però, più generale e critica del
contributo che tali pratiche possono
realmente apportare nel processo di
costruzione del consenso intorno ad un’idea
tanto complessa e di ampia scala, in cui
molti attori diversi hanno la possibilità di
influire in maniera rilevante, sarebbe utile
riflettere su alcune condizioni di efficacia
dei processi collaborativi.
Figura 5 - L'uso del suolo |
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Ragionando di efficacia, è innanzitutto
controverso stabilire in maniera univoca e
generalizzata in che modo e da che punto di
vista una politica territoriale possa
ritenersi tale, se è vero che esistono tanti
sistemi di valutazione quanti sistemi di
valori. Tuttavia l’apertura di processi di
dialogo multiattore può potenzialmente
migliorare le pratiche di pianificazione
sotto vari punti di vista, ad esempio
nell’individuazione e nell’uso di risorse
altrimenti sconosciute e inutilizzate,
oppure sul piano della costruzione di
conoscenza utile alle decisioni, o ancora
nell’individuazione di sinergie e di
coalizioni strategiche per il conseguimento
di obiettivi comuni. In generale è possibile
spingersi ad affermare che, in alcuni casi e
date alcune condizioni, i processi dialogici
possono essere più efficaci di processi che
seguono criteri tradizionali.
Nell’esperienza descritta, le iniziative
volte a costruire contesti collaborativi
hanno iniziato ad essere efficaci
soprattutto a seguito del coinvolgimento
diretto di settori della pubblica
amministrazione sensibili ai temi della
tutela e della valorizzazione del paesaggio.
L’istituzione dell’associazione Parco
agrario degli ulivi, con il coinvolgimento
formale di alcune amministrazioni locali, ha
costituito occasione di responsabilizzazione
delle stesse. Alcune di esse (in particolare
l’attuale amministrazione del Comune di
Monopoli) hanno poi intrapreso iniziative di
tutela. Tali decisioni sono maturate, a
livello istituzionale, in un confronto anche
conflittuale tra attori diversi, in contesti
plurali caratterizzati da comportamenti
tattici e strategici (Tabella 2).
In questa prospettiva, non basta attivare
processi collaborativi tout court, ma
è spesso necessario costruire una struttura
di livello intermedio costituita da attori
diversi, appartenenti a diversi settori
della realtà sociale, economica,
istituzionale locale; una struttura radicata
nel territorio, attiva, riconosciuta dalla
gente, in grado di esprimere al tempo stesso
competenze organizzative e tecniche (Nicoletti,
2005).
Nel caso descritto, questa struttura ha
assunto la forma giuridica di associazione,
e ha visto la collaborazione di
amministrazioni e soggetti istituzionali,
rappresentanti del mondo produttivo, agenzie
di sviluppo locale, associazioni culturali e
ambientaliste, enti di ricerca, membri delle
comunità locali, rappresentanti del settore
turistico.
Le prospettive di valorizzazione e di tutela
sono quindi legate alla definizione di idee
innovative di carattere organizzativo e
gestionale, che abbiano come obiettivo la
definizione di forme di regolamentazione e
di rilancio del territorio. In quest’ottica,
l’intervento pubblico si può avvalere del
supporto fornito da soggetti locali, nella
necessità di forme di coordinamento
finalizzate allo sviluppo di strategie
economiche articolate e condivise. A tal
fine è necessario lavorare, in una
prospettiva culturale, su livelli profondi
di sensibilizzazione, mediante un
coinvolgimento attivo dei diversi portatori
di interesse che si accompagni a forme di
promozione e tutela dell’economia, oltre che
del patrimonio naturale.
I risultati del processo descritto sono ben
visibili nella sempre crescente
sensibilizzazione di porzioni rilevanti del
mondo produttivo agricolo, in alcune
iniziative imprenditoriali che già legano la
commercializzazione dei prodotti al marchio
degli ulivi secolari, nell’interesse
da parte di porzioni rilevanti del mondo
politico e istituzionale locale e
sovralocale, nelle azioni di tutela
intraprese da singole amministrazioni.
Sebbene non si sia ancora raggiunta
l’istituzione del parco e siano ancora
assenti strategie unitarie di tutela e
valorizzazione, le tendenze istituzionali in
atto nel contesto locale e regionale non
fanno altro che creare buone aspettative
perché, nel prossimo futuro, questo
processo, iniziato spontaneamente in
risposta ad alcune tendenze di degrado,
possa dare vita ad un modello innovativo di
tutela del paesaggio agrario.
|
Figura 6 - L'estensione degli
uliveti storici fino alla metà del
XIX sec. |
Note
1
Lo studio è stato condotto nell’ambito delle
attività didattiche e sperimentali del corso
di Progettazione urbanistica nella facoltà
di Ingegneria del Politecnico di Bari, negli
anni accademici 2000/2001 e 2001/2002, con
l’apporto diretto di studenti e ricercatori
e con il coinvolgimento di persone comuni,
associazioni, imprenditori agricoli e
operatori economici, rappresentanti delle
istituzioni. Alcune prime riflessioni a
margine di tale studio sono contenute in
Selicato F. (2002a, 2002b, 2003), di cui il
presente contributo costituisce più ampia e
articolata stesura.
2
Un’interessante ricerca in tal senso è stata
condotta da Sante Sibilio Maselli
nell’ambito della tesi di laurea in Tecnica
urbanistica dal titolo “Il ruolo
dell’analisi storica nella pianificazione
ambientale del territorio. Il caso della
pianura olivetata a sud est di Bari”,
relatore Francesco Selicato.
3
Si tratta del DLgs luogotenenziale 27 luglio
1945, n. 475, successivamente integrato e
modificato dalla legge 14 febbraio 1951, n.
144, e dal Decreto presidenziale 10 giugno
1955, n. 987.
4
La legge regionale pugliese 31 maggio 2001,
n. 14, all’articolo 30, riguardante la
Tutela paesaggistica alberi, istituisce
l’albo dei monumenti vegetazionali e
prescrive una sanzione di 2.580 euro ad
albero, nel caso di violazione delle norme
miranti alla conservazione di tale
patrimonio.
5
Si tratta del piano urbanistico regionale
preposto alla tutela del paesaggio,
approvato con delibera di Giunta regionale
n. 1748 del 15 dicembre 2000.
6
Più precisamente, si tratta di un ambito
territoriale denominato E, di cui
“non è direttamente dichiarabile un
significativo valore ambientale”.
7
La legge regionale 24 luglio 1997, n. 19,
individua, fra tante altre, le aree:
Barsento e Fascia costiera di Polignano in
Provincia di Bari e le Dune costiere da
Torre Canne a Torre S. Leonardo in Provincia
di Brindisi. L’elenco delle aree protette
che ricadono nell’area di studio è poi
completato dall’area di Lama Belvedere nel
territorio di Monopoli, istituita da
successiva legge regionale 24 luglio 2001,
n. 16.
8
Il riferimento, ancora una volta, è quello
della legge regionale 19/1997. L’art. 2 di
tale legge, riguardante la
Classificazione delle aree naturali protette,
al comma d) contempla, fra le diverse
tipologie, i “monumenti naturali, per la
conservazione, nella loro integrità, di
singoli elementi o piccole superfici
dell’ambiente naturale (formazioni fisiche,
geologiche, geomorfologiche, biologiche,
vegetazionali) di particolare pregio
naturalistico e ambientale”.
9
Legge regionale 27 luglio 2001, n. 20.
10
Nel caso specifico qui esaminato sarebbero
coinvolte le due Province di Bari e di
Brindisi.
11
Chiamati anche sottopiani.
12
Nella teoria dei giochi, tale situazione è
rappresentata dal cosiddetto dilemma del
prigioniero. Il gioco analizza le
diverse possibilità di scelta di due attori
individuali chiusi in celle differenti,
accusati di aver compiuto insieme un
crimine. Entrambi possono confessare
coinvolgendo l’altro oppure tacere (Hardin,
1982). Le conclusioni cui il gioco perviene
sono che, in caso di mancata comunicazione
tra i due prigionieri, le scelte individuali
razionali determinano esiti collettivi
negativi (cfr. Dryzek, 1989).
|
Figura 7 - Antichi muretti a secco
smontati e pronti per la vendita |
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