Una questione metodologica
Nel dicembre 2004, in un incontro presso la
Provincia di Salerno gli architetti hanno
incontrato l’assessore regionale Di Lello
per discutere sulla normativa in materia di
condono; la Regione Campania, in attesa di
esprimersi con una riforma urbanistica, ha
rincorso l’opposizione alle leggi statali
sul condono degli abusi, che, a loro volta
assieme alle deroghe, sono apparse ai
tecnici come lo strumento ordinario di
intervento sul territorio.
L’urbanistica in Campania, a più di vent’anni
dalla legge 14/1982, si confrontava ormai
soltanto con l’ordinarietà delle reazioni
popolari, delle deroghe, delle sentenze del
Tar, degli interessi dei grandi gruppi
industriali, mentre alcuni progetti
strategici come Bagnoli stentavano a
decollare e la scarsa lungimiranza delle
istituzioni alimentava forti lacerazioni
sociali, come le barricate di Acerra.
Al varo della attesa riforma urbanistica, si
può considerare che le reazioni popolari al
progetto del termovalorizzatore
rappresentavano la richiesta di un
diritto di cittadinanza al proprio
territorio, a cui ancora non si
intendeva rispondere con la cultura del
piano e del progetto; la localizzazione
dell’impianto ad Acerra è stata prerogativa
del concessionario e sulla costiera
amalfitana, nonostante gli strali contro il
terzo condono, si è inteso derogare dal
piano urbanistico territoriale (Put) in
nome dell’estetica dell’auditorium di
Niemeyer.
Un percorso di pianificazione maturo e
responsabile, invece, segno dell’attenzione
che un’amministrazione pubblica pone alla
disciplina di uso e tutela del suolo,
dovrebbe svolgersi secondo un processo
continuo di conoscenza e progetto, nonché
garantire una riflessione trasparente in
merito alle criticità intercorrenti tra gli
attori.
In molti paesi europei, progetti come quelli
dei grandi impianti sono alla fine il
risultato di scelte condivise non tanto per
l’onestà delle tecnologie utilizzate, ma per
la coscienza territoriale che contestualizza
il progetto: processi di pianificazione che
stimolano e sono stimolati dall’impegno e
dalle esperienze progettuali.
La qualità dei processi e delle
trasformazioni sono il riflesso di una
società che investe nell’ordinarietà degli
strumenti e nella quotidianità delle regole.
La città di Parigi, per esempio, sta
sperimentando una nuova grande fase di
urbanizzazione che dovrebbe ricucirla con la
storica banlieue. La strategia si
compone di piccoli interventi e grandi
progetti, all’interno di una pianificazione
concertata per due mesi con i cittadini, e
dimostra che la qualità della vita sociale
ed economica passa attraverso la
pianificazione di una nuova dimensione
urbana e intercomunale.
In Toscana, inoltre, dove accanto alla
pianificazione ordinaria si sperimentano
anche gli strumenti della nuova
programmazione, il Prusst Terre Senesi per
esempio è partecipe della pianificazione di
coordinamento provinciale.
In Campania, invece, mentre i processi di
pianificazione rincorrono le pratiche di
concertazione, si sono registrate esperienze
sul campo imposte per legge o per deroga a
qualsiasi strumento di piano.
Una esclusiva pratica partecipativa non
garantisce, tuttavia, l’efficacia dei
risultati, come anche a Parigi è accaduto
con il concorso per la sistemazione delle
Halles, dove l’opinione pubblica sembra aver
premiato il progetto meno innovativo; è
doverosa perciò una responsabilità dei
tecnici e della classe politica che
riconosca la necessità di investire
quotidianamente sulla pianificazione del
territorio.
In questo senso la Convenzione europea del
paesaggio ha introdotto, a parer nostro, una
grande innovazione culturale, sostenendo il
carattere comprensivo del paesaggio, e
dunque prima risorsa territoriale da
tutelare e/o ri-creare con atti
territorializzanti1 (sensi
generali per i luoghi e identità per le
comunità locali).
Riconosciuta ormai l’illusione di
frammentare il territorio in isole
naturalistiche e isole produttive, si
riscopre il senso della continuità,
ponendo una comune questione metodologica,
ad esempio, sia per l’auditorium di Niemeyer
che per il termovalorizzatore di Acerra:
sono entrambi progetti nel paesaggio da far
rientrare in un maturo processo di
pianificazione che li possa legittimare o
modificare.
Come sostiene Anna Lombroso, per ridisegnare
le regole e gli strumenti del piano è
necessaria una dimensione sia operativa che
trasversale dei contenuti ambientali
rispetto a tutte le politiche: ad esempio,
invertendo il principio cardine dell’ambientalismo
e, dunque, pensare localmente agire
globalmente, per maturare riflessioni
generali attraverso sperimentazioni in
ambiti locali.
Con questo spirito il Gruppo studi
Heliopolis presenta tre casi (luoghi e temi
generalmente rifiutati) in cui
l’esperienza di progetto è divenuta
quotidianamente un laboratorio di paesaggio,
per innescare metodologie più generali di
riflessione e progetto sul resto del
territorio, convinti che soltanto una
quotidiana ricerca di una cultura del piano
e del progetto può contribuire, in maniera
incrementale, ad una innovativa riforma
urbanistica.
Pensare localmente, agire globalmente
Il progetto Wetland
Promosso dal Ministero dell’ambiente e dalla
Regione Campania e attuato dalla Provincia
di Caserta, in partenariato con l’Autorità
di bacino Liri-Garigliano e Volturno, l’Arpa
Campania e il Comune di Capriati a Volturno
(Ce), nella parte alta della media valle del
fiume Volturno, il progetto prevede la
ricostruzione di un’area umida in ambito
perifluviale. Un progetto pilota sul confine
territoriale Molise/Campania che
contribuisce a riqualificare un’area
destinata alla difesa degli argini, ma di
cui il fiume si sta progressivamente
riappropriando, in parte utilizzata a
discarica e in parte già riconquistata dalla
popolazione locale a fini ricreativi. Il
fiume che riconquista il suo territorio, una
comunità che riconquista il suo fiume.
Il progetto rientra nell’esperienza più
ampia dello Studio e progettazione per la
conservazione delle aree umide lungo il
fiume Volturno, che ha individuato
quattro aree specifiche di progetto. Tra
queste vi è l’oasi delle Mortine presso
Capriati a Volturno, dove il progetto
Wetland ha permesso di approfondire la
riflessione tra pianificazione settoriale di
area vasta e implementazione alla scala
locale.
|
Figura 1 - Progetto Wetland:
ortofotocarta dell'area di progetto
e del corso attuale del Fiume
Volturno (1998) |
La ricostruzione di un habitat umido è
funzionale al miglioramento della qualità
delle acque e al ripristino di valenze
naturali ed ecosistemiche degli habitat
fluviali. L’intervento consiste nello scavo
dell’area fino al raggiungimento della falda
freatica, il consolidamento dei versanti
creatisi, la piantagione di vegetazione
ripariale, igrofila e la presenza di aree
vegetate a phragmiteto e di aree nude
interne emerse. Queste zone vegetate
rispondono a più funzioni, quali risorsa
alimentare, riparo e nidificazione per gli
uccelli, effetto tampone e connessione tra
ecosistema fluviale e terrestre. Le aree
perifluviali diventano habitat specifici per
gli anfibi, per gli uccelli e per la fauna
terrestre.
L’esperienza progettuale rappresenta un
primo esempio di realizzazione di un’area
umida, costruita in fascia fluviale del
Volturno con lo scopo di studiarne, nel
tempo, l’evoluzione geomorfologica, la sua
incidenza sulle piene, la crescita della
vegetazione e della popolazione faunistica
sia terrestre che avicola e il monitoraggio
dell’influenza della vegetazione sulla
qualità delle acque di falda.
Il progetto è teso, inoltre, a valorizzare
la fruizione dell’intera area, già
frequentata dalla comunità locale
principalmente nel periodo estivo, favorendo
l’interesse didattico per l’area umida.
Con la collaborazione del Centro italiano
per la riqualificazione fluviale e
dell’Autorità di bacino Liri-Garigliano e
Volturno si è cercato di costruire una
valida metodologia di progetto, da
verificare successivamente in altre aree
dello stesso fiume Volturno o in altri
contesti fluviali.
Questo nuovo approccio delle istituzioni al
governo delle risorse naturalistiche e del
rischio idraulico coltiva il senso della
pianificazione di bacino e costituisce un
primo passo per il progetto più ampio del
parco fluviale del Volturno, teso a
coordinare la pianificazione provinciale
intorno alla gestione dell’importante
risorsa territoriale.
Upo’, peri’, dia’: nuove modalità di
percorrenza tra il Vomero e i Camaldoli
La tesi di laurea dal titolo: Upo’, peri’,
dia’: nuove modalità di percorrenza tra il
Vomero e i Camaldoli, professore
relatore C. Gasparrini, docente di
Urbanistica presso la Facoltà di
Architettura dell’Università di Napoli
“Federico II”, affronta il tema della
progettazione di nuove modalità di
percorrenza, come costruzione di un
rinnovato sistema di accessibilità, di
connessioni e di centralità al di sotto,
intorno e attraverso i viadotti della
tangenziale di Napoli, nell’ambito urbano
(facente parte dell’unità morfologica n. 32,
individuata nel piano regolatore generale
– Prg) compreso tra le uscite Vomero e
Camaldoli della stessa. Ambito incluso nella
perimetrazione del recente, per istituzione
(10 giugno 2004 – con deliberazione della
Giunta regionale n. 855), Parco regionale
metropolitano delle Colline di Napoli.
Le finalità che il parco ha perseguito
consistono nel preservare le aree collinari
lasciate libere dall’espansione urbana, nel
proiettarsi verso il centro storico e
nell’aprirsi alla città con numerose porte
di ingresso in prossimità di nodalità quali
stazioni e caselli autostradali.
Questo lavoro di tesi ha accolto e
implementato le indicazioni contenute nella
documentazione di indirizzo e definizione
degli obiettivi primari del Parco delle
Colline.
Le strategie progettuali messe a punto hanno
mirato alla conoscenza e alla
interpretazione della complessità e della
rilevante frammentazione caratterizzante i
differenti paesaggi conformanti tale
ambito urbano: il paesaggio collinare dei
Camaldoli, quello infrastrutturale della
tangenziale (insieme all’intricato sistema
degli svincoli) e il margine urbano
costituito dai quartieri Vomero e Arenella.
Questi tre luoghi caratterizzati da
una forte contiguità, interferenza,
intersezione ma, al contempo, privi di
dialogo, si configurano come vere e proprie
periferie interne al tessuto urbano. Aree
interstiziali, marginali, residuali, luoghi
destinati ad un abbandono progressivo e
all’isolamento, ad un allontanamento dagli
attuali percorsi di fruizione e dai centri
di vita della civitas locale e
metropolitana.
La collina dei Camaldoli si connota come un
paesaggio morbido, ricco di risorse
naturalistiche e ambientali, storicamente
consolidato, caratterizzato da dinamiche
evolutive lente, come un luogo di importanti
aperture visive verso grandi componenti del
paesaggio antropico e naturale.
Il paesaggio infrastrutturale, invece, si
caratterizza per la sua dinamicità,
velocità, per i suoi spazi marginali di
scorrimento e attraversamento, per la sua
linearità.
I quartieri Vomero e Arenella con i loro
margini duri, la loro forte densità
edilizia e con la peculiarità di un’edilizia
aggrappata al suolo per mezzo di
palafitte in cemento armato, un’immagine
purtroppo nota, costituiscono oggi memoria e
icona della speculazione edilizia degli anni
’60 e ’70 realizzata a Napoli.
La complessa struttura dei materiali e delle
relazioni conformanti tali paesaggi
ha reso necessarie strategie specifiche ma
ad un tempo integrate tra loro, attraverso
la costruzione e, in alcuni luoghi, il
recupero di una maglia di connessioni e
relazioni morfologiche, funzionali,
ecologiche e ambientali talvolta perdute o
inesistenti.
Nell’ambito infrastrutturale le scelte
strategiche hanno mirato principalmente alla
integrazione dell’infrastruttura all’interno
del processo di riqualificazione e
trasformazione del territorio da essa
attraversato, essendone il principale attore
e soprattutto costituendo un’importante
occasione di ripensamento e di
riammagliamento dei luoghi ad essa
marginali, privi di qualità morfologiche e
di usi compatibili. È stato perseguito un
atteggiamento di cura, di estrema
attenzione alle potenzialità intrinseche,
talvolta recondite che un’infrastruttura
viaria cittadina può offrire al territorio
urbano da essa attraversato.
L’infrastruttura è stata considerata, nel
suo essere barriera tra parti urbane, come
un valido supporto alla progettazione di
nuove modalità di attraversamento del parco
da una parte all’altra. Atteggiamento
progettuale seguito anche nei confronti del
margine duro, nelle aree prossime ai
quartieri Vomero e Arenella, dove la
presenza di strutture in cemento armato,
fondazioni lasciate a vista ricadenti nel
vallone S. Antonio, sono divenuti, nelle
prefigurazioni progettuali, potenziali
cavalletti ospitanti installazioni
artistiche lungo percorrenze d’arte,
progettate all’interno del parco.
|
Figura 2 - Area compresa tra le
uscite della tangenziale di Napoli
Camaldoli e Vomero: stato di fatto e
prefigurazioni progettuali |
Ancora in linea con tale strategia è stata
progettata una nuova linea su ferro leggero,
people mover, posizionata sulla rampa
di accesso alla via Cilea dai caselli della
tangenziale, dall’uscita Vomero. In questo
caso, la presenza del sistema degli svincoli
e il relativo insieme di spazi aperti, da
questi interclusi, ha suggerito la
possibilità del recupero di un loro uso,
attraverso la progettazione di un nodo di
interscambio modale che vede la
realizzazione di un grande parcheggio
(previsto già nelle Specificazioni
del Prg) posto tra l’uscita dalla
tangenziale Vomero e i quartieri
intorno alle vie Cilea e Caldieri, scambio
modale reso possibile dalla intersezione
della linea su ferro, già esistente,
Circumflegrea, il parcheggio e la linea su
ferro leggero, people mover, di
collegamento tra il quartiere Vomero e la
nuova area di progetto.
Tale lavoro ha cercato di descrivere,
ascoltare, interpretare la complessità di un
ambito urbano odierno mirando alla
integrazione tra le parti e alla creazione
di centralità che potessero dialogare con la
scala locale come con quella metropolitana
soprattutto grazie alla presenza di grandi
infrastrutture ambientali, come il Parco
delle Colline, e stradali, come la
tangenziale, ritenute fondamentali
opportunità per una ri-significazione di un
territorio urbano come questo e per una
ri-funzionalizzazione intesa come recupero e
innovazione di relazioni e materiali del
paesaggio antropico e naturale.
L’esperienza del disciplinare di
regolamentazione delle attività
agro-forestali e naturali per il Comune di
Conversano (Ba)
L’esperienza del Disciplinare di
regolamentazione delle attività
agro-forestali e naturali per il Comune
di Conversano (Ba) ha avuto origine con la
consulenza prestata all’amministrazione
comunale nell’ambito del progetto integrato
formazione ambiente – Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio
– Formez 2002 – finalizzata alla gestione
delle dieci doline carsiche (perimetrate in
qualità di aree protette su proposta della
Lr 19/1997) definite Laghi di Conversano,
distribuite a macchia di leopardo
sull’intera area, a cui si aggiungono
episodi di naturalità interstiziale e
residuale inserita e incastonata all’interno
di un paesaggio agrario ad alta
produttività.
L’esigenza gestionale prima, e la presenza
delle suddette aree protette poi, sono
quindi diventate le due formidabili
occasioni di definizione di una ri-orditura
della naturalità e una rilettura dei
rapporti tra gli attori (agricoltori,
residenti e la stessa naturalità)
territoriali operanti, soggetti di una
triangolare azione di reciproca invasione di
uno spazio in via di progressiva
plastificazione, causata da un logorante
abuso di suolo, sottratto alla naturalità
oppressa da coltivazioni e serre di
cellophane, e di aria, sottratta ai
residenti dall’uso massiccio di prodotti per
la difesa antiparassitaria e fitosanitaria.
|
Figura 3 - Area compresa tra le
uscite della tangenziale di Napoli
Camaldoli e Vomero: planovolumetrico
ed esemplificazioni progettuali
delle nuove centralità |
Successivamente, un tavolo tecnico,
istituito con l’intento di cogliere i
contenuti emersi dalla precedente fase, è
giunto a individuare un’idea forza posta a
base normativa del regolamento,
reticolarmente imbrigliato in un
atteggiamento ecologicamente orientato verso
regole diffuse, dove le abitudinarie
pratiche agricole si reinventino in qualità
di best-practices locali, per
sottrarre questo paesaggio ai suoi
paradossali conquistatori e ridarlo
ai legittimi abitanti di un vero e
proprio luogo di frontiera, dove lo
scambio tra istanze differenti è la dinamica
dominante e l’intolleranza2 il
valore fondativo da interpretare e
governare.
Qui infatti lo sviluppo di particolari
pratiche colturali ha implicato profonde
trasformazioni del territorio, che ha finito
col perdere in riconoscibilità paesistica e
col monofunzionalizzarsi.
L’obiettivo è stato pertanto quello di
realizzare un disciplinare in ausilio al Prg,
volto a gestire il conflitto in atto,
favorendo forme di attività utili a
garantire la coesistenza tra produzione e
abitabilità degli spazi riorganizzandoli in
un contesto di ritrovato equilibrio
territoriale e paesistico3,
puntando sulla conservazione della
naturalità e del patrimonio
storico-culturale e sulla promozione
dell’agriturismo e del turismo rurale.
Si è, inoltre, basato sui seguenti principi:
lungimiranza:
il regolamento risulterà uno strumento ex
ante per esaltare la sostenibilità delle
scelte condotte in sede di redazione del Prg,
di fronte alla successiva valutazione di
incidenza, obbligatoria in relazione alle
aree lacustri (SICp);
efficacia:
capacità di intervenire nell’area di
riferimento, attraverso prescrizioni
condivisibili, strumentalmente riconoscibili
e gestibili da parte dell’ente;
economicità:
utilizzazione di studi e ricerche già
condotte e rappresentative delle condizioni
di interesse, limitando nuove indagini, su
aspetti indispensabili o inesplorati;
sussidiarietà:
utilizzazione delle perimetrazioni previste
dalla pianificazione/normativa
nazionale/regionale in materia di
naturalità, attività agricole, uso del suolo
– SICp, Putt, Prae ecc. – e
regolamenti/normative europee, nazionali e
regionali in materia di buone pratiche
agricole – Psl;
perequazione:
contemplazione di misure compensative e
incentivi per l’attivazione di prescrizioni
penalizzanti;
continuità naturale:
da ottenere attraverso la realizzazione di
flussi di naturalità a livello locale e di
area vasta;
compatibilità:
rispetto delle biocenosi interne alle aree
protette codificando norme specifiche di
conduzione agricola e collocando aree
cuscinetto o aree tampone.
Di qui la scelta della rete ecologica
comunale (Rec) come strumento necessario
alla redazione di un disciplinare che
guardasse all’agricoltura come virtuosa
infrastruttura vivente, interposta tra
uomo e natura, con il chiaro scopo di
riconsiderare il vuoto come positività e non
più come negatività dell’abitare, provando
così a de-formare non una campagna
urbanizzata, ma piuttosto una città4
ruralizzata.
|
Figura 4 - Il territorio di
Conversano (Ba), oggetto del
disciplinare di
regolamentazione/pianificazione
delle attività agro-forestali e
naturali |
Partendo quindi dall’assegnazione di un
valore numerico ad ognuno degli strumenti di
piano già vigenti sull’area (Putt, SICp e
aree protette regionali) e loro successiva
sovrapposizione, si sono riportate delle
porzioni territoriali (P), in
relazione a cui è stato definito un range
valutativo decrescente (Z),
indicatore del livello di naturalità
contenuto all’interno di ciascuna P,
la quale è stata così assimilata ad un
corrispondente elemento della Rec.
Attraverso tale processo di assimilazione,
ogni porzione territoriale ha
successivamente assunto la configurazione di
una specifica area omogenea (A, B, C
o D), ognuna caratterizzata da
proprie regole interne corrispondenti alle
peculiarità di ciascun elemento della Rec,
la quale in tal modo, è diventata lo
strumento non di un didascalico disciplinare
di regolamentazione, ma di un vero e proprio
piano di gestione del conflitto.
|
Figura 5 - Regolamentazione delle
attività agro-forestali e naturali
nel Comune di Conversano: aspetti
relazionali |
In seguito a tale processo di definizione
degli elementi del piano, ad ogni area si è
pertanto giunti a riferire:
- prescrizioni per le attività di gestione
delle colture, per cui si è prospettata
l’introduzione di misure5
finalizzate al riequilibrio tra chi è
penalizzato dal vincolo d’uso e chi è
avvantaggiato dall’applicazione delle norme
del piano;
- consigli/regole per una buona pratica
agricola rispettosa dell’ambiente, delle
attività antropiche limitrofe, del
consumatore, dei caratteri di
riconoscibilità di un paesaggio locale che
sta tentando di costruire una visione di sé
attraverso l’introduzione di:
a) aree C, fasce tampone boscate
(direttrici), intese come fattori
ricostituenti di quel quantitativo d’aria
sottratto ai residenti, siepi
frangi-vento, per la cui realizzazione è
stata prevista la presenza in egual misura
di essenze autoctone non produttive ed
essenze produttive e aree D (aree
libere);
b) norme e regole di un’agricoltura
biologica, finalizzata ad un intervento
di de-plastificazione della piana,
incentivandola e controllandola solo nelle
aree B (aree di transizione e nodi),
poste a ridosso delle aree A (ambiti
sorgente) dove la naturalità dovrà essere
integralmente protetta attraverso un
atteggiamento di assoluta inflessibilità
prescrittiva.
Si è, quindi, voluta proporre la costruzione
di un sistema plurale di valori d’uso,
finalizzati alla rivitalizzazione di una
città/territorio proiettata verso una
concreta alleanza tra risorse
ambientali e abitabilità degli spazi,
attraverso la condivisione del disciplinare
tra tutti i soggetti coinvolti nella nuova
orditura relazionale prospettata dal piano,
il cui iter di definizione non ancora
concluso, s’appresta rapidamente a culminare
verso la definitiva approvazione del
Consiglio comunale della città di
Conversano.
Credere nella riforma urbanistica
Per molto tempo in Campania si è assistito
ad una programmazione senza piano e capace
di dialogare con il progetto soltanto
attraverso il ricorso all’accordo di
programma: finalmente il 17 dicembre 2004 il
Consiglio regionale ha approvato la riforma
urbanistica. Riteniamo che, a fronte della
responsabilità delle istituzioni, è forse un
falso problema quello delle reazioni
popolari di fronte all’insediamento di
grandi impianti, quando invece nel regno
dell’intervento straordinario si dovrebbe
militare per coltivare approcci e
metodologie inclusive tra le discipline e
tra i territori, ovvero per la cultura del
piano e del progetto.
Prima di approfondire la riflessione
sull’innovazione legislativa introdotta con
la riforma, ci preme sottolineare che,
stante la gravità della situazione sociale
ed economica nella regione, è necessario
credere nella nuova legge urbanistica,
per riaffermare il primato di politiche
costruttive e strumenti ordinari di
trasformazione, rispetto alla gestione del
territorio come mantenimento dell’ordine
pubblico.
Se la cultura del progetto saprà abbandonare
il provincialismo che ha imbalsamato
l’innovazione e la frontiera per questa
regione, allora in-surgeranno moti
progettuali che riavvicineranno partecipanti
e partecipati, invece che legittime reazioni
popolari, e la ricerca del consenso sarà
matura per confrontarsi per esempio su
Bagnoli, i parchi, la Città metropolitana di
Napoli, la gestione dei rifiuti, il Put e
l’auditorium di Niemeyer.
L’innovazione di senso e di metodo che la
Convenzione europea del paesaggio
contribuisce ad alimentare è un primo passo
per investire nel senso comprensivo
dell’agire e del pensare in urbanistica. Se
si riconosce il significato complesso di
paesaggio, che abolisce ottiche restrittive
dell’azione di tutela e rimanda all’inclusività
necessaria di territori e caratteri sociali,
si rimettono al centro le relazioni degli
abitanti coi luoghi: “sostituire il termine
abitabilità a quello più ampio e
astratto di qualità è un modo per
sollecitare una rinnovata attenzione alla
spazializzazione delle politiche” (Gabellino
P.).
La ricerca militante per i paesaggi da
creare o da ri-significare impone la
responsabilità di una classe politica e
tecnica accecata dalla programmazione dei
fondi europei e chiamata oggi a costruire
innovazioni e frontiere sul valore del piano
e del progetto, come processo sociale
quotidiano ovvero nella società/per
la società, proprio a partire dalla
implementazione della riforma urbanistica.
“… Passerà l’insopportabile clamore
e forse per un po’ sarà silenzio:
poi si ricomincerà a progettare”.
(De Carlo G.)
Note
1
“L’approccio territorialista interpreta il
degrado ambientale (e l’insostenibilità del
modello di sviluppo che lo produce) come
conseguenza di un sistematico processo di
deterritorializzazione che caratterizza la
forma metropoli contemporanea; ovvero di
destrutturazione delle relazioni e
proporzioni fra ambiente fisico, costruito e
antropico; ricerca perciò la soluzione al
problema della sostenibilità nella
promozione di atti territorializzanti
che ricostruiscano, in forme nuove, queste
relazioni” (Magnaghi, 2000).
2
Intolleranza intesa nel senso di un
civile e costruttivo valore di non
tolleranza (non isolamento). Uno spazio
strutturato sulla base di logiche tolleranti
infatti, non potrebbe essere abitato, ma
solamente riempito da sterili soggetti
monadici incapaci di relazionarsi gli uni
con gli altri e pertanto connaturatamente
volti, insieme all’intero territorio, a
morire entro i propri rispettivi confini, in
quanto non in grado di considerare le
implicazioni delle singole realtà con l’altro,
soggetto quest’ultimo da cui non si può
prescindere, se si vuol tendere a favorire
tutte quelle dinamiche abitative di
attraversamento degli spazi, necessarie alla
realizzazione di un’istanza di
territorialità (Dematteis), finalizzata al
tentativo di andare a costruire nuovi e
interessanti luoghi pieni di vita,
denominati città.
3
… Solo se è buono da mangiare, un paesaggio,
è anche bello da vedere …
4
Da civitas (comunità di cives)
= forma di vita civile (civiltà), pertanto
città intesa non come agglomerato, ma come
desiderabile forma di una differente cultura
del vivere ... (nel caso specifico) una
porzione di territorio coltivata e
abitata secondo un uso disciplinato
dell’agricoltura.
5
Tali misure compensative sono state prese in
relazione alla necessità di portare avanti e
applicare i principi strutturali proposti
dal piano, inscrivendoli all’interno di un
disegno di redistribuzione di economie ed
energie sul territorio, fondata su un
atteggiamento di tipo perequativo (rimanendo
quindi fuori dai consueti circuiti delle
politiche ufficiali basate sulla regola
dell’esproprio) che ha preso forma sulla
base di un ridimensionamento programmatico
di alcuni provvedimenti relativi
all’imposizione fiscale comunale quali Ici e
tassa Rsu.
Le misure introdotte nel caso specifico sono
state:
- esenzione o riduzione (in un intervallo
che va dal 25% al 50%) dell’Ici;
- esenzione o riduzione (in un intervallo
che va dal 25% al 50%) della tassa Rsu per
la prima residenza di proprietà o in
utilizzo.
Il contributo sul Progetto Wetland è
stato curato da Rocco Lafratta, Monica
Guarino, Francesco Ruocco e Brigitta Ieva;
il contributo sulla Tesi di laurea è
stato curato da Elena Arcopinto, Corrado
Lentini e Marco Tatafiore; il contributo sul
Disciplinare per Conversano è stato
curato da Mauro Iacoviello e Pasquale
Manella.
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Perimetrazione ed articolazione zonale
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Comune di Napoli – Giunta comunale (2001),
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Zanini P. (1997), Significati del confine,
Ed. Scolastiche Bruno Mondadori, Milano.
Viesti G. in
http://www.cittaplurale.it/Pub/
Gruppo studi Heliopolis
dott. Elena Arcopinto; arch. Monica Guarino;
arch. Mauro Iacoviello; arch. Brigitta Ieva;
geol. Rocco Lafratta; dott. Corrado Lentini;
arch. Pasquale Manella; arch. Marcello
Naimoli; arch. Francesco Ruocco; dott. Marco
Tatafiore; Luisa Califano |