Il 7 giugno 1998 un referendum di iniziativa
popolare a Ginevra ha definitivamente
bocciato il progetto urbano di Massimiliano
Fuksas per l’area nevralgica di Place des
Nations e l’intera zona delle organizzazioni
internazionali con sede nella città lemana,
progetto che era risultato vincitore di un
concorso internazionale a inviti bandito nel
1994.
Il 27 settembre 1998, un nuovo referendum ha
invece respinto il progetto urbano,
anch’esso primo classificato di concorso a
inviti, per un altro punto strategico della
città: Place Neuve, luogo cardine tra la
collinare città vecchia, la prima espansione
lungolago delle Rues Basses e l’asse
meridionale di sviluppo della città.
Entrambi questi eventi hanno costituito una
solenne battuta d’arresto per la
pianificazione urbanistica ginevrina, e sono
stati vissuti, alla scala locale, comme
un traumatisme. Era tuttavia essenziale
comprendere le ragioni di tali sconfitte,
attinenti, come si vedrà, più alla
definizione e gestione di politiche
pubbliche che alla qualità intrinseca dei
progetti, e fare tesoro delle esperienze
fatte: ad assumersi il compito di proporre
ipotesi esplicative dei due scacchi
di Place des Nations e Place Neuve è stata
la Fondation Braillard Architectes di
Ginevra con la ricerca Lendemains d’échecs.
Conduite de projets et aménagement d’espaces
publics à Genève,
pubblicata nel maggio 20001.
Riteniamo che le indicazioni fornite dalla
Fondation Braillard abbiano una portata
generale, e possano contribuire a spiegare
molti fenomeni di rigetto popolare degli
interventi di trasformazione urbana proposti
o attuati dalle autorità pubbliche.
Ginevra città internazionale
La Conferenza di Pace del 28 aprile 1919
attribuisce a Ginevra la sede della nascente
Società delle nazioni, divenuta poi
organizzazione delle nazioni unite (Onu)
all’indomani della seconda guerra mondiale,
quando Ginevra è confermata sede europea
dell’organizzazione con quartier generale a
New York. Accanto al Palais des Nations,
realizzato tra il 1929 e il 1937 da
Henri-Paul Nénot, Julien Flegenheimer, Carlo
Broggi, Camille Lefèvre e Joseph Vago,
prendono posto nel corso dei decenni
numerose altre istituzioni internazionali di
massimo livello e oltre un centinaio di
organizzazioni non governative. Tra le prime
ricordiamo il Comitato Internazionale della
Croce rossa (fondato nel 1863), l’Ufficio
internazionale del lavoro, l’Organizzazione
mondiale della sanità, l’Alto commissariato
delle nazioni unite per i rifugiati,
l’Organizzazione mondiale del commercio
(nata nel 1994), oltre a diverse istituzioni
mondiali a carattere tecnico (energia,
telecomunicazioni, proprietà intellettuale)
e a programmi per la cooperazione e lo
sviluppo.
Gran parte degli organismi internazionali di
stanza a Ginevra sono concentrati in un’area
collocata all’ingresso nord della città, a
ridosso del lago e della strada che conduce
a Losanna: il distretto internazionale
costituisce dunque allo stesso tempo legame
e diaframma tra il territorio ginevrino vero
e proprio (completamente circondato dalla
Francia) e il resto della Confederazione
elvetica. In tale area, le organizzazioni
internazionali hanno dapprima occupato
antiche ville patrizie al centro di vaste
tenute, in seguito si sono disseminate in
ampi spazi verdi con nuovi edifici.
Tuttavia, nonostante numerosi tentativi di
pianificazione ripetuti nel tempo, è sempre
mancato un indirizzo complessivo di
sviluppo: la zona internazionale “non sembra
essere altro che una successione di
operazioni decise caso per caso al di fuori
di qualunque strategia d’insieme”2,
una specie di scatola nera largamente
autosufficiente e perciò in grande misura
estranea ai ginevrini.
A questa situazione, e a nuove esigenze di
sviluppo (derivanti tra l’altro dall’arrivo
dell’Organizzazione mondiale del commercio),
cerca di dare una risposta il concorso
bandito dallo Stato e dalla città di Ginevra
nel 1994. Centro simbolico dell’intera area
e fulcro della complessa operazione
urbanistica è Place des Nations, ampia
spianata poco definita, sorta di espace
vague3 con la duplice
fondamentale funzione di porta d’accesso
all’Onu e luogo di concentramento delle
manifestazioni a carattere internazionale.
Il concorso per Place des Nations
Il concorso bandito nel 1994 dal
Dipartimento dei lavori pubblici del Cantone
di Ginevra e dalla città di Ginevra (con la
collaborazione delle organizzazioni
internazionali), ha per obiettivo il
rafforzamento del ruolo internazionale della
città attraverso la definizione di un quadro
unitario di sviluppo dell’area, con
particolare attenzione alla dimensione
simbolica e agli effetti economici indotti
dall’espansione4. Nell’intenzione
dei promotori si tratta di un piano a lungo
termine (trent’anni) scandito in due grandi
fasi: nella prima si procede
all’edificazione e valorizzazione simbolica
del perimetro di Place des Nations, elemento
motore dell’intera operazione; nella
seconda, lo sviluppo si estende ad una vasta
fascia tra la zona di Place des Nations e il
lago, dominata da luoghi di alto pregio
ambientale come la campagne Rigot, di
proprietà dell’Università di Ginevra. In
quest’area sono previsti numerosi edifici a
vocazione internazionale, tra cui una
Casa universale per le missioni dei paesi
meno avanzati, biblioteche, istituti
universitari, centri per conferenze e
strutture ricettive, oltre ad un luogo di
concentramento popolare, nel quadro di
una generale pedonalizzazione e
riorganizzazione della mobilità.
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Figura 1 - Modello del progetto
Fuksas per Place des Nations |
Gli invitati al concorso sono quindi
chiamati a presentare ipotesi spaziali già
definite dal punto di vista architettonico
per il perimetro di Place des Nations,
mentre un masterplan, o schema
direttore, per il rimanente territorio
interessato, cui dovranno successivamente
conformarsi gli altri volumi previsti.
Il 7 aprile 1995 il primo posto del concorso
è assegnato al progetto di Massimiliano
Fuksas5, la cui principale
qualità, secondo la giuria, è quella di
“concentrare gli edifici del programma di
medio termine intorno a Place des Nations.
Tali masse strutturano la nuova piazza e la
liberano dalla circolazione automobilistica.
Il tema dell’acqua è trattato con una poesia
straordinaria sulla stessa piazza. Una
passeggiata pedonale la attraversa, e arriva
fino al lago [fiancheggiando] la parcella
Rigot, che resta molto alberata”6.
Nel progetto Fuksas, Place des Nations
diventa una piattaforma sull’acqua, definita
dai nuovi edifici che la circondano.
L’architetto italiano – notano
significativamente Sylvain Malfroy e Michel
Nemec – “è il solo concorrente ad aver preso
la libertà e nello stesso tempo il rischio
di ridurre l’ampiezza della piazza,
inscrivendovi direttamente delle
costruzioni”7. Come vedremo,
questo particolare non è estraneo al
successivo rigetto referendario della
proposta, anche se la Fondation Braillard
identifica le principali cause del responso
elettorale non tanto nella qualità
intrinseca del progetto (che anzi presenta
soluzioni tra la piazza e il lago
“manifestamente meritevoli di essere
perseguite”8), quanto soprattutto
nella definizione dell’interesse comune e
della politica pubblica soggiacenti al
programma concorsuale, e nella procedura in
questo senso messa in campo dai promotori
dell’iniziativa.
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Figura 2 - Progetto Fuksas:
sistemazione di Place des Nations
come piattaforma galleggiante e
dettaglio dei nuovi edifici |
La domanda fondamentale da porre per
delineare la questione è la seguente: “quali
sono gli attori coinvolti”9? A
quali soggetti attribuire il ruolo di
stakeholders (letteralmente, soggetti
con una posta in gioco) nell’ambito di
un progetto urbano, specie se di tali
dimensioni fisiche, simboliche, economiche?
Soltanto allo Stato, alla municipalità e
alle organizzazioni internazionali oppure
anche ad altri soggetti?
A questo proposito la Fondation Braillard
richiama l’attenzione su tre punti. Primo, è
stata lacunosa la lettura del contesto
generale (fisico, sociale, culturale e
storico) in cui si colloca la vicenda delle
organizzazioni internazionali a Ginevra. In
particolare, non è stato affrontato il tema
del riammagliamento dell’area al resto della
città10, ossia “riconciliare la
Ginevra internazionale con i ginevrini”11,
che l’hanno sempre considerata una realtà
separata. Tale lettura doveva essere
preliminare e propedeutica alla definizione
del programma concorsuale, onde dettarne
indirizzi adeguati.
Secondo. Troppo rigido è il piano degli
interventi a lungo termine (la seconda fase
dopo quella di Place des Nations), tale cioè
da non consentire adattamenti successivi o
la valutazione di scenari alternativi “in
funzione di congiunture politiche ed
economiche per forza di cose imprevedibili”12
sull’arco dei decenni. In questo senso la
ricerca della Fondation Braillard cita la
relazione al progetto presentato
dall’architetto francese Dominique Perrault,
che suggerisce la creazione di un
laboratorio di urbanistica per gestire
scenari variabili in un ambiente complesso:
“Un metodo – scrive Perrault – aperto sul
tempo e sullo spazio, un’altra idea di
città, più democratica”13.
Analoghe preoccupazioni di flessibilità sono
peraltro espresse anche dallo studio
ginevrino Baillif&Loponte14.
Terzo. “La cartografia degli attori
interessati è stata anch’essa insufficiente
e la loro integrazione nel processo fin
troppo tardiva. Ora, gli esclusi dal
progetto hanno la tendenza, un giorno o
l’altro, a effettuare il loro ritorno …”15.
Esclusione che, si badi bene, in questo caso
non ha interessato solo gli attori
esterni (cittadini, associazioni,
opinione pubblica in genere) ma anche
numerosi essenziali attori interni:
“La consultazione di altri servizi
(pianificazione, patrimonio, …) non è stata
giudicata indispensabile nel quadro
dell’ideazione del programma”16,
sicché il loro coinvolgimento solo nella
fase operativa17 ha reso
particolarmente difficili gli adattamenti
necessari.
In questo contesto si svolgono gli eventi
che condurranno al rigetto referendario
della proposta.
Nel 1997, tre anni dopo l’espletamento del
concorso, i nuovi piani localizzati di
quartiere, derivanti dall’implementazione
del progetto vincitore, sono sottoposti alla
pubblica attenzione: si apre cioè la fase
delle osservazioni, che consente a cittadini
e associazioni di esprimere pareri ed
emendamenti prima che il consiglio
municipale interessato si pronunci. Già in
questa prima fase emergono sette
osservazioni che hanno come promotori
l’Associazione trasporti e ambiente, il
Gruppo trasporti ed economia, la Camera di
commercio e dell’industria di Ginevra,
l’Associazione patrimonio vivente e il
gruppo di abitanti del quartiere di Vermont.
Nonostante questi emendamenti, un Comitato
formato da gruppi ambientalisti, forze
politiche e associazioni di quartiere18
lancia nel dicembre 1997 un referendum19
contro il piano urbanistico per Place des
Nations, insistendo soprattutto sulla
necessità di “difendere la dimensione
pubblica e il valore d’uso della piazza,
contro la [sua] privatizzazione”20.
Una nuova popolazione di attori comincia ad
animare, troppo tardi, il progetto. Il
programma concorsuale messo a punto da
settori ristretti dell’amministrazione e
dello Stato non ha consentito di far
emergere, compiutamente e a tempo debito,
altri interessi e valori, impedendo così di
tenerne conto nella fase progettuale e di
anticipare i successivi conflitti. Viceversa
la Fondation Braillard, rifacendosi agli
studi di Conan e Healey, osserva che “è più
efficace, più economico, più ragionevole (e
non solo più democratico) permettere
l’espressione delle diverse posizioni
all’inizio del processo di pianificazione.
Ciò semplicemente perché è più difficile
contestare […] una discussione in cui si è
stati coinvolti rispetto ad una da cui si è
stati esclusi”21.
Nel caso di Place des Nations emerge in
tutta evidenza un deficit di
rappresentatività del programma di
trasformazione, che esplode alla vigilia del
referendum sulla questione emblematica
dell’uso pubblico della piazza stessa. Place
des Nations ha in effetti assunto nel tempo
“il ruolo che gioca piazza della Bastiglia
per la società civile francese”22,
divenendo luogo di manifestazioni e
petizioni all’indirizzo delle organizzazioni
internazionali, dunque fortemente investito
dal punto di vista simbolico. “La
realizzazione del progetto Fuksas avrebbe
comportato una modificazione importante
dell’uso di questa piazza”23. La
stampa, con una punta di campanilismo,
commenta: “Mentre gli architetti svizzeri
hanno nell’insieme trattato la piazza per
lasciarle la funzione di luogo di
manifestazioni, M. Fuksas la trasforma in un
parterre aquatique. Non è chiaro come
una folla potrebbe ancora raccogliersi sui
passeggi a pelo d’acqua per esprimere le
proprie idee”24. In definitiva,
si afferma l’idea che il progetto è
paracadutato dall’alto, adatto ad accogliere
funzionari e turisti della domenica ma
indifferente alle esigenze locali, incapace
“di raccordare interessi diversi”25.
Nonostante le lunghe mediazioni con il
comitato referendario, che conducono
all’accoglimento di alcune variazioni al
progetto originario, il 7 giugno 1998 il
52,4% dei ginevrini respinge definitivamente
il progetto Fuksas26.
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Figura 3 - Progetto Fuksas: la nuova
Place des Nations nel contesto
paesaggistico dell'area
internazionale |
Il concorso per Place Neuve
“Qui tutto comincia dal basso”27,
precisamente dal sottosuolo. Nel 1994, lo
Stato e la città di Ginevra accolgono la
domanda dell’Association des intérêts de la
Corraterie, costituita da commercianti,
banche e uffici privati, per la
realizzazione di un parcheggio sotterraneo
in Place Neuve, altro nodo strategico della
città. Dal punto di vista
dell’amministrazione è l’occasione per
varare, congiuntamente al parcheggio, un
programma di valorizzazione pedonale della
piazza, su cui affacciano il Grand Théâtre,
il Conservatorio, il museo Rath e il grande
giardino pubblico ai piedi della città
vecchia. In questo senso si reputa opportuno
l’avvio di un processo di concertazione tra
i promotori e gli autori di due ricorsi
subito presentati contro il parcheggio
(figurano tra i ricorrenti l’Associazione
degli abitanti del centro e della città
vecchia e l’Associazione per gli interessi
dei ciclisti).
Già una prima fase della consultazione
conduce, nel novembre 1995, alla firma di un
protocollo d’intesa per Place Neuve, che
consente il ritiro dei ricorsi in
opposizione e dispone l’organizzazione di un
concorso per integrare al meglio la
riorganizzazione della piazza, della
circolazione e il parcheggio.
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Figura 4 - Place des Nations e
l'area delle organizzazioni
internazionali in una foto aerea di
Max Oettli (1995) |
Tale concorso, lanciato nel giugno 1996,
chiede ai concorrenti invitati di esprimere
una soluzione per la piazza nel suo
complesso e, in particolare, per i
sotto-ambiti relativi agli edifici
monumentali presenti. In più, si chiede la
riqualificazione dei margini e delle vie
vicine, in vista della soppressione del
traffico di transito con apertura al solo
traffico di destinazione. Quindi, una
sostanziale pedonalizzazione di Place Neuve.
Nell’ottobre 1996 la giuria, integrata
peraltro con rappresentanti dei soggetti
ricorrenti, assegna il primo premio allo
studio Descombes di Ginevra.
Tuttavia, l’iniziativa urbanistica prevista
comporta un nuovo piano della circolazione
intorno alla piazza, che però incontra
l’opposizione di ambienti favorevoli all’uso
dell’auto privata: questi ultimi valutano
che la pedonalizzazione della piazza,
insieme alla realizzazione di una nuova
linea tranviaria su una strada limitrofa,
avrebbero rappresentato un impatto troppo
forte per la circolazione automobilistica.
Si apre così una seconda fase di
concertazione, conclusa con un nuovo
protocollo d’intesa che condiziona il
tracciato tranviario all’ubicazione del
parcheggio da realizzare.
La Fondation Braillard nota
significativamente che alcuni partecipanti
al primo round di concertazione (opposizione
al parcheggio) non sono presenti anche nel
secondo (questione auto e tram). Perciò
l’autorità cittadina impegnata nella
questione convoca un terzo e ultimo tavolo
di concertazione con i firmatari di entrambi
i protocolli d’intesa allo scopo di definire
gli ultimi adattamenti.
Come se ciò non bastasse, la commissione
urbanistica chiamata a pronunciarsi sulla
concessione del diritto di superficie agli
investitori privati del parcheggio, esprime
parere negativo. Si valuta a questo punto
che solo un responso referendario avrebbe
potuto sciogliere definitivamente la
questione, pro o contro la concessione del
diritto di superficie e quindi pro o contro
l’intero programma d’intervento. Il 27
settembre 1998, il 56,9% dei ginevrini
respinge di fatto la realizzazione del
progetto: prevalgono in questo caso i
partiti di destra e gli ambienti favorevoli
all’auto privata.
A questo punto, la domanda che si pone la
Fondation Braillard è la seguente: la
concertazione in se stessa è sufficiente ad
assicurare il successo di un processo di
trasformazione? Evidentemente no. “La
gestione di un progetto in materia di spazio
pubblico […] suppone piuttosto una serie di
procedure per arrivare ad una definizione
dell’interesse pubblico”28. A
questo proposito, l’ipotesi dei ricercatori
è che “in realtà, questa concertazione
mirava essenzialmente a eliminare
opposizioni ad un progetto largamente
predefinito, il che non ha permesso di porre
il problema alla radice”29. In
questi casi, “si tende a sfociare in accordi
molto precari”30.
Nelle settimane successive all’esito
referendario, i commenti si schierano
tout court pro o contro la
concertazione. Per alcuni questa non
funziona, e anzi configura i caratteri di
una “democrazia paralizzante”31.
Per altri, è mancato piuttosto un rapporto
tra i partecipanti al processo e il resto
della popolazione. Ciò induce la Fondation
Braillard a cercare di “aprire la scatola
nera della concertazione”32,
indirizzando l’analisi sul modo in cui essa
è stata intesa e gestita nell’ambito della
definizione di una politica pubblica.
La ricerca individua tre punti centrali di
interpretazione della vicenda Place Neuve:
la tempistica (in che momento la
concertazione è intervenuta nella gestione
del progetto); la selezione degli attori
coinvolti; le modalità o logiche di
negoziazione.
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Figura 5 - Manifestazione su
tematiche internazionali in Place
des Nations a Ginevra |
Tempistica. Riportando il verbale della
prima seduta di concertazione, la Fondation
Braillard nota che essa è stata organizzata
per permettere ai costruttori del parcheggio
e ai ricorrenti di individuare obiettivi
comuni; però la riunione è stata convocata
“quando il progetto di parking sotterraneo
[…] è già largamente definito e le posizioni
degli attori sono determinate”33.
Viceversa, “numerosi studi di pianificazione
strategica hanno mostrato che questo lavoro
di messa in presenza degli attori e di
esplicitazione degli interessi, deve
avvenire prima della definizione del
progetto, se si intende creare una
dinamica positiva”34. Qui la
ricerca richiama la differenza tra procedure
di tipo problem solving e di tipo
problem setting: nel primo caso il
problema da risolvere è già posto; nel
secondo, è il problema stesso che deve
essere costruito collettivamente. Nel caso
di Place Neuve, la concertazione interviene
nel momento in cui le decisioni sono già
prese (realizzazione del parcheggio) e non
consente la definizione di una cornice
comune da cui far emergere la soluzione. La
logica è più quella di ottenere
consenso che quella di costruirlo intorno ad
un’ipotesi condivisa di sviluppo.
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Figura 6 - Progetto laureato per la
sistemazione di Place Neuve (Studio
Descombes di Ginevra) |
Selezione degli attori. “Solo le persone o i
gruppi abilitati a depositare
[ufficialmente] opposizioni al progetto sono
stati coinvolti nel processo di
concertazione”35, sicché il
numero degli attori effettivamente implicati
è stato molto ridotto. La procedura dunque,
secondo la Fondation Braillard, non ha
risposto né ai principi della
rappresentanza (esponenti delle
differenti forze politiche e sociali), né a
quelli della partecipazione. A quest’ultimo
riguardo la ricerca nota che “un approccio
partecipativo tende a identificare tutti gli
attori interessati (anche se restano
silenziosi) per cercare di integrarli con
diverse modalità nel processo di
negoziazione. Il vantaggio consiste nel
coprire con una certa esaustività
l’estensione dei problemi e degli interessi,
invece di occultarli all’inizio per vederli
poi rispuntare dalla finestra”36.
In definitiva, la selezione degli attori non
è derivata da un’analisi globale della
situazione, e perfino i pochi soggetti
coinvolti non hanno partecipato a tutte le
fasi.
Modalità o logiche di negoziazione. La
scelta di avviare la consultazione37
sulla base di una decisione già presa “ha
indotto necessariamente una logica
negativa di compensazione piuttosto che
una logica costruttiva di elaborazione di
una soluzione”38. Qui la
Fondation Braillard cita la differenza tra
regime di sviluppo e regime
simbolico e di apprendimento reciproco,
accomunando il processo per Place Neuve al
primo tipo. Quest’ultimo si instaura tra
pochi portatori di interessi sulla base di
un do ut des: “l’avvicinamento dei
punti di vista [avviene] sulla base di un
mercanteggiamento”39. Il
regime simbolico è piuttosto un
“dispositivo d’organizzazione, […] un
processo di lavoro che permette
l’espressione del maggior numero possibile
di saperi e conoscenze differenti”40.
Effettivamente, in questo contesto, lo
stesso progetto di pedonalizzazione della
piazza sembra ridursi ad un espediente
compensativo rispetto al parcheggio: quando
il referendum boccia il diritto di
superficie ai costruttori, l’intero
programma urbanistico è compromesso.
In definitiva, “la questione non è quella
della concertazione in sé, ma della sua
adeguatezza ad una situazione data, delle
sue finalità, del momento del suo innesco e
delle sue modalità di funzionamento”41.
Conclusioni
Veniamo ora, concludendo, alla questione più
volte evocata dell’interesse pubblico. È
evidente che “una definizione coerente
dell’interesse pubblico deve essere al
centro dei progetti di pianificazione di
spazi pubblici”42: le proposte
per Place des Nations e Place Neuve “non
sono state considerate, manifestamente, come
di interesse pubblico da parte della
popolazione ginevrina”43. Che
cos’è dunque l’interesse pubblico, il bene
comune, su cui fondare politiche pubbliche
in generale, e politiche urbane in
particolare? Come definirlo all’interno dei
processi di pianificazione?
La risposta della Fondation Braillard è
quella ormai ampiamente suffragata dalla
letteratura specialistica: “Il bene comune
non è identificabile a priori […] non può,
non può più, essere postulato: esso deve
essere costruito”44.
Molti autori sono in effetti concordi nel
ritenere che in una società complessa,
fortemente differenziata, articolata in
piccoli gruppi e minoranze, l’interesse
comune diventa sempre più difficile da
elaborare e determinare. Di certo, siamo
ormai “lontani da una situazione in cui il
parere degli esperti45 sui
bisogni della popolazione possa essere
enunciato come verità intangibile”46,
da cui derivare automaticamente una linea di
azione pubblica. Viceversa, sono gli attori
stessi nel loro complesso, all’interno di
una situazione data, che devono contribuire
alla definizione di un interesse pubblico il
più possibile rappresentativo e condiviso, e
da ciò derivare le politiche di intervento
pubblico. “La partecipazione – nelle forme
più varie – a questo processo, fin dal
suo inizio, degli abitanti, degli
utenti, dei cittadini e di tutti gli attori
coinvolti, diventa essenziale. Non si tratta
più soltanto di discutere su proposte
differenti o di migliorare le soluzioni
proposte, ma di coprodurre il quadro di
riferimento e la formulazione stessa dei
problemi”47. In altri termini,
agire in una società fortemente
differenziata vuol dire passare dall’interesse
generale sostanziale all’interesse
generale procedurale: “Una decisione non
può più essere considerata come d’interesse
generale o comune solo in considerazione
della sua sostanza oggettiva. È la maniera,
la procedura attraverso cui essa è
stata elaborata ed eventualmente coprodotta
dagli attori coinvolti che le conferisce,
infine, il suo carattere di interesse
generale”48.
Se dunque la prospettiva non è più
funzionalista e lineare ma generativa49
e iterativa, “l’identificazione e
messa in relazione degli attori
costituiscono […] elementi centrali”50.
Cosa significa tutto ciò, più esattamente,
nei processi di pianificazione urbana e
territoriale?
Identificazione degli attori.
L’identificazione degli attori comincia
evidentemente da una lettura adeguata del
territorio. “Descrivere il territorio nella
sua complessità (nel suo spessore)
vuol dire […] comprendere ciò che un
territorio significa, almeno nelle sue
dimensioni essenziali, per differenti
categorie di attori. Procedere ad una tale
lettura costituisce il prerequisito
fondamentale della gestione di qualunque
progetto”51. All’analisi spaziale
occorre dunque accompagnare l’analisi
sociale relativa agli usi del territorio
stesso da parte delle differenti categorie
di attori o stakeholders, cioè
“procedere ad un’altra cartografia
[…], quella degli attori, [che sia in grado]
di individuarli in maniera larga, inclusiva,
ossia senza omettere quelli che non
detengono a priori né voce, né potere”52.
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Figura 7 - Giornale degli abitanti
del centro cittadino: appello
referendario contro la costruzione
del parcheggio sotterraneo in Place
Neuve |
Messa in relazione degli attori.
L’individuazione preliminare degli attori e
dei loro interessi fondamentali al momento
dell’analisi territoriale consente solo di
formulare ipotesi provvisorie da sottoporre
a verifica nelle fasi successive.
L’obiettivo è infatti quello di coinvolgere
il maggior numero possibile di soggetti nel
processo di pianificazione consentendo
l’espressione diretta di aspettative,
bisogni, valori e punti di vista, e “ciò di
preferenza fin dalle prime fasi”53.
I vantaggi di questa procedura sono
molteplici. Essa crea le condizioni per il
riconoscimento del problema stesso da
risolvere (problem setting) e per una
definizione coerente dell’interesse
pubblico; consente di far emergere in modo
precoce contraddizioni e conflitti, che
opportunamente interpretati possono
trasformarsi in risorse del processo;
permette di individuare soluzioni
realistiche perché ampiamente
rappresentative e condivise.
In questo senso, la Fondation Braillard
individua due strumenti fondamentali.
Anzitutto la creazione di “luoghi pubblici
di progetto”54, ossia spazi di
confronto (forum, arene, laboratori, ecc.)
che permettano sia l’espressione di sé dei
partecipanti, sia la conoscenza di altre
opinioni, e dunque ambienti di elaborazione
di contraddizioni ma anche di convergenze
possibili. I due casi esaminati di Place des
Nations e Place Neuve hanno messo in luce
l’effetto rovinoso sui progetti urbani di
posizioni rigidamente contrapposte.
Il secondo strumento indicato dalla
Fondation Braillard è quello relativo alla
definizione di un adeguato metodo di
dialogo, attento in modo particolare al
linguaggio utilizzato. “I luoghi pubblici
di progetto sono spesso dominati da modi
di pensare e di organizzare i problemi che
inibiscono le voci di certi attori e
limitano lo sviluppo di nuove idee”55.
L’animatore, o gli animatori, di tale
dialogo devono perciò ricoprire un triplice
ruolo: di tipo maieutico (che
facilita la formulazione di bisogni e
opinioni diverse), del mediatore (che
identifica punti di contatto tra
divergenze), dell’esperto (che
fornisce una conoscenza specializzata,
possibilmente multidisciplinare).
L’obiettivo è far coevolvere differenti
comunità di interessi verso un sapere comune
(che emerge dall’interazione e quindi non
preesiste alla stessa), evitando “che ci si
fissi troppo presto su opzioni d’azione”56
a vantaggio di una valutazione esauriente di
scenari alternativi, e quindi di “una
appropriazione collettiva della strategia
così definita”57.
Naturalmente, tali procedure non
sostituiscono il progetto vero e proprio.
“Esse permettono piuttosto di innescare una
dialettica feconda tra una definizione
(provvisoria ma coerente) del bene comune e
le concezioni urbanistiche e
architettoniche”58, elaborate
dallo specialista in termini di concrete
soluzioni spaziali.
Infine, un’ultima domanda è d’obbligo. Le
vicende narrate sono tipicamente svizzere,
oppure hanno una validità generale? In
realtà, una società civile fortemente
articolata, e organizzata in associazioni,
comitati e gruppi d’interesse, che possono
ricorrere con una certa facilità a strumenti
di tipo referendario, sono la norma
piuttosto che l’eccezione nelle moderne
democrazie avanzate. Costituiscono cioè
vincoli con cui ogni progetto deve oggi
misurarsi, “e non conducono fatalmente alla
sconfitta”59 di tutti i tentativi
di trasformazione.
Anche in Italia, le riforme per il
decentramento amministrativo (revisione del
titolo V della Costituzione e legge
142/1990, oggi Testo unico degli enti
locali) hanno sancito la generalità del
ricorso alla sussidiarietà orizzontale
e a forme variegate di democrazia diretta a
livello locale. Il fatto che se ne faccia
ancora oggi scarso uso pratico, e che le
politiche urbane restino prevalentemente di
tipo top-down, hanno forse l’effetto
di occultare l’esclusione o il dissenso di
ampi settori di società civile dai processi
di pianificazione urbana, ma non di
eliminare le conseguenze profonde di
politiche pubbliche centralistiche. Come
abbiamo visto, gli esclusi dalle scelte
hanno la tendenza a presentare
successivamente il conto, o in termini di
rigetto referendario, oppure in termini
(come è piuttosto il caso italiano) di
scollamento crescente tra amministratori e
amministrati, di erosione di senso civico,
spirito di appartenenza, capitale sociale,
valori di riconoscimento e reciprocità, con
costi indiretti in certi casi altissimi.
Ce n’è dunque abbastanza per riflettere su
scelte pubbliche e procedure come quelle
adottate, ad esempio, per il sottopasso di
via Acton a Napoli, sul quale lo stesso
Massimiliano Fuksas ha invitato recentemente
alla massima cautela60, forse
anche sulla base dell’infelice esperienza
ginevrina.
|
Figura 8 - Manifesto pubblico
favorevole alla concertazione per il
progetto Place Neuve |
Note
1
Fondation Braillard Architectes,
Lendemains d’échecs. Conduite de projets et
aménagement d’espaces publics à Genève,
Ginevra, maggio 2000, www.braillard.ch;
direzione di Ola Söderström, ricerche e
testi di Ola Söderström, Béatrice Manzoni e
Suzanne Oguey.
La ricerca, svolta nell’arco di dodici mesi,
è basata su materiali documentari e
interviste a testimoni privilegiati.
2
Sylvain Malfroy, Michel Nemec, Du dessein
au dessin, in “Faces.
Journal d’Architecture”, n. 36, 1995, p. 11.
Per una contestualizzazione storica
dell’esperienza ginevrina come sede di
organizzazioni internazionali si veda anche:
André Corboz, Genève ou la triple
métamorphose, Swissair Gazette, n. 5,
1987.
3
Alain Léveillé (a cura di), Formation et
transformation du secteur des Organisations
internationales à Genève. Etude
d’aménagement de la Ville de Genève,
deuxième phase d’étude, 1981 (non
pubblicato); cit. in: Fondation Braillard
Architectes, Lendemains d’échecs.
Conduite de projets et aménagement d’espaces
publics à Genève, cit., p. 11.
4
Sylvain Malfroy e Michel Nemec ricordano che
circa il 65% delle spese delle
organizzazioni internazionali sono
effettuate in Svizzera e soprattutto a
Ginevra, e che sono circa 80.000 i posti di
lavoro direttamente o indirettamente
imputabili alla presenza di queste
organizzazioni. Lo sviluppo del polo
internazionale ha indotto effetti
moltiplicatori sul terziario, il commercio e
il settore alberghiero, anche nei segmenti
di lusso, contribuendo in modo significativo
al nuovo progetto economico della città nel
secondo dopoguerra. Sylvain Malfroy, Michel
Nemec, Du dessein au dessin, cit.
5
Gli altri classificati sono nell’ordine:
Peter Eisenman, Sumet Jumsai, Thomas Wang,
Coop Himmelblau, Rem Koolhaas, Dominique
Perrault e Baillif&Loponte. Della giuria
fanno parte rappresentanti delle
organizzazioni internazionali, della
Confederazione Elvetica, dello Stato e della
Città di Ginevra, dell’Università,
architetti e urbanisti di rilievo
internazionale, tra cui Norman Foster e
Bernardo Secchi. Per un’analisi esauriente
di tutti i progetti classificati si veda:
Sylvain Malfroy, Michel Nemec, Genève,
concours Place des Nation.
Quel lieu symbolique pour les organisations
internationales?,
in “Faces. Journal d’Architecture”, n. 36,
1995, p. 5.
6
Département des travaux publics et de
l’énergie, Rapport du jury, Ginevra,
1995; cit. in: Fondation Braillard
Architectes, Lendemains d’échecs.
Conduite de projets et aménagement d’espaces
publics à Genève, cit., p. 16.
7
Sylvain Malfroy, Michel Nemec, Genève,
concours Place des Nations. Quel lieu
symbolique pour les organisations
internationales?, cit., p. 12. Corsivo
dell’autore.
8
Fondation Braillard Architectes,
Lendemains d’échecs. Conduite de projets et
aménagement d’espaces publics à Genève,
cit., p. 24.
9
Ibidem, p. 21.
10
“Il rapporto complesso tra il settore
internazionale e il resto della città […] è
stato analizzato in modo insufficiente”,
ibidem, p. 24.
11
Sylvain Malfroy, Michel Nemec, Du dessein
au dessin, cit.
12
Fondation Braillard Architectes,
Lendemains d’échecs. Conduite de projets et
aménagement d’espaces publics à Genève,
cit., p. 24.
13
Département des travaux publics et de
l’énergie, Place des Nations Genève,
1996; cit. in: ibidem, p. 17.
14
“Questa proposta identifica basi minime di
progetto e si fonda sull’idea di una
programmazione aperta in grado di
considerare le incertezze legate al contesto
urbano attuale e al suo sviluppo”, ibidem.
15
“Or, les refoulés du projet ont tendance un
jour ou l’autre à effectuer leur retour …”,
ibidem, p. 24.
Corsivo dell’autore.
16
Ibidem, p. 14.
17
I progetti architettonici saranno elaborati
fino allo stadio dei permessi di
costruzione, ibidem, p. 17.
18
Di tale Comitato fanno parte, tra gli altri,
Wwf Ginevra, Federazione delle associazioni
di quartiere e di abitanti, Alleanza di
sinistra, Partito del Lavoro, Indipendenti e
Solidarietà, Verdi, Gioventù socialista,
ibidem, p. 19.
19
Come è noto, il carattere direttoriale
della forma di governo vigente in Svizzera
(basata sulla non revocabilità del governo
fino alla scadenza naturale del mandato)
prevede come contrappeso l’esercizio
agevolato del referendum. Per l’indizione
del referendum su Place des Nations è stata
sufficiente la raccolta di 4910 firme,
ibidem, p. 21.
20
Ibidem, p. 19. Corsivo dell’autore.
21
Ibidem, p. 21. Su questi temi la
ricerca della Fondation Braillard cita più
volte i lavori di Michel Conan, L’évaluation
constructive, Ed. de l’Aube, 1998, e di
Patsy Healey, Collaborative Planning.
Shaping Places in Fragmented Societies,
Macmillan, Londra, 1997.
22
Ibidem, p. 22.
23
Ibidem.
24
Tribune de Genève, 10 aprile 1995
(titolo e autore dell’articolo non
riportati); cit. in: ibidem.
25
Ibidem, p. 23.
26
Va detto che il Consiglio di Stato, organo
esecutivo dello Stato di Ginevra, avrebbe
potuto perseguire ugualmente la
realizzazione del progetto senza tenere
conto della volontà popolare, ma non ha
ritenuto opportuno avvalersi nel caso
specifico di tale prerogativa, ibidem,
p. 13.
27
Ibidem, p. 25.
28
Ibidem, p. 5.
29
Ibidem.
30
Ibidem.
31
“Il rifiuto del progetto Place Neuve è la
rappresentazione di una democrazia
paralizzante. Tutti sono perdenti oggi,
salvo coloro che adorano che niente cambi,
niente migliori mai”, Tribune de Genève,
intervista al Consigliere di Stato, Gérard
Ramseyer, 28 settembre 1998; cit. in:
ibidem, p. 29.
32
Ibidem, p. 30.
33
Ibidem, p. 32.
34
Ibidem.
35
Ibidem.
36
Ibidem, p. 33.
37
Qui la ricerca, citando un lavoro di Fareri,
distingue tre tipi di partecipazione
nell’analisi delle politiche pubbliche:
pubblicità, consultazione e partecipazione
propriamente detta; la procedura messa in
atto per Place Neuve sarebbe del secondo
tipo perché introdotta “nella fase
intermedia tra la messa a punto delle
soluzioni e la decisione finale”, P. Fareri,
Ralentir, in: Ola Söderström et
alii, L’usage du projet.
Analyser les pratiques sociales et concevoir
le projet architectural et urbain,
Payot, Losanna, 2000; cit. in: ibidem,
p. 34.
38
Ibidem.
39
G. Novarina, La construction des demandes
sociales par le projet d’urbanisme, in
“Les annales de la recherche urbane”, n.
80-81, 1998, che si rifà alla teoria dei
regimi urbani di Clarence Stone; cit. in:
ibidem.
40
Ibidem.
41
Ibidem, p. 35.
42
Ibidem.
43
Ibidem.
44
Ibidem.
45
“Gli eletti locali, lo Stato, gli urbanisti
e gli esperti di tutte le discipline hanno
sempre meno la possibilità di fondare le
loro azioni e le loro proposte su un
interesse generale, oppure su obiettivi
comuni unici”, François Ascher, Les
nouveaux principes de l’urbanisme, Ed.
de l’Aube, 2001; traduzione italiana in
corso di pubblicazione.
46
Fondation Braillard Architectes,
Lendemains d’échecs. Conduite de projets et
aménagement d’espaces publics à Genève,
cit., p. 37.
47
François Ascher, Les nouveaux principes
de l’urbanisme, cit. Corsivo dell’autore.
48
Ibidem.
49
Fondation Braillard Architectes,
Lendemains d’échecs. Conduite de projets et
aménagement d’espaces publics à Genève,
cit., p. 37.
La locuzione “approccio generativo” è
ripresa da Michel Conan, op. cit.
50
Ibidem, p. 38.
51
Ibidem.
52
Ibidem, p. 39.
53
Ibidem.
54
Ibidem.
55
Ibidem, p. 40, citando ancora Patsy
Healey, op. cit.
56
Ibidem.
57
Ibidem.
58
Ibidem.
59
Ibidem, p. 9.
60
Carlo Franco, Fuksas: il tunnel di via
Acton? Napoli merita rispetto, in
“Corriere del Mezzogiorno”, 17 marzo 2005.
“Se volete il mio parere – afferma Fuksas
nell’intervista – dico che è giusto lavorare
nel sottosuolo solo se si deve costruire una
stazione”. E riferendosi all’esperienza del
Forum les Halles a Parigi, aggiunge:
“Bisogna stare molto attenti, lì hanno
rasato i mercati, qui se si sbaglia le
conseguenze sono ben più gravi”. |