Numero 10/11 - 2005

 

Il territorio rifiutato  

 

Area Vasta n. 10/11 Luglio 2004 - Giugno 2005 Anno 6

numero 10/11  anno  2005

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In copertina Lello Lopez,

Da lontano, 2004

acrilico su tela, cm 40x30.

Fotografia di Vince Gargiulo

 

ISSN 1825-7526

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Acerra, tra paure e demagogie


Marco Di Lello


 

Prendendo spunto dagli eventi di Acerra, scaturiti dalla crescente contestazione della popolazione locale all’insediamento del termovalorizzatore, Marco Di Lello riflette sulla drammaticità dei ritardi che il nostro paese sconta sul piano della gestione dei rifiuti e sulla difficoltà della classe politica di far comprendere e condividere scelte a volte anche impopolari ma necessarie

 

 

Gli eventi di Acerra del 2004, con la crescente contestazione della popolazione locale per l’insediamento del termovalorizzatore, ci offre la possibilità di una riflessione più generale su almeno due punti: da un lato la drammaticità dei ritardi che il nostro paese sconta sul piano della gestione dei rifiuti e dall’altra la difficoltà della classe politica di far comprendere scelte a volte impopolari.

Sotto il primo punto, dopo l’entrata in vigore del Decreto Ronchi nel 1997, era auspicabile che si ponesse seriamente mano al ciclo dei rifiuti prima dello smaltimento, alla chiusura delle discariche mal gestite e inquinanti, alla concentrazione delle energie sul riciclaggio e riuso dei rifiuti, intesi come fonte di ricchezza e non di degrado.

In tale contesto andava poi individuata una procedura democratica e quanto più trasparente possibile, che – coinvolgendo tutti i soggetti interessati – individuasse i siti per l’insediamento di qualche termovalorizzatore. La situazione è esplosa oramai da tempo in Campania, dove pure tra il 2000 e il 2002 furono realizzati ben 7 Cdr, ma è tutt’altro che risolta anche nelle altre regioni del Mezzogiorno, che non a caso sono tutte considerate aree in emergenza.

In Puglia, dove si è prestata molta attenzione alla gestione dei rifiuti a valle della raccolta differenziata, si sono resi operativi alcuni impianti che però risultano ancora trattare meno del 4% del totale, mentre nulla si è fatto per la restante parte che va ancora nelle discariche, le quali aumentano anziché diminuire, in assoluta violazione della legge 22/1997.

In Calabria la differenziata si attesta sull’1%, si cerca di sviluppare il compostaggio, ma anche qui mancano completamente strutture di termovalorizzazione.

Infine, in Sicilia solo l’1% dei rifiuti viene attualmente incenerito in un impianto di Messina che però è assai vecchio e non è dotato di sistemi di recupero energetico.

In tale contesto è evidente come occorra programmare una nuova iniziativa, che definisca l’impegno dello Stato in termini finanziari, e il concerto delle regioni e delle province, ricercando il consenso dei cittadini, innanzitutto chiarendo i termini della questione.

In realtà non ha più senso alimentare la paura del termovalorizzatore. Esso realizza un processo che sfrutta il contenuto calorico presente in una determinata materia. Mentre con gli inceneritori si parlava semplicemente di termodistruzione, oggi l’uso del termovalorizzatore consente di ottenere dopo la combustione sia elettricità sia riscaldamento.

In Italia sono stati costruiti pochi impianti e tutti al nord. In Europa questa tecnologia è diffusa su larga scala; solo in Francia ve ne sono 84.

A Vienna, per esempio, ci sono due termovalorizzatori in pieno perimetro cittadino: forniscono sia acqua calda che elettricità, inquinano poco, meno delle normali centrali elettriche e quello di Spittelau è ormai un’attrazione turistica per la sua valenza architettonica.

Senza contare il ritorno economico: il Comune di Trezzo sull’Adda copre coi ricavi del termovalorizzatore il 16% del fabbisogno di bilancio comunale, con tutti i vantaggi economici che ne conseguono per i residenti.

Guardiamo dunque alle esperienze più avanzate in Europa e altrove, dove sono state individuate e standardizzate procedure precise per contemperare gli interessi generali e locali; effettuando una valutazione neutrale dei costi e dei benefici dei progetti, individuando i soggetti danneggiati e quantificando il danno eventuale.

I fatti di Acerra confermano che la camorra, dopo aver lucrato per decenni con discariche abusive e inquinanti nel totale disprezzo della salute degli abitanti, oggi si insinua nella comprensibile protesta della popolazione locale con il solo scopo di depotenziare tutte le autorità istituzionali e porsi come unica garante di disciplina e di governo: con la termovalorizzazione, infatti, tutto (o quasi) si riutilizza e anche le ceneri e le scorie vengono trasformate in materiale inerte e recuperate per la pavimentazione stradale o come materiale edile; con le discariche tutto è a vantaggio delle ecomafie.

Ed è proprio questo il nervo scoperto dell’intera questione: bloccare il ciclo dei rifiuti, continuare a sversare in discarica significa continuare ad alimentare le economie illecite che negli anni ottanta e novanta hanno prodotto ingentissimi guadagni ai diversi clan che nell’intero Mezzogiorno d’Italia avevano investito nel business dello smaltimento rifiuti; e il paradosso è che proprio ad Acerra, il cui territorio è stato per decenni inquinato non solo dalla Montefibre ma anche e soprattutto da decine di sversatoi illegali, che ne fanno oggi una delle aree a maggior presenza di diossina del paese, la rivolta di migliaia di persone in buona fede produce vantaggi unicamente a chi per anni ha inquinato quei terreni agricoli, quei corsi d’acqua, quell’aria …

Sotto il secondo profilo non possiamo non notare la crisi di rappresentanza evidenziata dalle proteste, che ad Acerra da anni si levano contro la realizzazione del termovalorizzatore e che in questi giorni sono state rilanciate dalle pagine dei quotidiani e dalle televisioni nazionali.

Che la scelta di localizzare l’impianto in quel territorio (già pesantemente martoriato) sia stata infelice è difficilmente contestabile.

Che in questi anni non sia stato fatto di tutto per spiegare al meglio alla popolazione locale il reale impatto, con costi e benefici, del termovalorizzatore è altrettanto difficilmente negabile.

La questione resta complessa e occorre una ampia riflessione che investe altri spazi e tempi. Noi ci auguriamo che il dibattito prosegua in forme democratiche e che tenga presente che le scelte devono essere assunte nell’interesse della collettività, interesse che molto spesso deve andare oltre il contingente e la dimensione strettamente locale per investire ragioni più ampie.

 

 

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