Gli eventi di Acerra del 2004, con la
crescente contestazione della popolazione
locale per l’insediamento del
termovalorizzatore, ci offre la possibilità
di una riflessione più generale su almeno
due punti: da un lato la drammaticità dei
ritardi che il nostro paese sconta sul piano
della gestione dei rifiuti e dall’altra la
difficoltà della classe politica di far
comprendere scelte a volte impopolari.
Sotto il primo punto, dopo l’entrata in
vigore del Decreto Ronchi nel 1997, era
auspicabile che si ponesse seriamente mano
al ciclo dei rifiuti prima dello
smaltimento, alla chiusura delle discariche
mal gestite e inquinanti, alla
concentrazione delle energie sul riciclaggio
e riuso dei rifiuti, intesi come fonte di
ricchezza e non di degrado.
In tale contesto andava poi individuata una
procedura democratica e quanto più
trasparente possibile, che – coinvolgendo
tutti i soggetti interessati – individuasse
i siti per l’insediamento di qualche
termovalorizzatore. La situazione è esplosa
oramai da tempo in Campania, dove pure tra
il 2000 e il 2002 furono realizzati ben 7
Cdr, ma è tutt’altro che risolta anche nelle
altre regioni del Mezzogiorno, che non a
caso sono tutte considerate aree in
emergenza.
In Puglia, dove si è prestata molta
attenzione alla gestione dei rifiuti a valle
della raccolta differenziata, si sono resi
operativi alcuni impianti che però risultano
ancora trattare meno del 4% del totale,
mentre nulla si è fatto per la restante
parte che va ancora nelle discariche, le
quali aumentano anziché diminuire, in
assoluta violazione della legge 22/1997.
In Calabria la differenziata si attesta
sull’1%, si cerca di sviluppare il
compostaggio, ma anche qui mancano
completamente strutture di
termovalorizzazione.
Infine, in Sicilia solo l’1% dei rifiuti
viene attualmente incenerito in un impianto
di Messina che però è assai vecchio e non è
dotato di sistemi di recupero energetico.
In tale contesto è evidente come occorra
programmare una nuova iniziativa, che
definisca l’impegno dello Stato in termini
finanziari, e il concerto delle regioni e
delle province, ricercando il consenso dei
cittadini, innanzitutto chiarendo i termini
della questione.
In realtà non ha più senso alimentare la
paura del termovalorizzatore. Esso realizza
un processo che sfrutta il contenuto
calorico presente in una determinata
materia. Mentre con gli inceneritori si
parlava semplicemente di termodistruzione,
oggi l’uso del termovalorizzatore consente
di ottenere dopo la combustione sia
elettricità sia riscaldamento.
In Italia sono stati costruiti pochi
impianti e tutti al nord. In Europa questa
tecnologia è diffusa su larga scala; solo in
Francia ve ne sono 84.
A Vienna, per esempio, ci sono due
termovalorizzatori in pieno perimetro
cittadino: forniscono sia acqua calda che
elettricità, inquinano poco, meno delle
normali centrali elettriche e quello di
Spittelau è ormai un’attrazione turistica
per la sua valenza architettonica.
Senza contare il ritorno economico: il
Comune di Trezzo sull’Adda copre coi ricavi
del termovalorizzatore il 16% del fabbisogno
di bilancio comunale, con tutti i vantaggi
economici che ne conseguono per i residenti.
Guardiamo dunque alle esperienze più
avanzate in Europa e altrove, dove sono
state individuate e standardizzate procedure
precise per contemperare gli interessi
generali e locali; effettuando una
valutazione neutrale dei costi e dei
benefici dei progetti, individuando i
soggetti danneggiati e quantificando il
danno eventuale.
I fatti di Acerra confermano che la camorra,
dopo aver lucrato per decenni con discariche
abusive e inquinanti nel totale disprezzo
della salute degli abitanti, oggi si insinua
nella comprensibile protesta della
popolazione locale con il solo scopo di
depotenziare tutte le autorità istituzionali
e porsi come unica garante di disciplina e
di governo: con la termovalorizzazione,
infatti, tutto (o quasi) si riutilizza e
anche le ceneri e le scorie vengono
trasformate in materiale inerte e recuperate
per la pavimentazione stradale o come
materiale edile; con le discariche tutto è a
vantaggio delle ecomafie.
Ed è proprio questo il nervo scoperto
dell’intera questione: bloccare il ciclo dei
rifiuti, continuare a sversare in discarica
significa continuare ad alimentare le
economie illecite che negli anni ottanta e
novanta hanno prodotto ingentissimi guadagni
ai diversi clan che nell’intero Mezzogiorno
d’Italia avevano investito nel business
dello smaltimento rifiuti; e il paradosso è
che proprio ad Acerra, il cui territorio è
stato per decenni inquinato non solo dalla
Montefibre ma anche e soprattutto da decine
di sversatoi illegali, che ne fanno oggi una
delle aree a maggior presenza di diossina
del paese, la rivolta di migliaia di persone
in buona fede produce vantaggi unicamente a
chi per anni ha inquinato quei terreni
agricoli, quei corsi d’acqua, quell’aria …
Sotto il secondo profilo non possiamo non
notare la crisi di rappresentanza
evidenziata dalle proteste, che ad Acerra da
anni si levano contro la realizzazione del
termovalorizzatore e che in questi giorni
sono state rilanciate dalle pagine dei
quotidiani e dalle televisioni nazionali.
Che la scelta di localizzare l’impianto in
quel territorio (già pesantemente
martoriato) sia stata infelice è
difficilmente contestabile.
Che in questi anni non sia stato fatto di
tutto per spiegare al meglio alla
popolazione locale il reale impatto, con
costi e benefici, del termovalorizzatore è
altrettanto difficilmente negabile.
La questione resta complessa e occorre una
ampia riflessione che investe altri spazi e
tempi. Noi ci auguriamo che il dibattito
prosegua in forme democratiche e che tenga
presente che le scelte devono essere assunte
nell’interesse della collettività, interesse
che molto spesso deve andare oltre il
contingente e la dimensione strettamente
locale per investire ragioni più ampie. |