Numero 10/11 - 2005

 

La storia dell'urbanistica  

 

Area Vasta n. 10/11 Luglio 2004 - Giugno 2005 Anno 6

numero 10/11  anno  2005

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In copertina Lello Lopez,

Da lontano, 2004

acrilico su tela, cm 40x30.

Fotografia di Vince Gargiulo

 

ISSN 1825-7526

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I manuali europei di urbanistica fra ottocento e novecento


Gemma Belli


 

La tecnica urbanistica e i manuali che la divulgano in Italia, consolidandola per l'intero '900, poggiano su studi e approfondimenti avviati in Europa sul finire dell'800. Gemma Belli individua in Sitte, Stübben, Buls e Unwin quattro degli autori che maggiormente hanno influenzato quel percorso, ripercorrendo i contenuti progettuali e operativi che hanno contribuito a porre le basi per lo sviluppo di una disciplina autonoma e fondamentale per la pianificazione della città contemporanea

 

 

Anticipando la formulazione dello stesso termine urbanistica, l’egemonia sulle questioni urbane in Italia viene rivendicata per la prima volta dalle discipline di origine medica. Negli anni ottanta dell’ottocento, infatti, l’ingegneria sanitaria formula un progetto di trasformazione urbana, fondato sull’indagine statistica delle patologie collettive, proponendosi come sicura protagonista del processo di diffusione delle pratiche di piano, che da evento occasionale, diviene questione di ordinaria amministrazione, guidata da normative, apparati tecnici e pratiche comuni all’intero territorio nazionale1.

Tuttavia, la volontà legislativa, espressa con provvedimenti che accomunano l’Italia alle più sviluppate realtà economiche e sociali d’oltralpe, tarderà a manifestarsi nei segni di un’urbanistica matura: i nuovi ordinamenti professionali, le riviste e i manuali. In assenza di una produzione critica originale si guarda alle esperienze compiute all’estero per dedurne veri e propri modelli da riproporre nella realtà nostrana2. La classe dei politici e dei tecnici italiani, quindi, non è isolata dal contesto tecnico culturale europeo e non è aliena da un forte interesse per gli interventi urbanistici più avanzati, come dimostra l’attenzione che già le riviste di età giolittiana, dedicate ai problemi della casa e della città, riservano ai modelli d’oltralpe. E ciò, nonostante quasi nulla di quanto pubblicato all’estero sia integralmente tradotto in lingua italiana, o per lo meno non subito3.

L’immagine della disciplina che così filtra attraverso i manuali in italiano conferisce alla ricerca europea “la dignità di un più progredito avanzamento”4 e, pur non mancando le citazioni da altri autori, privilegia il contributo facente capo a Sitte, Stübben e Buls. Il primo manuale di urbanistica italiano, che Luigi Pagliani pubblica nel 1902 a Milano5, conferma di conoscere bene gli esempi stranieri: dai testi di Baumeister e Stübben, ai piani di ampliamento per le città tedesche e al modello della Garden-City. Il volume di Aristide Caccia del 1915, Costruzione, trasformazione ed ampliamento della città, è apertamente scritto sulla traccia dello Städtebau di Stübben e rinvia anche a Sitte, Buls e Gurlitt. Daniele Donghi con La composizione architettonica. L’edilizia e l’estetica delle Città del 1922 si riferisce anch’egli a Sitte, Buls e Stübben, oltre che al precedente di Caccia.

In Vecchie città ed edilizia nuova (1931) Giovannoni, grazie al cui contributo la nuova scienza, sino a quel momento orientata dalla matrice tecnica, si riappropria degli aspetti artistico-architettonici, fondendo in un’unica visione estetica, igiene, traffico, scienze economiche, sociali, cita tra gli altri Sitte, Stübben, Buls, Gurlitt, Sierks e Unwin. E così farà Chiodi quattro anni dopo con La città moderna. Tecnica urbanistica.

È indubbio, quindi, che la costruzione della disciplina in Italia avvenga contraendo un forte debito innanzitutto nei confronti della cultura tedesca (Baumeister e Stübben) e successivamente di Sitte e di Buls6.

Figura 1 - Frontespizio della rivista Der Städtebau

 

La Germania è nazione che realizza il suo decollo industriale più tardi dell’Inghilterra o del Belgio. Solo dopo il 1848, infatti, le innovazioni tecniche e i mutamenti sociali dei primi del secolo riescono a tradursi in sensibili incrementi della produzione industriale, registrandosi un ampio movimento migratorio e di urbanizzazione. Tra il 1850 e il 1910 Berlino è la capitale europea che subisce la maggiore crescita e le trasformazioni sono così intense da fornire la sensazione di un processo disordinato. La risposta amministrativa e tecnica è molto efficace: si costituisce un nuovo corpo di funzionari ed un quadro legislativo e regolamentare, si sperimentano innovative analisi e tecniche d’intervento e si delineano fitte reti di diffusione delle conoscenze attraverso manuali, riviste, esposizioni e congressi. Secondo Giorgio Piccinato la cultura urbanistica tedesca fornisce un’esemplare lezione di chiarezza, in quanto persegue un ideale di crescita equilibrata, evidenziando un interesse molto preciso per le condizioni e le tendenze di sviluppo della città e preoccupandosi di analizzare e descrivere i fenomeni in modo sistematico. Inoltre, riesce a costruire un corpus disciplinare con il concorso di tutte le società capitalistiche moderne, per cui la teoria elaborata risulta perfettamente applicabile anche ad altri ambiti culturali7. Concetto base, in questa fase di formazione iniziale, è quello di città, intesa come macchina complessa della quale è necessario assicurare il funzionamento. Scorrendo l’indice dei manuali tedeschi si evince che tale funzionamento è identificato con pochi meccanismi elementari, come la circolazione e l’igiene, cui di volta in volta si aggiungono altri elementi.

Anche l’Austria rappresenta un modello cui attingere. In posizione intermedia nella via dello sviluppo industriale, rispetto alle più avanzate Inghilterra e Francia e alla più arretrata Italia, vede a partire dal 1850, dopo 3 secoli di governo imperiali, i liberali impegnati nella trasformazione delle istituzioni statali. Ma soprattutto, a cavallo del secolo, Vienna è l’emblema di una élite culturale (accademica, artistica, giornalistica, letteraria e politica) la cui coesione agevola un intenso scambio tra le discipline.

Tuttavia, la letteratura italiana sulla città mostra di subire l’influenza straniera in maniera piuttosto acritica solo negli scritti di fine ottocento, incentrati sui singoli problemi della città, e in quelli dei decenni immediatamente successivi. Già a partire dalla metà degli anni ’10, infatti, maturando lentamente la presa di coscienza del problema urbano e della individualità della nuova disciplina, comincia quella che Alberto Mioni definisce la “stagione d’oro” della manualistica urbanistica italiana, che durerà sino al secondo conflitto mondiale8. In questo arco temporale, come accennato, i principali modelli di riferimento sono Stadterweiterungen in technischer, baupolizeilicher und wirtschaftlicher (1876) di Baumeister, Esthétique des villes (1893) di Buls, Der Städtebau nach seinen künstlerischen Grundsätzen (1889) di Sitte, Der Städtebau, Handbuch der Architektur (1890) di Stübben. Ad essi si può aggiungere Town Planning in practice (1909) di Unwin, che arricchisce il filone di studi sulla casa popolare con il tema anglosassone della città giardino. Si tratta di cinque trattazioni disciplinari che affrontano il problema della città e della sua progettazione/pianificazione sin dal titolo.

Figura 2 - Sitte C., Der Städtebau nach seinen künstlerischen Grundsätzen, Vienna 1889. Frontespizio

 

Il dettagliatissimo volume che Reinhard Baumeister pubblica nel 1876 rappresenta il caposaldo, “chiarissimo nelle impostazioni di principio e nelle conseguenze logiche”9, per tutte le trattazioni successive. È un testo essenziale, cui l’autore attribuisce una duplice dimensione, descrittiva e fondatrice, della teoria urbanistica: un’opera che “da una parte, si prefigge di descrivere ciò che esiste: gli edifici e i progetti, i punti di vista diversi e i testi legislativi; dall’altra, con l’aiuto della critica e della scienza, desidera preparare delle solide basi per il futuro”. Ricorrendo ad una interrelazione costante tra elementi mutuati dagli studi statistici, igienici, sociologici e quelli dedotti dall’indagine storica dei processi di formazione della città e delle sue parti, Baumeister cerca di attuare una sistematizzazione della disciplina, ponendo contemporaneamente le premesse per un’unificazione e generalizzazione della prassi urbanistica a livello delle amministrazioni locali e operando altresì un bilancio dei dibattiti condotti nelle principali capitali europee sul tema delle politiche urbane.

Figura 3 - Pagina del manoscritto originale di Camillo Sitte, Der Städtebau nach seinen künstlerischen Grundsätzen. Immagine tratta da: Sitte C., L'arte di costruire le città. L'urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici, trad. it. a cura di Della Torre R., Jaca Book, Milano 1980, p. 223

 

Il volume si articola in quattro sezioni e 22 capitoli. Nella prima parte si affrontano in maniera organica le problematiche legate alla redazione del piano regolatore, con la specificazione di compiti e limiti, indicando soluzioni tecniche precise, illustrando disposizioni e regolamenti municipali e analizzando questioni economiche concernenti lo sviluppo urbano. Per Baumeister il piano è un inevitabile strumento per garantire l’ordine economico, il valore della proprietà fondiaria e la sua stabilità. Il suo fine è regolare la crescita naturale della città, rimovendo le cause che artificialmente vi si oppongono10. La progettazione verte soprattutto sul disegno dell’andamento della circolazione, secondo una struttura gerarchizzata delle linee di traffico; la demolizione delle fortificazioni risulta nodale per l’espansione.

La seconda sezione è dedicata alle principali caratteristiche tecniche dell’insediamento (trasporti, piazze e aree verdi); l’autore vi analizza la questione delle porte della città e del passaggio di nuove strade. La terza prende in considerazione i compiti dell’Ufficio dei lavori pubblici, gli argomenti relativi al regolamento edilizio, le competenze dei diversi dipartimenti, a testimonianza del ruolo decisivo assegnato all’autorità amministrativa nel processo di piano per la tutela dell’interesse generale e contro gli abusi. La quarta, infine, esamina problemi espropriativi, inerenti la copertura dei costi e il completamento dell’espansione urbana.

Il metodo proposto conferisce grande spazio all’indagine preliminare della struttura della popolazione (incremento, attività, vita media, mortalità infantile, malattie) e al censimento delle attività industriali e commerciali, del traffico e delle attività edilizie in atto. Gli strumenti generali dell’urbanistica – intesa come tecnica operativa – sono la normativa, la zonizzazione e la lottizzazione. La città, considerata unico campo di applicazione dell’urbanistica, deve essere costruita a partire dalle idee di eguaglianza e libertà poste a fondamento di tutti gli ambiti di azione sociale, per cui i suoli, urbani e rurali, sono tra di loro uguali, e tutti i proprietari sono liberi di costruire. Monocentrica, essa è destinata a crescere indefinitamente e il processo, naturale e fisiologico, non va contrastato: l’espansione in tutte le direzioni è infatti ritenuta equilibrata, mentre il limite alla stessa dannoso e contrario al diritto a costruire che “negli stati civili è riconosciuto come uno dei diritti fondamentali dell’uomo”. I conseguenti effetti di valorizzazione dei suoli interessati dall’espansione è intesa come produzione di ricchezza che l’urbanistica deve concorrere ad assicurare attraverso l’ampliamento omogeneo e indifferenziato in tutte le direzioni.

Figura 4 - Frontespizio della traduzione italiana di Sitte C., Der Städtebau nach seinen künstlerischen Grundsätzen, curata nel 1953 da Luigi Dodi

 

L’urbanista diventa agente del cambiamento sociale, detentore di un sapere razionale sufficiente a motivare la validità della sua azione, consapevole dei limiti imposti da una legislazione che riflette i veri rapporti di potere. Ne deriva un atteggiamento critico e progressista nei confronti dell’ambiente sociale e politico, senza venature utopistiche. Baumeister, tra l’altro, dubita della capacità e della volontà dei comuni di adempiere ai propri compiti di gestione autonoma e auspica che lo Stato continui a esercitare un’azione di controllo e di pressione per conseguire i risultati considerati imprescindibili.

Figura 5 - Salisburgo. Immagine tratta da: Sitte C., L'arte di costruire le città. L'urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici, trad. it. a cura di Della Torre R., Jaca Book, Milano 1980, p. 104

 

Di qualche anno successivo è Der Städtebau nach seinen künstlerischen Grundsätzen di Camillo Sitte11, testo che Françoise Choay definisce instauratore, in quanto connotato dall’esplicito obiettivo di costruire un’attrezzatura concettuale autonoma per la concezione di spazi nuovi non esistenti12. Volutamente incentrato sui problemi artistici ed estetici della città, avrebbe dovuto costituire il primo di una serie di volumi dedicati alla trattazione di tutti gli aspetti relativi alla costruzione della città13. Le sue 180 pagine (216 nella versione italiana) risultano suddivise in 12 capitoli, raggruppabili in tre parti. Nella prima è esaminato il tema dello spazio rimpianto delle antiche città, nella seconda la città moderna criticata, nella terza, infine, l’organizzazione spaziale futura desiderabile.

Attraverso la dichiarata contrapposizione tra passato celebrato e presente contestato, Sitte intende farsi portatore di un’immagine urbana che salvaguardi la coesistenza tra continuità e innovazione e il cui modello sia la forma unitaria della città tradizionale, dalla costruzione della quale cerca di trarre regole e principi per una progettazione consapevole, al fine di reintrodurre nuovamente le ragioni dell’arte. Egli infatti sostiene che il principio ispiratore delle città antiche sia artistico: la città è “pura opera d’arte compiuta attraverso un lavoro secolare”14, la quale, con la sua bellezza influenza la sensibilità degli abitanti e garantisce la serenità15. Per ottenere nuovamente un tale effetto, occorre opporsi alla regolarizzazione spinta dei moderni piani di ampliamento, all’inutile allargamento delle strade, agli allineamenti “interminabili e rigorosamente rettilinei”, e rivalutare invece le “irregolarità delle piazze antiche”16. Bisogna evitare di appiattirsi su una concezione riduttiva della simmetria, intesa come identità di due figure rispetto ad un asse, invece che come senso di adeguata proporzione, secondo la definizione vitruviana di giusto rapporto tra le parti e il tutto, e tra queste separatamente. Tale significato, conservato nel Medioevo, è invece ridotto nel Rinascimento, e da allora, lamenta Sitte, gli assi di simmetria si moltiplicano nei piani d’architettura, passando nelle piazze e nelle vie, conquistando un campo dopo l’altro e rimanendo “i soli padroni, rimedi unici e miracolosi di tutti i problemi”17. Dei piani moderni, quindi, stigmatizza lo schematismo, la riproduzione all’infinito del blocco edilizio rettangolare, incurante delle condizioni locali e di qualsiasi effetto estetico. Sottolinea per di più come l’eccessivo numero di crocevia ad angolo retto provochi comunque ingorghi nel traffico e l’ubicazione degli edifici monumentali in mezzo a delle piazze e la sistemazione di strade secondarie troppo larghe costituiscano un inutile sperpero di denaro.

Figura 6 - Stübben J., Der Städtebau, Handbuch der Architektur, Darmstadt 1890. Frontespizio

 

Il cuore della negatività dello spazio moderno, secondo Sitte, è quindi rappresentato dai “luoghi a cielo scoperto”, le piazze e le strade, che nelle città antiche “costituivano una totalità chiusa la cui forma era determinata in vista dell’effetto che essi dovevano produrre. Attualmente, invece, si dividono i lotti fabbricabili secondo figure regolari e ciò che avanza viene chiamato via o piazza”. La qualità formale degli spazi urbani antichi, allora, risiede nella chiusura con una cortina continua di edifici dai motivi architettonici variati, nella presenza di proporzioni, anche in rapporto agli edifici circostanti, derivanti da norme semplici ed elastiche, in una disposizione dei monumenti lungo il bordo esterno e lontani dalle strade di circolazione, nella forma che valorizza le irregolarità e le funzionalizza alla ricerca di un effetto efficace sul fruitore, nell’essere spesso raggruppati al centro delle città, accogliendo i principali edifici pubblici. Queste caratteristiche, proposte come principi ispiratori della progettazione degli spazi moderni, sono riassumibili nel concetto di pittoresco, essenziale nel ragionamento di Sitte. Pittoresco è un carattere dello spazio urbano opposto a pratico e del tutto estraneo al significato attribuitovi dal romanticismo. Ma per ottenere risultati analoghi a quelli degli spazi antichi – evidenzia la Choay18 – Sitte ritiene si debba inoltre ricorrere ad un’analisi capace di riprodurre processi e regole un tempo conseguiti attraverso un “sentimento naturale”, un “istinto artistico innato”, una decisione deliberata, ma non razionalizzata, una “creazione non cosciente”, persa invece nella modernità. Bisogna cioè “sostituire la tradizione artistica perduta con la conoscenza teorica delle cause che fondavano la bellezza delle creazioni antiche”. La costruzione della città secondo i suoi fondamenti artistici va allora intesa come impegno per una disciplina capace di ottenere mediante il raziocinio estetico ciò che prima si conseguiva attraverso il “senso artistico inconscio”. Si giunge così ad un’idea di urbanistica come disciplina fondata sull’unità tra arte e tecnica.

Guidato dall’obiettivo di migliorare la città industriale, Sitte, profondamente realista, constata l’impossibilità di estendere a tutta la città un programma di questo tipo, e affida alla disciplina un compito parziale, di riduzione degli effetti negativi della modernizzazione, limitando il campo di attenzione alle sole piazze e alle vie principali: “concediamo pure che la gran massa delle abitazioni sia consacrata al lavoro e che la città compaia in tenuta da lavoro. Ma le vie e le piazze principali dovrebbero presentarsi con i più begli ornamenti per essere motivo di gioia e di fierezza, per risvegliare il senso civico e ispirare continuamente grandi e nobili sentimenti alla gioventù che si prepara alla vita”19. Egli non pensa ad una disciplina ambiziosa: “L’urbanistica di oggi deve, prima di tutto, esercitarsi alla nobile virtù della modestia e, cosa bizzarra, vi è costretta non tanto per mancanza di risorse finanziarie, quanto piuttosto per ragioni interne e pienamente obiettive”20. E l’urbanista diventa un “rigeneratore culturale”, una figura che patrocina l’aspetto artistico dell’edilizia cittadina, caricando l’arte di forti implicazioni socio-comunitarie.

Se lo storicismo, che conduce Sitte a riconoscere la specificità delle strutture spaziali antiche indissociabile da un’organizzazione sociale e culturale, rappresenta il primo tratto che differenzia il suo orientamento teorico dalla scuola viennese di storia dell’arte, altro aspetto peculiare è l’empirismo. Questo fa riferimento al posto che nel suo discorso ricopre l’esperienza sensibile: sebbene la bella città si ottenga tramite l’applicazione di principi razionali, essa esiste unicamente per il cittadino che ne esplora i recessi. Il piacere del cittadino, riflesso della gioia di edificare, è criterio irrefutabile che verrà anteposto ad ogni sistema. Dall’esperienza sensibile, quindi, Sitte ricava le proprietà formali degli spazi, che sottopone a verifica in rapporto alle sensazioni iniziali.

Come sottolinea sempre la Choay, molte delle osservazioni contenute nelle pagine sittiane derivano dagli Entretiens sur l’architecture (1867-1872) di Viollet-le-Duc. Indubbiamente forte, infatti, è l’analogia circa la contrapposizione tra città contemporanea e antica, dal punto di vista della bellezza, o il privilegio accordato allo spazio delle città greco-romane e la superiorità riconosciuta ai tessuti urbani medievali italiani. Anche l’analisi delle regole estetiche costanti nella storia delle città preindustriali – solidarietà e articolazione delle parti, chiusura visuale delle piazze, disposizione dei monumenti, arte scenografica – è la stessa. Come lo è il modo di rendere conto delle carenze della città contemporanea, nella quale con la nascita di una nuova civiltà tecnicista le scale di progettazione sono mutate e la vita pubblica si è progressivamente ritirata dalle strade e dalle piazze. Ma soprattutto Sitte, come già Viollet-le-Duc, non intende imporre dei modelli, bensì spiegare un metodo. E la sua originalità, alla “ricerca disperata di una forma urbana contemporanea”, “consiste nell’aver fatto non più degli edifici individuali, ma della città nella sua totalità “un’opera d’arte””21.

Figura 7 - Immagine tratta dalla traduzione italiana di Der Städtebau di Joseph Stübben, inserita nell'antologia di scritti teorici a cura di Calabi D., Piccinato G., La costruzione dell'urbanistica. Germania 1871-1914, Officina, Roma 1974, p. 362

 

Il testo suscita dapprima un forte entusiasmo in quanti si oppongono alla monotonia e all’assenza di preoccupazioni estetiche propri della nuova urbanistica. Ristampato dopo soli due mesi, è all’origine di due approcci diversi, entrambi riconducibili al campo dell’estetica. Da una parte, la corrente (di cui fa parte lo stesso Sitte) che si preoccupa di realizzare nuovi tessuti urbani ispirati, per tracciato e articolazione dei volumi, alla morfologia delle città antiche. Dall’altro lato, la tendenza (poi incarnata da Buls) che si propone la conservazione e il restauro di centri o di insiemi urbani storici. Molte delle tesi saranno riprese da Cornelius Gurlitt, il cui Über Baukunst (1904), spesso citato dagli autori italiani, sostiene la coincidenza tra punto di vista estetico e punto di vista tecnico nella costruzione della città, in quanto “solo l’utile può essere bello e solo il bello può essere utile”. L’autore vi afferma, inoltre, la grande importanza dello studio della storia dell’arte e delle città antiche per il disegno delle nuove espansioni urbane. Grande sostenitore di Sitte sarà anche Geddes che, alla ricerca di uno sviluppo urbano più umano e organico, difficilmente può apprezzare gli aspetti più crudi di alcune realizzazioni tedesche. E, come si sa, non ha mai nascosto il suo debito nei confronti del maestro viennese Giovannoni, che mutua da Der Städtebau l’analisi del tessuto urbano antico, la dialettica tessuto minore-monumento, fino al concetto stesso di ambiente. E soprattutto trae la dualità passato-presente che supera, trasformandola nell’opposizione tra due spazi e modi di vita, due scale di intervento – locale e territoriale – che non sono reciprocamente esclusive. Successivamente l’opera sittiana è aspramente osteggiata, divenendo per i razionalisti simbolo di oscurantismo; Sitte è criticato (da Giedion come da Le Corbusier) in quanto nostalgico, incapace di apprezzare il proprio tempo e la rivoluzione tecnica e sociale. Negli anni sessanta, in piena revisione critica del movimento moderno, Der Städtebau è finalmente, fedelmente e integralmente, tradotto in lingua inglese dai Collins (1965). Conosce nuova fortuna: da una parte, infatti, in una fase di crisi della città occidentale, assurge a riferimento per i fautori del ritorno alla città, dall’altro diventa oggetto di culto per i nuovi eclettici e i fanatici della conservazione del patrimonio storico. Resta indubbio che il volume abbia costituito un testo di cui nel tempo gli studiosi si sono appropriati, di volta in volta reinterpretandone il senso e spesso travisando asserzioni meno chiare e più ambigue.

Figura 8 - Immagine tratta dalla traduzione italiana di Der Städtebau di Joseph Stübben, inserita nell'antologia di scritti teorici a cura di Calabi D., Piccinato G., La costruzione dell'urbanistica. Germania 1871-1914, Officina, Roma 1974, p. 329

 

Der Städtebau di Joseph Stübben è uno degli oltre quaranta volumi che compongono lo Hadbuch der Architektur, opera enciclopedica sull’architettura edita tra il 1833 e il 1933, cui partecipano numerosi studiosi. Il testo, ponderoso trattato di estetica e costruzione della città, è rivolto a tecnici e operatori pubblici e privati con l’intenzione di proporre indicazioni pratico-tecniche e attuativo-procedurali di supporto all’intervento.

Esso cerca di trasferire l’impostazione positivistica delle scienze naturali all’analisi dei fenomeni urbani e offre una sintesi delle tecniche edilizie in urbanistica, intesa come disciplina il cui obiettivo è la predisposizione delle aree in cui localizzare gli impianti edilizi, le attività pubbliche e private con i relativi collegamenti, definendo la cornice entro cui inquadrare le singole iniziative, altrimenti contraddittorie: “le abitazioni urbane, l’attività industriale nella città, il traffico interurbano e locale, gli impianti pubblici urbani sono quindi il punto di partenza e il punto di arrivo di tutto ciò che va sotto il nome di urbanistica”.

La città è considerata come fenomeno e struttura urbani e suburbani e come area edificata, la cui espansione comporta l’allargamento dei limiti che comunque restano riconoscibili; la sua crescita va guidata giustapponendo al nucleo antico la città moderna, per cui il centro va raddoppiato e non modificato.

Figura 9 - Caccia A., Costruzione, trasformazione ed ampliamento delle città. Compilato sulla traccia dello Städtebau di Joseph Stübben, Hoepli, Milano 1915. Frontespizio

 

L’opera è suddivisa in cinque sezioni che affrontano i diversi problemi di definizione e attuazione del piano. La prima parte esamina le abitazioni urbane, distinte per tipologia (case unifamiliari e plurifamiliari), in base ai rispettivi modi di edificazione (edilizia aperta o chiusa) e alle categorie sociali degli abitanti (signorili, medie, operaie, artigiane, casa-officina), nonché gli edifici pubblici in rapporto al piano. Quindi analizza i problemi del traffico, studiando le diverse possibili direzioni (radiale, anulare, longitudinale, diagonale) e tipi (pedonale, a cavallo, automobilistico, ferroviario, tranviario). La seconda sezione tratta dell’organizzazione generale della città (fondazione, sviluppo, ampliamento, ricostruzione), del raggruppamento delle sue parti (differenziate nella destinazione d’uso), degli isolati, delle strade (classificate in base alle dimensioni), delle piazze (considerate dal punto di vista funzionale, dimensionale, compositivo, estetico), dei tipi di ferrovie urbane. La terza indica i compiti spettanti allo Stato, al comune, ai privati, nell’attuazione del piano regolatore; i modi per espropriare, lottizzare, ricomporre le aree edificabili per aprire nuove strade o migliorare le vecchie, il ruolo del regolamento edilizio, inteso come strumento di mediazione tra interesse pubblico e privato, in grado di dettare norme riguardanti le forme di procedura della polizia edilizia, la sicurezza dei trasporti, la salute pubblica, la statica degli edifici, la protezione contro i pericoli d’incendio. La quarta è dedicata agli impianti (approvvigionamento idrico, fognatura, elettrico, termico, illuminazione). La quinta infine descrive le diverse forme del verde urbano.

Scomponendo il fenomeno urbano nella serie di elementi che lo costituiscono e pervenendo ad una specializzazione delle tematiche, Stübben riesce a dimostrare, nella sua minuziosa descrizione, una conoscenza e padronanza dei caratteri fisico-tipologici, oltre che di tutti gli aspetti relativi alla forma, dimensione, tipologia, destinazione d’uso, densità, ecc. Perviene così ad una sorta di catalogazione e tipizzazione, in cui molto ampia è la rassegna di esempi, sempre trattati come repertorio oggettuale e non come proposizione di una soluzione migliore. Poiché, poi, i casi illustrati rappresentano progetti realizzati soprattutto in Europa e nell’Ottocento, il manuale restituisce complessivamente l’immagine della città ottocentesca e ne ripropone, codificandoli, i modi di costruzione e con essi tutte le contraddizioni. I luoghi restano, tuttavia, componenti essenziali del progetto, per cui la scelta delle soluzioni deve essere appropriata in relazione alle condizioni locali.

Eserciterà una grande influenza sull’impostazione dei piani regolatori in Italia, fino agli anni trenta, anche il testo di Charles Buls, opuscolo estremamente coinciso e di grande efficacia comunicativa. Scritto per scongiurare la demolizione di un pittoresco quartiere di Bruxelles, supera immediatamente le intenzioni originali, conoscendo notevole fortuna e venendo presto tradotto in tedesco (1898), in inglese (1899) e in italiano (1903). La metodologia definita per l’organizzazione del rapporto tra città e territorio si rivela, infatti, di facile applicazione anche in altri contesti. Per cui Esthétique des villes “diviene molto presto una espressione evocatrice, vera parola-chiave, che allude ad una maniera di affrontare le questioni urbanistiche, ad una cultura che si sforza disperatamente di oltrepassare le barriere delle specializzazioni”22.

Figura 10 - La chiesa dei SS. Michel et Gudule a Bruxelles. Immagine tratta da Buls C., Esthétique des villes, Bruxelles 1893

 

Con il fine di guidare gli amministratori a impostare gli interventi di ammodernamento nelle città storiche, la prima operazione consigliata è la ricomposizione del tracciato geometrico delle grandi correnti di traffico che collegano le stazioni ferroviarie con le principali attrezzature pubbliche dislocate nel centro. Tali linee di flusso andrebbero realizzate tentando di “allacciare le vie che già si trovano nella direzione richiesta; se si può, [infatti] curvando la via addolcire un pendio, non si esiti punto a deviare dalla inflessibile via retta”. Il collegamento dei punti di innesto delle grandi arterie esterne alla città lungo i muri di cinta, attraverso percorsi che realizzino allacciamenti possibili, viene visto come la soluzione più idonea a conservare alla città il suo carattere “locale e nazionale”, a conciliare la struttura storica con le esigenze moderne, contenendo i costi e conservando al massimo le consuetudini e gli interessi della popolazione. È quindi all’interno di un quadro di conciliazione tra le esigenze della vita moderna di mobilità e di igiene che l’architetto collocherà le sue regole estetiche, evitando di procedere all’isolamento dei monumenti.

Attraverso le sue personali esperienze, e i precedenti contributi di Viollet-le-Duc, Stübben e Gurlitt, Buls giunge pertanto a elaborare una propria teoria di restauro urbano, che si oppone con vigore alla pratica dominante degli sventramenti e delle distruzioni indiscriminate del tessuto antico: la liberazione dei monumenti e il diradamento edilizio.

In Town Planning in practice, denunciando le condizioni di accidentalità e inconsapevolezza con cui sono sorti i quartieri moderni, Unwin si fa portavoce di regole e principi attraverso i quali supportare una progettazione consapevole, dai passi che il pianificatore deve compiere nell’affrontare un piano, ai rapporti tra piano e progetto. Il tutto attraverso l’esame di esempi di piani e progetti urbani (tra cui anche quelli dell’antichità), riconosciuti come strumenti di riferimento e apprendimento nella pratica della progettazione. In quest’ottica introduce il tema dell’applicabilità dei principi della composizione architettonica al disegno della città nel suo insieme e dunque della messa in relazione e in proporzione di tutti gli elementi che la compongono. I suoi riferimenti sperimentali assumono la struttura di una casistica normativo-progettuale, in cui sono collocati i diversi materiali e parti, chiaramente identificati e trattati come parti di un insieme dalle piazze, agli incroci, al verde ai lotti edificati.

Figura 11 - Immagine tratta da: Unwin R., Town Planning in practice, 1909, trad. it. a cura di Mazza A., Il Saggiatore Milano 1971, p. 140

 

L’idea della forma chiusa della città lascia il posto ad una maggiore integrazione tra città e campagna. La ricerca dei limiti, problema che continua tuttavia a esistere, viene portata avanti proprio in relazione alla necessità di volerne rafforzare il senso di unità, attraverso la ricerca di forme di armonia e coerenza. La periferia è l’ambito nel quale il pianificatore può intervenire fondendo efficiency e amenity e generando una comunità di quartiere, costituita da nuclei di abitazioni unifamiliari aggregati mediante sapienti sistemazioni paesistiche nella tradizione pittorica dei parchi naturalistici. Si tratta cioè di una crescita organica e cellulare per unità di vicinato, unica risposta ad una proliferazione indistinta e caotica della periferia.

Nella realtà, la letteratura italiana sulla città nel selezionare, filtrare e interpretare quanto intende riconoscere e accogliere come sapere, tenderà sostanzialmente a ridimensionare il contributo della cultura urbanistica inglese e manifesterà solo tardivamente un interesse per l’esperienza francese23.

Figura 12 - Immagine tratta da: Unwin R., Town Planning in practice, 1909, trad. it. a cura di Mazza A., Il Saggiatore Milano 1971, p. 156

 

La cultura tedesca, invece, rappresenterà sempre un solido riferimento, perché peculiare di una nazione capace di un vorticoso recupero, nonostante l’unità raggiunta in ritardo, grazie all’eccezionale ruolo svolto dal sapere tecnico. E infatti sono proprio le modalità di costruzione della città secondo una descrizione oggettiva ed una minuziosa classificazione dei fenomeni, l’approccio di carattere prevalentemente tecnico e il conseguente rilievo assegnato al lavoro degli ingegneri, i fattori di fascino per la cultura nostrana.

Sitte, all’opposto, sarà apprezzato in quanto fautore di una prospettiva estetica dell’ambiente urbano, contrapposta alla rigida esaltazione del carattere scientifico della nuova disciplina e dei suoi aspetti funzionalistici. Pertanto, eserciterà un notevole influsso sulla cultura italiana – anche quando questa dichiarerà di volersene affrancare – per l’ambigua profondità con cui cerca di rispondere alle contraddizioni che la vita moderna impone alla città. Egli incarnerà, per di più, il comune interesse che Italia e Austria manifestano verso la fine del XIX secolo nei confronti dell’arte del passato, incarnando il tentativo di una nazione in viaggio verso la modernità di riuscire a salvaguardare comunque la società preindustriale e la sua dimensione artigianale.

Buls, infine, e la civiltà belga costituiranno l’emblema dell’intermediazione tra culture e della fusione tra caratteri germanici e latini. Per l’Italia sarà un modo per rivendicare l’esigenza di sottrarsi all’egemonia francese. Ma sarà anche una vivida espressione delle due facce contraddittorie della modernità e della profonda lacerazione che segna l’impegno culturale alla fine del XIX secolo: l’accettazione del progresso e la constatazione della disintegrazione culturale e sociale che esso provoca.

 

Figura 13 - Immagine tratta da: Unwin R., Town Planning in practice, 1909, trad. it. a cura di Mazza A., Il Saggiatore Milano 1971, p. 208

 

Note

 

1 Cfr. Zucconi G. (1989), La città contesa. Dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1885-1942), Jaca Book, Milano.

2 Cfr. Carozzi A., Mioni A. (1970), L’Italia in formazione, De Donato, Bari.

3 Se Buls è già tradotto nel 1903, Sitte è solo parzialmente tradotto e commentato nel 1907, in Note sull’arte di costruire la città, da Monneret de Villard, mentre per una traduzione integrale occorrerà attendere il 1953 con il lavoro di Luigi Dodi.

4 Paone F. (1996), Sullo spazio. Note a margine della costruzione concettuale di una immagine dell’urbanistica italiana, Tesi dottorato in pianificazione territoriale, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Politecnico di Milano, p. 67.

5 Pagliani L. (1902), Trattato di igiene e di sanità pubblica, Vallardi, Milano.

6 Naturalmente si rivelerà fondamentale anche il ruolo delle prime riviste di urbanistica a diffusione internazionale: a partire dal 1909, “Der Städtebau”, edita a Berlino e Vienna, che pur facendo riferimento alla realtà tedesca, palesa interessi decisamente internazionali, riflettendo gli orientamenti della società urbanistica europea, e dal 1910 “The Town Planning Review”, pubblicata in Inghilterra sotto la direzione di Patrick Abercrombie.

7 Cfr. Piccinato G. (1977), La costruzione dell’urbanistica. Germania 1871-1914, Officina Edizioni, Roma.

8 Cfr. Mioni A. (1989), Cento anni di manuali di progettazione urbanistica in Italia, in “Territorio”, nn. 2-4.

Ricordando la definizione fornita dall’autore, possiamo chiamare manuali i testi aventi carattere operativo, scopo di utilità pratica, destinati a impieghi didattici, concepiti per fornire strumenti per l’azione, riferimenti teorici e concettuali, ma soprattutto applicativi, e che in quanto tali selezionano le acquisizioni fondamentali della disciplina allo scopo di farle applicare, implicando così una riduzione del problema. Si tratta di luoghi testuali in cui la riduzione degli apparati categoriali, l’ordinamento fortemente gerarchizzato degli argomenti, la chiarezza di trasmissione delle informazioni e il proposito di diffusione del sapere sono i caratteri primari e in cui il destinatario – tecnico, professionista o studente – è esplicito. La città vi è trattata, mediante un approccio sistematico e ordinato, per singoli temi e aspetti costitutivi, in una sorta di analisi lessicale e grammaticale. Il tema del progetto è affrontato ricorrendo a forme dichiarative che impartiscono istruzioni sul cosa fare, codificando, fornendo soluzioni, repertori di esempi, uniformati e ripetibili, imitabili per un tempo sufficientemente lungo; l’intento è, cioè, quello di produrre azioni, e non meditazioni.

9 Piccinato G., op. cit., p. 57.

10 Sica P., op. cit., p. 34.

11 Un’ampia trattazione circa l’enorme influenza esercitata da questo testo è contenuta nel volume curato da Guido Zucconi e intitolato Camillo Sitte e i suoi interpreti, FrancoAngeli, Milano 1992. In esso vengono segnalate le principali traduzioni, tratteggiato il rapporto con la nascita dell’arte urbana e con i movimenti per la riforma dei modelli insediativi in Germania, Francia e Gran Bretagna, la diffusione nei diversi contesti.

Cfr. inoltre Wieczorek D. (1994) (ed. or. 1982), Camillo Sitte e gli inizi dell’urbanistica moderna, Jaca Book, Milano.

12 Choay F. (1980), La règle et le modèle. Sur la théorie de l’architecture et de l’urbanisme, Éditions du Seuil, Paris.

13 Vigano P. (1999), La città elementare, Skira, Milano, p. 55.

14 Sitte C., L’arte di costruire le città. Urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici, (1889), trad. it. a cura di Della Torre R. (1981), Jaca Book, Milano, p. 29.

15 Id., p. 35.

16 Id., p. 77.

17 Id., p. 82.

18 Choay F. (2002), Camillo Sitte, Der Stadtebau nach Seinen Künstlerischen Grundsätzen, 1889. Uno statuto antropologico dello spazio urbano, in Di Biagi P. (a cura di), “I classici dell’urbanistica moderna”, Donzelli Editore, Roma.

19 Sitte, op. cit., p. 122.

20 Id., p. 143.

21 F. Choay, op. cit., pp. 10-11.

22 Calabi D. (1995), Dilettantes on le devient, introduzione a Smets M., “Charles Buls et les principes de l’art urbain”, Pierre Mardaga éditeur, Liège, p. 10.

23 Cfr. Belli A. (1996), Immagini e concetti nel piano. Inizi dell’urbanistica in Italia, EtasLibri, Milano.

 

Figura 14 - Immagine tratta da: Unwin R., Town Planning in practice, 1909, trad. it. a cura di Mazza A., Il Saggiatore Milano 1971, p. 214

 

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