La Regione Sardegna è stata tra le prime
regioni a dotarsi di una legge urbanistica
organica, la n. 45/1989, esercitando la
competenza esclusiva in materia urbanistica
ed edilizia di cui gode in virtù del suo
statuto speciale. Paradossalmente oggi è una
delle regioni in maggiore ritardo
nell’aggiornamento della normativa
urbanistica e nel recepimento delle
disposizioni statali; il che comporta una
generale incertezza sulle leggi da
applicare, una diffusa carenza di
pianificazione a tutti i livelli
istituzionali e, conseguentemente, ostacoli
allo sviluppo e difficoltà a gestire le
trasformazioni del territorio assicurando la
tutela delle innumerevoli e pregiatissime
risorse culturali e ambientali.
La legge 45/1989, Norme per l’uso e la
tutela del territorio regionale, può
essere considerata innovativa se rapportata
al periodo della sua approvazione. Essa ha
reso obbligatoria la pianificazione
paesistica a livello regionale; ha
introdotto la dimensione ambientale nel
piano urbanistico comunale (Puc); ha
istituito l’accordo di programma
precedentemente alla legge nazionale 142
approvata nel 1990. Tuttavia, ricalcando la
struttura gerarchica dei piani prevista dal
quadro giuridico nazionale, essa mantiene il
tradizionale impianto verticistico e rigido
che non consente di introdurre flessibilità
e operatività nel processo di governo del
territorio e genera spesso relazioni
conflittuali tra la regione e gli enti
locali. Da qualche anno è in discussione la
revisione della legge regionale: la Giunta
regionale ha presentato diverse proposte,
alcune di modifica e integrazione della
legge esistente (Gm 1/10 dell’11.1.2001),
altre comportanti un’organica e completa
riscrittura (Disciplina di governo del
territorio regionale del 2002), sino ad
arrivare, negli ultimi mesi, all’esame dei
testi nella Commissione urbanistica
consiliare che ha prodotto la stesura di
alcuni emendamenti da sottoporre alla
discussione nel Consiglio regionale. La
conclusione della legislatura ormai alle
porte non consentirà di approvare la legge
che dovrà riprendere il suo iter con
la nuova legislatura.
Prima di passare all’illustrazione delle
proposte di riforma vorrei fare un cenno
alla criticità della situazione attuale in
Sardegna determinata dal mancato
rinnovamento del quadro giuridico e dalla
paralisi del processo di pianificazione
urbanistica particolarmente grave a livello
regionale.
La nostra regione è esposta al concreto
rischio di compromissione del territorio
costiero, ormai privo di specifiche
disposizioni di pianificazione, essendo
stati annullati con sentenze definitive i
tredici piani territoriali paesistici
(Ptp) approvati nel 1993 (soltanto uno è
sopravvissuto!) interessanti l’intero arco
costiero. In attesa dell’approvazione di
nuovi Ptp e allo scopo di chiarire
l’applicabilità della normativa vincolistica
vigente, la Giunta regionale ha deliberato,
nel gennaio 2004, le “Indicazioni operative
per l’attivazione delle misure di tutela
ex art. 10 bis della Lr 45/1989 ed ex
art. 1 ter della legge 431/1985”. In
questa delibera viene precisato che l’ambito
territoriale del vincolo paesistico non può
più considerarsi esteso alla fascia costiera
della profondità di 2 km dal mare, a meno
che non sussistano specifici vincoli ai
sensi del DLgs 490/1999. Rimangono validi,
invece, i vincoli di inedificabilità sulle
categorie di beni ex art. 1 ter della
Legge Galasso, in quanto vincoli di
salvaguardia preordinati all’adozione dei
Ptp e, in particolare, il vincolo di
inedificabilità assoluta della fascia dei
300 m dalla linea della battigia. I comuni
dovranno operare, pertanto, una ricognizione
sul proprio territorio per perimetrare
puntualmente gli ambiti sottoposti al regime
di salvaguardia e tener conto, ai fini del
rilascio dei titoli abilitativi
all’edificazione, delle condizioni di
esclusione da tali misure previste dallo
stesso art. 10 bis. In questa condizione di
confusione normativa la vulnerabilità del
territorio è massima, ma non meno grave è la
mancanza di qualsiasi linea di indirizzo per
la pianificazione territoriale dei distretti
turistici cui la Sardegna affida le sorti
del proprio sviluppo.
Altri due fatti abbastanza recenti sono
emblematici della incertezza e incompletezza
normativa. Il primo in ordine di tempo è
relativo al ritardo con cui ci si è
confrontati con il Testo unico
sull’edilizia. La Lr 5/2003 si è limitata a
consentire la denuncia di inizio attività
per le categorie di opere soggette ad
autorizzazione in conformità con il Testo
unico (Tu), ma non ha introdotto nessun’altra
modifica per recepire i principi
fondamentali di disciplina dell’attività
edilizia, in particolare per garantire un
suo più efficace controllo sul territorio e
per semplificare il procedimento. Rimane il
dubbio sulla possibilità che si debbano
applicare direttamente anche alla nostra
regione alcune delle disposizioni contenute
nel Tu, disposizioni che sembrano avere un
contenuto più generale di riforma
amministrativa, tali da non poter essere
ricomprese strettamente nella materia
edilizia e dunque da considerarsi valide su
tutto il territorio nazionale.
Un ulteriore fattore di incertezza si è
venuto a determinare in occasione del
condono edilizio. All’indomani
dell’approvazione della legge nazionale,
l’Assessorato regionale dell’urbanistica ha
voluto ribadire l’autonomia della regione e
la competenza primaria in materia edilizia
inviando una circolare a tutti i comuni
nella quale si precisava la non
applicabilità della legge nazionale.
Soltanto con la Lr 4/2004 del 26 febbraio
2004, il Consiglio regionale ha recepito il
condono edilizio, escludendone
l’applicazione in alcune parti del
territorio sottoposte a vincoli dalla Lr e
introducendo più restrittivi limiti di
cubatura. A questa attività istituzionale si
è aggiunta l’ordinanza 70/2004del Tar
Sardegna che ha sentenziato nel merito
dell’applicabilità della normativa del
condono al territorio regionale. Sostiene il
Tar che la legge sul condono non può essere
inclusa nell’ambito di una sola materia e,
quindi, inquadrata nella materia edilizia,
poiché essa attiene anche alla “finanza
pubblica statale” e alla materia tributaria
e trascina importanti rilievi in materia
penale; ne consegue la sua applicabilità
anche sul territorio della Regione Sardegna
che, qualora la considerasse lesiva della
sua sfera di competenza legislativa sancita
dello statuto speciale, potrebbe promuovere
la questione di legittimità dinanzi alla
Corte costituzionale, secondo il dettato
dell’art. 127 della Costituzione. In attesa
del pronunciamento del Consiglio di Stato
permane l’incertezza sull’attribuzione della
competenza a legiferare e dei limiti di tale
competenza in tutti i casi in cui la materia
edilizia sconfina nella materia tributaria e
nel campo della riforma amministrativa o
economico-sociale.
È del tutto evidente che questa situazione
di incertezza potrà essere superata soltanto
con l’approvazione di una nuova legge
urbanistica regionale coerente con il quadro
costituzionale vigente e con gli assunti
innovativi della disciplina urbanistica.
Come ho accennato, sono presenti differenti
proposte riconducibili a due linee di
pensiero: l’una ritiene improrogabile
assumere una qualche iniziativa legislativa
seppure parziale, per riuscire a superare
l’annullamento dei Ptp riavviando l’attività
pianificatoria; l’altra vuole orientare
l’iniziativa legislativa verso una revisione
generale della legge urbanistica regionale.
La prima proposta di legge dichiara come
obiettivo l’uso sostenibile delle risorse
ambientali, affidando al piano
urbanistico territoriale (Put) la
pianificazione generale e il coordinamento
con la programmazione socio-economica
regionale; soltanto per gli ambiti
sottoposti al regime di tutela, di cui
all’art. 138 del Tu sui beni culturali, la
regione dovrà provvedere all’adozione del
Ptp che potrà essere articolato per stralci
di dimensione non inferiore a quella
provinciale. Non appare convincente la
separazione tra la pianificazione
territoriale e quella paesistica, riservata
soltanto alle parti del territorio
vincolate, con il rischio di frantumare
l’unitarietà del territorio, secondo una
logica di tutela del paesaggio conservativa
e frammentata piuttosto che integrata con la
pianificazione territoriale del contesto e
con politiche attive di valorizzazione delle
risorse ambientali e culturali. L’entrata in
vigore del nuovo Codice dei beni culturali,
che introduce l’obbligatorietà del Ptp su
tutto il territorio regionale e detta le
modalità per la sua formazione, imporrà
necessariamente la riscrittura di questa
parte dell’articolato normativo.
A livello comunale il disegno di legge,
nell’ultimo testo esaminato dalla
Commissione urbanistica consiliare, prevede
quale strumento generale il Puc “con
specifica considerazione dei livelli di
sostenibilità e di compatibilità paesistico
e ambientale”. Il Puc dovrà recepire la
disciplina del Put entro dodici mesi dalla
sua esecutività e contenere lo Studio di
compatibilità paesistico ambientale, che
dovrà essere allegato anche ai piani
attuativi ricadenti in ambiti vincolati. Lo
Studio viene inteso come supporto alle
scelte di pianificazione in relazione al
complesso quadro paesistico ambientale e
come strumento di definizione dei criteri di
trasformabilità e di riferimento per la
formazione della valutazione di impatto
ambientale.
Questa versione della legge mantiene,
dunque, l’impalcato della disciplina
esistente caratterizzato dal modello
verticistico della pianificazione articolata
nei tre livelli territoriale, comunale e
attuativo, con l’unica eccezione del
cosiddetto programma integrato di
sviluppo (Pis). Si tratta di uno
strumento urbanistico finalizzato a
promuovere programmi di iniziative che, per
l’integrazione di diverse tipologie
d’intervento e per la dimensione, siano
capaci di incidere significativamente
sull’organizzazione e sulla riqualificazione
complessiva del territorio.
Attraverso il ricorso all’accordo di
programma tra soggetti pubblici e privati il
Pis può variare la pianificazione
urbanistica vigente a tutti i livelli e,
qualora ricada in ambiti vincolati, deve
contenere lo Studio di compatibilità
paesistico ambientale. Questa previsione,
soprattutto alla luce degli emendamenti
proposti dalla Commissione consiliare,
potrebbe aprire un ampio varco alla
possibilità di realizzare volumetrie
alberghiere nelle zone costiere turistiche
anche entro la fascia dei 300 m dal mare, in
assenza totale di pianificazione
territoriale paesistica, di pianificazione
comunale recente e di programmazione
regionale del settore turistico. Si
affiderebbe così alla valutazione puntuale
dei singoli programmi la verifica della
compatibilità delle scelte di insediamento
con le esigenze di tutela paesistico
ambientale e la comparazione delle utilità
collettive con le convenienze private, al di
là di un quadro regionale di riferimento e
di un sistema certo di regole procedurali.
Quanto alla proposta organica di legge
urbanistica elaborata nel 2002, dal titolo
Disciplina di governo del territorio
regionale, può dirsi che essa, al pari
di altre recenti leggi urbanistiche delle
regioni, cerca di coniugare flessibilità
della pianificazione e certezza del diritto,
di migliorare l’operatività nell’attuazione,
di introdurre il modello della
copianificazione e della concertazione tra
enti pubblici territoriali. A livello
comunale si avrebbero quattro strumenti:
1. il Puc, strumento di pianificazione
generale che costituisce la carta unica
del territorio;
2. il regolamento urbanistico ed edilizio,
che contiene la disciplina delle tipologie e
delle modalità attuative degli interventi
diretti di trasformazione;
3. il piano integrato comunale (Pic),
strumento facoltativo per individuare gli
interventi di trasformazione complessa e
riorganizzazione del territorio, da
selezionare anche con procedura concorsuale;
4. il piano urbanistico attuativo (Pua),
nelle diverse forme che richiedono il
rapporto convenzionale pubblico-privato.
Per quanto attiene l’aspetto delle
procedure, la proposta prevede l’adozione
del metodo della copianificazione e della
concertazione tra enti pubblici
territoriali, attraverso gli strumenti della
Conferenza e degli Accordi di pianificazione
per l’elaborazione e l’approvazione del Puc.
L’approvazione degli altri strumenti è
mantenuta in ambito comunale se essi non
prevedono varianti.
La riforma urbanistica in itinere
riprende alcune linee di tendenza delle
leggi regionali e diversi punti ormai
consolidati nelle pratiche pianificatorie.
In particolare:
- si differenziano i contenuti di
pianificazione strutturale, propri del Puc,
da quelli di programmazione operativa,
propri del Pic, e si caratterizza il Pua
come progetto urbano;
- si separano la categoria degli interventi
ad attuazione diretta, disciplinati dal Puc
e dal regolamento edilizio (Re), e la
tipologia degli interventi di trasformazione
complessi, affidati agli strumenti di
dettaglio;
- si introduce flessibilità nella fase
attuativa permettendo la possibilità di
variare lo strumento generale
contestualmente all’approvazione dello
strumento attuativo;
- si introduce il principio della
perequazione urbanistica assegnando la
medesima capacità edificatoria ad ambiti che
presentino caratteristiche omogenee.
Rimangono alcuni nodi non risolti che,
peraltro, sono tuttora al centro del
dibattito nazionale sulla riforma
urbanistica. In particolare:
- non sono chiari gli effetti giuridici che
il Puc produce sulla città in
trasformazione, nel senso che sembra
attenuato, ma non annullato, il suo potere
di conformare le proprietà per le parti ad
attuazione indiretta;
- la previsione a livello comunale di tre
differenti strumenti, oltre il Re, potrebbe
rivelarsi troppo gravosa sia per la pubblica
amministrazione che per i privati, tenuto
conto del fatto che le procedure di
approvazione non sarebbero semplificate
rispetto a quelle usualmente praticate, con
il conseguente allungamento dei tempi della
pianificazione;
- si introduce il principio della
perequazione ma non vengono definiti i
criteri cui riferirsi per poterla
concretamente perseguire, lasciando in piedi
l’equivoco del plafond edificatorio;
- infine, non si fa cenno al problema degli
standards, né per quanto attiene i
criteri di dimensionamento, né le modalità
di acquisizione delle aree diverse
dall’esproprio, né la possibilità di
coinvolgere i privati nella realizzazione e
gestione dei servizi collettivi.
Credo che la Sardegna si trovi davanti a un
bivio: imboccare con decisione la strada
delle regole per la trasformazione del
proprio territorio in una chiave di
sostenibilità delle scelte di sviluppo e di
tutela e valorizzazione dell’inestimabile
patrimonio ambientale, o trascinare una
condizione di governo debole dei processi
pianificatori dagli esiti davvero
imprevedibili, sia in termini di freno allo
sviluppo sia di rischio reale di
compromissione diffusa del territorio. Le
aspettative dei comuni sono sicuramente
orientate a recuperare il tempo perduto per
affrontare una nuova stagione di
pianificazione che veda le collettività
insediate protagoniste delle scelte di
assetto, in un quadro di leale cooperazione
tra istituzioni e di certezza
dell’ordinamento giuridico. L’auspicio è che
questa stagione possa iniziare con la nuova
legislatura. |