Numero 8/9 - 2004

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La tutela dei beni paesaggistici nel Codice Urbani


Enrico Soprano

Alessandro De Angelis


 

A distanza di poco meno di un quinquennio il Governo ha ridefinito il testo unico dei beni culturali e delpaesaggio varato con DLgs 42/2004. Enrico Soprano e Alessandro De Angelis ne propongono l’esame, con riferimento agli aspetti della pianificazione paesaggistica e all’autorizzazione paesaggistico-ambientale cogliendo differenze e novità rispetto alla previgente normativa

 

 

 

 

 

A poco più di 4 anni dall’approvazione del DLgs 490/1999 – e nonostante quest’ultimo, nel corso della propria (forse troppo) breve vita, abbia dato adito a ben pochi dubbi interpretativi – il legislatore ha varato una nuova disciplina, sostitutiva di quella previgente e destinata ad assumere il ruolo di unico riferimento normativo in materia di protezione del patrimonio culturale.

Ovviamente l’obiettivo principale del nuovo Testo unico non poteva non essere quello di dare attuazione al riformato Titolo V della Costituzione, il cui art. 117, nella sua nuova formulazione, ha distinto la tutela dei beni culturali – assegnata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato – dalla valorizzazione degli stessi, confluita nel novero delle materie di legislazione concorrente Stato-regioni.

E proprio per rimediare a tale vera e propria (e per alcuni versi imbarazzante) divaricazione di poteri, il DLgs 42/2004 ha tentato di rendere quanto più possibile unitaria l’azione amministrativa in subiecta materia, individuando da un lato nel Ministero per i beni e le attività culturali il principale attore della politica di tutela del territorio, e riconoscendo, dall’altro, la possibilità che l’esercizio delle relative funzioni avvenga anche congiuntamente con le regioni, previa predisposizione di specifici atti di intesa e di coordinamento: basti pensare, ad esempio, alle Commissioni provinciali di cui all’art. 137 – istituite al fine di formulare proposte per la dichiarazione di notevole interesse pubblico dei beni e degli immobili individuati dal precedente art. 136 – composte sia da organi ministeriali periferici, sia da “soggetti con particolare e qualificata professionalità ed esperienza nella tutela del paesaggio” nominati dalle regioni.

Il Codice introduce una definizione di paesaggio mutuata dalla Convenzione europea di Firenze dell’ottobre 2000: ai sensi dell’art. 131, infatti, “per paesaggio si intende una parte omogenea del territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni”; definizione oltremodo ambigua, visto che potrebbe applicarsi alla quasi totalità del territorio nazionale.

Nessuna novità, invece, per quanto riguarda la classificazione dei beni paesaggistici, rimasta per la gran parte immutata (il Codice vi inserisce gli immobili e le aree sottoposte a tutela dai piani paesaggistici, esplicitando una previsione per certi versi già sottintesa dall’art. 149 del DLgs 490/1999).

 

 

La pianificazione paesaggistica

 

L’art. 135 del DLgs 42/2004, nel ribadire il compito delle regioni di sottoporre a specifica normativa d’uso il territorio mediante l’approvazione dei piani paesaggistici (definizione nella quale vengono inclusi anche i piani urbanistico-territoriali “con specifica considerazione dei valori paesaggistici”), specifica che detti piani vanno riferiti all’intero territorio regionale (e non più a singoli ambiti di quest’ultimo delimitati in funzione della rispettiva concentrazione di beni ambientali), e che gli stessi definiscono “le trasformazioni compatibili con i valori paesaggistici”, “le azioni di recupero e riqualificazione” dei beni tutelati, e gli “interventi di valorizzazione del paesaggio, anche in relazione allo sviluppo sostenibile” (espressione spesso abusata nella prassi, ma più che adatta alla materia de qua).

Restano attribuiti al Ministero per i beni e le attività culturali, anche nel nuovo regime, la potestà di indirizzo della pianificazione, esercitata attraverso l’adozione di linee fondamentali dell’assetto del territorio per la tutela del paesaggio, e il potere sostitutivo in caso di perdurante inerzia o inadempienza della regione competente (art. 5, commi 6 e 7, art. 143, comma 10, art. 145, commi 1 e 2).

In sede di formazione dei piani paesaggistici sono, inoltre, assicurate un’adeguata pubblicità, la concertazione istituzionale e la partecipazione sia dei soggetti interessati, sia delle associazioni costituite per la tutela degli interessi diffusi individuate ai sensi dell’art. 1 della legge 349/1986.

La concertazione istituzionale, in particolare, può portare ad una elaborazione del piano paesaggistico concordata tra lo Stato e la regione e preceduta dalla stipula di un accordo che individua presupposti, modalità e tempi per l’approvazione (art. 143, comma 10) e la revisione periodica del piano stesso (art. 143, comma 11).

Tale peculiare modalità procedimentale consente, tra l’altro, di prevedere che in alcune aree vincolate ai sensi della legge Galasso (431/1985) l’autorizzazione paesaggistico-ambientale per la modifica dello stato dei luoghi non sia più necessaria; ciò in quanto le esigenze di salvaguardia si ritengono adeguatamente soddisfatte già con la redazione congiunta del piano, che comporta la previsione concordata di prescrizioni operative differenziate per ciascuna area e che al tempo stesso tengono conto delle caratteristiche specifiche del territorio.

Con la conseguenza che gli obiettivi di tutela si riterranno ex se perseguiti mediante il recepimento delle prescrizioni del piano da parte della strumentazione urbanistica comunale; di riflesso, la conformità dell’opera da realizzare al piano regolatore generale implicherà, da sola, anche la compatibilità paesaggistico-ambientale a cui il nulla osta di cui al previgente art. 151 del DLgs 490/1999 era preordinato.

Analoga disciplina è stata dettata per l’adeguamento dei piani territoriali paesistici (Ptp) vigenti: anche in questo caso le attività di verifica e adeguamento dei piani esistenti alle intervenute prescrizioni del DLgs 42/2004 – che debbono concludersi entro 4 anni dall’entrata in vigore del Codice – possono essere svolte dalle regioni d’intesa con lo Stato, sulla base di appositi accordi che stabiliscano i termini entro cui concludere le relative attività e approvare il singolo piano adeguato; nel caso però che l’adeguamento non venga concordato istituzionalmente, l’edificazione nelle aree cosiddette Galasso resterà subordinata al previo conseguimento dell’autorizzazione paesaggistico-ambientale (non trovando applicazione, in tale ipotesi, la causa di esenzione di cui si è detto sopra).

Al di là delle notazioni di carattere meramente tecnico-procedimentale, comunque, non può negarsi che il contenuto dei piani di tutela delineati dal Codice risulta tutt’altro che innovativo: e infatti i Ptp e i piani urbanistici territoriali conservano una valenza marcatamente prescrittivi con riferimento a tutte le aree da questi contemplate.

Certamente, il ricorso a degli strumenti così analitici va qualificato come reazione all’eccessiva vaghezza della disciplina puntuale dei vincoli paesaggistici vigenti, che ha attribuito in maniera forse avventata un potere discrezionale troppo ampio agli organi deputati a verificare la compatibilità delle trasformazioni consentite rispetto alle relative disposizioni di piano. Al tempo stesso, però, con la redazione del Codice sarebbe stato opportuno accogliere la tante volte auspicata distinzione tra paesaggio naturale – che rende sufficiente una disciplina di tutela di carattere negativo, che evidenzi, cioè, gli obblighi di non facere – e paesaggio artificiale, frutto delle trasformazioni progressivamente impresse dall’uomo, nel quale la riproposizione di una disciplina negativa interrompe drasticamente l’evoluzione del contesto territoriale di riferimento.

 

 

L’autorizzazione paesaggistico-ambientale

 

Il Codice prevede, all’art. 146, l’introduzione di un nuovo procedimento di rilascio del nulla osta di cui al previgente art. 151 del DLgs 490/1999; procedimento la cui entrata a regime è stata rinviata all’indomani dell’“approvazione dei piani paesaggistici, ai sensi dell’articolo 156 ovvero ai sensi dell’articolo 143, e al conseguente adeguamento degli strumenti urbanistici ai sensi dell’articolo 145”.

Nelle more di tale adeguamento, si applica una disciplina transitoria – vigente dall’1.5.2004 – dai tratti simili a quella dettata dal Testo unico del 1999 e contrassegnata (art. 159):

- dal rilascio, entro 60 giorni dalla relativa richiesta, dell’autorizzazione (il termine è perentorio e sospendibile una sola volta per l’acquisizione di integrazioni documentali o per l’esperimento di appositi accertamenti); in caso di inerzia dell’amministrazione, il privato può richiedere l’autorizzazione direttamente alla Soprintendenza, che decide anch’essa entro 60 giorni dall’istanza;

- dalla comunicazione alla Soprintendenza competente, da parte dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo, del rilascio dell’autorizzazione;

detta comunicazione viene contestualmente inviata anche agli interessati, per i quali la stessa costituisce avviso di inizio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della legge 241/1990;

- dalla possibilità per la Soprintendenza di annullare l’autorizzazione, con provvedimento motivato, entro il termine (perentorio) di 60 giorni dalla ricezione della relativa pratica (comprensiva di tutta la necessaria documentazione); decorso tale termine, l’autorizzazione si intende confermata.

Del tutto innovativo, invece, risulta il procedimento di autorizzazione a regime, caratterizzato:

- dalla trasmissione alla Soprintendenza della proposta di nulla osta entro 40 giorni dalla ricezione della relativa istanza (termine sospendibile sia per l’acquisizione di documenti che andavano ab origine allegati all’istanza, sia per l’acquisizione di documentazione ulteriore: in questo ultimo caso la sospensione può avvenire una sola volta e non può avere durata superiore a 30 giorni); nello stesso termine l’amministrazione procedente dà notizia agli interessati dell’avvenuto avvio del procedimento;

- dalla formulazione del parere della Soprintendenza entro il termine perentorio di 60 giorni, decorsi i quali il parere si intende favorevolmente espresso;

- dal rilascio dell’autorizzazione entro i 20 giorni successivi; l’autorizzazione diviene efficace dopo ulteriori 20 giorni dalla sua emanazione;

- dalla possibilità per gli interessati, nel caso di mancato rilascio dell’autorizzazione, di richiedere l’intervento sostitutivo della regione (o della Soprintendenza, in caso di mancato esercizio della sub-delega in materia di funzioni paesaggistico-ambientali da parte della prima), che provvede entro 60 giorni dalla nuova istanza.

L’art. 146 prevede, inoltre, che l’autorizzazione “non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi”, confermando così la validità dell’opinione già espressa sulle pagine di questa rivista (cfr. areaAVasta nn. 6-7/2003, pag. 320) in ordine all’inconfigurabilità, anche nel contesto normativo precedente, dell’autorizzazione paesaggistica cosiddetta postuma.

 SENTENZE E PARERI

 

A differenza dell’art. 164 del DLgs 490/1999, però, l’art. 181 del Codice non ammette l’applicazione di specifiche sanzioni pecuniarie per la realizzazione di opere edilizie prive della prescritta autorizzazione – sanzioni dalle quali derivava un’autorizzazione implicita al mantenimento delle medesime opere – ma si limita a prevedere unicamente la rimessione in pristino, a spese del responsabile dell’abuso, dello stato dei luoghi; per cui nessuna sanatoria degli abusi in parola appare più configurabile.

 

 

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