Negli ultimi anni la ricerca e la prassi
disciplinare hanno posto un impegno non
trascurabile nell’aggiornare metodi e
processi per la formazione dei piani, con
particolare riferimento alla finalità di
attirare fin dal primo momento la
partecipazione collettiva e costruire le
scelte in modo consensuale, anche al fine di
promuovere il mutuo apprendimento e
predisporre tutti gli attori coinvolti ad
una convinta ed efficiente implementazione
delle politiche proposte.
Una rapida occhiata all’esperienza recente
evidenzia in proposito da un lato una
consistente estensione del panorama dei
modelli operativi presi in considerazione,
dall’altro una loro rapida maturazione in
termini di efficacia applicativa (Faludi,
1999).
Semplificando al massimo, si può ritenere
che i referenti più significativi in materia
afferiscano a tre distinti filoni.
Quello dello strategic planning
americano, che è riuscito a estendere al
settore delle politiche pubbliche,
arricchendola con le problematiche
dell’incertezza e della conflittualità, la
metodologia sviluppatasi nell’ambito del
management aziendale in relazione alle
esigenze della cosiddetta qualità totale
(Curti e Gibelli, 1996).
Quello della public dispute resolution,
che ancora in area statunitense ha
specificamente messo a fuoco le tecniche più
efficaci per il superamento dei veti
incrociati e dello scontro fra interessi
settoriali (Forester, 1989).
E quello della cosiddetta pianificazione
dal basso, sperimentato soprattutto in
Inghilterra, con una particolare attenzione
alle tecniche di innesco degli apporti
propositivi secondo il modello del
planning game (Healey et al., 1997).
A tutti e tre questi filoni hanno in varia
misura attinto le esperienze più
interessanti portate avanti in Italia e in
Europa negli ultimi anni; la maggior parte
delle quali ha peraltro privilegiato la
dimensione locale (dalla scala dell’intero
comune a quella del quartiere) della
pianificazione e
della programmazione (Magnaghi, 2000):
circostanza, quest’ultima, che rende vieppiù
ineludibile l’impegno di tracciare una nuova
via anche per la concertazione nella
pianificazione di area vasta.
Con specifico riferimento all’ambito
operativo della pianificazione provinciale,
vorrei allora render conto di un’esperienza
tesa a definire un metodo di lavoro che,
nell’ottimizzare la risposta a un quadro di
esigenze territorialmente definite,
consentisse nel contempo di proporre un
approccio utilizzabile anche in termini più
generali allo sviluppo della partecipazione
nei piani di area vasta.
Vengo dunque a descrivere i caratteri
dell’iniziativa Territorio GR 2003,
ovvero dei laboratori di copianificazione
che ho avuto modo di organizzare e condurre
per la Provincia di Grosseto in chiave
propedeutica alla revisione del vigente
piano territoriale di coordinamento (Ptc).
Dagli obiettivi al programma
L’obiettivo primario dell’iniziativa –
definito a partire dalle considerazioni
sviluppate, in un’ottica più ampia, nel
seminario nazionale organizzato dalla stessa
provincia il 10 maggio 2002 – era quello di
superare l’idea di una semplice
partecipazione, già messa in pratica dalle
sempre più diffuse procedure di Agenda 21
locale, per immettere gli interessati nel
vivo del processo di costruzione degli
impegni programmatici, garantendo a chiunque
lo spazio necessario a presentare e
discutere seriamente le proprie proposte,
fino a vederle diventare parte integrante
del nuovo piano.
La costruzione della strategia operativa da
impiegare a tal fine ha preso le mosse da
una riflessione generale sui diversi livelli
di coinvolgimento che si offrivano a chi
volesse impostare un processo di piano in
termini di partecipazione e concertazione
collettiva.
Un primo livello era quello delle procedure
di informazione, verifica e costruzione del
consenso in corso d’opera: chi faceva il
piano dichiarava per tempo dove stava
andando a parare e gli altri dicevano la
loro, nelle sedi ufficiali e secondo le
procedure previste dalle leggi nazionali e
regionali. Si era però visto che questo modo
di fare non offriva lo spazio per un
confronto davvero costruttivo (Crosta,
1998).
Un secondo livello era quello di cercare
ulteriori e più profondi momenti di
confronto e condivisione. In particolare si
cercava di impostare tutto il processo a
partire da una raccolta delle
interpretazioni e dei bisogni degli
interlocutori. Poi si faceva il piano e man
mano lo si discuteva anche in sedi meno
formali e con un più schietto scambio di
opinioni. Era la tecnica usata per fare il
Ptc vigente, che però aveva anch’essa i suoi
limiti: il confronto era più fertile, ma le
scelte maturavano comunque in un ambito
ristretto dalle gerarchie istituzionali (Vignozzi,
2000).
Un terzo livello, ancora inesplorato in sede
locale, era quello della cosiddetta
copianificazione: non solo confronto, ma
vera e propria costruzione collettiva del
piano. Al limite non vi è distinzione fra
livelli di governo o gerarchie di autorità:
chiunque può veder andare avanti le sue
proposte, purché si dimostrino di comune
utilità (Vignozzi, 2003). Quest’ultimo è
l’approccio che ci si è ripromessi di
seguire per l’aggiornamento che stava per
iniziare.
Una volta chiariti e concordati obiettivi e
assunti metodologici, si è provveduto a
sviluppare un programma operativo articolato
in tre fasi:
1. presentazione e pubblicizzazione del
processo di formazione;
2. costruzione collettiva delle scelte e
degli impegni programmatici;
3. restituzione normativa.
In aderenza all’impostazione del piano
vigente (Vignozzi, 2001), si è poi scelto di
sviluppare la fase nodale della costruzione
delle scelte secondo due procedimenti
paralleli e distinti:
- uno relativo alla normativa e alle regole
di gestione, e quindi corrispondente alla
componente definita codice nel piano
vigente;
- l’altro relativo alle strategie e agli
impegni operativi e, quindi, corrispondente
alla componente là definita programma.
Entrambi i procedimenti avrebbero comunque
seguito un modello comune, seppur
diversamente connotato nei due casi, che era
quello ormai familiare del cosiddetto
tavolo di concertazione, da articolare
secondo il principio – anch’esso ampiamente
collaudato – del focus group (Vignozzi,
1997).
La fase preliminare di consultazione
Una volta definito con chiarezza lo scenario
operativo, la provincia ha proceduto
speditamente lungo il percorso tracciato.
Nel mese di febbraio del 2003 si è dato
concretamente il via alle operazioni.
Il programma dei lavori ha preso le mosse da
una serie di colloqui preliminari con i
rappresentanti dei 28 comuni e degli altri
soggetti coinvolti nel governo del
territorio (province confinanti, enti parco,
comunità montane, associazioni di categoria
o a difesa dell’ambiente ecc., per un totale
di altri 40 soggetti consultati).
Contemporaneamente si è aperto un sito
web, aperto ai contributi di tutti e
sempre aggiornato all’evoluzione dei lavori,
dove chiunque ha potuto rendere pubbliche le
proprie proposte e trovare in tempo reale
tutte le informazioni sull’avanzamento delle
operazioni.
La fase di consultazione si è fondata sul
principio dell’outreaching, cioè di
andare a trovare direttamente a
casa loro, ove possibile, i diversi
soggetti interessati, in modo da
riaffermarne simbolicamente la parità di
rango e l’autonomia decisionale e di
predisporre concretamente le condizioni più
favorevoli a un proficuo scambio di opinioni
(AA.VV., 1997). La raccolta dei desiderata e
delle opinioni maturate presso i soggetti
locali ha avuto un carattere marcatamente
informale, in modo da garantire la massima
efficacia dei colloqui e la massima
rispondenza agli effettivi interessi dei
singoli (Mastop e Faludi, 1997).
Tutti gli incontri hanno in effetti prodotto
contenuti tecnici di grande utilità, già
fortemente indicativi della domanda di piano
al momento espressa dal territorio.
In materia di regole di gestione del
territorio le segnalazioni più frequenti
riguardavano:
- le modalità di tutela delle risorse
rinnovabili, con particolare riferimento al
problema dell’approvvigionamento idrico;
- la normativa sul territorio rurale, dove
la distinzione fra aree a destinazione
agricola prevalente e esclusiva,
ereditata dalla legislazione regionale, non
sembrava aver dato i frutti sperati;
- alcuni criteri di localizzazione e
distribuzione della crescita insediativa,
con particolare riferimento alle esigenze
locali del settore produttivo;
- le modalità del coordinamento fra comuni
finitimi, nonché con le altre province e fra
i diversi enti e settori di governo del
territorio.
In materia di strategie da sviluppare
con la concertazione collettiva si
segnalavano invece questi temi:
- il recupero ambientale di aree degradate,
fossero esse zone di pregio naturalistico,
aree estrattive o industriali dismesse o
anche zone residenziali o produttive di
basso pregio;
- la creazione di nuove infrastrutture per
lo sviluppo (segnatamente: porti, strade e
greenways);
- lo sviluppo sostenibile del turismo, con
specifica attenzione a quello rurale nelle
sue più svariate accezioni e articolazioni;
- l’organizzazione dell’offerta integrata di
servizi e altre attrezzature, nonché la
promozione di altre strategie specifiche,
entro ciascuna delle 7 città (sistemi
insediativi policentrici) individuate dal
Ptc vigente.
Figura 1 - L'elenco dei temi di
Territorio GR 2003 |
|
|
I laboratori di copianificazione
L’elenco degli argomenti e il programma dei
lavori desunti dai colloqui sono stati
verificati e concordati collegialmente in un
forum di apertura tenutosi il 7
maggio 2003.
Una volta concordati i temi, alla fine dello
stesso mese hanno avuto inizio le attività
dei laboratori di copianificazione, che
hanno visto tutti i soggetti interessati
regolarmente riuniti intorno a un tavolo
insieme alla provincia per concertare le
modifiche più opportune al Ptc.
Come previsto, il programma dei lavori,
denominato Territorio GR 2003, si è
incentrato sull’attività di due laboratori
tematici, che hanno affrontato separatamente
la revisione delle regole di governo del
territorio e la messa a punto di strategie
di valorizzazione.
Onde evitare contrapposizioni preconcette,
alle sedute dei laboratori la provincia si è
sempre presentata non in veste autoritaria,
ma come primus inter pares, pur
mantenendo ovviamente la responsabilità e
l’onere organizzativo delle diverse
operazioni.
Coerentemente con gli esiti delle
consultazioni, il programma dei lavori di
ciascuno dei due laboratori si è articolato
in relazione a quattro temi:
- risorse naturali, territorio
rurale, sviluppo insediativo,
estensione del coordinamento per le
regole;
- recupero ambientale,
infrastrutture per lo sviluppo,
turismo sostenibile e strategie
organiche per le 7 città per le
azioni.
Le riunioni dei laboratori tematici, aperte
al pubblico, si sono tenute con cadenza
bisettimanale presso la sede della
provincia, dapprima nella sala consiliare,
poi in un nuovo locale appositamente
allestito.
Il primo laboratorio (Territorio GR 2003
– Le regole) puntava a mettere a fuoco
la revisione dei contenuti normativi del Ptc
mediante un’attività di workshop
organizzata d’intesa – sia in termini di
predisposizione dell’agenda, che di
indirizzo del dibattito, che di restituzione
degli esiti del confronto – dallo staff
del professionista incaricato con il
concorso di tutti gli attori locali.
I criteri operativi utilizzati per il
coordinamento del workshop sono stati
essenzialmente due, entrambi tratti dalla
succitata esperienza della public dispute
resolution:
- quello della cosiddetta soluzione
ragionata dei conflitti mediante
argomentazione: nella fattispecie il metodo
consiste nel sottoporre a discussione
collettiva un enunciato che abbia suscitato
insoddisfazione, ripromettendosi di
pervenire ad una diversa formulazione ex
novo, dopo aver scartato le alternative
sgradite alla maggioranza dei convenuti;
- quello della cosiddetta negoziazione
creativa, che comporta una modificazione
innovativa dei contenuti, grazie all’apporto
propositivo del gruppo di lavoro, fino a
esiti di comune gradimento: il problema
viene analizzato articolandolo nelle sue
componenti e per ciascun punto si esaminano
soluzioni che, per così dire, salvino capra
e cavoli (Curti e Gibelli, 1996).
Il secondo laboratorio (Territorio GR
2003 – Le azioni) puntava a concordare
con tutti gli interessati i passi essenziali
all’attuazione di progetti strategici di
rilevanza provinciale (a integrazione del
programma vigente). Anche in questo caso
si è articolato il tavolo in più focus
groups che affrontassero una serie di
strategie affini per settore o per ambito
territoriale coinvolto.
Nel caso delle azioni la fase di
confronto doveva però avere caratteristiche
ben distinte rispetto alle regole,
dato che occorreva non solo risolvere i
conflitti più o meno apparenti, ma
soprattutto mettere in rete risorse e
informazioni, promuovere iniziative e
attivare soggetti. Il modello di riferimento
diveniva pertanto quello del tavolo di
visioning strategico, teso a innescare
azioni strategiche a partire da uno scenario
condiviso di successo del territorio. La
partecipazione è stata mirata a far maturare
intese fra tutti gli attori che potevano
contribuire con proprio vantaggio al
successo delle iniziative, ivi inclusi
soggetti privati, consorzi fra più soggetti
pubblici e partenariati di tipo misto. Il
principio prevalente è stato quello dei
raggruppamenti a geometria variabile,
con soggetti in entrata e uscita a seconda
dei temi trattati e del grado di avanzamento
delle operazioni. Caratteristica
qualificante del metodo di lavoro è che
tutto ciò che si riusciva a concordare
veniva immediatamente trascritto al computer
in una scheda visualizzata su schermo
luminoso, con l’apporto diretto (e il
diritto di veto) di tutti i partecipanti.
Il procedimento di visioning si è
articolato in più fasi:
- individuazione degli scenari futuri
a partire da specifiche suggestioni
propositive del gruppo di progettazione;
- brainstorming o sollecitazione di
proposte e iniziative da parte degli attori
coinvolti;
- animazione, ovvero istituzione di
contatti fertili tra soggetti e innesco di
procedure mirate;
- analisi delle alternative, ovvero
progettazione di diverse linee di azione e
loro selezione mediante confronto
consensuale.
Il risultato finale è stato una sorta di
carta degli impegni che ha definito
accordi e protocolli operativi in grado di
garantire concreta efficacia alle azioni
programmate (Moccia, 2002).
L’andamento dei lavori
In entrambi i laboratori si è lavorato
dapprima per raccogliere e ordinare tutte le
richieste avanzate e per costituire un
patrimonio comune di informazioni, basi
concettuali e riferimenti tecnici, anche
discutendo altre esperienze di
pianificazione provinciale e di
programmazione negoziata. Poi si è passati
man mano a sviluppare concretamente le
singole proposte, fino a farle divenire dei
veri e propri semilavorati da far
confluire nel nuovo piano.
Per ciascuno dei quattro temi di entrambi i
laboratori si sono organizzate 6 diverse
fasi di lavoro, secondo una sequenza
operativa articolata in due cicli distinti.
Nei mesi di maggio, giugno e luglio si è
completato un primo ciclo di tre
riunioni, che hanno avuto lo scopo di
concordare il metodo di lavoro, costruire un
sistema di riferimenti condivisi, definire
l’ambito del confronto, esprimere in modo
circostanziato aspettative, volontà e
disponibilità dei singoli attori.
Questo primo ciclo di riunioni ha di per sé
prodotto una serie di risultati concreti,
grazie alla fattiva partecipazione degli
interessati, che fin da un primo momento
hanno dato prova di impegno concreto e
capacità propositiva. In particolare la
prima e la seconda riunione hanno consentito
di affinare, per ciascun tema, il quadro
della domanda locale e lo scenario delle
modifiche auspicabili al piano vigente.
Per meglio indirizzare il confronto, i
tecnici incaricati hanno proposto contributi
informativi di varia natura. Per quanto
riguarda le regole sono state
illustrate e discusse soluzioni alternative
e formulazioni specifiche desunte dagli
esempi più proficui di Ptc in tutta Italia.
Per quanto riguarda le azioni, sono
state analizzate best practices dalla
recente esperienza internazionale nei
diversi campi di intervento contemplati dal
programma dei lavori.
In entrambi i casi, al fine di rendere più
pertinente il dibattito, sono stati
distribuiti ai partecipanti estratti
monografici dei contenuti normativi e
programmatici del Ptc vigente, mentre i
funzionari provinciali hanno fornito
aggiornamenti sull’esperienza di gestione
dell’apparato normativo, nonché sullo stato
di attuazione delle principali azioni
strategiche promosse.
A conclusione di queste due prime serie di
incontri, si è definito l’ambito della
discussione in merito alla revisione delle
norme e lo scenario delle opportunità di
intervento in merito alla definizione degli
accordi strategici.
Con la terza riunione si è entrati
definitivamente in una fase operativa.
Passando in rassegna le diverse proposte
pervenute – sia nel corso dei colloqui
preliminari che delle riunioni del
laboratorio, che, infine, attraverso il sito
web o per iscritto – si sono
individuate quelle su cui concentrare
maggiormente l’attenzione nelle sedute
successive, definendo per ciascuna il
soggetto promotore (per le azioni) o
il discussane responsabile (per le
regole). Per ciascun argomento da
approfondire, promotori e discussants
hanno assunto l’impegno di sviluppare
ipotesi di lavoro e di convocare i soggetti
utili alla concertazione negoziata delle
soluzioni proposte.
A questo compito operativo è stato dedicato
il ciclo delle tre riunioni conclusive,
avviato a settembre dopo la pausa di agosto
e concluso alla fine di novembre. Questa
seconda fase, che ha beneficiato di
un’autonoma sede di incontro e discussione
all’interno dello stesso palazzo della
provincia, ha consentito di sviluppare
contributi originali secondo modalità di
concertazione negoziata.
La distinzione tra il laboratorio delle
regole e quello delle azioni si è
ulteriormente accentuata. L’opportunità di
costruire insieme le intese per portare
avanti specifiche iniziative ha infatti
indotto a moltiplicare i tavoli delle
azioni, facendo sì che per ciascun tema
si passasse da una riunione generale a una
decina o più di incontri distinti per
argomento. Anche le date del calendario si
sono infittite, passando da una a tre
riunioni di lavoro a settimana per le sole
azioni; mentre le regole hanno
mantenuto l’iniziale cadenza settimanale,
pur variando molto le modalità operative,
che hanno visto il confronto divenire sempre
più tecnico e circostanziato, talora a costo
di un’inevitabile riduzione del campo dei
partecipanti meno addetti ai lavori.
In questa seconda fase si sono tirate le
fila del lavoro svolto con chiare finalità
operative.
Sul fronte delle regole la prima
riunione è stata dedicata all’illustrazione
e alla discussione delle ipotesi di lavoro
sviluppate da ciascun discussant.
La seconda ha sviluppato il dibattito dando
luogo a formulazioni alternative o
complementari.
La terza ha messo a fuoco soluzioni
condivise mediante il confronto critico,
comunque indirizzato in chiave propositiva,
delle diverse posizioni rappresentate
intorno al tavolo.
Il prodotto finale consiste in una serie di
documenti scritti, successivamente affinati
e ulteriormente concordati attraverso un
processo di feed-back e revisioni
incrociate, la cui versione finale è stata
comunque comprovata anche dai singoli
discussants.
Sul fronte delle azioni la prima
riunione ha individuato, per ciascuna
proposta:
- l’obiettivo primario;
- lo scenario operativo, articolato in
opportunità da cogliere e ostacoli da
superare;
- i finanziamenti ipotizzabili;
- la documentazione esistente;
- ogni altra informazione utile alla
corretta impostazione della strategia in
questione (fase di impostazione).
Con la seconda riunione si sono analizzate
le proposte di lavoro, concordati i punti
fermi su cui procedere, attribuiti a
ciascuno degli stakeholders i compiti
per la conclusione dell’intesa, completando
nel contempo il quadro informativo e lo
scenario operativo di riferimento (fase di
negoziazione).
Con la terza riunione si sono concordati i
risultati in termini di accordi operativi,
in base ai quali procedere all’attuazione
delle politiche e degli interventi proposti,
registrando gli impegni assunti a tal fine
da ciascuno dei partecipanti (fase di
ratifica).
La fase di restituzione normativa
Nel loro complesso, i due laboratori così
concepiti tendevano a garantire risultati
affidabili – sia in termini di condivisione
e consenso politico che di efficienza
attuativa – all’intero processo di
costruzione collettiva del piano. A tal
fine, come si è visto, si è messo in atto un
mix inedito di metodi e accorgimenti,
ciascuno dei quali era però riconducibile a
esperienze consolidate in vari contesti. A
conclusione dell’opera occorreva soltanto
garantire che gli esiti del processo di
concertazione risultassero trasparenti, non
meno che proficui, anche in termini di
output.
Un tale requisito, di assai agevole
controllo in termini concettuali, diviene
invece solitamente assai più sfuggente
quando si confronta con la realtà concreta
degli interessi politici. È infatti fin
troppo agevole intuire quanto sarebbe stato
più semplice e rassicurante per la provincia
mantenere uno spazio di manovra autonomo cui
poter eventualmente ricorrere in sede di
restituzione finale dei contenuti normativi
del piano. In particolare la fase di
restituzione degli esiti dei laboratori
avrebbe anche potuto configurarsi secondo
modalità definite discrezionalmente
all’ultimo momento in relazione
all’andamento dei laboratori stessi. Ad
esempio si sarebbe potuto scegliere di
procedere unilateralmente a un’elaborazione
autonoma in cui la provincia, pur movendo
dagli esiti della concertazione, sviluppasse
per proprio conto i punti rimasti più
controversi, in quanto autorità preposta
alla tutela degli interessi della
collettività (Healey et al., 1997).
In realtà, puntando sull’ipotesi di una
sostanziale convergenza degli interessi
collettivi verso gli orientamenti già
maturati all’interno dell’amministrazione,
la provincia ha avuto il merito non comune
di dichiarare fin dal primo momento che
tutti i risultati dei laboratori sarebbero
stati raccolti senza ulteriori modifiche in
un documento collettivo di sintesi, che
avrebbe costituito la base per la redazione
dell’articolato definitivo del piano.
Pertanto, nella fase di chiusura dei
laboratori, tutto il materiale prodotto è
stato dapprima sottoposto a verifica e
aggiustamento dallo staff del tecnico
incaricato, che ha redatto una bozza di
Relazione di sintesi. Questo lavoro è
servito soprattutto a rendere omogenei i
diversi contributi, a garantire la coerenza
fra le parti, a tradurre eventuali residui
di formulazioni unilaterali in chiave di
condivisione collettiva. Per quanto riguarda
in particolare le azioni, le
modifiche sono state esclusivamente di tipo
ortografico, dal momento che tutta la
documentazione prodotta era stata redatta
collegialmente e non poteva quindi essere
variata nei contenuti.
La relazione è stata poi messa a
disposizione di tutti sulla Bacheca
del sito web, acciocché tutti gli
interessati – discussants e promotori
in primis – potessero inviare le proprie
proposte di modifica. Queste proposte sono
state infine concordate fino a dar forma
alla versione definitiva, che è stata
presentata il 27.4.2004 nella I
Conferenza di programmazione, l’atto che
secondo la procedura della Lr Toscana avvia
l’iter di formazione o di aggiornamento del
Ptc.
In tal modo il momento di conclusione dei
laboratori è coinciso con l’inizio della
redazione finale del piano, garantendo
continuità e immediatezza all’intero
processo, che si sta avviando a compimento
con immutate caratteristiche di collegialità
e trasparenza, sia pur con il consueto
spazio per l’autonomia propositiva dei
tecnici.
Bibliografia
AA.VV. (1997), Making Strategic Plans.
Innovation in Spatial Planning in Europe,
Ucl Press, London.
Crosta P. L. (1998), Politiche,
FrancoAngeli, Milano.
Curti F., Gibelli M. C. (1996),
Pianificazione strategica e gestione dello
sviluppo urbano, Alinea, Firenze.
Faludi A. (1999), Dalla prima alla terza
generazione di teorie della pianificazione,
in “Urbanistica”, n. 113.
Forester J. (1989), Envisioning the
Politics of Public Sector Dispute Resolution,
Cornell University, Cornell.
Healey P., Khakee A., Motte A. e Needham B.
(eds.) (1997), Making Strategic Spatial
Plans: Innovation in Europe, University
College London Press, London.
Magnaghi A. (2000), Il progetto locale,
Bollati Boringhieri, Torino.
Mastop J. M. e Faludi A. (1997),
Evaluation of Strategic Plans: the
Performance Principle, in “Environment
and Planning B: Planning and Design”, n. 24.
Moccia F. D. (2002), I Pit in Campania:
pianificazione interattiva per lo sviluppo
del territorio, in “Urbanistica
Informazioni”, n. 182.
Vignozzi A. (1997), Community to
Communication.
The Schema Strutturale per la Provincia di
Grosseto, 1990 - Designing Strategies,
in Healey P. et al.
(a cura) “Making Strategic Spatial Plans:
Innovation in Europe”, University College
London Press, London.
Vignozzi A. (1998), L’approccio
“strategico” dalla legge regionale toscana
al Ptc di Grosseto, in “XXII Congresso
Inu. Leggi regionali tra principi di riforma
e sperimentazioni locali”, Inu, Perugia.
Vignozzi A. (2000), Approccio strategico
e contenuti regolativi del piano, in
“XXIII Congresso Inu. Il progetto della
città contemporanea”, Inu, Roma.
Vignozzi A. (a cura) (2001), Provincia di
Grosseto. Il Piano Territoriale di
Coordinamento Provinciale, Urbanistica
Quaderni, n. 31.
Vignozzi A. (2003), La programmazione
negoziata tra governance e sviluppo locale:
l’esperienza dei P.I.T. Campania, in
“Infrastrutture e territorio. XXIV
Conferenza Italiana di Scienze Regionali”,
AISRe, Perugia. |