Numero 8/9 - 2004

 

la riqualificazione ambientale 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Modi e mode di musealizzazione del patrimonio minerario


Ginevra Balletto


 

La new economy ha marginalizzato culturalmente il peso delle attività materiali, fra cui il comparto estrattivo, per privilegiare tutto ciò che è immateriale. Ma il benessere delle società occidentali fonda buona parte della sua solidità sulle risorse del sottosuolo, che viene preso in considerazione solo nella fase post-produttiva, allorquando il necessario ripristino ambientale diventa pratica obbligata. Ginevra Balletto individua nella musealizzazione dei luoghi dimessi di cave e miniere una prospettiva che coniuga il risarcimento del territorio con le aspettative sociali

 

 

 

 

 

Parlare oggi di miniere può apparire per i non esperti ai lavori un argomento superato. Le miniere rappresentano infatti l’esemplificazione più calzante della old economy, in altri termini il luogo dove prevale la materialità della produzione. Singolare destino quello delle miniere, viviamo infatti con una tale intensità da essere divenuti ciechi di fronte alla genesi dei prodotti che caratterizzano il quotidiano.

Una recente pubblicazione a cura del Comitato cave e miniere della Federazione dell’industria della Sardegna, mostra che ogni bambino che nasce nel mondo occidentale, durante l’arco della vita avrà bisogno di 1676 tonnellate di minerali.

Ciò denota la grande attualità dell’argomento, che tuttavia non trova ancora un ampio consenso. Basti solo pensare come l’attuale momento meglio conosciuto come new-economy abbia progressivamente messo in ombra tutta una serie di attività con prevalenza industriale pesante o di elevato impatto. In altri termini, presi dal vortice del consumo, stiamo rimuovendo tutto ciò che ha che fare con l’ordine dei prodotti che consumiamo. Le miniere, rappresentano infatti un vero punto di origine della produzione materiale, partecipano alla definizione del nostro vivere quotidiano, ma allo stesso tempo scivolano inesorabilmente in un cono d’ombra che le sottrae alla nostra attenzione e ai nostri interessi immediati.

Ci si chiede perché a fronte di tale disinteresse esista per contro un marcato indirizzo di musealizzazione del patrimonio minerario. In realtà non sarà facile dare una valida risposta al quesito, infatti il cambiamento miniera-museo si compie attraverso un difficile e problematico trasferimento di finalità.

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La miniera è dunque fondamentalmente un luogo della ragion pratica, del calcolo utilitario, non a caso edifici, impianti, organizzazione spaziale di superficie e sottosuolo risulta essere realizzato secondo precise regole economiche.

Salvo rari casi i manufatti non hanno alcuna intenzionalità espressiva, infatti, la progettualità si esaurisce nella ricerca della massima funzionalità. Quando però la miniera o l’area industriale dismessa viene trasformata in museo emerge, anche se non in maniera marcata, una insospettata dimensione estetica, quasi involontaria. Un altro elemento di contrasto è rappresentato dalle differenze tra le comunità di appartenenza dei luoghi, confrontate durante i processi estrattivi e il successivo processo di musealizzazione.

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Infatti, con l’avvio dello sfruttamento minerario le comunità locali sono state interessate da un processo di immigrazione, tanto che nella maggior parte dei siti il peso della popolazione esterna poteva tranquillamente raggiungere soglie superiori al 50% sul totale dei lavoratori. Il passaggio invece da miniera a museo tende a rimuovere questa esperienza, costruendo una visione di coesione tra le comunità. In altri termini il paesaggio minerario si deforma tanto che la società presente crede di intravedere le proprie origini. Si tratta invece di una profonda ansia della società che cerca non tanto di recuperare le proprie origini, piuttosto costruirne una nuova, mediante la trasformazione di un sito minerario in museo e dove gli individui hanno stabilito un profondo legame di solidarietà. Ci si chiede allora quali siano i rischi di tutto ciò, e inoltre se sia possibile riconoscere i limiti che l’interpretazione miniera-museo genera.

Come è facile immaginare non risulta facile dare una risposta univoca, tuttavia si tenterà di articolare una possibile risposta.

È opinione comune che il paesaggio minerario possa essere assimilato ad un paesaggio offeso dall’attività estrattiva. Una volta terminata la produzione, quasi si diviene sensibili al fascino postumo del danno ambientale. In altri termini, il pianificatore e talvolta anche il progettista si trova costretto a elaborare strategie di riqualificazione ambientale paradossalmente compatibili con la conservazione dei manufatti e degli impianti di un processo produttivo che non vorremo dimenticare.

Se poi confrontiamo gli esempi di riqualificazione, ci si può rendere conto della prevalenza di interventi orientati alla musealizzazione.

Figura 1 - Ogni bambino che nasce nel mondo occidentale, durante l'arco della sua vita, avrà bisogno di 1.686 tonnellate di minerali

  

 

Tra le numerose esperienze vi è ad esempio il Parque Minero de Rio in Andalusia dove addirittura è ancora operativo il sistema di drenaggio delle gallerie che conferisce alle acque un colore rosso-rame. In altri termini, risultano assai modesti gli interventi di mimetizzazione, prevalgono invece quelli di esaltazione del processo estrattivo, tanto da simulare o quasi l’attività estrattiva. Ci chiede il perché sia così condivisa l’archeologia industriale, e perché numerose amministrazioni siano orientate all’esaltazione dell’archeologia industriale. Inutile dire che forse siamo di fronte ad una moda, dove i numerosi casi di musealizzazione sono accomunati da una significativa carenza di preesistenze storiche e di valori storici-ambientali ai quali fare riferimento per valorizzare il contesto territoriale. Mancando, quindi, dei riferimenti a cui affidarsi per ridefinire nuovi ruoli territoriali, la conclusa attività estrattiva risulta forse l’unica possibile soluzione di rilievo. In altri termini l’archeologia industriale costituisce l’unica presenza territoriale che possa conferire risalto al proprio territorio di appartenenza. Nella maggior parte dei casi dove il patrimonio edilizio non ha pretese di espressività, il valore del patrimonio costruito minerario non trova più fondamento in categorie stilistico-architettoniche, pertanto la loro promozione a rango di beni culturali si gioca sul fatto che una comunità li elegge come tali, in forza della loro capacità di far perdurare il ricordo di una passata condizione. Accade sempre più spesso che questi luoghi assumano valori culturali non tanto per il loro valore estrinseco, piuttosto perché capaci di rievocare modi di vita e di lavoro che derivano dal passato. A differenza dei tradizionali beni artistici, nei beni di cultura materiale non è tanto il valore di autenticità che conta, quanto la capacità di testimonianza. Ciò spiega il prevalere, fra le discipline che orientano gli interventi di recupero di questo patrimonio, di settori di studio come la storia economica, le scienze sociali, l’antropologia, ecc.

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In altri termini nella musealizzazione delle attività minerarie prevalgono le attività rappresentative, talvolta su quelle meramente conservative, tanto da ricorrere alla ricostruzione ex novo di ambientazioni e contesti utili a raffigurare condizioni di vita del passato.

Tutto ciò cerca di sottrarre dalla grave crisi economica che investe un territorio quando questo vede progressivamente concludersi i processi estrattivi. Tuttavia i gravi problemi occupazionali che si registrano non possono essere risolti solo attraverso l’attività museale. Infatti, le quote di occupati sono generalmente irrisorie, né vi sono previsioni incoraggianti.

È allora forse il caso di attribuire un ruolo più confacente alla musealizzazione ed evitare che un modo diventi una moda e mostri nel breve tempo tutti i suoi limiti.

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Bibliografia

 

Preite M., Maciocco G. (2000), Da miniera a museo. Il recupero dei siti minerari in Europa, Alinea.

AA.VV. (2003), I patrimoni industriali. Una geografia per lo sviluppo locale, FrancoAngeli.

AA.VV. (2003), Aree dismesse e città. Esperienze di metodo, effetti di qualità, FrancoAngeli.

L’Arcaplus (2004), Tecnologia e linguaggi, n. 40.

 

Le immagini da 1 a 4 riguardano il recupero minerario nel sud della Cornovaglia denominato Eden Project di Nocholas Grimshaw & Partners.

 

 

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