Parlare oggi di miniere può apparire per i
non esperti ai lavori un argomento superato.
Le miniere rappresentano infatti
l’esemplificazione più calzante della old
economy, in altri termini il luogo dove
prevale la materialità della produzione.
Singolare destino quello delle miniere,
viviamo infatti con una tale intensità da
essere divenuti ciechi di fronte alla genesi
dei prodotti che caratterizzano il
quotidiano.
Una recente pubblicazione a cura del
Comitato cave e miniere della Federazione
dell’industria della Sardegna, mostra che
ogni bambino che nasce nel mondo
occidentale, durante l’arco della vita avrà
bisogno di 1676 tonnellate di
minerali.
Ciò denota la grande attualità
dell’argomento, che tuttavia non trova
ancora un ampio consenso. Basti solo pensare
come l’attuale momento meglio conosciuto
come new-economy abbia
progressivamente messo in ombra tutta una
serie di attività con prevalenza industriale
pesante o di elevato impatto. In altri
termini, presi dal vortice del consumo,
stiamo rimuovendo tutto ciò che ha che fare
con l’ordine dei prodotti che consumiamo. Le
miniere, rappresentano infatti un vero punto
di origine della produzione materiale,
partecipano alla definizione del nostro
vivere quotidiano, ma allo stesso tempo
scivolano inesorabilmente in un cono d’ombra
che le sottrae alla nostra attenzione e ai
nostri interessi immediati.
Ci si chiede perché a fronte di tale
disinteresse esista per contro un marcato
indirizzo di musealizzazione del patrimonio
minerario. In realtà non sarà facile dare
una valida risposta al quesito, infatti il
cambiamento miniera-museo si compie
attraverso un difficile e problematico
trasferimento di finalità.
|
1
|
La miniera è dunque fondamentalmente un
luogo della ragion pratica, del calcolo
utilitario, non a caso edifici, impianti,
organizzazione spaziale di superficie e
sottosuolo risulta essere realizzato secondo
precise regole economiche.
Salvo rari casi i manufatti non hanno alcuna
intenzionalità espressiva, infatti, la
progettualità si esaurisce nella ricerca
della massima funzionalità. Quando però la
miniera o l’area industriale dismessa viene
trasformata in museo emerge, anche se non in
maniera marcata, una insospettata dimensione
estetica, quasi involontaria. Un altro
elemento di contrasto è rappresentato dalle
differenze tra le comunità di appartenenza
dei luoghi, confrontate durante i processi
estrattivi e il successivo processo di
musealizzazione.
|
2
|
Infatti, con l’avvio dello sfruttamento
minerario le comunità locali sono state
interessate da un processo di immigrazione,
tanto che nella maggior parte dei siti il
peso della popolazione esterna poteva
tranquillamente raggiungere soglie superiori
al 50% sul totale dei lavoratori. Il
passaggio invece da miniera a museo tende a
rimuovere questa esperienza, costruendo una
visione di coesione tra le comunità. In
altri termini il paesaggio minerario si
deforma tanto che la società presente crede
di intravedere le proprie origini. Si tratta
invece di una profonda ansia della società
che cerca non tanto di recuperare le proprie
origini, piuttosto costruirne una nuova,
mediante la trasformazione di un sito
minerario in museo e dove gli individui
hanno stabilito un profondo legame di
solidarietà. Ci si chiede allora quali siano
i rischi di tutto ciò, e inoltre se sia
possibile riconoscere i limiti che
l’interpretazione miniera-museo genera.
Come è facile immaginare non risulta facile
dare una risposta univoca, tuttavia si
tenterà di articolare una possibile
risposta.
È opinione comune che il paesaggio minerario
possa essere assimilato ad un paesaggio
offeso dall’attività estrattiva. Una
volta terminata la produzione, quasi si
diviene sensibili al fascino postumo del
danno ambientale. In altri termini, il
pianificatore e talvolta anche il
progettista si trova costretto a elaborare
strategie di riqualificazione ambientale
paradossalmente compatibili con la
conservazione dei manufatti e degli impianti
di un processo produttivo che non vorremo
dimenticare.
Se poi confrontiamo gli esempi di
riqualificazione, ci si può rendere conto
della prevalenza di interventi orientati
alla musealizzazione.
Figura
1 - Ogni bambino che
nasce nel mondo occidentale, durante
l'arco della sua vita, avrà bisogno
di 1.686 tonnellate di minerali |
|
|
Tra le numerose esperienze vi è ad esempio
il Parque Minero de Rio in Andalusia
dove addirittura è ancora operativo il
sistema di drenaggio delle gallerie che
conferisce alle acque un colore rosso-rame.
In altri termini, risultano assai modesti
gli interventi di mimetizzazione, prevalgono
invece quelli di esaltazione del processo
estrattivo, tanto da simulare o quasi
l’attività estrattiva. Ci chiede il perché
sia così condivisa l’archeologia
industriale, e perché numerose
amministrazioni siano orientate
all’esaltazione dell’archeologia
industriale. Inutile dire che forse siamo di
fronte ad una moda, dove i numerosi casi di
musealizzazione sono accomunati da una
significativa carenza di preesistenze
storiche e di valori storici-ambientali ai
quali fare riferimento per valorizzare il
contesto territoriale. Mancando, quindi, dei
riferimenti a cui affidarsi per ridefinire
nuovi ruoli territoriali, la conclusa
attività estrattiva risulta forse l’unica
possibile soluzione di rilievo. In altri
termini l’archeologia industriale
costituisce l’unica presenza territoriale
che possa conferire risalto al proprio
territorio di appartenenza. Nella maggior
parte dei casi dove il patrimonio edilizio
non ha pretese di espressività, il valore
del patrimonio costruito minerario non trova
più fondamento in categorie
stilistico-architettoniche, pertanto la loro
promozione a rango di beni culturali si
gioca sul fatto che una comunità li elegge
come tali, in forza della loro capacità di
far perdurare il ricordo di una passata
condizione. Accade sempre più spesso che
questi luoghi assumano valori culturali non
tanto per il loro valore estrinseco,
piuttosto perché capaci di rievocare modi di
vita e di lavoro che derivano dal passato. A
differenza dei tradizionali beni artistici,
nei beni di cultura materiale non è tanto il
valore di autenticità che conta, quanto la
capacità di testimonianza. Ciò spiega il
prevalere, fra le discipline che orientano
gli interventi di recupero di questo
patrimonio, di settori di studio come la
storia economica, le scienze sociali,
l’antropologia, ecc.
|
3
|
In altri termini nella musealizzazione delle
attività minerarie prevalgono le attività
rappresentative, talvolta su quelle
meramente conservative, tanto da ricorrere
alla ricostruzione ex novo di
ambientazioni e contesti utili a raffigurare
condizioni di vita del passato.
Tutto ciò cerca di sottrarre dalla grave
crisi economica che investe un territorio
quando questo vede progressivamente
concludersi i processi estrattivi. Tuttavia
i gravi problemi occupazionali che si
registrano non possono essere risolti solo
attraverso l’attività museale. Infatti, le
quote di occupati sono generalmente
irrisorie, né vi sono previsioni
incoraggianti.
È allora forse il caso di attribuire un
ruolo più confacente alla musealizzazione ed
evitare che un modo diventi una moda e
mostri nel breve tempo tutti i suoi limiti.
|
4
|
Bibliografia
Preite M., Maciocco G. (2000), Da miniera
a museo. Il recupero dei siti minerari in
Europa, Alinea.
AA.VV. (2003), I patrimoni industriali.
Una geografia per lo sviluppo locale,
FrancoAngeli.
AA.VV. (2003), Aree dismesse e città.
Esperienze di metodo, effetti di qualità,
FrancoAngeli.
L’Arcaplus (2004), Tecnologia e linguaggi,
n. 40.
Le immagini da 1 a 4 riguardano il recupero
minerario nel sud della Cornovaglia
denominato Eden Project di Nocholas
Grimshaw & Partners. |