Il nuovo condono edilizio è disciplinato
dall’art. 32 del Dl 30 settembre 2003, n.
269 – Disposizioni urgenti per favorire
lo sviluppo e per la correzione
dell’andamento dei conti pubblici –
convertito nella legge 24 novembre 2003, n.
326, con modificazioni.
L’art. 32 intitolato “Misure per la
riqualificazione urbanistica, ambientale e
paesaggistica, per l’incentivazione
dell’attività di repressione dell’abusivismo
edilizio, nonché per la definizione degli
illeciti edilizi e delle occupazioni delle
aree demaniali”, prevede e disciplina un
nuovo condono edilizio esteso all’intero
territorio nazionale, di carattere
eccezionale rispetto al titolo abilitativo
di permesso di costruire in sanatoria,
disciplinato dagli artt. 36 e 45 del Dpr
380/2001.
Le nuove disposizioni sul condono rinviano a
quelle dei capi IV e V della legge 47/1985,
e successive modificazioni e integrazioni
(art. 39, legge 724/1994), cui si apportano
solo limitate innovazioni.
L’emanazione della legge sul condono ha
ingenerato, sul nascere, una situazione di
conflitto tra amministrazioni regionali e
governo centrale derivante dal considerare
la sanatoria edilizia ascrivibile alla
materia del governo del territorio1,
definita materia di legislazione concorrente
Stato-regioni dall’art. 117 della
Costituzione (modificato dall’art. 3 della
legge costituzionale 3/2001), in tal caso la
potestà legislativa spetta alle regioni,
salvo che per la determinazione dei princìpi
fondamentali, riservata alla legislazione
dello Stato.
La concorrenza Stato-regioni riguardo la
potestà legislativa ha generato dei
conflitti normativi tra la legge statale e
le diverse leggi regionali emanate dai
governi locali relativamente al proprio
territorio, con conseguente confusione, sia
delle amministrazioni locali che dei
cittadini, nell’incertezza
dell’applicabilità delle nuove norme.
In tale scenario alcune amministrazioni
regionali, ritenendo di essere assoggettate
passivamente alla nuova sanatoria, hanno
emanato leggi che consideravano
inapplicabile nei propri ambiti territoriali
la legge sul condono edilizio emanata dal
Governo a livello nazionale; altre regioni,
pur ammettendo la sanatoria, hanno formulato
criteri e limiti molto restrittivi quasi da
vanificare il principio ispiratore della
legge statale, ovvero il conseguimento degli
obiettivi di finanza pubblica.
Prima di esaminare gli esiti dei numerosi
ricorsi giudiziari, promossi dinanzi alla
Corte costituzionale sia da parte delle
regioni che delle istituzioni, conseguenti
alla lotta di competenze sulla materia del
condono, è il caso di esporre sinteticamente
i contenuti della normativa statale
impugnata.
L’art. 32 in sintesi
Ambito di applicazione
Opere abusive che risultino ultimate entro
il 31 marzo 2003.
Ampliamenti
Opere abusive che non abbiano comportato
ampliamento del manufatto superiore al 30%
della volumetria della costruzione
originaria o, in alternativa, un ampliamento
superiore a 750 metri cubi2.
Nuove costruzioni
Opere abusive relative a nuove costruzioni
residenziali non superiori a 750 metri cubi
per singola richiesta di titolo abilitativo
edilizio in sanatoria, a condizione che la
nuova costruzione non superi
complessivamente i 3.000 metri cubi3.
Tipologie di opere sanabili
a) Nell’ambito dell’intero territorio
nazionale:
- tipologia 1. Opere realizzate in
assenza o in difformità del titolo
abilitativo edilizio e non conformi alle
norme urbanistiche e alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici;
- tipologia 2. Opere realizzate in
assenza o in difformità del titolo
abilitativo edilizio, ma conformi alle norme
urbanistiche e alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici alla data di entrata
in vigore del presente provvedimento;
- tipologia 3. Opere di
ristrutturazione edilizia come definite
dall’art. 3, comma 1, lettera d) del Dpr 6
giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o
in difformità del titolo abilitativo
edilizio.
b) Nell’ambito degli immobili soggetti a
vincolo di cui all’art. 32 della legge 28
febbraio 1985, n. 47:
- tipologia 4. Opere di restauro e
risanamento conservativo come definite
dall’art. 3, comma 1, lettera c) del Dpr 6
giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o
in difformità del titolo abilitativo
edilizio, nelle zone omogenee A di cui
all’art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile
1968, n. 1444;
- tipologia 5. Opere di restauro e
risanamento conservativo come definite
dall’art. 3, comma 1, lettera c) del Dpr 6
giugno 2001, n. 380, realizzate in assenza o
in difformità del titolo abilitativo
edilizio;
- tipologia 6. Opere di manutenzione
straordinaria, come definite all’art. 3,
comma 1, lettera b) del Dpr 6 giugno 2001,
n. 380, realizzate in assenza o in
difformità del titolo abilitativo edilizio;
opere o modalità di esecuzione non
valutabili in termini di superficie o di
volume.
Con le nuove disposizioni le opere di
tipologie 4, 5 e 6, realizzate nelle aree
non soggette ai vincoli di cui all’art. 32,
legge 47/1985, possono essere sanate in
attuazione di legge regionale che specifichi
la possibilità, le condizioni e le modalità
della sanatoria4.
Opere abusive non suscettibili di sanatoria
Fermo restando quanto previsto dagli artt.
32 e 33 della legge 47/1985, non sono
suscettibili di sanatoria le seguenti opere:
- opere eseguite dal proprietario o avente
causa condannato con sentenza definitiva per
associazione di tipo mafioso, riciclaggio o
impiego di denaro di provenienza illecita;
- opere per le quali non sia possibile
effettuare interventi per l’adeguamento
antisismico, rispetto alle categorie
previste per i comuni secondo quanto
indicato dalla ordinanza del Presidente del
Consiglio dei ministri del 20 marzo 2003, n.
3274;
- opere realizzate su aree pubbliche qualora
non sia data la disponibilità di concessione
onerosa dell’area di proprietà dello Stato o
degli enti pubblici territoriali.
Vengono confermate le ipotesi di
insanabilità di cui all’art. 33 della legge
47/1985 (vincoli di inedificabilità):
- opere realizzate su immobili soggetti a
vincoli imposti sulla base di leggi statali
e regionali a tutela degli interessi
idrogeologici e delle falde acquifere, dei
beni ambientali e paesistici, nonché dei
parchi e delle aree protette nazionali,
regionali e provinciali qualora istituiti
prima della esecuzione di dette opere, in
assenza o in difformità del titolo
abilitativo edilizio e non conformi alle
norme urbanistiche e alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici;
- ove il vincolo di inedificabilità sia
stato imposto dopo l’esecuzione delle opere,
la costruzione è suscettibile di sanatoria,
sempre che si verifichino condizioni
indicate alle lettere a), b) e c) dall’art.
32 della legge 47/1985;
- opere realizzate su immobili dichiarati
monumento nazionale con provvedimenti aventi
forza di legge o dichiarati di interesse
particolarmente rilevante ai sensi degli
artt. 6 e 7 del DLgs 490/1999;
- opere che insistano su aree boscate o su
pascolo i cui soprassuoli siano stati
percorsi dal fuoco nell’ultimo decennio;
- opere realizzate nei porti e nelle aree
appartenenti al demanio marittimo, lacuale e
fluviale, nonché nei terreni gravati da
diritti di uso civico.
Sanatoria di opere realizzate su aree
demaniali o di proprietà dello Stato
Gli abusi edilizi realizzati su aree di
proprietà dello Stato o che fanno parte del
demanio statale possono essere sanati
tramite l’agenzia del demanio
territorialmente competente che accerti la
disponibilità dello Stato o ad alienare a
titolo oneroso l’area su cui è stato
realizzato l’immobile o a garantire
onerosamente il diritto al mantenimento
dell’opera sul suolo per non oltre 20 anni.
Sanatoria di opere realizzate su aree di
proprietà di enti pubblici territoriali
Per gli abusi edilizi realizzati su aree di
proprietà degli enti pubblici territoriali
non è prevista la cessione del suolo in
proprietà, ma la sola concessione dell’uso
dell’area secondo precise regole.
Il silenzio-assenso
La nuova legge dispone che il pagamento
degli oneri di concessione, la presentazione
della documentazione da allegare alla
domanda, della denuncia in catasto, della
denuncia del pagamento Ici, nonché delle
denunce della tassa per lo smaltimento dei
rifiuti solidi urbani e per l’occupazione
del suolo pubblico, da presentare entro il
30 giugno 2005, nonché il decorso del
termine di ventiquattro mesi da tale data
senza l’adozione di un provvedimento
negativo del comune, equivalgono a titolo
abilitativo edilizio in sanatoria5.
La mappa dei ricorsi delle regioni e delle
istituzioni
La Costituzione indica, come conseguenza
alla invasione di campo da parte dello Stato
nelle competenze delle regioni, la
possibilità che le regioni promuovano
questione di legittimità costituzionale
dinanzi alla Corte costituzionale, di fatto
sollevata contro l’articolo 32 del Dl
269/2003, dalle Regioni Campania, Friuli
Venezia Giulia, Toscana, Umbria, Basilicata,
Emilia Romagna, Lazio e Marche.
Oltre le suddette eccezioni si richiama
anche la questione di legittimità
costituzionale sollevata in via incidentale
anche dal Tar Piemonte, da quello
dell’Emilia Romagna (sezione di Parma) e dal
Tribunale di Verona.
Le motivazioni addotte contro la legge
statale sono di varia natura:
- violazione delle competenze regionali:
l’edilizia rientra nel governo del
territorio, pertanto lo Stato può dettare
solo norme di principio e non di dettaglio;
- violazione del principio di uguaglianza
tra i cittadini;
- assenza dei requisiti di eccezionalità e
contingenza;
- limitato margine di manovra delle
autonomie regionali;
- violazione del principio di leale
collaborazione tra i diversi livelli di
governo.
Inoltre le regioni ricorrenti, in subordine,
prospettano alcune doglianze rivolte nei
confronti di specifiche disposizioni
dell’art. 32 impugnato, in particolare
l’illegittimità costituzionale:
- del comma 26, lettera a), nella parte in
cui subordina alla legge regionale la
sanabilità degli abusi minori in zone non
vincolate, mentre sottrae alla decisione
regionale gli abusi maggiori e gli abusi
minori in zone vincolate;
- del comma 37, nella parte in cui prevede
la formazione del silenzio-assenso nei
confronti delle istanze di sanatoria;
Nella mappa dei ricorsi si rileva anche
quello della Presidenza del Consiglio contro
le leggi con cui Friuli Venezia Giulia,
Toscana, Marche ed Emilia Romagna hanno
bloccato gli effetti amministrativi del
condono.
Infine, il conflitto di attribuzioni
sollevato dallo Stato nei confronti della
delibera con cui la Regione Campania ha
vietato la sanatoria sul proprio territorio.
Le sentenze della Corte costituzionale
Con le sentenze 196, 198, 199 e la ordinanza
197 depositate in data 28 giugno 2004, la
Corte costituzionale si è pronunciata sulla
questione di legittimità della legge sul
condono edilizio sollevata dalle regioni,
nonché sui ricorsi con cui la Presidenza del
Consiglio ha sollevato la questione di
legittimità costituzionale avverso le norme
regionali che statuiscono la non
applicazione nel proprio territorio di
disposizioni dello Stato.
Vediamo sinteticamente i contenuti delle
sentenze.
Sentenza 28.6.2004, n. 196
Questione di legittimità costituzionale
dell’art. 32 del Dl 269/2003
Ricorso delle Regioni Campania, Friuli
Venezia Giulia, Toscana, Umbria, Basilicata,
Emilia Romagna, Lazio e Marche
La Corte costituzionale dichiara la parziale
illegittimità costituzionale dell’art. 32
del Dl 269/2003 nel testo originario e in
quello risultante dalla legge di conversione
326/2003, limitatamente:
- al comma 25, nella parte in cui non
prevede che la legge regionale di cui al
comma 26 possa determinare limiti
volumetrici inferiori a quelli ivi indicati;
- al comma 26, nella parte in cui non
prevede che la legge regionale possa
determinare la possibilità, le condizioni e
le modalità per l’ammissibilità a sanatoria
di tutte le tipologie di abuso edilizio di
cui all’allegato 1;
- al comma 14, nella parte in cui non
prevede il rispetto della Lr di cui al comma
26;
- al comma 33, nella parte in cui prevede le
parole “entro sessanta giorni dalla data di
entrata in vigore del presente decreto”
anziché le parole “tramite la legge di cui
al comma 26”;
- al comma 37, nella parte in cui non
prevede che la Lr di cui al comma 26 possa
disciplinare diversamente gli effetti del
prolungato silenzio del comune;
- al comma 38, nella parte in cui prevede
che sia l’allegato 1 dello stesso Dl
269/2003, anziché la Lr di cui al comma 26,
a determinare la misura dell’anticipazione
degli oneri concessori, nonché le relative
modalità di versamento;
- nella parte in cui non prevede che la Lr
di cui al comma 26 debba essere emanata
entro un congruo termine da stabilirsi dalla
legge statale;
- al comma 49 ter;
- inoltre dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’allegato 1, nella parte
in cui determina la misura
dell’anticipazione degli oneri concessori e
le relative modalità di versamento.
Con la sentenza 196, la Consulta evidenzia
come l’art. 32 del Dl 269/2003 riserva alle
regioni ambiti di intervento assai ristretti
ed entro termini molto esigui, malgrado
l’intervenuto accrescimento dei loro poteri
in conseguenza della recente riforma della
Costituzione (Titolo V, parte II).
Dalla sentenza emerge che la legge statale
che ha reso applicabile il condono risulta
illegittima nella parte in cui non ha
previsto limiti, criteri e modalità cui le
amministrazioni regionali avrebbero dovuto
attenersi nell’applicare sul proprio
territorio la manovra del condono. In altri
termini lo Stato redige la norma a livello
nazionale, che contiene i principi generali
della manovra che intende realizzare, e alle
regioni spetta il potere di adeguare le
disposizioni al proprio territorio.
La Consulta, riconoscendo il ruolo
legislativo delle regioni nella attuazione
della legge sul condono edilizio sancisce:
“… il legislatore nazionale dovrà provvedere
a ridefinire i termini previsti, per gli
interessati, nei commi 15 e 32 dell’art. 32,
nonché nell’allegato 1 … é peraltro evidente
che la facoltà degli interessati di
presentare la domanda di condono dovrà
essere esercitabile in un termine
ragionevole a partire dalla scadenza del
termine ultimo posto alle regioni per
l’esercizio del loro potere legislativo.
In considerazione della particolare
struttura del condono edilizio straordinario
qui esaminato, che presuppone un’accentuata
integrazione fra il legislatore statale e i
legislatori regionali, l’adozione della
legislazione da parte delle regioni appare
non solo opportuna, ma doverosa e da
esercitare entro il termine determinato dal
legislatore nazionale …”.
Inoltre la sentenza precisa che,
nell’ipotesi che una regione o provincia
autonoma non eserciti il proprio potere
legislativo in materia nel termine massimo
prescritto (nella legge statale a emanarsi),
trova applicazione, in via sostitutiva, la
disciplina statale.
|
1 |
Ordinanza 28.6.2004, n. 197
Questione di legittimità costituzionale
dell’art. 32 del Dl 269/2003 – Ricorso dei
Tar
La Corte costituzionale, per la parziale
coincidenza delle censure proposte dai
Tar con quelle sollevate da diverse
regioni, decide la riunione dei giudizi
richiamando la sentenza 196 con cui ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale
parziale della normativa impugnata.
Sentenza 28.6.2004, n. 198
Ricorso della Presidenza del consiglio
contro le leggi regionali del Friuli Venezia
Giulia, Toscana, Marche ed Emilia Romagna
La Corte costituzionale dichiara
l’illegittimità costituzionale:
- della legge della Regione Toscana 4
dicembre 2003, n. 55;
- della legge della Regione Friuli Venezia
Giulia, 11 dicembre 2003, n. 22;
- dell’art. 4 della legge della Regione
Marche, 23 dicembre 2003, n. 29;
- della legge della Regione Emilia Romagna,
16 gennaio 2004, n. 1.
Così motiva la sentenza “… Ciò che è
implicitamente escluso dal sistema
costituzionale è che il legislatore
regionale (così come il legislatore statale
rispetto alle leggi regionali) utilizzi la
potestà legislativa allo scopo di rendere
inapplicabile nel proprio territorio una
legge dello Stato che ritenga
costituzionalmente illegittima, se non
addirittura solo dannosa o inopportuna,
anziché agire in giudizio dinanzi alla Corte
costituzionale, ai sensi dell’art. 127 Cost.
Dunque né lo Stato né le regioni possono
pretendere, al di fuori delle procedure
previste da disposizioni costituzionali, di
risolvere direttamente gli eventuali
conflitti tra i rispettivi atti legislativi
tramite proprie disposizioni di legge …”.
Di fatto le leggi regionali impugnate non si
limitano ad adottare una legislazione più
restrittiva della sanatoria edilizia, o
parzialmente diversa rispetto a quanto
previsto dall’art. 32 del nuovo condono
edilizio ma negano in assoluto la
possibilità di applicare la sanatoria
edilizia statale di tipo straordinario nel
territorio regionale.
Sentenza 28.6.2004, n. 199
Ricorso del Presidente del consiglio per
conflitto di attribuzioni contro la
deliberazione della Giunta della Regione
Campania 30 settembre 2003, n. 2827
La Corte costituzionale, con motivazioni
analoghe a quelle della suddetta sentenza
198, annulla la deliberazione della Giunta
della Regione Campania 30 settembre 2003, n.
2827 (Integrazione alle linee guida per la
pianificazione territoriale regionale in
Campania, di cui alla delibera di Giunta
regionale n. 4459 del 30.9.2002, in materia
di sanatoria degli abusi edilizi),
dichiarando che non spetta alla Regione
Campania adottare un atto con il quale si
nega efficacia, all’interno del proprio
territorio, ad un atto legislativo dello
Stato.
L’adeguamento alle sentenze della Corte
costituzionale
In esecuzione della sentenza della Corte
costituzionale del 28 giugno 2004, n. 196,
il governo ha emanato il Dl 12 luglio 2004,
n. 168, convertito nella legge 30 luglio
2004, n. 191, con cui stabilisce un termine
di quattro mesi (dall’entrata in vigore del
decreto) entro cui le regioni possono
emanare la legge regionale per adeguare la
legge di sanatoria al proprio territorio.
Le nuove domande di condono potranno essere
presentate tra l’11 novembre 2004 e il 10
dicembre 2004.
Il 12 novembre 2004 scade il termine entro
cui le regioni dovranno legiferare in tema
di condono.
Per le regioni che entro tale termine non
avranno approvato la legge regionale varrà
la disciplina nazionale espressa dal Dl
269/2003 con le modifiche apportate dalle
sentenze della Corte costituzionale.
Allo stato attuale, diverse regioni hanno
già disciplinato la materia del condono in
linea con le direttive della Consulta, altre
sono ancora in una fase di predisposizione
del disegno di legge, si registra, comunque,
nei governi locali, l’orientamento
prevalente verso norme molto più restrittive
rispetto alla legge nazionale per
ridimensionare il più possibile il raggio
d’azione del condono (Tabella 1).
Note
1 Per ciò
che riguarda l’art. 117 Cost., la Corte
costituzionale ha chiarito, con le sentenze
nn. 303 e 362 del 2003, che nei settori
dell’urbanistica e dell’edilizia i poteri
legislativi regionali sono senz’altro
ascrivibili alla nuova competenza di tipo
concorrente in tema di governo del
territorio.
2 La Corte
costituzionale, con sentenza 28 giugno 2004,
n. 196, ha dichiarato l’illegittimità del
comma 25 nella parte in cui non prevede che
la legge regionale possa determinare limiti
volumetrici inferiori a quelli ivi indicati.
3 Una
circolare del Ministero delle
infrastrutture, non ancora disponibile, che
fissa nuovi punti sull’applicabilità del
condono, preciserebbe il divieto di
condonare le nuove costruzioni non
residenziali.
4 La Corte
costituzionale, con sentenza 28 giugno 2004,
n. 196, ha dichiarato l’illegittimità del
comma 26 nella parte in cui non prevede che
la legge regionale possa determinare la
possibilità, le condizioni e le modalità per
l’ammissibilità a sanatoria di tutte le
tipologie di abuso edilizio di cui
all’allegato 1.
5 La Corte
costituzionale, con sentenza 28 giugno 2004,
n. 196, ha dichiarato, l’illegittimità del
comma 37, nella parte in cui non prevede che
la legge regionale possa disciplinare
diversamente gli effetti del prolungato
silenzio del comune.
La fotografia 1 è tratta da “Storia della
città. La città contemporanea”, di Leonardo
Benevolo, Editori Laterza, 1993.
Un quartiere di abitazioni abusive in
formazione, alla periferia di Lima |