I CARATTERI RECENTI DELLE TRASFORMAZIONI
TERRITORIALI
Bologna e la sua provincia rappresentano da
tempo una delle aree più dinamiche del
nostro paese; così anche l'Emilia Romagna si
è distinta in questi ultimi due decenni come
una delle regioni a maggior sviluppo
economico nei diversi settori produttivi,
dall'agricoltura al turismo, dall'industria
della piccole e media impresa alla logistica
e agli scambi commerciali.
Indubbiamente la sua posizione e la sua
progressiva trasformazione in un nodo
infrastrutturale strategico a livello
nazionale – vera cerniera dei collegamenti
tra il nord e il sud del paese – ne hanno
sostenuto la crescita, soprattutto come polo
internazionale per attività e funzioni di
livello superiore, che nel tempo sono
diventati un ulteriore motivo di sviluppo
del capoluogo e un motore per
l'urbanizzazione dei comuni della provincia:
dapprima con uno stiramento delle
attività lungo la Via Emilia, quindi con un
processo di lento ma progressivo dilagamento
nella pianura a nord del capoluogo, e poi,
con tempi e intensità diverse, nei corridoi
appenninici (verso sud), coinvolgendo i
diversi comuni in un processo di crescente
metropolizzazione dell'area.
La dinamica di crescita del territorio
bolognese dal dopoguerra ad oggi ha
registrato differenti fasi e ha segnato il
territorio con modalità e intensità
differenti. Ad una fase di concentrazione
residenziale e produttiva che si è tradotta
soprattutto in un progressivo ispessimento
della corona urbana del capoluogo in
continuità fisica con la periferia del primo
novecento, ad una fase di terziarizzazione
del centro storico, si è succeduta una fase
di crescita più ordinata della periferia
soprattutto per aree monofunzionali (i
grandi quartieri Peep, le aree industriali,
ecc.) e autosufficienti secondo le linee di
indirizzi della pianificazione comunale, che
al contempo – nel corso degli anni '70
soprattutto – promuoveva anche il recupero
del cento storico, in un processo divenuto
paradigmatico per l'urbanistica italiana.
Il processo di agglomerazione metropolitana,
però – nonostante dinamiche di crescita che
non registrano decrementi assimilabili ai
trend delle altre grandi aree metropolitane
del paese – mostra segni di indebolimento1,
non solo per lo sviluppo di altri poli
urbani (residenziali, industriali, terziari,
ecc.) di livello superiore lungo la Via
Emilia (Modena, in prima battuta) ma anche
per la rilevanza che iniziano ad assumere
centri di secondo livello interessati
(Imola, ad esempio) non solo da un
significativo sviluppo demografico, ma anche
dalla crescente domanda di localizzazione di
imprese e altre attività economiche2.
Ma è soprattutto lo sprawl di
abitanti e attività produttive a segnare la
nuova fase di trasformazione del territorio
bolognese, laddove, ad un comune che perde
progressivamente peso, si accompagna una
dispersione della residenza nei diversi
comuni della provincia (con pochi casi di
specializzazione, dopo la fase di sviluppo
dei comuni più prossimi al centro bolognese)
e delle attività industriali (che segnano
invece una preferenza per i comuni
strategicamente collocati in prossimità del
capoluogo, ma soprattutto in prossimità dei
principali punti di accesso alla grande
viabilità nazionale).
Va notato che nel corso degli anni '90, in
particolare, i processi economici che
interessano Bologna mostrano un forte
meccanismo di filtering-up che spinge
verso i comuni della provincia le attività
banali e di livello inferiore, mentre
tende a concentrare nel Comune di Bologna
tutte le attività (prevalentemente)
direzionali di maggior prestigio e livello,
incidendo sul valore dei suoli, facendo
pressione (e rendendo più aggressiva)
la domanda insediativa, favorendo processi
di espulsione e di congestione di un centro,
che ha mantenuto – almeno sino ad oggi –
elevati livelli di qualità ambientale.
Sia il mercato immobiliare di questi ultimi
anni (improntato su un'offerta abitativa di
una certa qualità complessiva), sia una
sostanziale buona pratica delle
amministrazioni nei comuni minori della
provincia ha fatto sì che i più recenti
processi insediativi (a esclusione di un
elevato consumo di suolo dettato
prevalentemente dall'incessante processo di
urbanizzazione e dalla diffusione di
particolari tipologie insediative richieste)
abbiano prodotto un tessuto urbanizzato –
per quanto frammentato – che si distingue –
in Italia, almeno – per i suoi elevati
standard di qualità e di dotazione di
servizi e attrezzature. D'altro canto, le
politiche di recupero non solo urbanistico
del centro storico, sia i processi di
valorizzazione del tessuto storico del
capoluogo come dei centri minori limitrofi
(interessati dall'esodo di abitanti e
attività da Bologna) hanno permesso la
formazione di ambiti di particolare qualità
e pregio. Ciò che sembra registrare invece
un progressivo degrado è la città
intermedia, fatta di quartieri
residenziali trascurati dalle politiche di
nuova urbanizzazione e dalle pratiche di
riqualificazione che sono state promosse nel
corso degli anni '90, costellata di vuoti
industriali e di nuovi vuoti che
si vanno producendo nel tessuto edilizio
esistente, costretta a subire il traffico e
la congestione – come tutte le funzioni
definite incompatibili espulse dal
centro storico. Alla debita scala
territoriale, stesso fenomeno sembra
prodursi nei comuni della provincia, laddove
i processi di nuova localizzazione saltano i
comuni della vecchia corona urbana
industriale fordista per spingersi
nell'appetita campagna (urbanizzata)
lasciando alle proprie spalle anche in
questo caso tutto quanto possa essere
considerato indesiderabile.
A questa diversa geografia della qualità
dell'urbanizzato, si sovrappongono i
tradizionali problemi di crescita della
città, in parte effetto del suo successo
economico (come la pressione insediativa,
l'elevato costo dei suoli e degli immobili,
la congestione di tutta la sua rete
infrastrutturale, a diverso modo con diversa
intensità impegnata da un traffico di
carattere internazionale, nazionale,
regionale e locale; gli impatti ambientali
determinati dalla concentrazione
metropolitana – dall'inquinamento acustico a
quello atmosferico a quello della falda – lo
smaltimento dei rifiuti, ecc.).
Bologna e la sua provincia, sino ad oggi,
hanno mostrato (anche grazie all'attivismo
regionale in tutti i diversi settori) una
sostanziale capacità di gestione dei diversi
problemi e delle emergenze ambientali
impostesi, ma negli ultimi anni lo sviluppo
dell'area metropolitana, soprattutto in
riferimento agli effetti degli squilibri
territoriali determinatesi nella provincia
(proprio per la macrocefalia del
capoluogo e contemporaneamente il
dilagamento sul territorio dei fenomeni
metropolitani), hanno imposto la necessità
di nuove strategie di intervento e di
controllo delle trasformazioni territoriali,
cercando di affrontare, anche in modo
innovativo, le nuove dinamiche metropolitane
e i problemi di governo che essi impongono.
Soprattutto con la consapevolezza che i
problemi del capoluogo e di tutta l'area
metropolitana non possano che essere
affrontati in una scala territoriale quanto
più ampia possibile (nei limiti imposti dal
nostro sistema amministrativo che anche
nell'area bolognese non ha favorito la
formazione della città metropolitana). Sulla
spinta della riforma della legge urbanistica
regionale (Lr 20/2000) è stato elaborato il
piano territoriale di coordinamento
provinciale di Bologna (Ptcp) avviato
agli inizi del 2001 e giunto
all'approvazione agli inizi del 2004, che si
distingue – nel rispetto di una tradizione
urbanistica che ha visto sempre Bologna
sperimentare nuovi e diversi strumenti per
un governo del territorio quanto più
pertinente – in un nuovo modello insediativo
metropolitano e nuovi strumenti di gestione,
come d'altronde dimostra la sua stessa
formazione e approvazione avvenute
attraverso un processo di concertazione
istituzionale che ha coinvolto le 60
amministrazioni comunali, che ne hanno
condiviso approccio e impostazioni.
A riprova del percorso cooperativo
perseguito dal piano e soprattutto del
tentativo di individuare forme più efficaci
di implementazione, grazie anche
all'introduzione di ulteriori disposizioni
regionali, il sostegno dato
dall'amministrazione provinciale anche alla
costituzione di associazioni di comuni (9
per l'esattezza al momento attuale), con lo
scopo di agevolare le politiche
amministrative intercomunali. Attualmente
già 4 associazioni di comuni (tutti i 23
comuni di pianura) stanno elaborando un
piano urbanistico in forma associata. In
particolare sono tutte le associazioni dei
comuni interessate dal nuovo tracciato
autostradale. A loro è richiesto di
pianificare dando corpo alle scelte
strategiche del Ptcp, declinandole rispetto
alle realtà territoriali interessate, in
coerenza con le prospettive di sviluppo
metropolitano: un esempio di come sia
possibile costruire in modo concertato e
condiviso un assetto territoriale che riesca
a risolvere annosi problemi dell'area
metropolitana, ma al contempo salvaguardare
interessi locali e preservare il territorio,
quale risorsa irriproducibile e preziosa.
Le scelte strategiche del Ptcp di Bologna
per un nuovo modello insediativo
metropolitano3
In seguito a studi e analisi che hanno
permesso una conoscenza approfondita dei
processi di profondo cambiamento
dell'assetto insediativo della provincia e
soprattutto hanno messo in evidenza forme e
caratteri delle relazioni determinatesi nel
territorio e soprattutto i diversi gradi di
integrazioni tra i diversi comuni della
provincia, il piano territoriale ha cercato
di sviluppare un modello
spaziale-insediativo adatto a governare le
nuove forme di metropolizzazione dell'area
bolognese.
Il modello insediativo proposto nasce
proprio dalla presa d'atto delle recenti
trasformazioni intercorse sul territorio
provinciale bolognese e dalla
considerazione, quindi, che l'evoluzione
tendenziale non crea nuove centralità, ma
dilata quelle esistenti, aumentando così
l'area della congestione e sprecando le
potenziali economie di agglomerazione che
potrebbero formarsi nei poli urbani minori
più periferici. Naturalmente, questi nuovi
luoghi centrali sono individuabili e
costruibili soltanto partendo da antiche
centralità, cioè ricercando, nel territorio
storico esterno all'agglomerato del
capoluogo, quanto rimane dei centri minori,
certamente indeboliti nei loro caratteri di
identità autonoma, ma non ancora appiattiti
nell'indistinto della periferia, e non
ancora travolti dall'ondata di piena
dell'espansione della metropoli.
Il piano territoriale per l'area
metropolitana bolognese ha dovuto
confrontarsi con i suddetti problemi, che
gli strumenti urbanistici comunali non sono
in grado di governare e risolvere
autonomamente. Il piano, in altre parole,
riconosce l'esistenza di tre parti del
territorio provinciale qualitativamente
diverse, che necessitano di politiche
differenziate, da far convergere
nell'obiettivo generale di un nuovo
equilibrio, di dimensioni più vaste.
Figura 1 - Immagine aerea notturna dell’area bolognese |
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L'area urbana centrale in cui si
concentrano le funzioni rare di
rilievo nazionale (l'aeroporto, la fiera,
l'università, i centri direzionali, i grandi
ospedali, le autostrade e le ferrovie) è
anche il luogo in cui, contestualmente, e
per conseguenza, peggiora la qualità
dell'aria, aumenta la presenza dei
city-users, mentre la popolazione
residente si riduce costantemente da ormai
tre decenni. Le infrastrutture per la
mobilità e la viabilità sono spesso al
collasso, mentre la continua urbanizzazione
di una parte molto pregiata del territorio
centrale (siamo sulle conoidi pedecollinari
e quindi su grandi falde acquifere) produce
conseguenze negative sul territorio di
pianura, provocando, tra l'altro, il
fenomeno della subsidenza e contribuendo
alla esondazione dei fiumi.
L'area del cosiddetto sfrangiamento
urbano è l'area della prima cintura ove
l'espansione edilizia, residenziale,
industriale, commerciale e terziaria per
molti versi è stata di tipo casuale,
diffusivo; qui lo sprawl insediativo
ha mostrato le sue più gravi patologie.
L'accessibilità verso il capoluogo può
avvenire solo con il mezzo privato su strade
fortemente congestionate. La collocazione
delle attività industriali e terziarie,
seppure concentrata in zone industriali
organizzate, mantiene un effetto altamente
negativo per la distribuzione delle merci
sulla rete stradale e un impatto ambientale
ancora troppo poco sostenibile. In quest'area
la qualità della vita, dallo scorso
decennio, è via via diminuita, al punto che
si registra anche una significativa perdita
di abitanti, che si trasferiscono nella
corona esterna, la seconda cintura.
L'area della corona esterna: la
pianura e la collina è il luogo, fino a non
molti anni fa considerato periferico,
in cui tuttavia lo sprawl già da
alcuni anni ha cominciato a manifestarsi. La
congestione viaria è arrivata fino ai comuni
della seconda cintura bolognese. Qui si sono
diffuse attività residenziali e industriali
provenienti dalla città. Questi territori
soffrono delle conseguenze ambientali delle
scelte compiute nell'area urbana centrale:
allagamenti per esondazione dei fiumi,
subsidenza, ecc. In questi comuni, i piccoli
centri abitati sono quelli che
percentualmente hanno visto negli ultimi 10
anni la maggiore crescita. Nonostante questi
centri siano anche parzialmente investiti
dal decentramento residenziale e industriale
bolognese, ciascuno di loro ha mantenuto
condizioni di sufficiente separazione fisica
rispetto all'estensione banalizzata delle
periferie e, pur in diverso grado, una
fisionomia ben individuabile, dovuta sia a
caratteri storici, sia a condizioni
di tenuta sociale ed economica
(presenza diversificata di floride funzioni
economiche, specifiche specializzazioni,
vivacità di offerta di funzioni urbane e di
servizio per un'utenza anche sovra-comunale;
non occasionale capacità di offrire eventi
culturali di attrazione).
A fronte di queste problematiche, il
fondamento progettuale del piano è impostato
su due parole chiave: policentrismo e
decentramento, che in altri termini vogliono
dire riorganizzazione e selezione. Su questi
due elementi ordinatori si è costruita una
politica territoriale basata prevalentemente
sulla selezione dei territori presso cui
attivare le politiche di sviluppo e di
riqualificazione: sono stati assegnati ruoli
differenti alle diverse parti del territorio
in relazione alle condizioni
infrastrutturali e ambientali presenti e
previste dal piano, talché ogni componente
territoriale concorra alla formazione di un
unico organismo capace di esprimere qualità,
creatività e dinamismo, coesione sociale e
solidarietà.
Figura 2 - Foto satellitare della Provincia di Bologna |
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Le politiche del piano
Lo sforzo principale del piano è stato
indubbiamente quello di riuscire a
individuare alcuni obiettivi generali e
univoci per tutto il territorio provinciale
e di cercare di convogliare verso di essi
obiettivi specifici, esigenze locali e
soprattutto le differenti politiche che la
plurisettorialità del piano comporta, come
d'altronde le differenti azioni che
caratteristiche morfologiche,
socio-economiche ed evolutive delle
componenti territoriali di una provincia
così eterogenea, richiedono puntualmente. Lo
sforzo costante negli anni di formazione del
piano, di confronto aperto con le
amministrazioni comunali e le altre
istituzioni che agiscono sul territorio è
stato quello di conservare una visione
unitaria del territorio provinciale
bolognese senza che questo si traducesse in
un appiattimento delle differenze, in una
forzata omogeneizzazione metropolitana e
contemporaneamente non si risolvesse in un
esercizio di ricomposizione e armonizzazione
di scelte particolaristiche.
In quest'ottica di resistenza alla possibile
frammentazione, comunque, le differenze
territoriali hanno imposto l'individuazione
di strategie differenziate per ambiti
territoriali che per più di qualche motivo,
emergenza e opportunità (e, come si vede
oggi, anche maggiore disponibilità alla
cooperazione inter-istituzionale per
l'attuazione delle indicazioni del piano)
richiedevano un complesso di scelte
profondamente diversificate.
Area centrale della conurbazione bolognese
Questa è la parte centrale della provincia,
è l'area del capoluogo e dei comuni a
stretto contatto fisico con esso, la parte
più dinamica, quella in cui risiede una
delle università più importanti d'Europa,
quella dove sono concentrate tutte le
funzioni metropolitane più importanti, dove
abitano circa 500.000 dei 900.000 abitanti
della provincia. Per quest'area il piano
indica politiche volte alla
riqualificazione urbana, e cioè
politiche che interrompano la fase
espansiva, preservando gli ultimi territori
rurali esistenti, per far sì che la città si
concentri in progetti urbani di
riconversione di aree dismesse industriali,
militari e ferroviarie. Politiche che
debbono avere al centro la qualità degli
spazi pubblici, del verde e dei servizi,
un'offerta residenziale a basso costo che
induca un ripopolamento della città (con
particolare attenzione all'offerta di case
per giovani coppie e studenti), ma anche
iniziative urbanistiche/progettuali pregiate
perché le funzioni previste non siano solo
quelle del massimo profitto economico, ma
anche quelle dell'eccellenza proprie di un
capoluogo di regione e di una città di
livello nazionale e internazionale, come è
Bologna. La non espansione di questa parte
centrale è anche dettata dalla necessità di
salvaguardare la ricarica delle falde
sotterranee affinché, attraverso la
salvaguardia dei suoli permeabili, si
interrompa il fenomeno della subsidenza.
Infine nell'area centrale vengono
salvaguardati i territori agricoli
peri-urbani, di pianura e collina, come
necessarie compensazioni ambientali della
densità urbana.
Aree di pianura, di collina e di pedecollina
Qui le politiche di sviluppo residenziale e
terziario sono concentrate in quei centri
abitati dove è presente sia il trasporto
pubblico su ferro di tipo metropolitano che
i principali servizi pubblici e privati.
Il territorio bolognese conta 220 centri
abitati. La selezione dei centri abitati per
il nuovo sviluppo insediativo vede il
servizio ferroviario metropolitano (Sfm)
come elemento ordinatore per il futuro
dell'area bolognese. L'Sfm, con le sue otto
linee ferroviarie e le 90 stazioni con treni
ogni 30 minuti, rappresenta la grande scelta
strategica di mobilità pubblica per l'intero
territorio bolognese.
Oltre al servizio di trasporto pubblico, è
richiesta anche una sufficiente dotazione
dei principali servizi alla persona affinché
un centro urbano possa candidarsi ad
assumere politiche di sviluppo insediativo.
È infatti evidente, oltre che
scientificamente dimostrato, che una delle
principali cause di aumento della mobilità è
costituita dagli spostamenti per la ricerca
dei servizi pubblici e privati (scuole
dell'obbligo e scuole superiori, ospedali,
centri sportivi, commercio, ecc.).
A fronte di queste due componenti
territoriali (trasporto pubblico e servizi),
il risultato è il seguente: di 220 centri
abitati sono circa 20 i centri che possono
espandersi in modo equilibrato
(perché dotati sia di una stazione dell'Sfm
che di servizi alla persona); per altri 30
centri abitati sono ammesse limitate
espansioni, mentre per i rimanenti 170 circa
è considerata conclusa la fase espansiva,
favorendo invece solo politiche di
consolidamento e riqualificazione urbana.
Lo sviluppo delle aree industriali e
terziarie
Anche per le aree industriali sono state
compiute scelte di selezione e di
riorganizzazione territoriale, fondate sul
sistema della mobilità e della rete stradale
in riferimento al tema del trasporto delle
merci.
Lo stato di forte congestione delle
autostrade che attraversano Bologna ha
indotto il Governo italiano, già da diverso
tempo, a prevedere il potenziamento in
sede del nastro stradale che attraversa
il capoluogo, da Casalecchio di Reno a S.
Lazzaro di Savena, e che ospita, sulla
stessa piattaforma, anche la tangenziale
della città, oltre che l'autostrada.
La Provincia di Bologna, in occasione della
redazione del Ptcp, ha trasformato il
potenziamento dell'autostrada, così come
proposto dallo Stato, in un progetto di
riorganizzazione territoriale per l'intera
area metropolitana.
Ritenendo errato il potenziamento in sede
dell'autostrada, perché fonte di
ulteriore congestione per l'area centrale
già fortemente provata a causa di un
continuo accentramento delle funzioni rare,
la soluzione proposta dalla provincia – e
condivisa da tutte le istituzioni locali e
dal Governo – è quella di collocare la nuova
autostrada nel territorio di pianura (a nord
del capoluogo), liberalizzandone l'attuale
sede per potenziare la tangenziale (che
passa così da quattro a otto corsie).
Su questa nuova arteria viaria il piano
compie, dunque, una scelta originata dalla
necessità di favorire il decentramento delle
industrie dell'area centrale offrendo loro
la possibilità di collocarsi in stretta
prossimità con la nuova arteria integrata
con la grande rete stradale nazionale e
internazionale.
Il Ptcp valuta quindi che delle attuali 190
zone industriali della provincia, solo 11
possiedano le caratteristiche di opportuna
collocazione rispetto alle sensibilità
ambientali e alla rete autostradale
prevista. A queste 11 aree, tutte esterne al
previsto semianello autostradale, viene data
la possibilità di accogliere le nuove quote
insediative di industria che qui vorrà
collocarsi. Queste 11 aree, proprio per la
loro rilevanza strategica, saranno inoltre
progettate con il preciso intento di
contenere l'impatto ambientale delle
attività produttive e del complesso delle
infrastrutture e strutture che comporranno
l'area stessa.
Per condividere le strategie del Ptcp e
realizzare gli obiettivi comuni
relativamente ai poli funzionali e agli
ambiti produttivi sovra-comunali, la
provincia dispone con i comuni e gli enti
interessati la sottoscrizione di specifici
accordi territoriali, strumenti di
negoziazione istituzionale previsti dalla
legge urbanistica regionale 20/2000. Il Ptcp
assegna agli accordi territoriali un alto
valore strategico per innescare processi di
cooperazione e co-pianificazione
intercomunale e metropolitana.
Gli accordi territoriali relativi agli
ambiti produttivi prevedono:
- la condivisione e la specificazione delle
politiche di crescita di attività produttive
da localizzare nei soli 14 ambiti
sovra-comunali di sviluppo;
- la costituzione di un fondo di
compensazione finanziaria, sulla base dei
principi della perequazione, per
riequilibrare fra i comuni aderenti la
distribuzione di risorse derivanti da oneri
di urbanizzazione e imposte fiscali;
- interventi infrastrutturali ambientali e
di mobilità per ottenere i requisiti di aree
ecologicamente attrezzate (interventi e
azioni per il risparmio idrico, per il
risparmio energetico, per la gestione
coordinata dei rifiuti industriali, per la
logistica delle merci e il trasporto
collettivo degli addetti, per la formazione
di spazi di mitigazione ambientale e reti
ecologiche).
Figura 3 - Assi generatori e trame insediative |
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Un nuovo modello di città europea
Non è possibile affermare certo che il piano
non abbia incontrato difficoltà: anzi,
numerosi sono stati i punti di conflitto su
alcune grandi scelte (ad esempio, il già
citato tracciato dell'autostrada o,
piuttosto il tracciato delle nuove linee di
trasporto pubblico nel capoluogo, la
localizzazione di alcune particolari
impianti e funzioni, ecc.), così come non si
può affermare che non ci siano state
resistenze alle scelte del piano, al ruolo a
volte invadente del piano nelle
politiche locali (o per gli impatti su
alcune politiche di settore costrette a
confrontarsi con la pianificazione
territoriale a lungo ignorata anche in
questo contesto fortunato!).
Nonostante il Ptcp sia stato concepito come
strumento di governance e il suo
processo di formazione sia avvenuto in tre
anni di costante rapporto con i sindaci e la
società civile, è possibile che molte delle
adesioni ricevute siano state, forse, solo
di tipo formale. Ad oggi cioè, non è dato
sapere quanti comuni siano disposti ad
assumere concretamente la sfida proposta dal
Ptcp.
Figura 4 - La rete del sistema ferroviario metropolitano |
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Ma alcuni contenuti del piano (soprattutto
su temi di particolare rilievo, come possono
essere la nuova espansione residenziale, le
localizzazioni di nuove attività produttive,
la realizzazione delle nuove infrastrutture,
la valorizzazione di alcuni ambiti naturali
anche integri ma poco conosciuti) concepiti
in un'ottica territoriale ampia e
soprattutto con un approccio strategico
votato a incrementare la competitività
dell'area (oltre alla loro ragionevolezza
per garantire una crescita sostenibile)
sembrano poter rappresentare la vera forza
dello strumento di governo del territorio e
l'elemento che favorirà non solo l'adesione
delle diverse amministrazioni alle sue
scelte, ma soprattutto le possibilità di
attuazione.
Il ruolo internazionale di Bologna, ma di
tutta la sua provincia coinvolta in un
processo di crescente
internazionalizzazione, e il confronto
costante non solo con le maggiori aree
metropolitane del paese ma dello stesso
continente; il primato determinato dal ruolo
amministrativo di Bologna e dalle valenze
uniche di alcune sue istituzioni, messo in
pericolo dalla congestione di funzioni della
città stessa; l'incessante sviluppo
economico degli ultimi anni costantemente
roso, però, dalla crescita aggressiva di
altri centri urbani (della stessa regione e
lungo lo stesso asse della Via Emilia) che
presentano qualità ambientali, vantaggi
localizzativi, fattori di sostegno economico
spesso migliori della provincia bolognese;
la crisi ambientale sempre prossima, per
quanto in parte scongiurata dalle numerose
politiche messe in atto negli ultimi anni
dalla regione, dalla provincia e da diversi
comuni dell'area; la fragilità
idro-geologica del territorio provinciale
aggravata dai processi di urbanizzazione e
di degrado degli usi del suolo: sono solo
alcune delle problematiche e delle sfide che
il territorio si trova ad affrontare nella
ricerca di un proprio sentiero di sviluppo,
ma anche nella ricerca di una sua
collocazione a livello continentale, già
conseguita per alcuni aspetti, ma da
conservare e rafforzare nella comparazione
con altre metropoli europee.
È certo – e diventa sempre più evidente –
che solo un'azione coordinata, condivisa e
soprattutto elaborata riuscendo a cogliere
le valenze competitive come le debolezze
strutturali del territorio nel suo complesso
può favorire un cammino verso l'affermazione
della realtà bolognese. Sulla condivisione
delle politiche quindi e sull'adesione
sostanziale dei comuni alle scelte del piano
si giocano i destini dello sviluppo
metropolitano e, se vogliamo, anche le reali
possibilità di prospettare un nuovo modello
di città europea per l'area
metropolitana bolognese.
Figura 5 - Le scelte strategiche del Ptcp di Bologna |
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Note
1
Da questo punto di vista, bisogna rilevare
che l’Emilia Romagna registra andamenti
contraddittori nel corso degli anni. Alle
fasi di sviluppo e crescita condivisa con il
resto del paese, ma con dinamiche più
contenute delle altre aree del nord e delle
aree metropolitane, l’Emilia Romagna ha
fatto registrare trend significativi di
crescita nel corso degli anni ’70 in linea
con altre regioni emergenti e del
nord-est, presentando però prima del Veneto
o della Toscana fenomeni di rallentamento
della crescita sino a segnare il passo in un
periodo di “relativa stagnazione, forse meno
avvertibile rispetto ad altre aree del
paese, ma non priva di conseguenze” (Monti
C., 1996, Emilia Romagna, in Clementi A.,
Dematteis G., Palermo P. C. (a cura di),
Le forme del territorio italiano,
Laterza, Bari). Dai dati dell’ultimo
censimento, però, è possibile rilevare come
l’asse della Via Emilia si mostri tra i più
dinamici della Pianura padana del nord del
paese, nel suo complesso, per quanto lungo
l’asse Bologna e la sua provincia non
presentino i valori più significativi
(rispetto per esempio a Modena o a Reggio
nell’Emilia e le aree di pianura delle loro
province, mentre continua in tutta la
regione il depauperamento demografico delle
aree montane appenniniche) e non siano più
l’area maggiormente interessata da flussi
migratori positivi.
2
“La Via Emilia, ed in specie il segmento
centrale strutturato delle città complete, è
stata guardata in passato in modo duplice se
non ambivalente: per un verso in guisa di un
nostalgico romanticismo volto a celebrare il
passato di una mesopoli unica nel proprio
armonioso equilibrio e nel modello di
generazione spaziale, fonte, come tale,
dell’identità regionale; per l’altro verso
sottolineando l’ostilità verso le tendenze
agglomerative in essa agenti e la ricerca di
assi ed aree alternative di sviluppo. I
processi (e le politiche) che hanno occupato
il tempo dagli anni ’30 ai giorni nostri
hanno prodotto un risultato composito: da un
lato sono procedute, malgré tout, le
tendenze agglomerative sull’asta centrale,
dall’altro lato si è aggiunto lo sprawl
urbano che ha trasformato la regione,
dato anche il suo livello parossistico di
motorizzazione, sul tipo di una grande Los
Angeles cispadana” (Anderlini F., 2003,
Dopo l’urbanizzazione. Sprawl suburbano e
dinamica sociale. Bologna ed altre metropoli,
Clueb, Bologna, p. 137).
3
Questo e il successivo paragrafo sono
ripresi, con adattamenti e modifiche, da:
Cavalcoli P., Le scelte strategiche del
Piano Territoriale di Coordinamento della
Provincia di Bologna, in “IV Rassegna di
Urbanistica Nazionale”, Catalogo della
mostra, Inu Edizioni, Roma, 2004; AAVV,
La metropolizaciò de l’Emilia-Romanya,
in AAVV, “L’Explosiò de la ciutat”, Coac,
Forum Universal de les Cultures, Barcelona,
2004.
L’articolo è il frutto di un lavoro di
riflessione comune degli autori; sono,
comunque, da attribuire a Michelangelo
Savino i paragrafi 1 e 4, mentre a Marco
Guerzoni i paragrafi 2 e 3, questi ultimi
ripresi da testi, interventi e scritti,
condivisi con Piero Cavalcoli e Alessandro
Delpiano. |