Numero 8/9 - 2004

 

le aree metropolitane 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bologna e le strategie per il governo dei fenomeni metropolitani


Marco Guerzoni

Michelangelo Savino


 

Anche nell’area bolognese si registra un cambiamento dell’assetto insediativo che, con tempi e modalità diverse, ha coinvolto i comuni della provincia in un processo di crescente metropolizzazione. Marco Guerzoni e Michelangelo Savino descrivono le scelte strategiche del Ptc di Bologna che ha cercato di sviluppare, in considerazione delle recenti trasformazioni del territorio, un nuovo modello spaziale-insediativo atto a governare le nuove forme di metropolizzazione dell’area

 

 

 

 

 

 

I CARATTERI RECENTI DELLE TRASFORMAZIONI TERRITORIALI

Bologna e la sua provincia rappresentano da tempo una delle aree più dinamiche del nostro paese; così anche l'Emilia Romagna si è distinta in questi ultimi due decenni come una delle regioni a maggior sviluppo economico nei diversi settori produttivi, dall'agricoltura al turismo, dall'industria della piccole e media impresa alla logistica e agli scambi commerciali.

Indubbiamente la sua posizione e la sua progressiva trasformazione in un nodo infrastrutturale strategico a livello nazionale – vera cerniera dei collegamenti tra il nord e il sud del paese – ne hanno sostenuto la crescita, soprattutto come polo internazionale per attività e funzioni di livello superiore, che nel tempo sono diventati un ulteriore motivo di sviluppo del capoluogo e un motore per l'urbanizzazione dei comuni della provincia: dapprima con uno stiramento delle attività lungo la Via Emilia, quindi con un processo di lento ma progressivo dilagamento nella pianura a nord del capoluogo, e poi, con tempi e intensità diverse, nei corridoi appenninici (verso sud), coinvolgendo i diversi comuni in un processo di crescente metropolizzazione dell'area.

La dinamica di crescita del territorio bolognese dal dopoguerra ad oggi ha registrato differenti fasi e ha segnato il territorio con modalità e intensità differenti. Ad una fase di concentrazione residenziale e produttiva che si è tradotta soprattutto in un progressivo ispessimento della corona urbana del capoluogo in continuità fisica con la periferia del primo novecento, ad una fase di terziarizzazione del centro storico, si è succeduta una fase di crescita più ordinata della periferia soprattutto per aree monofunzionali (i grandi quartieri Peep, le aree industriali, ecc.) e autosufficienti secondo le linee di indirizzi della pianificazione comunale, che al contempo – nel corso degli anni '70 soprattutto – promuoveva anche il recupero del cento storico, in un processo divenuto paradigmatico per l'urbanistica italiana.

Il processo di agglomerazione metropolitana, però – nonostante dinamiche di crescita che non registrano decrementi assimilabili ai trend delle altre grandi aree metropolitane del paese – mostra segni di indebolimento1, non solo per lo sviluppo di altri poli urbani (residenziali, industriali, terziari, ecc.) di livello superiore lungo la Via Emilia (Modena, in prima battuta) ma anche per la rilevanza che iniziano ad assumere centri di secondo livello interessati (Imola, ad esempio) non solo da un significativo sviluppo demografico, ma anche dalla crescente domanda di localizzazione di imprese e altre attività economiche2. Ma è soprattutto lo sprawl di abitanti e attività produttive a segnare la nuova fase di trasformazione del territorio bolognese, laddove, ad un comune che perde progressivamente peso, si accompagna una dispersione della residenza nei diversi comuni della provincia (con pochi casi di specializzazione, dopo la fase di sviluppo dei comuni più prossimi al centro bolognese) e delle attività industriali (che segnano invece una preferenza per i comuni strategicamente collocati in prossimità del capoluogo, ma soprattutto in prossimità dei principali punti di accesso alla grande viabilità nazionale).

Va notato che nel corso degli anni '90, in particolare, i processi economici che interessano Bologna mostrano un forte meccanismo di filtering-up che spinge verso i comuni della provincia le attività banali e di livello inferiore, mentre tende a concentrare nel Comune di Bologna tutte le attività (prevalentemente) direzionali di maggior prestigio e livello, incidendo sul valore dei suoli, facendo pressione (e rendendo più aggressiva) la domanda insediativa, favorendo processi di espulsione e di congestione di un centro, che ha mantenuto – almeno sino ad oggi – elevati livelli di qualità ambientale.

Sia il mercato immobiliare di questi ultimi anni (improntato su un'offerta abitativa di una certa qualità complessiva), sia una sostanziale buona pratica delle amministrazioni nei comuni minori della provincia ha fatto sì che i più recenti processi insediativi (a esclusione di un elevato consumo di suolo dettato prevalentemente dall'incessante processo di urbanizzazione e dalla diffusione di particolari tipologie insediative richieste) abbiano prodotto un tessuto urbanizzato – per quanto frammentato – che si distingue – in Italia, almeno – per i suoi elevati standard di qualità e di dotazione di servizi e attrezzature. D'altro canto, le politiche di recupero non solo urbanistico del centro storico, sia i processi di valorizzazione del tessuto storico del capoluogo come dei centri minori limitrofi (interessati dall'esodo di abitanti e attività da Bologna) hanno permesso la formazione di ambiti di particolare qualità e pregio. Ciò che sembra registrare invece un progressivo degrado è la città intermedia, fatta di quartieri residenziali trascurati dalle politiche di nuova urbanizzazione e dalle pratiche di riqualificazione che sono state promosse nel corso degli anni '90, costellata di vuoti industriali e di nuovi vuoti che si vanno producendo nel tessuto edilizio esistente, costretta a subire il traffico e la congestione – come tutte le funzioni definite incompatibili espulse dal centro storico. Alla debita scala territoriale, stesso fenomeno sembra prodursi nei comuni della provincia, laddove i processi di nuova localizzazione saltano i comuni della vecchia corona urbana industriale fordista per spingersi nell'appetita campagna (urbanizzata) lasciando alle proprie spalle anche in questo caso tutto quanto possa essere considerato indesiderabile.

A questa diversa geografia della qualità dell'urbanizzato, si sovrappongono i tradizionali problemi di crescita della città, in parte effetto del suo successo economico (come la pressione insediativa, l'elevato costo dei suoli e degli immobili, la congestione di tutta la sua rete infrastrutturale, a diverso modo con diversa intensità impegnata da un traffico di carattere internazionale, nazionale, regionale e locale; gli impatti ambientali determinati dalla concentrazione metropolitana – dall'inquinamento acustico a quello atmosferico a quello della falda – lo smaltimento dei rifiuti, ecc.).

Bologna e la sua provincia, sino ad oggi, hanno mostrato (anche grazie all'attivismo regionale in tutti i diversi settori) una sostanziale capacità di gestione dei diversi problemi e delle emergenze ambientali impostesi, ma negli ultimi anni lo sviluppo dell'area metropolitana, soprattutto in riferimento agli effetti degli squilibri territoriali determinatesi nella provincia (proprio per la macrocefalia del capoluogo e contemporaneamente il dilagamento sul territorio dei fenomeni metropolitani), hanno imposto la necessità di nuove strategie di intervento e di controllo delle trasformazioni territoriali, cercando di affrontare, anche in modo innovativo, le nuove dinamiche metropolitane e i problemi di governo che essi impongono.

Soprattutto con la consapevolezza che i problemi del capoluogo e di tutta l'area metropolitana non possano che essere affrontati in una scala territoriale quanto più ampia possibile (nei limiti imposti dal nostro sistema amministrativo che anche nell'area bolognese non ha favorito la formazione della città metropolitana). Sulla spinta della riforma della legge urbanistica regionale (Lr 20/2000) è stato elaborato il piano territoriale di coordinamento provinciale di Bologna (Ptcp) avviato agli inizi del 2001 e giunto all'approvazione agli inizi del 2004, che si distingue – nel rispetto di una tradizione urbanistica che ha visto sempre Bologna sperimentare nuovi e diversi strumenti per un governo del territorio quanto più pertinente – in un nuovo modello insediativo metropolitano e nuovi strumenti di gestione, come d'altronde dimostra la sua stessa formazione e approvazione avvenute attraverso un processo di concertazione istituzionale che ha coinvolto le 60 amministrazioni comunali, che ne hanno condiviso approccio e impostazioni.

A riprova del percorso cooperativo perseguito dal piano e soprattutto del tentativo di individuare forme più efficaci di implementazione, grazie anche all'introduzione di ulteriori disposizioni regionali, il sostegno dato dall'amministrazione provinciale anche alla costituzione di associazioni di comuni (9 per l'esattezza al momento attuale), con lo scopo di agevolare le politiche amministrative intercomunali. Attualmente già 4 associazioni di comuni (tutti i 23 comuni di pianura) stanno elaborando un piano urbanistico in forma associata. In particolare sono tutte le associazioni dei comuni interessate dal nuovo tracciato autostradale. A loro è richiesto di pianificare dando corpo alle scelte strategiche del Ptcp, declinandole rispetto alle realtà territoriali interessate, in coerenza con le prospettive di sviluppo metropolitano: un esempio di come sia possibile costruire in modo concertato e condiviso un assetto territoriale che riesca a risolvere annosi problemi dell'area metropolitana, ma al contempo salvaguardare interessi locali e preservare il territorio, quale risorsa irriproducibile e preziosa.

 

 

Le scelte strategiche del Ptcp di Bologna per un nuovo modello insediativo metropolitano3

 

In seguito a studi e analisi che hanno permesso una conoscenza approfondita dei processi di profondo cambiamento dell'assetto insediativo della provincia e soprattutto hanno messo in evidenza forme e caratteri delle relazioni determinatesi nel territorio e soprattutto i diversi gradi di integrazioni tra i diversi comuni della provincia, il piano territoriale ha cercato di sviluppare un modello spaziale-insediativo adatto a governare le nuove forme di metropolizzazione dell'area bolognese.

Il modello insediativo proposto nasce proprio dalla presa d'atto delle recenti trasformazioni intercorse sul territorio provinciale bolognese e dalla considerazione, quindi, che l'evoluzione tendenziale non crea nuove centralità, ma dilata quelle esistenti, aumentando così l'area della congestione e sprecando le potenziali economie di agglomerazione che potrebbero formarsi nei poli urbani minori più periferici. Naturalmente, questi nuovi luoghi centrali sono individuabili e costruibili soltanto partendo da antiche centralità, cioè ricercando, nel territorio storico esterno all'agglomerato del capoluogo, quanto rimane dei centri minori, certamente indeboliti nei loro caratteri di identità autonoma, ma non ancora appiattiti nell'indistinto della periferia, e non ancora travolti dall'ondata di piena dell'espansione della metropoli.

Il piano territoriale per l'area metropolitana bolognese ha dovuto confrontarsi con i suddetti problemi, che gli strumenti urbanistici comunali non sono in grado di governare e risolvere autonomamente. Il piano, in altre parole, riconosce l'esistenza di tre parti del territorio provinciale qualitativamente diverse, che necessitano di politiche differenziate, da far convergere nell'obiettivo generale di un nuovo equilibrio, di dimensioni più vaste.

Figura 1 - Immagine aerea notturna dell’area bolognese

  

L'area urbana centrale in cui si concentrano le funzioni rare di rilievo nazionale (l'aeroporto, la fiera, l'università, i centri direzionali, i grandi ospedali, le autostrade e le ferrovie) è anche il luogo in cui, contestualmente, e per conseguenza, peggiora la qualità dell'aria, aumenta la presenza dei city-users, mentre la popolazione residente si riduce costantemente da ormai tre decenni. Le infrastrutture per la mobilità e la viabilità sono spesso al collasso, mentre la continua urbanizzazione di una parte molto pregiata del territorio centrale (siamo sulle conoidi pedecollinari e quindi su grandi falde acquifere) produce conseguenze negative sul territorio di pianura, provocando, tra l'altro, il fenomeno della subsidenza e contribuendo alla esondazione dei fiumi.

L'area del cosiddetto sfrangiamento urbano è l'area della prima cintura ove l'espansione edilizia, residenziale, industriale, commerciale e terziaria per molti versi è stata di tipo casuale, diffusivo; qui lo sprawl insediativo ha mostrato le sue più gravi patologie. L'accessibilità verso il capoluogo può avvenire solo con il mezzo privato su strade fortemente congestionate. La collocazione delle attività industriali e terziarie, seppure concentrata in zone industriali organizzate, mantiene un effetto altamente negativo per la distribuzione delle merci sulla rete stradale e un impatto ambientale ancora troppo poco sostenibile. In quest'area la qualità della vita, dallo scorso decennio, è via via diminuita, al punto che si registra anche una significativa perdita di abitanti, che si trasferiscono nella corona esterna, la seconda cintura.

L'area della corona esterna: la pianura e la collina è il luogo, fino a non molti anni fa considerato periferico, in cui tuttavia lo sprawl già da alcuni anni ha cominciato a manifestarsi. La congestione viaria è arrivata fino ai comuni della seconda cintura bolognese. Qui si sono diffuse attività residenziali e industriali provenienti dalla città. Questi territori soffrono delle conseguenze ambientali delle scelte compiute nell'area urbana centrale: allagamenti per esondazione dei fiumi, subsidenza, ecc. In questi comuni, i piccoli centri abitati sono quelli che percentualmente hanno visto negli ultimi 10 anni la maggiore crescita. Nonostante questi centri siano anche parzialmente investiti dal decentramento residenziale e industriale bolognese, ciascuno di loro ha mantenuto condizioni di sufficiente separazione fisica rispetto all'estensione banalizzata delle periferie e, pur in diverso grado, una fisionomia ben individuabile, dovuta sia a caratteri storici, sia a condizioni di tenuta sociale ed economica (presenza diversificata di floride funzioni economiche, specifiche specializzazioni, vivacità di offerta di funzioni urbane e di servizio per un'utenza anche sovra-comunale; non occasionale capacità di offrire eventi culturali di attrazione).

A fronte di queste problematiche, il fondamento progettuale del piano è impostato su due parole chiave: policentrismo e decentramento, che in altri termini vogliono dire riorganizzazione e selezione. Su questi due elementi ordinatori si è costruita una politica territoriale basata prevalentemente sulla selezione dei territori presso cui attivare le politiche di sviluppo e di riqualificazione: sono stati assegnati ruoli differenti alle diverse parti del territorio in relazione alle condizioni infrastrutturali e ambientali presenti e previste dal piano, talché ogni componente territoriale concorra alla formazione di un unico organismo capace di esprimere qualità, creatività e dinamismo, coesione sociale e solidarietà.

 

Figura 2 - Foto satellitare della Provincia di Bologna

  

 

Le politiche del piano

 

Lo sforzo principale del piano è stato indubbiamente quello di riuscire a individuare alcuni obiettivi generali e univoci per tutto il territorio provinciale e di cercare di convogliare verso di essi obiettivi specifici, esigenze locali e soprattutto le differenti politiche che la plurisettorialità del piano comporta, come d'altronde le differenti azioni che caratteristiche morfologiche, socio-economiche ed evolutive delle componenti territoriali di una provincia così eterogenea, richiedono puntualmente. Lo sforzo costante negli anni di formazione del piano, di confronto aperto con le amministrazioni comunali e le altre istituzioni che agiscono sul territorio è stato quello di conservare una visione unitaria del territorio provinciale bolognese senza che questo si traducesse in un appiattimento delle differenze, in una forzata omogeneizzazione metropolitana e contemporaneamente non si risolvesse in un esercizio di ricomposizione e armonizzazione di scelte particolaristiche.

In quest'ottica di resistenza alla possibile frammentazione, comunque, le differenze territoriali hanno imposto l'individuazione di strategie differenziate per ambiti territoriali che per più di qualche motivo, emergenza e opportunità (e, come si vede oggi, anche maggiore disponibilità alla cooperazione inter-istituzionale per l'attuazione delle indicazioni del piano) richiedevano un complesso di scelte profondamente diversificate.

 

Area centrale della conurbazione bolognese

 

Questa è la parte centrale della provincia, è l'area del capoluogo e dei comuni a stretto contatto fisico con esso, la parte più dinamica, quella in cui risiede una delle università più importanti d'Europa, quella dove sono concentrate tutte le funzioni metropolitane più importanti, dove abitano circa 500.000 dei 900.000 abitanti della provincia. Per quest'area il piano indica politiche volte alla riqualificazione urbana, e cioè politiche che interrompano la fase espansiva, preservando gli ultimi territori rurali esistenti, per far sì che la città si concentri in progetti urbani di riconversione di aree dismesse industriali, militari e ferroviarie. Politiche che debbono avere al centro la qualità degli spazi pubblici, del verde e dei servizi, un'offerta residenziale a basso costo che induca un ripopolamento della città (con particolare attenzione all'offerta di case per giovani coppie e studenti), ma anche iniziative urbanistiche/progettuali pregiate perché le funzioni previste non siano solo quelle del massimo profitto economico, ma anche quelle dell'eccellenza proprie di un capoluogo di regione e di una città di livello nazionale e internazionale, come è Bologna. La non espansione di questa parte centrale è anche dettata dalla necessità di salvaguardare la ricarica delle falde sotterranee affinché, attraverso la salvaguardia dei suoli permeabili, si interrompa il fenomeno della subsidenza. Infine nell'area centrale vengono salvaguardati i territori agricoli peri-urbani, di pianura e collina, come necessarie compensazioni ambientali della densità urbana.

 

Aree di pianura, di collina e di pedecollina

 

Qui le politiche di sviluppo residenziale e terziario sono concentrate in quei centri abitati dove è presente sia il trasporto pubblico su ferro di tipo metropolitano che i principali servizi pubblici e privati.

Il territorio bolognese conta 220 centri abitati. La selezione dei centri abitati per il nuovo sviluppo insediativo vede il servizio ferroviario metropolitano (Sfm) come elemento ordinatore per il futuro dell'area bolognese. L'Sfm, con le sue otto linee ferroviarie e le 90 stazioni con treni ogni 30 minuti, rappresenta la grande scelta strategica di mobilità pubblica per l'intero territorio bolognese.

Oltre al servizio di trasporto pubblico, è richiesta anche una sufficiente dotazione dei principali servizi alla persona affinché un centro urbano possa candidarsi ad assumere politiche di sviluppo insediativo. È infatti evidente, oltre che scientificamente dimostrato, che una delle principali cause di aumento della mobilità è costituita dagli spostamenti per la ricerca dei servizi pubblici e privati (scuole dell'obbligo e scuole superiori, ospedali, centri sportivi, commercio, ecc.).

A fronte di queste due componenti territoriali (trasporto pubblico e servizi), il risultato è il seguente: di 220 centri abitati sono circa 20 i centri che possono espandersi in modo equilibrato (perché dotati sia di una stazione dell'Sfm che di servizi alla persona); per altri 30 centri abitati sono ammesse limitate espansioni, mentre per i rimanenti 170 circa è considerata conclusa la fase espansiva, favorendo invece solo politiche di consolidamento e riqualificazione urbana.

 

Lo sviluppo delle aree industriali e terziarie

 

Anche per le aree industriali sono state compiute scelte di selezione e di riorganizzazione territoriale, fondate sul sistema della mobilità e della rete stradale in riferimento al tema del trasporto delle merci.

Lo stato di forte congestione delle autostrade che attraversano Bologna ha indotto il Governo italiano, già da diverso tempo, a prevedere il potenziamento in sede del nastro stradale che attraversa il capoluogo, da Casalecchio di Reno a S. Lazzaro di Savena, e che ospita, sulla stessa piattaforma, anche la tangenziale della città, oltre che l'autostrada.

La Provincia di Bologna, in occasione della redazione del Ptcp, ha trasformato il potenziamento dell'autostrada, così come proposto dallo Stato, in un progetto di riorganizzazione territoriale per l'intera area metropolitana.

Ritenendo errato il potenziamento in sede dell'autostrada, perché fonte di ulteriore congestione per l'area centrale già fortemente provata a causa di un continuo accentramento delle funzioni rare, la soluzione proposta dalla provincia – e condivisa da tutte le istituzioni locali e dal Governo – è quella di collocare la nuova autostrada nel territorio di pianura (a nord del capoluogo), liberalizzandone l'attuale sede per potenziare la tangenziale (che passa così da quattro a otto corsie).

Su questa nuova arteria viaria il piano compie, dunque, una scelta originata dalla necessità di favorire il decentramento delle industrie dell'area centrale offrendo loro la possibilità di collocarsi in stretta prossimità con la nuova arteria integrata con la grande rete stradale nazionale e internazionale.

Il Ptcp valuta quindi che delle attuali 190 zone industriali della provincia, solo 11 possiedano le caratteristiche di opportuna collocazione rispetto alle sensibilità ambientali e alla rete autostradale prevista. A queste 11 aree, tutte esterne al previsto semianello autostradale, viene data la possibilità di accogliere le nuove quote insediative di industria che qui vorrà collocarsi. Queste 11 aree, proprio per la loro rilevanza strategica, saranno inoltre progettate con il preciso intento di contenere l'impatto ambientale delle attività produttive e del complesso delle infrastrutture e strutture che comporranno l'area stessa.

Per condividere le strategie del Ptcp e realizzare gli obiettivi comuni relativamente ai poli funzionali e agli ambiti produttivi sovra-comunali, la provincia dispone con i comuni e gli enti interessati la sottoscrizione di specifici accordi territoriali, strumenti di negoziazione istituzionale previsti dalla legge urbanistica regionale 20/2000. Il Ptcp assegna agli accordi territoriali un alto valore strategico per innescare processi di cooperazione e co-pianificazione intercomunale e metropolitana.

Gli accordi territoriali relativi agli ambiti produttivi prevedono:

- la condivisione e la specificazione delle politiche di crescita di attività produttive da localizzare nei soli 14 ambiti sovra-comunali di sviluppo;

- la costituzione di un fondo di compensazione finanziaria, sulla base dei principi della perequazione, per riequilibrare fra i comuni aderenti la distribuzione di risorse derivanti da oneri di urbanizzazione e imposte fiscali;

- interventi infrastrutturali ambientali e di mobilità per ottenere i requisiti di aree ecologicamente attrezzate (interventi e azioni per il risparmio idrico, per il risparmio energetico, per la gestione coordinata dei rifiuti industriali, per la logistica delle merci e il trasporto collettivo degli addetti, per la formazione di spazi di mitigazione ambientale e reti ecologiche).

 

Figura 3 - Assi generatori e trame insediative

  

 

Un nuovo modello di città europea

 

Non è possibile affermare certo che il piano non abbia incontrato difficoltà: anzi, numerosi sono stati i punti di conflitto su alcune grandi scelte (ad esempio, il già citato tracciato dell'autostrada o, piuttosto il tracciato delle nuove linee di trasporto pubblico nel capoluogo, la localizzazione di alcune particolari impianti e funzioni, ecc.), così come non si può affermare che non ci siano state resistenze alle scelte del piano, al ruolo a volte invadente del piano nelle politiche locali (o per gli impatti su alcune politiche di settore costrette a confrontarsi con la pianificazione territoriale a lungo ignorata anche in questo contesto fortunato!). Nonostante il Ptcp sia stato concepito come strumento di governance e il suo processo di formazione sia avvenuto in tre anni di costante rapporto con i sindaci e la società civile, è possibile che molte delle adesioni ricevute siano state, forse, solo di tipo formale. Ad oggi cioè, non è dato sapere quanti comuni siano disposti ad assumere concretamente la sfida proposta dal Ptcp.

Figura 4 - La rete del sistema ferroviario metropolitano

  

Ma alcuni contenuti del piano (soprattutto su temi di particolare rilievo, come possono essere la nuova espansione residenziale, le localizzazioni di nuove attività produttive, la realizzazione delle nuove infrastrutture, la valorizzazione di alcuni ambiti naturali anche integri ma poco conosciuti) concepiti in un'ottica territoriale ampia e soprattutto con un approccio strategico votato a incrementare la competitività dell'area (oltre alla loro ragionevolezza per garantire una crescita sostenibile) sembrano poter rappresentare la vera forza dello strumento di governo del territorio e l'elemento che favorirà non solo l'adesione delle diverse amministrazioni alle sue scelte, ma soprattutto le possibilità di attuazione.

Il ruolo internazionale di Bologna, ma di tutta la sua provincia coinvolta in un processo di crescente internazionalizzazione, e il confronto costante non solo con le maggiori aree metropolitane del paese ma dello stesso continente; il primato determinato dal ruolo amministrativo di Bologna e dalle valenze uniche di alcune sue istituzioni, messo in pericolo dalla congestione di funzioni della città stessa; l'incessante sviluppo economico degli ultimi anni costantemente roso, però, dalla crescita aggressiva di altri centri urbani (della stessa regione e lungo lo stesso asse della Via Emilia) che presentano qualità ambientali, vantaggi localizzativi, fattori di sostegno economico spesso migliori della provincia bolognese; la crisi ambientale sempre prossima, per quanto in parte scongiurata dalle numerose politiche messe in atto negli ultimi anni dalla regione, dalla provincia e da diversi comuni dell'area; la fragilità idro-geologica del territorio provinciale aggravata dai processi di urbanizzazione e di degrado degli usi del suolo: sono solo alcune delle problematiche e delle sfide che il territorio si trova ad affrontare nella ricerca di un proprio sentiero di sviluppo, ma anche nella ricerca di una sua collocazione a livello continentale, già conseguita per alcuni aspetti, ma da conservare e rafforzare nella comparazione con altre metropoli europee.

È certo – e diventa sempre più evidente – che solo un'azione coordinata, condivisa e soprattutto elaborata riuscendo a cogliere le valenze competitive come le debolezze strutturali del territorio nel suo complesso può favorire un cammino verso l'affermazione della realtà bolognese. Sulla condivisione delle politiche quindi e sull'adesione sostanziale dei comuni alle scelte del piano si giocano i destini dello sviluppo metropolitano e, se vogliamo, anche le reali possibilità di prospettare un nuovo modello di città europea per l'area metropolitana bolognese.

 

Figura 5 - Le scelte strategiche del Ptcp di Bologna

  

 

Note

 

1 Da questo punto di vista, bisogna rilevare che l’Emilia Romagna registra andamenti contraddittori nel corso degli anni. Alle fasi di sviluppo e crescita condivisa con il resto del paese, ma con dinamiche più contenute delle altre aree del nord e delle aree metropolitane, l’Emilia Romagna ha fatto registrare trend significativi di crescita nel corso degli anni ’70 in linea con altre regioni emergenti e del nord-est, presentando però prima del Veneto o della Toscana fenomeni di rallentamento della crescita sino a segnare il passo in un periodo di “relativa stagnazione, forse meno avvertibile rispetto ad altre aree del paese, ma non priva di conseguenze” (Monti C., 1996, Emilia Romagna, in Clementi A., Dematteis G., Palermo P. C. (a cura di), Le forme del territorio italiano, Laterza, Bari). Dai dati dell’ultimo censimento, però, è possibile rilevare come l’asse della Via Emilia si mostri tra i più dinamici della Pianura padana del nord del paese, nel suo complesso, per quanto lungo l’asse Bologna e la sua provincia non presentino i valori più significativi (rispetto per esempio a Modena o a Reggio nell’Emilia e le aree di pianura delle loro province, mentre continua in tutta la regione il depauperamento demografico delle aree montane appenniniche) e non siano più l’area maggiormente interessata da flussi migratori positivi.

2 “La Via Emilia, ed in specie il segmento centrale strutturato delle città complete, è stata guardata in passato in modo duplice se non ambivalente: per un verso in guisa di un nostalgico romanticismo volto a celebrare il passato di una mesopoli unica nel proprio armonioso equilibrio e nel modello di generazione spaziale, fonte, come tale, dell’identità regionale; per l’altro verso sottolineando l’ostilità verso le tendenze agglomerative in essa agenti e la ricerca di assi ed aree alternative di sviluppo. I processi (e le politiche) che hanno occupato il tempo dagli anni ’30 ai giorni nostri hanno prodotto un risultato composito: da un lato sono procedute, malgré tout, le tendenze agglomerative sull’asta centrale, dall’altro lato si è aggiunto lo sprawl urbano che ha trasformato la regione, dato anche il suo livello parossistico di motorizzazione, sul tipo di una grande Los Angeles cispadana” (Anderlini F., 2003, Dopo l’urbanizzazione. Sprawl suburbano e dinamica sociale. Bologna ed altre metropoli, Clueb, Bologna, p. 137).

3 Questo e il successivo paragrafo sono ripresi, con adattamenti e modifiche, da: Cavalcoli P., Le scelte strategiche del Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Bologna, in “IV Rassegna di Urbanistica Nazionale”, Catalogo della mostra, Inu Edizioni, Roma, 2004; AAVV, La metropolizaciò de l’Emilia-Romanya, in AAVV, “L’Explosiò de la ciutat”, Coac, Forum Universal de les Cultures, Barcelona, 2004.

 

 

L’articolo è il frutto di un lavoro di riflessione comune degli autori; sono, comunque, da attribuire a Michelangelo Savino i paragrafi 1 e 4, mentre a Marco Guerzoni i paragrafi 2 e 3, questi ultimi ripresi da testi, interventi e scritti, condivisi con Piero Cavalcoli e Alessandro Delpiano.

 

 

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