Numero 8/9 - 2004

 

le aree metropolitane 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La pianificazione territoriale della regione metropolitana di Barcellona


Antonio Font


 

La città di Barcellona rappresenta un esempio di regione metropolitana in cui si rileva un processo di forte integrazione tra i nuclei che la costituivano in origine e le nuove localizzazioni delle attività urbane, così da formare un unico spazio metropolitano. Antonio Font traccia un breve excursus dei tentativi di pianificazione territoriale attuati nella regione urbana di Barcellona e si sofferma sugli episodi più recenti

 

 

 

 

 

L’urbanistica di Barcellona e i tentativi di pianificazione territoriale della sua regione urbana sono stati oggetto di una certa attenzione disciplinare sia per la singolarità dei contributi apportati nel corso degli ultimi anni sia per la fragilità operativa della pianificazione territoriale stessa. Di questi episodi vale la pena di tracciare un breve excursus soffermandoci sugli episodi più recenti.

 

 

Il Piano Comarcale del 1953 (Barcellona e ventisei comuni)

 

Nel 1945, ormai passato più di un lustro dalla fine della guerra civile spagnola, venne istituita per decreto del Ministerio de Gobernación la Commissione superiore di pianificazione provinciale, allo scopo di redigere il piano della Provincia di Barcellona. Con il Regolamento del 1947 venne autorizzata l’elaborazione del piano di Barcellona e della sua zona d’influenza – formata dai ventisette comuni centrali – espressione della dimensione comarcale che caratterizzerà il piano del 1953.

I tratti principali del piano possono essere identificati:

- nell’adeguamento della crescita demografica alle condizioni territoriali, secondo un’idea di città gerarchizzata che, tuttavia, mantenesse l’identità dei diversi nuclei esistenti e fosse espressione della localizzazione decentrata ed equilibrata delle attività produttive oltre che della popolazione;

- nella realizzazione di una rete stradale e di infrastrutture ferroviarie legata al porto e alle zone industriali da potenziare;

- nella pianificazione degli spazi abitativi, sia in quelli già esistenti nella città sia delle aree residenziali di nuova realizzazione, ciò grazie all’introduzione di un ampio e rinnovato ventaglio di tipologie edilizie;

- nella possibilità di attuare il piano tramite nuovi strumenti a scala intermedia, i piani parziali, poi confluiti nella Ley del Suelo del 1956.

Il piano viene approvato dalla legge di Pianificazione urbana di Barcellona e della sua area d’influenza del dicembre 1953, grazie a questa approvazione si poté realizzare anche la Commissione per l’urbanistica e i servizi comuni in Barcellona e in altri ventisei comuni.

Il boom immobiliare, conseguenza del veloce processo di industrializzazione iniziato alla fine degli anni ’50, comportò il rapido superamento del piano del 1953. Due sono stati i fenomeni che hanno determinato tale superamento: da una parte l’eccessiva crescita, a macchia d’olio, della città di Barcellona, dall’altra parte la rilevantissima trasformazione, per densificazione e sostituzione, dei tessuti urbani esistenti.

 

 

Il piano direttore dell’area metropolitana di Barcellona del 1968

 

La gravità della situazione urbanistica esistente mise in evidenza, a partire dalla metà degli anni ’60, la necessità di rivedere il piano del 1953, dando il via all’elaborazione del cosiddetto piano direttore dell’area metropolitana di Barcellona, presentato nel 1966 e approvato nel 1968. Si è trattato di un piano privo di un’effettiva incidenza amministrativa, ma importante come episodio urbanistico della storia della pianificazione territoriale spagnola e come tentativo politico di creare un nuovo quadro amministrativo per il governo del territorio metropolitano, che si estendeva per più di 3.000 km2 ed era formato da 162 comuni.

Questo piano, per il suo interesse disciplinare, meriterebbe maggiore spazio, ma qui accenneremo solo all’approccio utilizzato che va ascritto alla teoria della città regione – visto che individuava, nelle stesse caratteristiche del territorio, le opportunità da utilizzare per la trasformazione dell’area metropolitana verso quel modello di riferimento – sebbene i contenuti finali dello schema direttore, somma di strategie territoriali diverse e addirittura contraddittorie (New Towns, Barcelone Parallele, Régénérations des Villes), espressione delle diverse amministrazioni coinvolte, offuscassero, in parte, la sua vera natura teorica e metodologica1.

La necessità di un ente di gestione per il governo e l’amministrazione metropolitana – scala territoriale impensabile nell’organizzazione amministrativa franchista – fu il principale motivo che determinò la mancata approvazione del piano.

 

 

Il piano generale metropolitano del 1976

 

Nel piano generale metropolitano approvato nel 1976, dopo un turbolento iter di approvazione iniziale nel 1974, si cercano di riunire e riproporre alcuni principi e decisioni del precedente schema direttore, limitandone l’applicazione all’ambito dei ventisette comuni dell’area metropolitana. Esso, tuttavia, inaugura un periodo transitorio di rivendicazioni di nuova edificazione, precedentemente indicate dal piano del 1953, le cui conseguenze si riveleranno nefaste per l’organizzazione dei territori urbani centrali dell’ambito metropolitano.

Non si può, tuttavia, non sottolineare l’importanza del nuovo piano generale metropolitano (1976) per la sua moderna concezione sia rispetto alla zonizzazione dei processi di crescita e di trasformazione urbana, sia rispetto ai sistemi di controllo edilizio in rapporto alla rete viaria. Va anche sottolineata la volontà espressa di controllare la forma urbana attraverso una pratica quasi esaustiva, anche se a scala inadeguata, della progettazione collegata al sistema viario, forse dettata da una sorta di sfiducia nella gestione da parte dei comuni. Il fatto di riservare suoli per gli spazi verdi e le attrezzature, sicuramente sovradimensionati, ha rappresentato, invece, accanto all’impegno tecnico e politico della prima amministrazione comunale democratica, da poco ripristinata, il punto di partenza per la ricostruzione della città degli anni ’80.

Alla crescita intensiva del periodo precedente si risponde con delimitazioni sovradimensionate del suolo urbanizzabile, che nel secondo quadriennio di attuazione si dovettero ridurre, dati gli effetti della crisi economica iniziata poco prima della sua approvazione.

Probabilmente per i suoi meriti, ma anche perché ha coinciso con la crisi intercorsa da metà degli anni ’70 a metà degli anni ’80, il piano generale metropolitano (1976) è stato, con tutti i suoi limiti, uno strumento sufficiente a orientare i processi di trasformazione, più che di crescita, verificatisi in quegli anni nei territori centrali, uno strumento ancora in vigore, almeno dal punto di vista amministrativo.

La sua validità è indubbia come modello per molti piani, soprattutto di seconda generazione, e anche come punto di riferimento obbligato nel corso degli ultimi quindici anni, in cui l’urbanistica di Barcellona è stata un esempio di innovazione teorica e metodologica, con piani a scala diversa e progetti esecutivi integrati e complementari l’uno all’altro.

 

 

Figura 1 - Fotopiano della regione metropolitana di Barcellona (2000)

  

Tre fasi dell’intervento urbanistico nella città centrale metropolitana

 

I tratti dominanti di questo lungo periodo si possono forse riassumere meglio, ipotizzando una suddivisione in tre diverse fasi.

 

La ricostruzione della città 1979-1986

Dopo il ripristino della democrazia e gli anni di rivendicazione dei movimenti sociali urbani, anche a Barcellona i programmi delle forze politiche per le prime consultazioni comunali fanno dell’urbanistica la propria bandiera. La prima giunta, presieduta da Socías Umbert, si avvarrà della collaborazione dell’architetto Solans, eminente ideatore del piano generale metropolitano (1976), come responsabile per l’urbanistica. La voglia di risolvere i problemi della città ereditati dal passato e l’utilizzo del piano in vigore sfociano, in una fase di scarsa dinamica urbana, nella tendenza a impiegare le risorse del bilancio comunale destinati a investimenti per l’urbanistica nell’acquisizione massiccia di terreni destinati a zone verdi e attrezzature. Questo sarà il punto di partenza delle successive giunte guidate da Narcís Serra e da Pasqual Maragall, in cui la carica di Solans viene ricoperta da Bohígas, il quale spiega la sua filosofia di “ricostruzione della città” nell’omonimo libro sull’argomento e nell’introduzione a Plans i Projectes2, pubblicato dal comune: una fase in cui si coniugano abilmente l’opportunità dell’intervento e l’adozione del progetto urbano come strumento efficace e operativo contrapposto alla rigidità e alle incertezze presenti nei piani urbanistici.

Pertanto, nella prima metà degli anni ’80, un elevatissimo numero di interventi per l’urbanizzazione di piazze e parchi, per la sistemazione della rete viaria, per la realizzazione di attrezzature, ecc. cominciarono a trasformare positivamente sia gli spazi appartenenti alle zone centrali sia, soprattutto, relativi ai quartieri periferici. Un’operazione di microurbanistica molto affine all’agopuntura, ma con effetti induttivi sui tessuti contigui.

A scala intermedia, soprattutto per le pressioni esercitate dagli abitanti e senza grande entusiasmo da parte dell’amministrazione comunale, vengono elaborati i piani speciali di riforma interna (Peris) dei principali quartieri storici della città (Raval, S.ta Caterina, Barceloneta, Gràcia, Sants, St. Andreu,

Torre Baró, Vallbona, ecc.). Con questi piani, la cui gestione si è protratta nel corso di  tutti questi anni e la cui realizzazione è in buona parte ancora da compiere, si è cercato di ovviare alle carenze e ai problemi esistenti e di adattare o modificare alcune prescrizioni (viarie, edilizie) del piano generale metropolitano (1976), ritenute inadeguate.

Una fase, dunque, di chiaro protagonismo del settore pubblico durante la recessione economica, che parte da una lettura possibilista del piano generale metropolitano, guidando una trasformazione urbana che è stata considerata esemplare (il modello Barcellona) a livello internazionale.

 

Figura 2 - Piano comarcale del 1953

  

 

 

La fase delle Olimpiadi 1986-1992

La scelta di Barcellona come sede olimpica e la ripresa economica della metà degli anni ’80 costituiscono i punti di partenza di questa fase, forse la più conosciuta, che si identifica di solito con quella precedente per l’opzione strategica comune di prendere le mosse dai criteri di trasformazione della città già esistente.

Ebbene, le opzioni urbanistiche adottate per le grandi infrastrutture (rete viaria, trasporto pubblico, comunicazione, rete fognaria, ecc.), per la scelta della localizzazione degli impianti olimpici o per il contenuto e la forma degli interventi, dimostrano fino a che punto si trattasse di operazioni strategiche più complesse, ma giustificate dall’utilità che potevano avere nella riconversione di cui la città centrale del sistema metropolitano avrebbe avuto bisogno in futuro, al di là delle esigenze funzionali all’evento sportivo.

La creazione degli anelli stradali o delle cinture urbane, la soppressione della ferrovia nel Poble Nou, la costruzione delle torri di telecomunicazione, il risanamento urbanistico della città, il porto olimpico, ecc., assieme alle quattro aree specificatamente olimpiche, sono gli interventi principali realizzati a tempo di record, con la scadenza improrogabile dell’estate del ’92, unendo gli sforzi pubblici e privati, superando la tradizionale diffidenza e le divergenze politiche. La stretta collaborazione tecnica ed economica tra l’amministrazione statale, quella della Generalitat (la Regione, Ndt) e quella comunale, col comune sempre in prima fila, spiega la riuscita di un’operazione, impeccabile dal punto di vista della gestione, che ha rappresentato anche un indubbio contributo per il paese.

Figura 3 - Schema direttore dell'area metropolitana di Barcellona (1966/1968)

  

Bisogna rilevare che, durante questa fase, accanto ad un’autonomia operativa negli interventi legati all’evento olimpico, si assiste, sotto la spinta della direzione comunale per l’urbanistica3, al recupero di una visione comprensiva della struttura urbana globale, che si traduce nella realizzazione di alcuni studi e piani, volti a ovviare i limiti più evidenti della pianificazione in vigore. Tra questi, il cosiddetto piano di viabilità, lo studio sulle aree di centralità e lo studio e normativa speciale dell’Ensanche si rivelano molto importanti per lo sviluppo dei progetti e della gestione urbanistica comunale.

Figura 4 - Piano generale metropolitano di Barcellona del 1976

  

Questa è anche la fase di maggiore sviluppo dell’area di recupero integrale (Ari) della Ciutat Vella, come strumento amministrativo che, facendo proprie le proposte più interessanti dei tre Peris del centro storico allora in vigore, si impegna a fondo nella costruzione di nuove residenze (1700) e nel recupero di alcuni edifici esistenti (circa 400), per un totale di 15.000 abitazioni e locali (circa il 20% di quelli presenti nel distretto4). Sono, però, soprattutto la demolizione e la sostituzione5 dei tessuti storici, la ri-urbanizzazione dello spazio pubblico di strade, piazze e giardini e il recupero delle facciate, gli interventi positivi più visibili, accompagnati da una progressiva museificazione e terziarizzazione, non sempre compatibile col carattere residenziale popolare che si voleva mantenere come priorità.

Tappa, dunque, significativa, di trasformazioni e interpretazioni pratiche del piano generale vigente, con una scadenza determinata e in una fase straordinaria di costruzione della città, guidata dal settore pubblico comunale.

 

Figura 5 - Pianificazione urbanistica in vigore al 2000 nell’area metropolitana di Barcellona

  

La fase post-Olimpiadi, a partire dal 1992

Alla celebrazione delle Olimpiadi fa seguito la fase recente, in cui si assiste ad un cambiamento nelle condizioni operative, una fase caratterizzata sia dal venir meno di un unico riferimento temporale (la scadenza Olimpica) che dei capitali straordinari, da una crisi immobiliare (fino a metà degli anni ’90) e dalle restrizioni di bilancio del settore pubblico, per effetto dell’indebitamento e dalle esigenze imposte dalla Comunità europea.

Si tratta di una fase calante, anche se caratterizzata dalla continuità del recente passato, definita nel titolo di una pubblicazione del comune come Il secondo rinnovamento6, in cui si cercano di prolungare gli obiettivi e gli strumenti di gestione della fase precedente.

Il mantenimento di alcuni enti e agenzie specifiche, assieme ad alcune misure di riforma amministrativa (come il trasferimento delle competenze ai distretti) forse hanno contribuito a determinare una situazione estremamente complessa nell’organizzazione amministrativa dell’urbanistica comunale, col pericolo di una sua crescente burocratizzazione, di una perdita di trasparenza nella gestione e di un’assenza generalizzata di idee e progetti di rinnovamento.

La collaborazione del settore privato nella costruzione della città sotto la guida dell’amministrazione comunale, a somiglianza della fase precedente, ha permesso comunque la realizzazione di importanti interventi (residenze nella Ronda de Dalt, prolungamento dell’Avenida Diagonal, settore la Sagrera, ecc.) e la preparazione di alcuni progetti di rilievo. Sembra emergere, tuttavia, una sempre maggiore capacità da parte dei promotori privati di determinare gli obiettivi e le regole del gioco di costruzione della città, come evidenziano alcuni interventi recenti (Stadio dell’Español, Barça 2000, Diagonal Mar, ecc), innescando un processo di progressiva frammentazione del progetto e della sua gestione complessiva. Qualcuno è arrivato a parlare di urbanistica privatizzata, nei casi in cui gli interessi del promotore si impongono al di sopra dell’interesse generale e in presenza di un’amministrazione comunale incapace di rispondere adeguatamente, una tendenza che purtroppo non riguarda solo Barcellona.

Il miglioramento qualitativo dei progetti e dell’adeguamento degli interventi urbanistici, sicuramente perseguiti dall’urbanistica comunale, avrebbero dovuto essere accompagnati da una maggiore incidenza delle risorse pubbliche al fine di orientare, contrapporsi e arginare l’iniziativa privata, non sempre coerente con un progetto rinnovato di città. Alcuni importanti interventi comunali recenti, come la trasformazione del settore di Poble Nou in un parco di attività economiche di nuova generazione (sempre che si riesca a renderlo compatibile con la presenza di una residenza popolare rinnovata), o il recente sviluppo del settore del Forum 2004 (sempre che, una volta passato l’evento, l’audace sfida di riconvertire il sito induca ad un suo uso sociale e vada di pari passo col rinnovamento del Barrio de la Mina e dintorni, ancora in sospeso) sono tutte operazioni che dovrebbero garantire una profonda trasformazione della città.

C’è inoltre bisogno di progetti che inquadrino la città nella nuova realtà territoriale (progetti sull’alta velocità, sull’ampliamento del porto e dell’aeroporto, sulle infrastrutture del trasporto pubblico e delle telecomunicazioni, ecc.), di portata regionale e metropolitana, in cui il ruolo dei comuni centrali non può essere marginale.

Nell’ambito dell’area metropolitana riconosciuta, un’analoga perdita d’influenza nel determinare l’orientamento e l’intervento si riscontra oggi a scala sovracomunale. L’incisività dell’azione tecnica e politica degli anni ’80 nel dare un orientamento alla città metropolitana (i ventisette comuni) si era concretizzata in piani e progetti a scala territoriale, in cui si coniugavano l’intenzionalità formale e la volontà operativa oltre che la coerenza delle proposte e dei meccanismi di gestione. Le grandi scelte territoriali (Parco di Collserola, aree agricole, costa metropolitana, rete viaria metropolitana), le operazioni residenziali di sviluppo metropolitano, i nessi e le articolazioni urbane, il recupero di aree e tessuti, gli interventi nel sistema degli spazi liberi, ecc. erano voci presenti nell’agenda di una politica metropolitana7 a cui i comuni davano il loro consenso attraverso la Corporazione metropolitana, fino alla sua soppressione nel 1987, a opera dalla legge di pianificazione territoriale della Generalitat.

La successiva trasformazione della Corporazione in un raggruppamento volontario di comuni metropolitani8 privi di competenze in materia di coordinamento della pianificazione, ha comportato una notevole riduzione della capacità di incidere sullo sviluppo metropolitano, anche se l’impegno è ancora notevole in alcuni di quei settori, soprattutto quelli legati alla prestazione di servizi ai comuni e all’offerta pubblica di abitazioni a livello metropolitano.

 

 

Figura 6 - Piano territoriale parziale metropolitano di Barcellona del 1995

  

Il piano territoriale metropolitano di Barcellona (1998)

 

Abbandonato il piano direttore dell’area metropolitana del 1966, la legislazione territoriale catalana del 1983 e del 1986 costituisce il punto di partenza dell’ultimo tentativo di pianificazione del territorio metropolitano fino ad oggi.

Il piano territoriale metropolitano di Barcellona 3, la cui redazione ha richiesto tempi lunghi (più di 10 anni, dal 1987 al 1998) ed un notevole impegno economico, non è mai stato niente di più che un semplice prodotto tecnico di portata relativa, visto che non è riuscito a raccogliere il consenso delle istituzioni politiche e amministrative.

Anche se alcuni dei suoi studi di analisi sono di indubbio interesse, i contenuti della proposta sono in generale deludenti, perché lontani dalla realtà dell’area metropolitana degli anni ’90, periodo in cui sono avvenute importanti trasformazioni e sono insorti problemi a cui il piano dà risposte alquanto generiche. Il raffronto tra la complessità ed eterogeneità del territorio metropolitano9 e la natura semplicistica delle categorie e delle delimitazioni adottate sono la dimostrazione delle carenze presenti nel piano, un tentativo di pianificazione in cui solo di recente, col cambio di governo della Generalitat, ci si vuole nuovamente cimentare.

Ad ogni modo, sia nel caso di Barcellona che del resto dei comuni metropolitani, sono visibili le difficoltà dovute all’assenza di una pianificazione territoriale a cui ricondurre quella strettamente comunale, soprattutto di fronte all’evidente natura trasversale dei processi e alla portata sempre più vasta del fenomeno metropolitano.

 

 

I problemi emergenti e le ipotesi di intervento

 

A dispetto dell’autonomia e della frammentazione della pianificazione comunale, le analisi effettuate rilevano la progressiva integrazione funzionale dei territori della regione urbana di Barcellona in un unico spazio metropolitano, attraverso un processo di sempre maggiore intensificazione dei rapporti tra i nuclei che la costituivano inizialmente e le nuove localizzazioni delle attività urbane, come dimostrano i flussi di una crescente mobilità in tutte le direzioni. Il decentramento selettivo delle attività produttive, il cambiamento nel modello di accessibilità territoriale, la crescita urbana discontinua e dispersa costituiscono i tratti principali del fenomeno di nuova metropolizzazione, sempre in aumento, che determina nuovi comportamenti sociali e stili di vita e la comparsa di nuove modalità di organizzazione spaziale.

La regione metropolitana si estende e si integra e, al contempo, si avvicina al modello di città discontinua: una città diversa, in cui la popolazione, i servizi alla persona, buona parte delle attività produttive e delle attrezzature tendono a diffondersi sul territorio, rompendo il vecchio schema metropolitano. Una regione urbana che va verso un modello policentrico, disperso, con una morfologia eterogenea e molteplice e delle gerarchie meno marcate, costruita su reti spaziali e temporali dalle geometrie variabili. Proprio dall’integrazione del territorio metropolitano dipenderanno, però, sia le potenzialità e le opportunità che i problemi funzionali, formali e sociali.

Figura 7 - La regione metropolitana di Barcellona. Destinazioni d'uso e morfologie dell'edificato al 2000

  

Nel tentativo di dare una risposta ai problemi urbanistici delle regioni metropolitane (carenze infrastrutturali, inquinamento ambientale, degrado degli spazi naturali, mercato immobiliare come filtro sociale e fattore distributivo delle attività, obsolescenza dei tessuti urbani, inefficienza dell’organizzazione spaziale delle attività, ecc.) e partendo dagli strumenti propri della pianificazione territoriale, è possibile indicare alcune linee guida per rinnovare il progetto territoriale:

- l’inefficace disposizione spaziale di usi e attività, impone un riassetto che strutturi e organizzi più razionalmente il territorio, riducendo gli spostamenti non necessari e rafforzando le sinergie tra le diverse attività;

- la congestione delle infrastrutture viarie e del trasporto, che si rivelano insufficienti rispetto alla crescente mobilità pluridirezionale, rende indispensabile un miglioramento del sistema infrastrutturale esistente (principalmente di quello a scala intermedia) e, soprattutto, del trasporto collettivo, in modo da consentire una localizzazione razionale delle nuove attività (in particolare quelle in cui la partecipazione delle istituzioni è più forte);

- considerato il progressivo degrado ambientale, che implica l’insularizzazione e la distruzione degli spazi naturali, appare utile la creazione di una rete ambientale, comprese le relative infrastrutture, che possa organizzare adeguatamente e rendere equilibrata l’occupazione del territorio;

- la mancanza di un quadro di riferimento per la pianificazione territoriale, rende necessario l’elaborazione degli schemi direttori relativi agli elementi strutturanti l’area metropolitana e la previsione dei dati quantitativi sulla crescita e i bisogni che ne derivano.

Queste strategie e strumenti di intervento devono essere elaborati sia dall’autorità territoriale preposta che dagli stessi comuni, nell’ambito di un patto della società civile con le istituzioni, necessario per rendere il territorio più efficiente dal punto di vista funzionale, più equo dal punto di vista ambientale e più giusto dal punto di vista sociale.

 

 

Note

1 Per una visione d’insieme dei contributi del Piano Direttore del 1968, si vedano i lavori di M. de Solà-Morales nel numero monografico di Cuadernos de Arquitectura y Urbanismo “El Área Metropolitana de Barcelona”, n. 87, Barcelona, 1972.

2 Oriol Bohígas, Reconstrucción de Barcelona, Edicions 62, Barcelona, 1985 e “Per un altra urbanitat”, nell’introduzione alla pubblicazione del Comune Plans i Projectes per a Barcelona 1981-1982, Ayuntamiento de Barcelona, 1983.

3 L’architetto Joan Busquets ricoprì la carica di direttore all’Urbanistica del Comune di Barcellona dal 1983 al 1989.

4 Sebbene i dati si riferiscano alla fine degli anni ’90, si possono considerare ugualmente rappresentativi della trasformazione urbanistica occorsa, per via del contenuto sviluppo degli anni successivi.

5 (NdT) Il termine esponjament, letteralmente spugnosità, utilizzato nel testo, sta ad indicare le operazioni promosse all’interno della ciutat vella che prevedevano la demolizione dei tessuti edilizi più degradati, per sostituirli con nuova edificazione (quasi sempre edilizia residenziale di carattere pubblico), con attrezzature pubbliche, spazi verdi e piazze, anche nel tentativo di ridurre la significativa densità edilizia di un centro storico tipicamente mediterraneo.

6 Ayuntamiento de Barcelona Barcelona, la segunda renovación, 1996. Si veda anche la pubblicazione del comune Urbanisme a Barcelona, 1999.

7 In Proyectar la Ciudad Metropolitana, pubblicato nel 1987 dalla Corporazione Metropolitana di Barcellona, è offerto un ottimo quadro d’insieme dei progetti e degli interventi metropolitani degli anni ’80.

8 La soppressione per legge della Corporazione Metropolitana nel 1987 porta alla creazione di due enti amministrativi con diversa competenza e differente ambito territoriale: l’ente metropolitano per l’ambiente, formato da 33 comuni e l’ente metropolitano per il trasporto, formato da 18 comuni. Viene costituita, inoltre, l’associazione dei comuni dell’area metropolitana, un raggruppamento volontario di 27 comuni, a metà strada tra gli altri due.

9 Si veda il nostro studio La construcció del Territori metropolità. Morfogènesi de la Regió Metropolitana de Barcelona, Área Metropolitana de Barcelona, 1999 e la monografia relativa a Barcellona nel volume L’explosió de la ciutat/The Explosion of the city, Coac, Forum Universal de las Culturas, Barcelona, 2004.

 

 

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