L’urbanistica di Barcellona e i tentativi di pianificazione territoriale
della sua regione urbana sono stati oggetto
di una certa attenzione disciplinare sia per
la singolarità dei contributi apportati nel
corso degli ultimi anni sia per la fragilità
operativa della pianificazione territoriale
stessa. Di questi episodi vale la pena di
tracciare un breve excursus
soffermandoci sugli episodi più recenti.
Il Piano Comarcale del 1953 (Barcellona e ventisei comuni)
Nel 1945, ormai passato più di un lustro dalla fine della guerra civile
spagnola, venne istituita per decreto del
Ministerio de Gobernación la Commissione
superiore di pianificazione provinciale,
allo scopo di redigere il piano della
Provincia di Barcellona. Con il Regolamento
del 1947 venne autorizzata l’elaborazione
del piano di Barcellona e della sua zona
d’influenza – formata dai ventisette
comuni centrali – espressione della
dimensione comarcale che
caratterizzerà il piano del 1953.
I tratti principali del piano possono essere identificati:
- nell’adeguamento della crescita demografica alle condizioni territoriali,
secondo un’idea di città gerarchizzata che,
tuttavia, mantenesse l’identità dei diversi
nuclei esistenti e fosse espressione della
localizzazione decentrata ed equilibrata
delle attività produttive oltre che della
popolazione;
- nella realizzazione di una rete stradale e di infrastrutture ferroviarie
legata al porto e alle zone industriali da
potenziare;
- nella pianificazione degli spazi abitativi, sia in quelli già esistenti
nella città sia delle aree residenziali di
nuova realizzazione, ciò grazie
all’introduzione di un ampio e rinnovato
ventaglio di tipologie edilizie;
- nella possibilità di attuare il piano tramite nuovi strumenti a scala
intermedia, i piani parziali, poi
confluiti nella Ley del Suelo del
1956.
Il piano viene approvato dalla legge di Pianificazione urbana di Barcellona
e della sua area d’influenza del dicembre
1953, grazie a questa approvazione si poté
realizzare anche la Commissione per
l’urbanistica e i servizi comuni in
Barcellona e in altri ventisei comuni.
Il boom immobiliare, conseguenza del veloce processo di industrializzazione
iniziato alla fine degli anni ’50, comportò
il rapido superamento del piano del 1953.
Due sono stati i fenomeni che hanno
determinato tale superamento: da una parte
l’eccessiva crescita, a macchia d’olio,
della città di Barcellona, dall’altra parte
la rilevantissima trasformazione, per
densificazione e sostituzione, dei tessuti
urbani esistenti.
Il piano direttore dell’area metropolitana di Barcellona del 1968
La gravità della situazione urbanistica esistente mise in evidenza, a
partire dalla metà degli anni ’60, la
necessità di rivedere il piano del 1953,
dando il via all’elaborazione del cosiddetto
piano direttore dell’area metropolitana
di Barcellona, presentato nel 1966 e
approvato nel 1968. Si è trattato di un
piano privo di un’effettiva incidenza
amministrativa, ma importante come episodio
urbanistico della storia della
pianificazione territoriale spagnola e come
tentativo politico di creare un nuovo quadro
amministrativo per il governo del territorio
metropolitano, che si estendeva per più di
3.000 km2 ed era formato da 162 comuni.
Questo piano, per il suo interesse disciplinare, meriterebbe maggiore
spazio, ma qui accenneremo solo
all’approccio utilizzato che va ascritto
alla teoria della città regione –
visto che individuava, nelle stesse
caratteristiche del territorio, le
opportunità da utilizzare per la
trasformazione dell’area metropolitana verso
quel modello di riferimento – sebbene i
contenuti finali dello schema direttore,
somma di strategie territoriali diverse e
addirittura contraddittorie (New Towns,
Barcelone Parallele, Régénérations des
Villes), espressione delle diverse
amministrazioni coinvolte, offuscassero, in
parte, la sua vera natura teorica e
metodologica1.
La necessità di un ente di gestione per il governo e l’amministrazione
metropolitana – scala territoriale
impensabile nell’organizzazione
amministrativa franchista – fu il principale
motivo che determinò la mancata approvazione
del piano.
Il piano generale metropolitano del 1976
Nel piano generale metropolitano approvato nel 1976, dopo un
turbolento iter di approvazione iniziale nel
1974, si cercano di riunire e riproporre
alcuni principi e decisioni del precedente
schema direttore, limitandone
l’applicazione all’ambito dei ventisette
comuni dell’area metropolitana. Esso,
tuttavia, inaugura un periodo transitorio di
rivendicazioni di nuova edificazione,
precedentemente indicate dal piano del 1953,
le cui conseguenze si riveleranno nefaste
per l’organizzazione dei territori urbani
centrali dell’ambito metropolitano.
Non si può, tuttavia, non sottolineare l’importanza del nuovo piano
generale metropolitano (1976) per la sua
moderna concezione sia rispetto alla
zonizzazione dei processi di crescita e di
trasformazione urbana, sia rispetto ai
sistemi di controllo edilizio in rapporto
alla rete viaria. Va anche sottolineata la
volontà espressa di controllare la forma
urbana attraverso una pratica quasi
esaustiva, anche se a scala inadeguata,
della progettazione collegata al sistema
viario, forse dettata da una sorta di
sfiducia nella gestione da parte dei comuni.
Il fatto di riservare suoli per gli spazi
verdi e le attrezzature, sicuramente
sovradimensionati, ha rappresentato, invece,
accanto all’impegno tecnico e politico della
prima amministrazione comunale democratica,
da poco ripristinata, il punto di partenza
per la ricostruzione della città
degli anni ’80.
Alla crescita intensiva del periodo precedente si risponde con
delimitazioni sovradimensionate del suolo
urbanizzabile, che nel secondo quadriennio
di attuazione si dovettero ridurre, dati gli
effetti della crisi economica iniziata poco
prima della sua approvazione.
Probabilmente per i suoi meriti, ma anche perché ha coinciso con la crisi
intercorsa da metà degli anni ’70 a metà
degli anni ’80, il piano generale
metropolitano (1976) è stato, con tutti
i suoi limiti, uno strumento sufficiente a
orientare i processi di trasformazione, più
che di crescita, verificatisi in quegli anni
nei territori centrali, uno strumento ancora
in vigore, almeno dal punto di vista
amministrativo.
La sua validità è indubbia come modello per molti piani, soprattutto di
seconda generazione, e anche come punto di
riferimento obbligato nel corso degli ultimi
quindici anni, in cui l’urbanistica di
Barcellona è stata un esempio di innovazione
teorica e metodologica, con piani a scala
diversa e progetti esecutivi integrati e
complementari l’uno all’altro.
Figura 1 - Fotopiano della regione metropolitana di
Barcellona (2000) |
|
|
Tre fasi dell’intervento urbanistico nella città centrale metropolitana
I tratti dominanti di questo lungo periodo si possono forse riassumere
meglio, ipotizzando una suddivisione in tre
diverse fasi.
La
ricostruzione della città 1979-1986
Dopo il ripristino della democrazia e gli anni di rivendicazione dei
movimenti sociali urbani, anche a Barcellona
i programmi delle forze politiche per le
prime consultazioni comunali fanno
dell’urbanistica la propria bandiera. La
prima giunta, presieduta da Socías Umbert,
si avvarrà della collaborazione
dell’architetto Solans, eminente ideatore
del piano generale metropolitano (1976),
come responsabile per l’urbanistica. La
voglia di risolvere i problemi della città
ereditati dal passato e l’utilizzo del piano
in vigore sfociano, in una fase di scarsa
dinamica urbana, nella tendenza a impiegare
le risorse del bilancio comunale destinati a
investimenti per l’urbanistica
nell’acquisizione massiccia di terreni
destinati a zone verdi e attrezzature.
Questo sarà il punto di partenza delle
successive giunte guidate da Narcís Serra e
da Pasqual Maragall, in cui la carica di
Solans viene ricoperta da Bohígas, il quale
spiega la sua filosofia di “ricostruzione
della città” nell’omonimo libro
sull’argomento e nell’introduzione a
Plans i Projectes2,
pubblicato dal comune: una fase in cui si
coniugano abilmente l’opportunità
dell’intervento e l’adozione del progetto
urbano come strumento efficace e
operativo contrapposto alla rigidità e alle
incertezze presenti nei piani urbanistici.
Pertanto, nella prima metà degli anni ’80, un elevatissimo numero di
interventi per l’urbanizzazione di piazze e
parchi, per la sistemazione della rete
viaria, per la realizzazione di
attrezzature, ecc. cominciarono a
trasformare positivamente sia gli spazi
appartenenti alle zone centrali sia,
soprattutto, relativi ai quartieri
periferici. Un’operazione di
microurbanistica molto affine
all’agopuntura, ma con effetti induttivi sui
tessuti contigui.
A scala intermedia, soprattutto per le pressioni esercitate dagli abitanti
e senza grande entusiasmo da parte
dell’amministrazione comunale, vengono
elaborati i piani speciali di riforma
interna (Peris) dei principali quartieri
storici della città (Raval, S.ta Caterina,
Barceloneta, Gràcia, Sants, St. Andreu,
Torre Baró, Vallbona, ecc.). Con questi piani, la cui gestione si è
protratta nel corso di tutti questi anni e
la cui realizzazione è in buona parte ancora
da compiere, si è cercato di ovviare alle
carenze e ai problemi esistenti e di
adattare o modificare alcune prescrizioni
(viarie, edilizie) del piano generale
metropolitano (1976), ritenute
inadeguate.
Una fase, dunque, di chiaro protagonismo del settore pubblico durante la
recessione economica, che parte da una
lettura possibilista del piano generale
metropolitano, guidando una
trasformazione urbana che è stata
considerata esemplare (il modello
Barcellona) a livello internazionale.
Figura 2 - Piano comarcale del 1953 |
|
|
La fase
delle Olimpiadi 1986-1992
La scelta di Barcellona come sede olimpica e la ripresa economica della
metà degli anni ’80 costituiscono i punti di
partenza di questa fase, forse la più
conosciuta, che si identifica di solito con
quella precedente per l’opzione strategica
comune di prendere le mosse dai criteri di
trasformazione della città già esistente.
Ebbene, le opzioni urbanistiche adottate per le grandi infrastrutture (rete
viaria, trasporto pubblico, comunicazione,
rete fognaria, ecc.), per la scelta della
localizzazione degli impianti olimpici o per
il contenuto e la forma degli interventi,
dimostrano fino a che punto si trattasse di
operazioni strategiche più complesse, ma
giustificate dall’utilità che potevano avere
nella riconversione di cui la città centrale
del sistema metropolitano avrebbe avuto
bisogno in futuro, al di là delle esigenze
funzionali all’evento sportivo.
La creazione degli anelli stradali o delle cinture urbane, la soppressione
della ferrovia nel Poble Nou, la
costruzione delle torri di
telecomunicazione, il risanamento
urbanistico della città, il porto olimpico,
ecc., assieme alle quattro aree
specificatamente olimpiche, sono gli
interventi principali realizzati a tempo di
record, con la scadenza improrogabile
dell’estate del ’92, unendo gli sforzi
pubblici e privati, superando la
tradizionale diffidenza e le divergenze
politiche. La stretta collaborazione tecnica
ed economica tra l’amministrazione statale,
quella della Generalitat (la Regione,
Ndt) e quella comunale, col comune sempre in
prima fila, spiega la riuscita di
un’operazione, impeccabile dal punto di
vista della gestione, che ha rappresentato
anche un indubbio contributo per il paese.
Figura 3 - Schema direttore dell'area metropolitana di
Barcellona (1966/1968) |
|
|
Bisogna rilevare che, durante questa fase, accanto ad un’autonomia
operativa negli interventi legati all’evento
olimpico, si assiste, sotto la spinta della
direzione comunale per l’urbanistica3,
al recupero di una visione comprensiva della
struttura urbana globale, che si traduce
nella realizzazione di alcuni studi e piani,
volti a ovviare i limiti più evidenti della
pianificazione in vigore. Tra questi, il
cosiddetto piano di viabilità, lo
studio sulle aree di centralità e lo
studio e normativa speciale dell’Ensanche
si rivelano molto importanti per lo
sviluppo dei progetti e della gestione
urbanistica comunale.
Figura 4 - Piano generale metropolitano di Barcellona del
1976 |
|
|
Questa è anche la fase di maggiore sviluppo dell’area di recupero
integrale (Ari) della Ciutat Vella,
come strumento amministrativo che, facendo
proprie le proposte più interessanti dei tre
Peris del centro storico allora in vigore,
si impegna a fondo nella costruzione di
nuove residenze (1700) e nel recupero di
alcuni edifici esistenti (circa 400), per un
totale di 15.000 abitazioni e locali (circa
il 20% di quelli presenti nel distretto4).
Sono, però, soprattutto la demolizione e la
sostituzione5 dei tessuti
storici, la ri-urbanizzazione dello
spazio pubblico di strade, piazze e giardini
e il recupero delle facciate, gli interventi
positivi più visibili, accompagnati da una
progressiva museificazione e
terziarizzazione, non sempre compatibile col
carattere residenziale popolare che si
voleva mantenere come priorità.
Tappa, dunque, significativa, di trasformazioni e interpretazioni pratiche
del piano generale vigente, con una scadenza
determinata e in una fase straordinaria di
costruzione della città, guidata dal settore
pubblico comunale.
Figura 5 - Pianificazione urbanistica in vigore al 2000
nell’area metropolitana di
Barcellona |
|
|
La fase
post-Olimpiadi, a partire dal 1992
Alla celebrazione delle Olimpiadi fa seguito la fase recente, in cui si
assiste ad un cambiamento nelle condizioni
operative, una fase caratterizzata sia dal
venir meno di un unico riferimento temporale
(la scadenza Olimpica) che dei capitali
straordinari, da una crisi immobiliare (fino
a metà degli anni ’90) e dalle restrizioni
di bilancio del settore pubblico, per
effetto dell’indebitamento e dalle esigenze
imposte dalla Comunità europea.
Si tratta di una fase calante, anche se caratterizzata dalla continuità del
recente passato, definita nel titolo di una
pubblicazione del comune come Il secondo
rinnovamento6, in cui si
cercano di prolungare gli obiettivi e gli
strumenti di gestione della fase precedente.
Il mantenimento di alcuni enti e agenzie specifiche, assieme ad alcune
misure di riforma amministrativa (come il
trasferimento delle competenze ai distretti)
forse hanno contribuito a determinare una
situazione estremamente complessa
nell’organizzazione amministrativa
dell’urbanistica comunale, col pericolo di
una sua crescente burocratizzazione, di una
perdita di trasparenza nella gestione e di
un’assenza generalizzata di idee e progetti
di rinnovamento.
La collaborazione del settore privato nella costruzione della città sotto
la guida dell’amministrazione comunale, a
somiglianza della fase precedente, ha
permesso comunque la realizzazione di
importanti interventi (residenze nella Ronda
de Dalt, prolungamento dell’Avenida Diagonal,
settore la Sagrera, ecc.) e la preparazione
di alcuni progetti di rilievo. Sembra
emergere, tuttavia, una sempre maggiore
capacità da parte dei promotori privati di
determinare gli obiettivi e le regole del
gioco di costruzione della città, come
evidenziano alcuni interventi recenti
(Stadio dell’Español, Barça 2000, Diagonal
Mar, ecc), innescando un processo di
progressiva frammentazione del progetto e
della sua gestione complessiva. Qualcuno è
arrivato a parlare di urbanistica
privatizzata, nei casi in cui gli
interessi del promotore si impongono al di
sopra dell’interesse generale e in presenza
di un’amministrazione comunale incapace di
rispondere adeguatamente, una tendenza che
purtroppo non riguarda solo Barcellona.
Il miglioramento qualitativo dei progetti e dell’adeguamento degli
interventi urbanistici, sicuramente
perseguiti dall’urbanistica comunale,
avrebbero dovuto essere accompagnati da una
maggiore incidenza delle risorse pubbliche
al fine di orientare, contrapporsi e
arginare l’iniziativa privata, non sempre
coerente con un progetto rinnovato di città.
Alcuni importanti interventi comunali
recenti, come la trasformazione del settore
di Poble Nou in un parco di attività
economiche di nuova generazione (sempre che
si riesca a renderlo compatibile con la
presenza di una residenza popolare
rinnovata), o il recente sviluppo del
settore del Forum 2004 (sempre che, una
volta passato l’evento, l’audace sfida di
riconvertire il sito induca ad un suo uso
sociale e vada di pari passo col
rinnovamento del Barrio de la Mina e
dintorni, ancora in sospeso) sono tutte
operazioni che dovrebbero garantire una
profonda trasformazione della città.
C’è inoltre bisogno di progetti che inquadrino la città nella nuova realtà
territoriale (progetti sull’alta velocità,
sull’ampliamento del porto e dell’aeroporto,
sulle infrastrutture del trasporto pubblico
e delle telecomunicazioni, ecc.), di portata
regionale e metropolitana, in cui il ruolo
dei comuni centrali non può essere
marginale.
Nell’ambito dell’area metropolitana riconosciuta, un’analoga perdita
d’influenza nel determinare l’orientamento e
l’intervento si riscontra oggi a scala
sovracomunale. L’incisività dell’azione
tecnica e politica degli anni ’80 nel dare
un orientamento alla città metropolitana (i
ventisette comuni) si era concretizzata in
piani e progetti a scala territoriale, in
cui si coniugavano l’intenzionalità formale
e la volontà operativa oltre che la coerenza
delle proposte e dei meccanismi di gestione.
Le grandi scelte territoriali (Parco di
Collserola, aree agricole, costa
metropolitana, rete viaria metropolitana),
le operazioni residenziali di sviluppo
metropolitano, i nessi e le articolazioni
urbane, il recupero di aree e tessuti, gli
interventi nel sistema degli spazi liberi,
ecc. erano voci presenti nell’agenda di una
politica metropolitana7 a cui i
comuni davano il loro consenso attraverso la
Corporazione metropolitana, fino alla sua
soppressione nel 1987, a opera dalla legge
di pianificazione territoriale della
Generalitat.
La successiva trasformazione della Corporazione in un raggruppamento
volontario di comuni metropolitani8
privi di competenze in materia di
coordinamento della pianificazione, ha
comportato una notevole riduzione della
capacità di incidere sullo sviluppo
metropolitano, anche se l’impegno è ancora
notevole in alcuni di quei settori,
soprattutto quelli legati alla prestazione
di servizi ai comuni e all’offerta pubblica
di abitazioni a livello metropolitano.
Figura 6 - Piano territoriale parziale metropolitano di
Barcellona del 1995 |
|
|
Il piano territoriale metropolitano di Barcellona (1998)
Abbandonato il piano direttore dell’area metropolitana del 1966, la
legislazione territoriale catalana del 1983
e del 1986 costituisce il punto di partenza
dell’ultimo tentativo di pianificazione del
territorio metropolitano fino ad oggi.
Il piano territoriale metropolitano di Barcellona 3, la cui
redazione ha richiesto tempi lunghi (più di
10 anni, dal 1987 al 1998) ed un notevole
impegno economico, non è mai stato niente di
più che un semplice prodotto tecnico di
portata relativa, visto che non è riuscito a
raccogliere il consenso delle istituzioni
politiche e amministrative.
Anche se alcuni dei suoi studi di analisi sono di indubbio interesse, i
contenuti della proposta sono in generale
deludenti, perché lontani dalla realtà
dell’area metropolitana degli anni ’90,
periodo in cui sono avvenute importanti
trasformazioni e sono insorti problemi a cui
il piano dà risposte alquanto generiche. Il
raffronto tra la complessità ed eterogeneità
del territorio metropolitano9 e
la natura semplicistica delle categorie e
delle delimitazioni adottate sono la
dimostrazione delle carenze presenti nel
piano, un tentativo di pianificazione in cui
solo di recente, col cambio di governo della
Generalitat, ci si vuole nuovamente
cimentare.
Ad ogni modo, sia nel caso di Barcellona che del resto dei comuni
metropolitani, sono visibili le difficoltà
dovute all’assenza di una pianificazione
territoriale a cui ricondurre quella
strettamente comunale, soprattutto di fronte
all’evidente natura trasversale dei processi
e alla portata sempre più vasta del fenomeno
metropolitano.
I problemi emergenti e le ipotesi di intervento
A dispetto dell’autonomia e della frammentazione della pianificazione
comunale, le analisi effettuate rilevano la
progressiva integrazione funzionale dei
territori della regione urbana di Barcellona
in un unico spazio metropolitano, attraverso
un processo di sempre maggiore
intensificazione dei rapporti tra i nuclei
che la costituivano inizialmente e le nuove
localizzazioni delle attività urbane, come
dimostrano i flussi di una crescente
mobilità in tutte le direzioni. Il
decentramento selettivo delle attività
produttive, il cambiamento nel modello di
accessibilità territoriale, la crescita
urbana discontinua e dispersa costituiscono
i tratti principali del fenomeno di nuova
metropolizzazione, sempre in aumento, che
determina nuovi comportamenti sociali e
stili di vita e la comparsa di nuove
modalità di organizzazione spaziale.
La regione metropolitana si estende e si integra e, al contempo, si
avvicina al modello di città discontinua:
una città diversa, in cui la popolazione, i
servizi alla persona, buona parte delle
attività produttive e delle attrezzature
tendono a diffondersi sul territorio,
rompendo il vecchio schema metropolitano.
Una regione urbana che va verso un modello
policentrico, disperso, con una morfologia
eterogenea e molteplice e delle gerarchie
meno marcate, costruita su reti spaziali e
temporali dalle geometrie variabili. Proprio
dall’integrazione del territorio
metropolitano dipenderanno, però, sia le
potenzialità e le opportunità che i problemi
funzionali, formali e sociali.
Figura 7 - La regione metropolitana di Barcellona.
Destinazioni d'uso e morfologie
dell'edificato al 2000 |
|
|
Nel tentativo di dare una risposta ai problemi urbanistici delle regioni
metropolitane (carenze infrastrutturali,
inquinamento ambientale, degrado degli spazi
naturali, mercato immobiliare come filtro
sociale e fattore distributivo delle
attività, obsolescenza dei tessuti urbani,
inefficienza dell’organizzazione spaziale
delle attività, ecc.) e partendo dagli
strumenti propri della pianificazione
territoriale, è possibile indicare alcune
linee guida per rinnovare il progetto
territoriale:
- l’inefficace disposizione spaziale di usi e attività, impone un riassetto
che strutturi e organizzi più razionalmente
il territorio, riducendo gli spostamenti non
necessari e rafforzando le sinergie tra le
diverse attività;
- la congestione delle infrastrutture viarie e del trasporto, che si
rivelano insufficienti rispetto alla
crescente mobilità pluridirezionale, rende
indispensabile un miglioramento del sistema
infrastrutturale esistente (principalmente
di quello a scala intermedia) e,
soprattutto, del trasporto collettivo, in
modo da consentire una localizzazione
razionale delle nuove attività (in
particolare quelle in cui la partecipazione
delle istituzioni è più forte);
- considerato il progressivo degrado ambientale, che implica l’insularizzazione
e la distruzione degli spazi naturali,
appare utile la creazione di una rete
ambientale, comprese le relative
infrastrutture, che possa organizzare
adeguatamente e rendere equilibrata
l’occupazione del territorio;
- la mancanza di un quadro di riferimento per la pianificazione
territoriale, rende necessario
l’elaborazione degli schemi direttori
relativi agli elementi strutturanti l’area
metropolitana e la previsione dei dati
quantitativi sulla crescita e i bisogni che
ne derivano.
Queste strategie e strumenti di intervento devono essere elaborati sia
dall’autorità territoriale preposta che
dagli stessi comuni, nell’ambito di un patto
della società civile con le istituzioni,
necessario per rendere il territorio più
efficiente dal punto di vista funzionale,
più equo dal punto di vista ambientale e più
giusto dal punto di vista sociale.
Note
1
Per una visione d’insieme dei contributi del
Piano Direttore del 1968, si vedano i lavori
di M. de Solà-Morales nel numero monografico
di Cuadernos de Arquitectura y Urbanismo
“El Área Metropolitana de Barcelona”, n.
87, Barcelona, 1972.
2
Oriol Bohígas, Reconstrucción de
Barcelona, Edicions 62, Barcelona, 1985
e “Per un altra urbanitat”,
nell’introduzione alla pubblicazione del
Comune Plans i Projectes per a Barcelona
1981-1982, Ayuntamiento de Barcelona,
1983.
3
L’architetto Joan Busquets ricoprì la carica
di direttore all’Urbanistica del Comune di
Barcellona dal 1983 al 1989.
4
Sebbene i
dati si riferiscano alla fine degli anni
’90, si possono considerare ugualmente
rappresentativi della trasformazione
urbanistica occorsa, per via del contenuto
sviluppo degli anni successivi.
5
(NdT) Il termine esponjament,
letteralmente spugnosità, utilizzato
nel testo, sta ad indicare le operazioni
promosse all’interno della ciutat vella
che prevedevano la demolizione dei
tessuti edilizi più degradati, per
sostituirli con nuova edificazione (quasi
sempre edilizia residenziale di carattere
pubblico), con attrezzature pubbliche, spazi
verdi e piazze, anche nel tentativo di
ridurre la significativa densità edilizia di
un centro storico tipicamente mediterraneo.
6
Ayuntamiento de Barcelona Barcelona, la
segunda renovación, 1996. Si veda anche
la pubblicazione del comune Urbanisme a
Barcelona, 1999.
7
In
Proyectar la Ciudad Metropolitana,
pubblicato nel 1987 dalla Corporazione
Metropolitana di Barcellona, è offerto un
ottimo quadro d’insieme dei progetti e degli
interventi metropolitani degli anni ’80.
8
La soppressione per legge della Corporazione
Metropolitana nel 1987 porta alla creazione
di due enti amministrativi con diversa
competenza e differente ambito territoriale:
l’ente metropolitano per l’ambiente, formato
da 33 comuni e l’ente metropolitano per il
trasporto, formato da 18 comuni. Viene
costituita, inoltre, l’associazione dei
comuni dell’area metropolitana, un
raggruppamento volontario di 27 comuni, a
metà strada tra gli altri due.
9
Si veda il nostro studio La construcció
del Territori metropolità. Morfogènesi de la
Regió Metropolitana de Barcelona, Área
Metropolitana de Barcelona, 1999 e la
monografia relativa a Barcellona nel volume
L’explosió de la ciutat/The Explosion of
the city, Coac, Forum Universal de las
Culturas, Barcelona, 2004. |