Numero 8/9 - 2004

 

le politiche per il turismo 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sviluppo industriale e turistico. Quale normativa di sostegno?


Alessandro Cugini


 

La crescita dei settori produttivi, incardinati sulle attività industriali e turistiche, devono trovare quadri di riferimento programmatico certi e stabili in modo da invogliare l’imprenditoria nazionale ed europea a intervenire nel Mezzogiorno.  Alessandro Cugini rileva, a tal proposito, l’importanza e il ruolo fondamentale degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale

 

 

 

 

 

Le infrastrutture: nuovi obiettivi dello sviluppo socio-economico nella concertazione

 

Le parti sociali stanno discutendo di nuovo, ma il dialogo politico nazionale e locale sta mutando: si sta passando da una fase nella quale gli obiettivi principali della concertazione erano quelli della dinamica dei costi di produzione (tra i quali quello del lavoro), del controllo delle dinamiche inflative e del risanamento della finanza pubblica, ad una diversamente complessa incentrata sulla realizzazione di politiche e strumenti finalizzati allo sviluppo e alla crescita1. Se il rilancio dell’infrastrutturazione materiale e immateriale, sia delle grandi opere come di quelle minori, deve avvenire con programmi dotati di una reale fattibilità, il Mezzogiorno rappresenta il punto centrale per una strategia di sviluppo orientata ad un riequilibrio che coinvolga la struttura produttiva, l’occupazione e il reddito, ivi raggiungendo i livelli ormai consolidati nel resto del paese. Tale strategia dovrà fondarsi su alcuni assets specifici, quali:

- utilities, divenute strategiche mediante l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, l’attuazione della legge obiettivo relativamente alle grandi dorsali ferroviarie e autostradali collegate con le reti Ten, il rafforzamento e la piena operatività degli strumenti – come il contratto di localizzazione – più direttamente finalizzati all’attrazione nel Mezzogiorno di nuove iniziative produttive, la mission di Sviluppo Italia orientata sulla promozione degli investimenti e sul marketing territoriale;

- turismo come volano del sud, come opportunità prioritaria mediante il recupero e la promozione delle risorse artistiche e culturali dei centri urbani meridionali, valorizzandone le potenzialità turistiche ancora ampiamente inutilizzate;

- ma anche su di un quadro di certezze normative che è formato dalla legislazione urbanistica regionale meridionale.

In Campania, il disegno di legge (ddil) regionale sul governo del territorio, attualmente all’esame del Consiglio regionale, è un primo importante riferimento nell’elaborazione della pianificazione territoriale regionale come elemento di sviluppo dell’attrazione imprenditoriale2. È opportuno chiedersi se e come il nuovo atteso strumento possa accompagnare tale processo e cioè come l’articolato risulti congruo con le esperienze locali dei piani territoriali di coordinamento (Ptc) dei cinque capoluoghi campani3, degli esiti della programmazione negoziata locale4, dei piani integrati territoriali (Pit) e con le esperienze nazionali sulle funzioni di una moderna legislazione urbanistica regionale: se insomma il testo in via di esame sia, o meno, di ausilio a quella costruzione di regole e di sanzioni che non dimentichino la priorità dello sviluppo industriale regionale. Infatti, considerando insieme le ragioni dello sviluppo economico e quelle della tutela dell’ambiente, da sconsigliare è certo l’ordinaria corrispondenza fra strumenti di pianificazione e livelli istituzionali, e conseguentemente la copertura dell’intero territorio da piani urbanistici e piani territoriali. Sono invece da proporre le esigenze di iniziativa e flessibilità poste dalle energie impegnate nelle strategie per lo sviluppo locale. In primis quelle dell’industria e del turismo.

I progetti di infrastrutture, come di qualsiasi altri tipo di trasformazione del territorio – è stato autorevolmente detto da queste colonne5 – possono sempre rivelarsi dei fallimenti, ma siamo in grado di ridurre ragionevolmente questi rischi con lo sviluppo delle competenze nel campo della pianificazione, specialmente se questa sensibilità si diffonde all’interno delle istituzioni pubbliche responsabili della gestione del territorio, tanto al livello centrale che locale – dato il decentramento delle decisioni pubbliche.

In tutto ciò, si rileva una prima discrasia: mentre a livello nazionale i nuovi obiettivi dello sviluppo socio-economico nella concertazione nazionale (tra i quali si sono evidenziati utilities e turismo nel sud) sono concertati tra le parti sociali, nella legge regionale urbanistica ci si limita alla cooperazione interistituzionale nei processi di pianificazione. Fin dal primo documento (Lr 20.6.2001, n. 109) la Giunta regionale ha proposto un “sistema nel quale sia decisivo il ruolo assegnato agli enti territoriali infraregionale, mediante il metodo della pianificazione partecipata, con la previsione di un intervento preventivo delle province e dei comuni al procedimento di programmazione sovracomunale da parte della regione”6: delle parti sociali non c’è traccia.

Il loro ruolo va recuperato correggendo il testo dell’art. 4 approvato dalla competente Commissione consiliare: la cooperazione istituzionale – sia in sede di individuazione degli obiettivi della pianificazione urbanistica che di successiva verifica delle compatibilità delle scelte adottate – va estesa alle organizzazioni datoriali e sindacali (che stanno trattando gli stessi temi a livello nazionale): e ciò almeno per le scelte urbanistiche relative alle aree industriali e turistiche7.

 

 

Esiste in Campania un ruolo degli strumenti urbanistici per lo sviluppo industriale e turistico locale?

 

Le scelte urbanistiche nazionali, regionali, provinciali e comunali sono determinanti come matrice delle priorità strategiche capaci di incidere positivamente sullo sviluppo delle reti e sui livelli dei servizi, che non solo coinvolgano nella loro realizzazione risorse pubbliche e risorse private, ma determinino diverse condizioni locali di attrazione dell’industria e del turismo8.

Anzitutto gli strumenti urbanistici devono tenere conto dei fenomeni demografici e residenziali. Ovunque in Italia si osserva come l’emorragia costante delle residenze dalle città verso l’hinterland e la riappropriazione urbana delle periferie industriali rende chiara la nuova localizzazione manifatturiera e l’esigenza di programmarne i siti delle infrastrutture di supporto nella cinta di seconda fascia delle città capoluogo regionali e locali (Tabella 1).

Tabella 1

 

Roma, Bologna e Verona sono le città dove la deurbanizzazione appare più evidente e dove l’industria riscopre una sua possibilità di forte impulso nella seconda cinta urbana (30-50 km) proprio con il supporto di forti investimenti infrastrutturali. Napoli non è da meno, confermando il dato generale ed evidenziando un forte riutilizzo dell’hinterland nella saldatura delle residenze con Caserta. La rilocalizzazione di molte centinaia di migliaia di residenti dal monte al mare ha contraddistinto la stagione degli anni ’70-’80 (qualcuno ricorderà il dibattito sull’auspicato, o meno, contenimento dell’incremento demografico della Provincia di Napoli definito opzione Cascetta). La forte infrastrutturazione contraddistinguerà i primi decenni del nuovo millennio. Essa interessa ogni fascia sociale e ogni attività sia in chiave di utilizzo delle risorse esistenti e future, sia in chiave di sviluppo che infrastrutturale: si pensi agli spostamenti delle numerose aziende napoletane nelle aree attorno agli assi stradali di viabilità superiore e alle innovazioni logistiche più recenti (interportualità, asse autostradale, ferroviario, energetico elettrico e del metanodotto, ecc.).

Inoltre gli strumenti urbanistici devono tenere conto dei Pit incentrati sulle vocazioni d’area sovracomunale utili ai fini delle potenzialità degli insediamenti industriali, infrastrutturali e turistici.

La scelta delle aree industriali e turistiche deve essere preceduta dalle indicazioni di sviluppo dell’economia dell’area più vasta regionale: in Campania lo sviluppo distrettuale industriale, l’attrazione dei grandi motori turistici, la pianificazione della rete logistica ampliata (ferro, nave, autostrada, aeroportualità, intermodalità, energia elettrica, gas, cablaggio) è stato fatto mediante l’individuazione nel programma operativo regionale della Campania di Pit incentrati sulle vocazioni d’area sovracomunale utili ai fini delle potenzialità degli insediamenti industriali, infrastrutturali e turistici. La portata dell’impegno programmatico regionale sullo sviluppo della risorsa regionale turistica e l’orientamento a pianificare le relative scelte infrastrutturali e ambientali è evidenziata dalla decisione di approvare ben 32 Pit a vocazione turistica dei 51 totali. Degli stessi 51, la vocazione industriale di altri 13 Pit evidenzia i focus territoriali dello sviluppo industriale auspicato anche al di là dei 7 distretti industriali campani (Tabella 2).

Tabella 2

 

Se queste sono le scelte industriali e turistiche regionali, questo ci riporta all’esigenza di correlarle con le prospettive delineate dai Ptc delle cinque province campane e le scelte di sviluppo comunale. In Campania i 32 Pit turistici e i 13 Pit industriali sono la maglia di correlazione tra i vari livelli di normativa urbanistica: a livello regionale, provinciale e comunale.

Inoltre, gli strumenti urbanistici devono tenere conto dell’indicatore della localizzazione previsionale del fabbisogno energetico regionale. Esso riassume – specialmente dal punto di vista turistico-industriale – come e dove si debbano correlare le zone di sviluppo potenziale di manifattura e servizi alle persone con l’esistente mappa delle infrastrutture esistenti e con le iniziative di potenziamento.

La mappa riportata in Figura 1 è solo emblematica: i problemi della distribuzione elettrica9 sono anche maggiori di quelli della produzione energetica (gravemente deficitaria in Campania, com’è a tutti noto). Essa serve solo per indicare agli urbanisti come – al di là del modello più o meno vincolante della normativa urbanistica – il ruolo della legge regionale urbanistica per lo sviluppo industriale locale passa attraverso la capacità di creare un clima di concertazione e di programmazione fattiva sulla predisposizione di nuove infrastrutture adeguate alle scelte di localizzazione dei poli turistici e industriali facenti parte del piano di sviluppo regionale di lungo termine.

Figura 1 - Distribuzione della richiesta di energia da coprire mediante impianti termoelettrici di nuova installazione - anno 2010 (Tavola 1)

Fonte: Assessorato regionale Industria Campania, 2° Forum dell'energia e dell'ambiente, giugno 2004

 

Si disse che le scelte urbanistiche nazionali, regionali, provinciali e comunali furono determinanti come matrice delle priorità strategiche capaci di incidere positivamente sullo sviluppo delle reti e sui livelli dei servizi, che non solo coinvolgano nella loro realizzazione risorse pubbliche e risorse private, ma determinino diverse condizioni locali di attrazione dell’industria e del turismo. Malgrado questa evidenza, il recente testo indica alla pianificazione territoriale e urbana, tra gli altri10, l’obiettivo della “tutela e sviluppo del paesaggio agricolo e delle connesse attività produttive”, dimenticando (art. 2) la tutela e lo sviluppo sia dell’industria che del turismo. Ovunque in Italia non si può accettare una legge urbanistica regionale che dimentichi tra gli obiettivi da perseguire l’industria e il turismo, ma in Campania ciò appare addirittura ridicolo. Paradossalmente verrebbe da credere che l’articolato affermi non esistere in Campania alcun ruolo degli strumenti urbanistici per lo sviluppo industriale e turistico locale. Questa tesi potrebbe essere corroborata dal fatto che il testo della Lr (art. 13, comma 1-6) affida:

- al piano territoriale regionale (Ptr) la fissazione di meri “indirizzi per la distribuzione territoriale degli insediamenti produttivi e commerciali”;

- al Ptc (art. 18, comma 5, lett. g) “indirizzi finalizzati ad assicurare la compatibilità territoriale degli insediamenti industriali”;

- allo stesso Ptc (art. 18, comma 9) e, limitandosi ai soli agglomerati Asi, la funzione di emetterne il piano regolatore generale (Prg) precisando che esso “ha valore e portata di piano regolatore delle aree e consorzi industriali di cui alla Lr 13.8.1998, n. 16” (tralasciando tutte le aree Pip e le zone D comunali);

- al piano urbanistico comunale (Puc) – art. 24, comma 1 – una generica “disciplina la tutela ambientale, le trasformazioni urbanistiche ed edilizie”;

- e finalmente al piano urbanistico attuativo (Pua) – art. 27, comma 2 – la funzione (meramente attuativa e non di sviluppo) di “piano delle aree da destinare a insediamenti produttivi ex art. 27, legge 22.10.1971, n. 865”.

Per questi motivi la legge – almeno all’odierna lettura – evidenzia un suo essere prioritariamente rivolta alla tutela del territorio, piuttosto che al suo sviluppo socio-economico: alcune integrazioni in tal senso sembrano necessarie.

 

 

Quale modello di legge regionale urbanistica è il più utile per lo sviluppo industriale locale campano

 

Da queste colonne Belli ha sintetizzato il quadro dell’inquadramento strategico possibile nella pianificazione territoriale regionale, indicandone i diversi modelli in atto a livello delle diverse regioni italiane. Delle sue parole ricordo i diversi modelli di legge urbanistica regionale in uso in Italia:

1. un piano territoriale inteso come governo urbanistico del territorio, con rilevante funzione regolatrice assistita dall’individuazione di una serie di vincoli;

2. un piano come strumento d’indirizzo territoriale, denominato legge di governo del territorio, articolata in una descrizione del territorio per grandi sistemi, suddivisa in aree omogenee d’intervento, per le quali vengono indicate regole, indirizzi e strumenti operativi;

3. un piano come documento prevalentemente a carattere strategico territoriale, inteso come strumento agile capace di fornire una cornice11 condivisa di alcuni mirati progetti di trasformazione territoriale concernenti ambiti di interesse strategico;

4. un piano latente che si riferisce ad un modello di governo del territorio aperto, sorretto da una molteplicità di strategie settoriali limitate e specifiche.

La scelta è quindi tra la pianificazione strutturale – descritta nei primi due tipi di normativa urbanistica regionale (che ha forte impatto di certezza per le aziende ma anche di grande rigidità) – il terzo caso (che personalmente ritengo consono al disegno dei Pit dianzi descritto) e l’ultimo, improntato alla minore prescrittività.

Belli, per la Campania afferma: “Rispetto, quindi, all’evoluzione dell’esperienza di pianificazione territoriale regionale in corso in Italia, l’esperienza in corso in Campania tende a dislocarsi verso l’estremo del piano strategico. In sostanza l’intenzione è di poggiare il successo della sua azione non tanto sull’adeguamento conformativo degli altri piani, ma sui meccanismi di negoziazione e di consenso intorno alle grandi materie dello sviluppo sostenibile e delle grandi direttrici di interconnessione. Il Ptr, pertanto, si qualifica anzitutto come piano d’inquadramento nei confronti dei soggetti istituzionali cui è affidata la pianificazione d’area vasta. Lo fa con la finalità di contribuire all’ecosviluppo, secondo una visione che attribuisce al territorio, inteso come grande materia che propone esplicitamente specifiche forme d’integrazione, il compito di mediare cognitivamente e operativamente tra la materia della pianificazione paesistico-ambientale e quella della promozione e della programmazione dello sviluppo. Questa funzione principale è sorretta principalmente da una funzione di agevolazione dell’operatività degli attori territoriali, definendo prospettive di trasformazione da sostenere attraverso un percorso di affinamento di regole istituzionali convergenti da parte degli enti sollecitati ad una più certa leale collaborazione. In riferimento a questi obiettivi strategici il Ptr vuole contribuire a superare o per lo meno a ridurre l’indeterminatezza dei contesti per gli attori istituzionali e sociali, offrendo loro dei quadri territoriali di riferimento (Qtr)12 come base utile alla definizione delle diverse linee d’azione”.

D’altro lato, Roma – commentando il recente Rapporto sulla città 2004 della Fondazione Ambrosianeum13 – ha affermato che “la fotografia di una città caotica e cara che viene abbandonata per cercare una maggiore vivibilità è abbastanza vera ma non dice tutto: sta cambiando il rapporto centro-periferia. Dobbiamo imparare a parlare di regioni urbane”. Storicamente nella periferia delle città si sono insediate le imprese, via via delocalizzate per l’estendersi delle città. Ora questo processo non deve essere lasciato ai singoli operatori ovvero alle imposizioni di ecocompatibilità del singolo comune, bensì far parte di quel processo di concertazione dello sviluppo di cui si sta assistendo a livello nazionale al rilancio. Ecco perché – anche dal punto di vista dell’economia e, in particolare, della parte dell’economia imprenditoriale legata allo sviluppo del territorio – il ruolo della legge regionale urbanistica diventa centrale per il necessario contemperamento tra le esigenze delle diverse funzioni umane: abitazione, industria, commercio, istruzione ecc.

Se è della regione il compito di contribuire all’ecosviluppo, questa funzione principale va sorretta da una cooperazione istituzionale – sia in sede di individuazione degli obiettivi della pianificazione urbanistica che di successiva verifica delle compatibilità delle scelte adottate – con le organizzazioni datoriali e sindacali e che svolga proprio quella funzione di agevolazione dell’operatività degli attori territoriali, di definizione delle prospettive di trasformazione, di affinamento di regole istituzionali convergenti da parte degli enti sollecitati ad una più certa leale collaborazione con i cittadini e con gli attori dello sviluppo e dell’attrazione imprenditoriale.

 

 

Punti di forza e di debolezza nello sviluppo industriale presenti nel ddil urbanistico campano in via di approvazione

 

Da queste colonne14 recentemente ricordavo che la programmazione delle aree industriali configura una scelta politica di rilevante importanza per le istituzioni ma soprattutto per gli operatori economici e i cittadini. Sono noti i punti di forza della Campania15. Bankitalia ha recentemente confermato questi dati aggiungendo alcune specifiche indicazioni (Tabella 3) nell’industria e nel turismo campano.

Tabella 3

 

Tutto ciò fa rimarcare come – anche in Campania – la legge urbanistica debba svolgere il proprio ruolo di componente primaria di attrazione degli investimenti esterni all’area, oggi inesistenti, attraverso la moderna programmazione delle aree industriali e delle aree turistiche: essa, quindi, diventa un fattore decisivo del rilancio della Regione Campania.

Da queste colonne Moccia ha giustamente ricordato16 l’esigenza di territorializzazione dei grandi progetti infrastrutturali, in modo che assicurino, da un lato, il non creare ulteriori squilibri e, dall’altro, il trasformarsi in progetti di sistemi locali capaci di controllare l’impatto territoriale e programmare le valorizzazioni e i benefici derivanti dalle nuove iniziative. Personalmente, anche per le indicazioni di Belli sopra riportate, apprezzo il nuovo testo perché supera la logica vincolistica e rende leggera ma certa la pianificazione urbanistica imprenditoriale.

L’impianto della legge appare molto più articolato, rispetto al precedente, e risponde positivamente all’esigenza di semplificazione, di non comprimere l’autonomia degli enti locali, promuovendo la copianificazione e la cooperazione istituzionale (artt. 4 e 5), la sussidiarietà espressamente citata (art. 8), nonché la normativa relativa alle aree industriali (art. 18). In particolare appare molto utile la ripartizione delle competenze e la fissazione del procedimento di formazione del Ptr, del Ptcp, del Ptc e degli Accordi di programma. I punti focali della bozza di legge, dal punto di vista dell’ottica degli interessi imprenditoriali, sono i seguenti:

- se gli obiettivi della legge tengano conto di tali interessi (artt. 2 e 4);

- la regolamentazione degli accordi di programma (art. 12);

- competenze del Ptr in ordine all’industria e turismo (art. 13);

- competenze del Ptcp in ordine all’industria e turismo (art. 18);

- gli strumenti urbanistici comunali (Puc, art. 24; Pua, art. 27; Pria art. 29).

Tenterò di fornire per ognuno di questi punti spunti di riflessione.

 

Gli obiettivi della pianificazione urbanistica regionale (art. 2)

 

Tra gli obiettivi della pianificazione territoriale e urbanistica del ddil campano si rileva il concetto della “tutela e dello sviluppo del paesaggio agricolo e delle connesse attività produttive” (art. 2, comma 1, lettera e). Si è già detto come sarebbe importante che questo concetto fosse esteso a tutta l’attività economica. Si suggerisce di aggiungere la seguente frase come secondo comma dell’art. 2: “La pianificazione territoriale persegue finalità di qualificazione ambientale e funzionale del territorio ligure con prioritario riguardo alle esigenze di organizzazione e di sviluppo dei settori produttivi dell’economia regionale, con particolare riferimento al turismo, e di adeguamento delle reti infrastrutturali” (riferimento testuale all’art. 2 - Principi informatori della pianificazione territoriale della legge urbanistica regionale Liguria 4.9.1997, n. 36).

 

Le competenze delle parti sociali nella pianificazione urbanistica regionale (art. 4)

 

Mantenendo nelle competenze di regione, province, comuni l’adozione degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, si notano positivi riscontri interistituzionali negli iter di formazione del Ptr (art. 13), dei Ptcp (art. 18) ma non del coinvolgimento delle cosiddette forze sociali. Nel livello degli strumenti urbanistici comunali (art. 23) non vi è neppure l’indicazione di cooperazione con gli attori socio-economici del territorio. Si potrebbe, quindi, meglio integrare il concetto della cooperazione nei processi di pianificazione e specificare l’eventuale ruolo attivo di privati sia al momento della formazione della pianificazione, sia nella sua pratica attuazione.

Per il primo si suggerisce di aggiungere all’art. 4 una frase del tipo: “Le conoscenze che costituiscono il presupposto dell’attività di pianificazione sono patrimonio comune degli enti che condividono la responsabilità del governo del territorio, nonché di tutti gli altri soggetti, ivi compresi gli enti e associazioni rappresentative di interessi collettivi o diffusi coinvolti” (il cui testo è tratto dall’art. 7, primo comma della citata legge urbanistica Liguria).

Per il secondo tema, più complesso, si suggerisce di aggiungere la seguente frase alla fine dell’art. 7: “Gli enti locali possono concludere accordi con soggetti privati per assumere nella pianificazione proposte di progetti e di iniziative di rilevante interesse per la comunità locale, al fine di determinare talune previsioni del contenuto discrezionale degli atti di pianificazione territoriale e urbanistica, nel rispetto della legislazione e pianificazione sovraordinata vigente e senza pregiudizio dei diritti dei terzi” (riferimento testuale tratto dall’art. 18 – Accordi con i privati della legge urbanistica regionale Emilia Romagna 20/2000). A conferma dell’opportunità dell’indicazione si riferisce come un testo similare si possa trovare all’art. 6 - Accordi tra soggetti pubblici e privati della recentissima legge urbanistica Veneto 8.4.2004.

 

Gli accordi di programma (art. 12)

 

Il ddil campano riporta in breve il DLgs 18.8.2000, n. 267 per regolare “un’azione integrata tra regione, province, comuni e amministrazioni dello Stato e altri enti pubblici per la definizione e l’esecuzione di programmi di intervento di opere pubbliche o di interesse pubblico, anche di iniziativa privata, nonché per l’attuazione dei piani urbanistici comunali”. Si deve valutare se l’articolato sintetico sia opportuno, ovvero specificare alcune questioni procedurali, per rendere più chiara e fruibile l’attuazione dell’accordo di programma in Campania, come hanno ritenuto altre regioni. Molte regioni hanno, infatti, regolato diffusamente l’accordo di programma nella loro legge urbanistica:

- così la legge 6.4.1998, n. 11 della Val d’Aosta che ha dedicato ben 7 articoli al solo tema della esplicitazione di come si attua l’accordo di programma (un articolo per definirne l’ambito, il secondo per la procedura di formazione, il terzo per la procedura di pubblicazione, il quarto per le OOpp di interesse regionale, il quinto per le OOpp di interesse statale, il sesto per quelle comunali, intercomunali e delle comunità montane e l’ultimo per quelle delle telecomunicazioni) a riprova della centralità dell’argomento;

- così la legge 217/2000 dell’Emilia Romagna regolò nell’art. 40 soggetti, modalità, destinatari e procedure con estrema attenzione: essa si rivolse a chi – per accordi di programma in variante alla pianificazione territoriale e urbanistica per la realizzazione di opere, interventi o programmi di intervento di iniziativa pubblico o privata – potesse formulare osservazioni e proposte ivi comprese le associazioni economiche e sociali e quelle costituite per la tutela di interessi diffusi;

- così anche dall’art. 7 della recentissima legge urbanistica del Veneto che ne formula attente precisazioni: “I rapporti con i privati sono disciplinati da un atto unilaterale d’obbligo o da una convenzione da allegare all’accordo di programma”; specifica l’iter di efficacia dopo la sua sottoscrizione (“Ove l’accordo di programma comporti variante al piano di assetto del territorio è necessaria l’adesione della provincia e l’accordo è approvato dal suo Presidente, ove comporti variante al piano di interventi comunale è approvato dal Sindaco ma tale adesione va ratificata dal Consiglio comunale entro 30 gg. dalla sottoscrizione a pena di decadenza”).

 

Il piano territoriale regionale (art. 13 e segg.)

 

La scelta del ddil campano è quella di un piano snello: esso, infatti, così recita: “Il Ptr individua gli obiettivi di assetto e le linee principali di organizzazione del territorio regionale nonché le strategie e le azioni volte alla loro realizzazione, i sistemi infrastrutturali e le attrezzature a rilevanza sovraregionale e regionale e gli indirizzi e criteri di elaborazione degli strumenti di pianificazione territoriale provinciale e per la cooperazione istituzionale”.

Il limite è, tuttavia, contenuto nell’art. 16 che afferma come le varianti e gli aggiornamenti delle previsioni del Ptr sono sottoposte alle stesse procedure della sua iniziale formazione (art. 16) “con i termini ridotti della metà”. Si deve valutare attentamente se sia condivisibile un piano snello ma lento alle modifiche o altra forma di struttura del Ptr.

Soccorre sul tema il taglio fluidificante adottato dal ddil Lombardia in via di approvazione che sceglie di dividere il piano di governo del territorio (Pgt) in un documento di piano (quinquennale e sempre modificabile), un piano di servizi (senza limiti di validità e sempre modificabile) e il piano delle regole (anch’esso senza termini di validità e sempre modificabile). Ma questo modificherebbe tutto l’assetto del ddil campano. Si suggerisce, quindi, di limitarsi ad aggiungere alla fine dell’art. 16 - Varianti al Ptr del ddil campano la locuzione contenuta nell’art. 22 della normativa lombarda che afferma: “Il piano è aggiornato annualmente mediante il documento di programmazione economico-finanziaria regionale: l’aggiornamento può comportare modifiche e integrazioni a seguito di studi e progetti di sviluppo e di procedure, del coordinamento con altri atti della programmazione regionale, nonché di quelle di altre regioni, Stato o Unione europea”. L’aggiornamento annuale sarebbe molto più utile della riduzione ad uno dei tre piani perché agirebbe sulle risorse economiche, unico vincolo agli amministratori degli enti locali.

Per la gestione del Ptr attenta alle tematiche imprenditoriali, si suggerisce di adottare la soluzione dell’art. 16 della legge urbanistica Lazio 22.12.1999, n. 38, che istituisce un “Comitato regionale per il territorio” con funzione consultiva su tutti i temi della pianificazione territoriale e urbanistica e composto, tra gli altri, da esperti esterni alla regione designati dal Consiglio regionale: esso “esprime pareri sui piani delle aree e dei nuclei di sviluppo industriale”.

 

Il piano territoriale di coordinamento provinciale (art. 18 e segg.)

 

Senza riprendere le note questioni che hanno portato l’Unione industriali di Napoli a proporre osservazioni al Ptcp della Provincia di Napoli, si deve riconoscere che le competenze affidate dal ddil campano al Ptcp nell’art. 18 sono assai più blande delle decisioni assunte dall’amministrazione provinciale di Napoli: avevamo giustamente opposto alla provincia di essersi accaparrata poteri di incerta attribuzione da parte della regione e infatti oggi si parla di utilizzare i Ptcp per fissare “disposizioni che contengano gli indirizzi finalizzati ad assicurare la compatibilità territoriale degli insediamenti industriali”. Quanto siamo lontani da una certa e non la stessa e meticolosa individuazione di luoghi, indici, che ritrovammo nel Ptcp di Napoli!

A favore dell’attività dei consorzi tra le imprese presenti nello stesso agglomerato industriale e promossi dal sistema confindustriale campano, si segnala l’importanza del chiarimento che il ddil campano ha messo al nono comma dell’art. 18 nel quale si afferma che “il Ptcp ha valore e portata di Prg delle aree e dei consorzi industriali di cui alla legge regionale 13.8.1998, n. 16; ai fini della definizione delle relative disposizioni del Ptcp, la provincia promuove le intese con i consorzi Asl e con tutti gli altri soggetti previsti dalla Lr 16/1998”.

La separazione dei tre livelli, tuttavia, sembra superata da molte interrelazioni territoriali (ad esempio, infrastrutture, logistica, ecc.). A tal fine si segnala come questo processo di sussidiarietà(che si ritrova nell’art. 8 del ddil campano almeno come indicazione di principio) determini, come per la recentissima legge del Veneto, l’innovazione di piani di assetto del territorio subprovinciali mediante procedure concertate tra comune e provincia e piani di assetto del territorio intercomunali. Si potrebbe valutare se suggerire questa indicazione per i 7 Distretti industriali regionali campani.

 

Gli strumenti urbanistici comunali (art. 23 e segg.) e gli interventi dei privati

 

Questo è il vero nodo del ddil campano. La scelta del ddil campano è di creare ben tre strumenti di pianificazione comunale (piano urbanistico comunale, piano urbanistico attuativo e regolamento urbanistico edilizio comunale), ai quali si aggiunge (si veda l’art. 29) il neonato piano di recupero degli insediamenti abusivi, la qual cosa renderà complessa la futura normativa urbanistica.

Non così hanno fatto altre regioni: esse hanno varato norme nelle quali si evidenzia una scelta difforme ovverosia quella per il quale il modello di piano regolatore finora usato viene superato e sostituito da un doppio livello, quello strutturale e quello operativo: stanno facendo tutte così ancorché i piani siano diversamente denominati nelle più recenti normative (Veneto, Liguria, Piemonte, Emilia Romagna). Questo in quanto si ritiene che una scelta a due livelli consenta una maggiore flessibilità di adozione e di gestione della pianificazione urbanistica comunale.

È interessante per la Campania – dove vi è una forte concentrazione urbanistica e demografica nella città capoluogo – l’indicazione del Lazio: esso adotta per la città metropolitana di Roma le norme del livello provinciale: ma per tutti gli altri comuni della regione adotta il doppio livello del piano urbanistico comunale generale (Puc) e del piano urbanistico operativo comunale (Puo). Napoli potrebbe ritenere di fare altrettanto? Ma il tema che si ritiene più importante è quello del ruolo operativo dei privati e quindi del regime concessorio. Su questo tema il ddil campano è del tutto carente: esso si limita a prescrivere (ultimo comma dell’art. 27) che “l’amministrazione comunale provvede alla stipula di convenzioni disciplinanti i rapporti derivanti all’attuazione degli interventi previsti dal Pua”.

Questo concetto di apertura all’iniziativa privata o mista, validissimo, deve essere meglio specificato per non ingenerare difficoltà di applicazione. Qui soccorre l’ampio articolato della legge urbanistica 36/1997 della Liguria. Questa legge afferma che il piano comunale “si sviluppa operativamente nei distretti di trasformazione di norma mediante i Puo” (1° comma art. 48) e aggiunge che il Puo può essere di iniziativa pubblica o privata (art. 50) ovvero mista (art. 51). Inoltre essa afferma che “il Puo, quando non sia approvato in sede di accordo di programma o di conferenza di servizi, è adottato con deliberazione del Consiglio comunale e successivamente inviata alla provincia per la formulazione di eventuali rilievi di legittimità e pubblicata per 45 gg. a libera visione del pubblico. Durante il periodo di deposito possono essere presentate opposizioni da parte dei proprietari di immobili compresi nel Puo e osservazioni da parte di chiunque ne abbia interesse. Nel medesimo periodo il Presidente della provincia sentito il Ctup, può formulare rilievi di legittimità, con particolare riferimento alla conformità del Puo al Puc. Il Puo si intende approvato con la deliberazione, da adottarsi entro i successivi 90 gg., con la quale il Consiglio comunale decide sulle osservazioni e opposizioni pervenute nonché sui rilievi formulati dalla provincia e la Giunta comunale prende atto della mancanza di detti osservazioni, opposizioni e rilievi”. L’iter e i tempi sono ben tracciati e certi.

Una specificazione nello stesso senso si può trovare all’art. 14 del ddil lombardo in via di approvazione. Esso afferma: “I piani attuativi e le loro varianti sono adottati dalla Giunta comunale, nel caso che si tratti di piani di iniziativa privata l’adozione deve avvenire entro 90 gg. dalla presentazione al comune del piano o variante. Il termine può essere interrotto una sola volta per infrazioni richieste dagli uffici … entro 30 gg”.

In entrambi i casi ci troviamo di fronte a norme che si preoccupano di semplificare e di rendere certo nella sua durata e nei suoi esiti – positivo o negativo che sia – il procedimento amministrativo edificatorio promosso da privati.

L’adozione di procedure analoghe (silenzio assenso, decisione finale anche di legittimità affidata al comune, prefissazione della durata del periodo istruttorio, ecc.) appare utilissimo per riavviare il comparto edile e quello industriale in Campania.

Quindi, potrebbe essere valutata la possibilità di adottare procedure specifiche in due parti del ddil:

- in quella dedicata alla società di trasformazione urbana di cui si parla in modo troppo stringato nell’art. 38;

- in quella, altrettanto scarna dizione, dell’art. 39 denominato Contenuto delle convenzioni.

In entrambi i casi questo suggerimento consentirebbe di mantenere invariato l’assetto dato sinora al ddil campano ma aprirebbe un varco di maggiore certezza per gli investitori privati impegnati nei settori dello sviluppo industriale e turistico.

 

 

Conclusioni: l’urgenza del ddil urbanistico campano

 

In sintesi, in Campania la programmazione delle aree industriali e dello sviluppo turistico hanno precisi indicatori (i Pit) e altrettanto precisi vincoli (energetico, ambientale, della sicurezza del territorio, ecc.). La legge urbanistica regionale è anzitutto urgente, migliorabile se legata ai distretti industriali e turistico in quanto esigenza degli operatori economici e delle amministrazioni locali e di settore che lì operano e che sono elemento di attrazione industriale esterna.

Circa le scelte di prima localizzazione delle aree industriali e delle infrastrutture, esse devono provenire dalla concertazione con le parti sociali, come quelle di secondo livello devono essere frutto del confronto con gli operatori economici. Solo così potremo sperare di avere:

- siti industriali più calibrati nella localizzazione e nella quantizzazione di quelli (troppi e sparsi) inseriti nell’Intesa istituzionale quadro, intervenuta tra il Governo italiano e la Presidenza della Giunta regionale Campania del dicembre 2001;

- scelte tipologiche e localizzative dell’infrastrutturazione delle aree produttive attrattive di insediamenti provenienti dall’esterno della regione e della nazione;

- promuovere la visibilità di un disegno strategico regionale di poche nuove aree (con infrastrutture superiori di sicurezza, servizi consortili, ecc.) e, quindi, una promozione della finanza di progetto: ad essa non vi è alternativa finanziaria, visti gli alti costi di tali infrastrutture e l’esigenza di ricarichi di lungo termine per renderle appetibili nel confronto nazionale e internazionale.

Circa il turismo, il coordinamento tra le anzidette preesistenze infrastrutturali logistiche appare prossimo. L’azione delle due agenzie regionali promosse dall’Ea Volturno sulla logistica merci e passeggeri ripercorre un recente studio del Cesit per la Campania: esso confrontava i modelli esistenti di agenzie di gestione, esecutive e di supporto prediligendo le prime perché coerenti con le indicazioni della privatizzazione dei servizi pubblici locali: esse sembrano – come mostra l’esperienza di Roma, Forlì-Cesena, Rimini, Parma e Reggio Emilia – una forte opportunità. La presenza dei numerosi Pit di vocazione turistica ne sono un primo concreto banco di prova.

La priorità è una e duplice: se la logistica attrae le merci, la mobilità locale facilita uomini e mezzi, il turismo attiva dipendenti e clienti delle aziende delle aree industriali e delle attività turistico-release che, entrambi, si servono di essa. Ecco perché il disegno della pianificazione territoriale e urbanistica non può essere solo interistituzionale, bensì concertativi … ma soprattutto urgente.

 

 

Note

 

1 Dalla bozza di Memorandum per la crescita e lo sviluppo: le priorità condivise fra Confindustria e Cgil, Cisl, Uil in discussione dal 14 luglio 2004.

2 Coppola E. Moccia F. D. (2001), La pianificazione strategica nei patti territoriali della Regione Campania, in areAVasta n. 3-2001.

3 Cugini A. (2004), Le aree industriali nel Ptc di Napoli, in areAVasta nn. 6/7-2003.

4 De Vivo P. (2004) Pratiche di concertazione e sviluppo locale, FrancoAngeli.

5 Lo Cicero M., in Moccia F. D., Il fattore territorio nello sviluppo solidale, in areAVasta nn. 6/7-2003.

6 Deliberazione 40 del 5.6.2001 della Giunta regionale Campania, disegno di legge concernente Norme sul governo del territorio – proposta al Consiglio.

7 Un esempio tra tanti possibili: dopo molti black out e interruzioni di corrente elettrica, uno studio in corso (Unione industriali Napoli con l’assistenza tecnica di Università di Napoli “Federico II”, Seconda Università di Napoli, Aei, Provincia di Napoli) sta rilevando la mappa delle carenze nella rete di distribuzione elettrica: un primo report di aziende e comuni colpiti è disponibile sul sito www.unindustria.na.it.

8 Nel numero precedente della rivista areAVasta in Le aree industriali nel Ptc di Napoli, scrivevo sulla medesima tematica “Ritengo di poter affermare che – in assenza di un quadro di sviluppo regionale e di una concretizzazione di almeno uno dei due distretti industriali nel territorio napoletano – sia quanto meno prematura una pianificazione deterministica delle localizzazioni. Discutibile appare anche la suddivisione in alcune aree industriali di interesse maggiore (provinciale) e altre di (inferiore) interesse comunale”. Perché si sceglie di ampliare agglomerati industriali non connessi a distretti (come Giugliano), se poi si prevede di istituire un complesso di quattro piani degli insediamenti produttivi (Pip) nel distretto sangiuseppese?”. Dopo quasi un anno il testo della legge regionale affida al Ptr “gli indirizzi per la distribuzione territoriale degli insediamenti produttivi e commerciali” e al Ptc “gli indirizzi finalizzati ad assicurare la compatibilità territoriale degli insediamenti industriali”.

9 Si richiama l’attenzione del lettore con esperienza nel settore su due Accordi interistituzionali sottoscritti il 21 luglio 2004 tra la Regione Campania e Grtn in ordine alle problematiche energetiche: il “Protocollo d’intesa in merito alla pianificazione elettrica e per la disciplina della Vas applicata al piano di sviluppo della rete nazionale elettrica tra Grtn e Regione Campania” e l’“Accordo di programma in merito a ulteriori opportunità di sviluppo della porzione di rete elettrica di trasmissione elettrica nella porzione della rete nazionale nel territorio delle Regioni Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia mediante applicazione volontaria della valutazione ambientale strategica”.

10 Nell’art. 13, dove sono fissati i campi di azione del Ptr si affida a questo strumento l’indicazione degli obiettivi d’assetto e le linee di organizzazione del territorio, delle infrastrutture sovraregionali e regionali e i criteri di cooperazione interistituzionale, mentre come obiettivi da definire troviamo la tutela fisica e culturale del territorio, lo sviluppo sostenibile, le articolazioni infrastrutturali e logistiche, gli ambiti territoriali sovracomunali e le aree di rischio.

11 Cornice definita a valle di un’immagine condivisa del territorio regionale e dei nuovi probabili scenari futuri che comporta il superamento di una logica vincolistica a favore di una strategia della pianificazione sorretta dalla definizione di precise azioni intersettoriali.

12 Il primo è quello delle reti – la rete ecologica, la rete dell’interconnessione (mobilità e logistica) e la rete delle sorgenti di rischio – che attraversano il territorio regionale. Il secondo è quello dei nove ambienti insediativi, individuati in rapporto alle caratteristiche morfologico-ambientali e alla trama insediativa. Il terzo Qtr è costituito da 45 sistemi territoriali di sviluppo (Sts).Il quarto Qtr è costituito dai campi territoriali complessi.

13 Il Sole 24 Ore del 13.7.2004, p. 9.

14 Cugini A.(2004), Le aree industriali nel Ptc di Napoli, in areAVasta nn. 6/7-2003.

15 Secondo il Censimento 2001, la consistenza di una forza industriale connessa ad un abbozzo di infrastruttura logistica sono composti da:

- 294.465 le unità locali attive delle imprese e delle istituzioni in Campania di cui il 19,2% è costituito da unità locali di imprese del settore dell’industria;

- 1.197.587 di addetti alle unità locali, suddivisi tra industria (24,1%), commercio (18,8%), altri servizi (30,7%), che lascia – raro nel Sud – il solo 26,4% alle istituzioni pubbliche e private;

- un aumento, rispetto al precedente Censimento del 1991, delle unità locali (+8,9%) e degli addetti (+1,3%).

16 Moccia F. D.(2004), Il fattore territorio nello sviluppo solidale, in areAVasta nn. 6/7-2003.

 

 

Presentazione | Referenze Autori | Scrivi alla redazione | AV News | HOME

 

 Il sito web di Area Vasta è curato da Michele Sol