È iniziata formalmente la seconda fase della
costruzione del piano territoriale
regionale (Ptr) dopo la prima costituita
dalla stesura delle linee guida, attraverso
la redazione dello schema del Ptr,
finalizzato a offrire agli attori
istituzionali, per la loro attività di
pianificazione del territorio, un sostegno
conoscitivo e operativo, di inquadramento e
di indirizzo.
Attualmente la cornice legislativa di
riferimento del presente documento è
costituita dall’inserimento delle linee
guida per la pianificazione territoriale
regionale, pubblicate nel Burc del
24.12.2002, all’interno del dettato
normativo della Lr 26/2002, che ne prevedono
l’efficacia “fino all’adozione del Ptr e
all’entrata in vigore della legge contenente
le Norme per il governo del territorio”,
attualmente all’esame dell’aula.
L’articolazione del Ptr è altresì coerente
con quanto previsto dal disegno di legge
“Norme sul governo del territorio” nel testo
licenziato dalla IV Commissione del
Consiglio regionale, per il cui lavoro
ringrazio ancora adesso il Presidente
Petrone.
In coerenza con quanto affermato nelle linee
guida citate, la regione ha inteso dare al
Ptr un carattere fortemente strategico,
promuovendo e accompagnando azioni e
progetti locali integrati.
Il carattere di strategicità del Ptr va
inteso come ricerca di campi progettuali
piuttosto che come insieme di obiettivi; di
indirizzi per l’individuazione di
opportunità utili alla strutturazione di
reti tra gli attori istituzionali e non,
piuttosto che come tavoli strutturati di
rappresentanza di interessi.
Il Ptr consente, inoltre, di attivare i
necessari confronti interni
all’amministrazione regionale, a proposito
dei piani di settore, nonché i confronti
esterni da attivare attraverso la Conferenza
di pianificazione prevista dall’art. 15 del
disegno di legge urbanistica, ed è dunque un
momento importante di armonizzazione e
coordinamento delle scelte contenute nei
diversi piani, da quello dei trasporti, nel
cui campo tanto si è fatto in questi anni, a
quello dei rifiuti, dal piano del turismo al
piano cave a quello energetico ad altri
ancora.
Il Ptr sarà, quindi, il risultato di due
fasi. La prima costituita dalle linee guida,
già approvate, e la seconda dal presente
documento che inizia oggi il suo iter verso
l’entrata in vigore.
Abbiamo voluto che il Ptr della Campania si
proponesse come un piano d’inquadramento,
d’indirizzo e di promozione di azioni
integrate, senza imporre scelte dall’alto,
senza costruire un piano regolatore della
Campania, ben conoscendo la necessità di
ridurre le condizioni d’incertezza, in
termini di conoscenza e interpretazione del
territorio per le azioni dei diversi
operatori, istituzionali e non.
In questa logica il Ptr ha individuato 5
quadri territoriali di riferimento utili
ad attivare una pianificazione d’area vasta
concertata con le province e le
soprintendenze innanzitutto, definendo
contemporaneamente anche gli indirizzi di
pianificazione paesistica.
I cinque quadri territoriali di riferimento
sono suddivisi tra il quadro delle reti
che attraversano il territorio
regionale, quali la rete ecologica, la rete
dell’interconnessione - mobilità e
logistica, la rete del rischio ambientale:
qui si colloca il contributo per la
“Verifica di compatibilità tra gli strumenti
di pianificazione paesistica e l’accordo
Stato-regioni del 19 aprile 2001” già
pubblicato sul Burc dell’8 agosto 2003, e
gli indirizzi concertati con le province e
con le competenti soprintendenze, con
l’obiettivo di fornire criteri e indirizzi
anche di tutela paesaggistico-ambientale per
la pianificazione provinciale.
Il quadro dei 9 ambienti insediativi, in
rapporto alle caratteristiche
morfologico-ambientali e alla trama
insediativa. Gli ambienti insediativi
individuati contengono i “tratti di lunga
durata”, gli elementi ai quali si connettono
i grandi investimenti. Sono ambiti
subregionali per i quali vengono costruiti
delle visioni cui soprattutto i
piani territoriali di coordinamento
provinciali (Ptcp), che agiscono
all’interno di ritagli territoriali
definiti secondo logiche di tipo
amministrativo, ritrovano utili elementi
di connessione.
Il quadro dei 45 sistemi territoriali di
sviluppo (Sts), che nelle linee guida
erano stati denominati sistemi
territoriali locali (Stl), e individuati
sulla base della geografia dei processi di
auto-riconoscimento delle identità locali e
di auto-organizzazione nello sviluppo,
confrontando il mosaico dei patti
territoriali, dei contratti d’area, dei
distretti industriali, dei parchi naturali,
delle comunità montane.
Figura 1 - L’attuazione della
pianificazione paesistica attraverso
la costruzione della Rer |
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Questo procedimento è stato approfondito nel
presente documento, attraverso una verifica
di coerenza con l’intervento in corso del
Por, con l’insieme dei Pit, dei Prusst, dei
Gal e delle indicazioni dei Ptcp. Siamo così
pervenuti oggi alla individuazione di 45
sistemi (rispetto ai 43 individuati nelle
linee guida), con una definizione che
sottolinea la componente di sviluppo
strategico (Sts piuttosto che Stl). Ciascuno
di questi Sts si colloca all’interno di una
matrice di indirizzi strategici specificata
all’interno della tipologia di sei classi.
Sarà compito della Conferenza di
pianificazione, che indiremo all’indomani
dell’approvazione di questa proposta,
condividere e precisare il peso e le
caratteristiche degli indirizzi strategici
identificati dalle linee guida e qui
approfonditi.
Attraverso adeguati protocolli con le
province e con i soggetti istituzionali e
gli attori locali potranno definirsi gli
impegni, le risorse e i tempi per la
realizzazione dei relativi progetti locali.
A tal fine potrebbe essere individuata una
premialità per un più forte sostegno dello
sviluppo.
Una prima sintonizzazione con alcuni di tali
Sts è già stata sperimentata, nell’ambito
del Progetto Post.it, dell’Anci, cui
va, da parte mia, un forte e sentito
ringraziamento.
Abbiamo poi il quadro dei campi
territoriali complessi (Ctc), che
individua nel territorio regionale alcuni
campi territoriali nei quali si
evidenziano degli spazi di particolare
criticità, dei veri punti caldi
(riferibili soprattutto a infrastrutture di
interconnessione di particolare rilevanza,
oppure ad aree di intensa concentrazione di
fattori di rischio) dove si ritiene la
regione debba promuovere un’azione
prioritaria di interventi particolarmente
integrati.
Una anticipazione di forte rilevanza è
costituita dal Programma di azioni per la
mitigazione del rischio Vesuvio composto
da una delibera-quadro e da 12 specifiche
azioni fortemente integrate, che, con uno
stanziamento in 15 anni di oltre 770 Meuro
si propone l’obiettivo dell’abbassamento
demografico del territorio attraverso un
processo di riconversione economica
dell’area.
Altro campo di particolare concentrazione di
fattori di rischio è quello dove è stato
recentemente censito un elevato numero di
siti potenzialmente contaminati, che è
sostanzialmente individuabile nel quadrante
compreso tra il confine settentrionale della
provincia napoletana e l’area meridionale
della Provincia di Caserta; ma anche quello
di incidenti rilevanti nell’industria, di
cui parlerò tra qualche minuto.
La valutazione dei rischi e la definizione
di politiche di gestione che ne consentano
il controllo è un settore relativamente
nuovo, sviluppato sinora da esperti di
singole discipline (ingegneria, sismologia,
vulcanologia, geologia, ecc.). Il Ptr ha
operato uno sforzo di identificazione di
concetti e principi unificanti di tali
discipline perché si giungesse ad una
quantificazione del livello di rischio
presente in ciascuna area.
In Campania, le industrie a rischio di
incidente rilevante (secondo il DLgs
334/1999) sono 66, di cui ben 36 nella
Provincia di Napoli e 14 in quella di
Caserta.
Per le problematiche connesse a queste
aziende, il Ptr ha previsto una serie di
azioni strategiche, distinte in quelle volte
a ridurre la frequenza possibile di
incidenti e quelle volte a ridurre
l’estensione delle possibili conseguenze.
Tra quelle elencate nel piano vale la pena
in questa sede citare la realizzazione di un
piano a lungo termine per intervenire sulle
situazioni esistenti che appaiono
maggiormente a rischio, attraverso azioni
che possono andare dalla de-localizzazione
di stabilimenti a rischio alla realizzazione
di opere di mitigazione, di concerto con i
gestori e gli enti locali; e la creazione di
un sistema di incentivi alla realizzazione
di studi, anche non obbligatori per tutte le
aziende a rischio, quali l’analisi dei
rischi dello stabilimento, per accrescere la
coscienza e la conoscenza dei problemi di
sicurezza ambientale.
Figura 2 -
Forma delle Linee guida e del piano
territoriale regionale |
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In relazione al tema dei siti inquinati e
dello smaltimento dei rifiuti il Ptr
sottolinea come l’evoluzione delle politiche
di gestione integrata dei rifiuti, lo
sviluppo tecnologico dei processi per il
recupero di materia ed energia, e l’adozione
di adeguati sistemi di raccolta
differenziata hanno fatto sì che il rifiuto,
se ben gestito, non sia più un rischio ma
una risorsa per l’economia e l’ambiente.
Partendo da questo assunto, le problematiche
relative alla gestione dei rifiuti che sono
rilevanti per la pianificazione territoriale
della Campania riguardano soprattutto
rifiuti gestiti legalmente e siti
contaminati da rifiuti smaltiti
illegalmente.
In particolare, diverse fonti hanno
evidenziato l’esistenza nella Regione
Campania di fiorenti attività illecite per
lo smaltimento dei rifiuti speciali.
L’inadeguatezza delle esistenti
infrastrutture per il trattamento di rifiuti
industriali (la Campania ancora non ha una
piattaforma completa di selezione e
inertizzazione di rifiuti speciali), assieme
alla possibilità di spese ridotte di
smaltimento, hanno indotto aziende locali e
nazionali a fare riferimento alla ecomafia
locale per garantirsi un irresponsabile
smaltimento a basso costo.
Si è calcolato che per il 79% dei 1087 siti
contaminati finora censiti si tratta di
abbandono incontrollato di rifiuti, per
una superficie complessiva interessata di
circa 2.500.000m2. Il numero maggiore di
tali siti si trova in aree di pianura
largamente sfruttate per attività agricole,
e quindi con una più alta probabilità che
gli eventuali inquinanti presenti possano
inserirsi nella catena alimentare. Sono zone
sulle quali concentrare azioni di
monitoraggio e di controllo, approfondire il
livello di conoscenza attraverso studi di
analisi di rischio ambientale e operare una
pianificazione coerente con il grado di
contaminazione rilevato.
Per la gestione del rischio ambientale
connesso ad una scorretta gestione dei
rifiuti, il Ptr ritiene prioritaria alla
definizione di qualsiasi azione di controllo
del rischio rifiuti la realizzazione, in
numero e tipologia adeguata, degli impianti
di trattamento e smaltimento (termovalorizzatori
per rifiuti urbani residuali alla raccolta
differenziata, piattaforma di trattamento
per i rifiuti speciali, inceneritore per i
rifiuti ospedalieri).
Il piano inoltre prevede come indispensabili
diverse altre azioni, tra le quali
innanzitutto incentivi alla raccolta
differenziata, che può portare ad una
concreta riduzione dell’ammontare di rifiuto
indifferenziato, intensificazione della
lotta all’ecomafia, attraverso politiche
continue e concrete di sostegno alla lotta,
con segni tangibili del progressivo
ripristino della legalità: dalla creazione
di osservatori permanenti sull’ecomafia, al
potenziamento delle forze di polizia
destinate a questa lotta, al sostegno non
occasionale alle crociate che pochi
magistrati conducono spesso isolatamente.
E ancora: adozione di strumenti per la
riduzione del rischio con interventi di
mitigazione pre e post-evento, a valle di
una quantificazione dell’effettivo livello
di rischio, e azioni di bonifica e di
ripristino ambientale di siti inquinati, per
evitare che tali siti generino
eventicontaminazione, danneggiando in
maniera ancora più drammatica gli ecosistemi
contigui.
Per i Ctc si ipotizza che la regione
verifichi la possibilità di selezionare
(durante la conferenza di pianificazione)
quelli per i quali riservarsi, in via
eventualmente esclusiva e per archi di tempo
determinati, il compito diretto di
pianificazione, fissando le regole di
garanzia e di partecipazione degli enti
ricompresi in tali ambiti.
Abbiamo infine il quinto quadro, quello
delle modalità per la cooperazione
istituzionale tra i comuni minori e delle
raccomandazioni per lo svolgimento di
buone pratiche.
I processi di Unione di Comuni in
Italia, che nel 2000 ammontavano appena a
otto, sono diventati 202 nel 2003. In
Campania nel 2003 si registrano solo 5
unioni che coinvolgono 27 comuni: il Ptr
ravvisa l’opportunità di concorrere
all’accelerazione di tale processo.
In tale direzione il disegno di legge
approvato dalla Giunta regionale il
15.2.2001 su proposta dell’assessore
Incostante individua un percorso per la
“Riorganizzazione sovracomunale di servizi e
di funzioni e per le forme di incentivazione
connesse”, già coerente con il Ptr: un
provvedimento molto utile che mi auguro il
Consiglio regionale possa approvare quanto
prima.
In Campania la questione riguarda
soprattutto i tre settori territoriali del
quadrante settentrionale della Provincia di
Benevento, il quadrante orientale della
Provincia di Avellino e il Vallo di Diano
nella Provincia di Salerno. In essi gruppi
di comuni con popolazione inferiore ai 5000
abitanti, caratterizzati da contiguità e
reciproca accessibilità, appartenenti allo
stesso Sts, possono e devono essere
incentivati alla collaborazione.
I cinque quadri territoriali di riferimento
proposti dal presente documento, delineano
il carattere di copianificazione del Ptr.
L’intenzione è di poggiare il successo del
piano non tanto sull’adeguamento
conformativo degli altri piani, ma sui
meccanismi di accordi e intese intorno alle
grandi materie dello sviluppo sostenibile e
delle grandi direttrici di interconnessione.
Non si ricerca quindi una diretta
interferenza con le previsioni d’uso del
suolo, che rimangono di competenza dei piani
comunali, in raccordo con le previsioni dei
Ptcp: si cerca invece di contribuire all’ecosviluppo,
secondo una visione che attribuisce al
territorio, inteso come grande materia che
propone esplicitamente specifiche forme
d’integrazione, il compito di mediare tra la
materia della pianificazione territoriale
(comprensiva delle componenti di natura
paesistico-ambientale) e quella della
promozione e della programmazione dello
sviluppo, unendole in un matrimonio
in Campania da tempo cercato ma mai
consumato.
La Campania, tra le regioni d’Italia,
affianca ad una perifericità territoriale
(valutata rispetto ai principali nodi di
scambio) che risulta maggiore della media
nazionale, una diseguale pressione
demografica sul territorio e concentrazione
delle attività produttive. In rapporto a più
indicatori la Campania appare come
territorio di forte spreco e degrado di
risorse, unitamente alla pesante incombenza
del rischio ambientale cui il Ptr ritiene di
attribuire particolare rilievo.
Sono molti i dati che meritano particolare
attenzione. Il territorio della Campania è,
come e forse più di quello nazionale,
fragile ed esposto ad una pluralità di
rischi: alcuni molto diffusi, anche se
talvolta poco conosciuti o comunque
sottostimati (come quelli derivanti dalle
contaminazioni indotte da smaltimenti
illegali di rifiuti pericolosi); altri
fortemente specifici, connessi cioè con i
caratteri originari del territorio (come
quelli di natura sismica, vulcanica e
idrogeologica). È peraltro frequente la
situazione in cui sorgenti di rischi diversi
sono presenti contemporaneamente, potendo
potenzialmente sviluppare fenomeni avversi
che potrebbero agire anche sinergicamente
(si pensi, ad esempio, ai rischi di
incidenti rilevanti in stabilimenti
industriali in zona sismica).
I dati definitivi sulla popolazione
dell’ultimo censimento rafforzano alcune
linee di tendenza significative già
individuate nelle linee guida.
L’immagine complessiva della redistribuzione
della popolazione sul territorio regionale
vede un triplo movimento:
1. un incremento concentrato a nord ovest
nel casertano e a ovest nel giuglianese
verso il litorale domizio, lungo
l’autostrada Napoli-Bari tra Napoli e
Avellino e lungo la Napoli-Salerno a est;
2. un decremento nell’Alta Irpinia e a
sudest (Alburni, Alto Calore, Lambro e
Mingardo, Bussento);
3. un incremento diffuso nel quadrante
territoriale compreso tra i quattro sistemi
urbani di Napoli, Caserta, Avellino e
Salerno.
Questa immagine evidenzia l’addensamento di
popolazione ancora fortemente squilibrato
nel triangolo Napoli-Caserta-Salerno, e che
tenderà a essere esteso dal sistema di
trasporto integrato unico.
In termini aggregati, la popolazione
complessiva della Regione Campania resta
sostanzialmente stabile, con un leggerissimo
incremento.
Figura 3 - I sistemi territoriali
locali |
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Le grandi città e i loro sistemi continuano
ad alleggerirsi.
La riduzione va dal -6,93% per Napoli, al
-1,88% per Salerno, allo 0,31% per Benevento
e allo 0,04% per Avellino. Fa eccezione la
sola Caserta. Caserta e la direttrice dei
comuni verso Capua, infatti, anche per
l’influenza del processo di decentramento
del sistema napoletano, crescono di oltre il
6%. Complessivamente i cinque grandi sistemi
urbani hanno perso circa 57.000 abitanti
negli ultimi dieci anni e 171.000 dal 1981.
A questa riduzione di popolazione partecipa
tutta la fascia costiera napoletana,
soprattutto verso oriente lungo la
direttrice vesuviana. Nei 18 comuni
vesuviani della cosiddetta zona rossa ad
alto rischio la riduzione di popolazione è
stata di 38.000 abitanti: si tratta di una
buona tendenza che contribuisce a ridurre il
rischio Vesuvio, e che la pianificazione
territoriale regionale e provinciale si
propongono di incoraggiare. Nel processo di
disurbanizzazione dell’area napoletana,
crescono i sistemi urbani industriali
intermedi lungo l’intero arco in direzione
di Aversa, dei comuni settentrionali e verso
Nola.
Esclusa l’Alta Irpinia e il Fortore, che
decrescono fortemente, crescono tutte le
realtà insediative dove si combina la
dominante rurale con quella industriale.
Soprattutto il giuglianese con il 24,27%;
seguono la Valle dell’Irno con il 9,02% e il
Solofrano con il 7,26%.
I comuni dei sistemi dove si combina la
componente rurale con quella industriale
sono a crescita più intensa, anche più di
quelli urbano-industriali.
Sinteticamente si può dire che emerge
l’immagine di una regione dove gli squilibri
si vanno attenuando e dove le diversità
tendono ad assumere una configurazione non
di contrasto ma di possibile armonizzazione.
Ad essa si affianca una consistente
diversificazione della distribuzione delle
attività industriali, in parte accompagnata
dalla dislocazione dei distretti industriali
e delle aree Asi ed ex legge 219/1980 e dei
servizi.
Dal punto di vista della struttura economica
e produttiva del territorio, i dati
disaggregati per Sts consentono di
specificare le indicazioni contenute nel
Rapporto 2003 dell’Unioncamere sulle
economie e sulle società locali. Questo
rapporto individua 10 modelli di sviluppo
locale del sistema Italia articolati per
province. Le 5 province campane vengono
inserite all’interno dei tre modelli che
articolano la cosiddetta potenzialità
inespressa, quella di Napoli, Caserta e
Salerno, come “aree urbane a modernità
incompiuta”, quella di Avellino come “area
in cerca di vocazione” e quella di Benevento
come area con “accenni di qualità”.
Dal punto di vista territoriale assume
grande rilevanza la valutazione della
distribuzione del flusso turistico per
destinazione. Le linee guida per lo sviluppo
turistico della Campania, elaborate
dall’assessorato di Teresa Armato, mettono
in evidenza la loro elevata concentrazione:
oltre il 50% del flusso turistico si
indirizza verso le località turistiche della
Provincia di Napoli, che scende al 44,5% se
invece degli arrivi si considerano le
presenze. Le tre province costiere (Caserta,
Napoli e Salerno) accolgono la quasi
totalità della domanda internazionale e
appena il 3% dei pernottamenti effettuati da
turisti italiani riguarda le province
interne di Avellino e Benevento. In
particolare, per le prospettive di sviluppo
e relative implicazioni territoriali, si
evidenza che il casertano, nonostante le sue
considerevoli potenzialità, attrae soltanto
poco più del 5% del flusso turistico interno
e una quota ancora inferiore in termini di
presenze: la conferma dunque di come si
possa e si debba investire per la
riqualificazione e il rilancio del litorale
domitio, dei parchi del Matese e di
Roccamonfina, degli itinerari culturali di
Terra di Lavoro.
Figura 4 - Linee guida per la
pianificazione territoriale
regionale, Tavola 1A |
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In base al tasso di sviluppo della domanda è
possibile raggruppare le aree turistiche
della regione in sature (penisola sorrentina,
costiera amalfitana, isole del golfo);
mature (costa cilentana, Napoli); in
espansione (Cilento interno, Sannio
beneventano, Matese); potenziali (Irpinia,
Alburni, Taburno, Camposauro); da
riqualificare (area flegrea, litorale
domizio, area vesuviana costiera, piana del
Sele).
Ma per sostenere adeguatamente
l’irrobustimento dell’immagine di una
Campania plurale è indispensabile il forte
impiego di una moderna politica a favore
dell’agricoltura.
Non va dimenticato che l’agricoltura campana
si pone tra i settori più importanti
dell’economia regionale, partecipando al
valore aggiunto complessivo della regione
con il 3,6 % circa e rappresentando, nel
2000, circa il 3,3% del Pil regionale. Anche
nel panorama agricolo nazionale essa si
presenta in una posizione di rilievo, con il
6,7% della produzione agricola nazionale e
ai primi posti tra le regioni agricole
italiane.
Negli ultimi anni la spesa dei fondi europei
è stata in questo settore particolarmente
brillante e questo ci lascia immaginare
prospettive a breve termine sicuramente
positive.
Dall’analisi del 5° Censimento generale
dell’agricoltura (2000) è possibile
riscontrare, la presenza complessiva di
circa 250.000 aziende agricole, zootecniche
e forestali, con una superficie agricola
utilizzata (Sau) di circa 600.000
ettari. Rispetto al Censimento del 1990, il
numero delle aziende risulta diminuito di
25.931 unità (9,4%), a fronte di una
riduzione della superficie totale di cui
62.255 ettari di Sau (9,4%). La riduzione
del numero di aziende e la contrazione delle
superfici aziendali sono state tra loro
proporzionali, cosicché le superfici medie
delle aziende localizzate in Campania sono
rimaste praticamente invariate rispetto ai
valori osservati dal precedente Censimento.
Il territorio della Campania partecipa
pienamente a quel carattere di eccezionale
concentrazione di beni storico-artistici e
paesaggistici di grande valore che
caratterizza l’Italia.
In particolare di quella vasta diffusione di
centri urbani minori e più complessivamente
del patrimonio edilizio storico (se ci
riferiamo all’edilizia costruita prima del
1919), il patrimonio residenziale storico in
Italia raggiunge i 2,1 milioni di abitazioni
ed è concentrato in quattro regioni
(Lombardia, Piemonte, Toscana e Campania)
con il 45% del dato complessivo.
In questo quadro la Campania raggiungeva al
1991 un numero di abitazioni costruite prima
del 1919 di 363.525 pari al 19,34% del
totale delle abitazioni. Tale patrimonio si
distribuisce nelle cinque province da un
massimo del 22,79 % della Provincia di
Benevento ad un minimo del 15,31% di quella
di Avellino, dove pesano le distruzioni del
terremoto del 1980. In termini assoluti la
quota più rilevante è ovviamente concentrata
nella Provincia di Napoli con 173.729
abitazioni.
Per contribuire a orientare una corretta
politica abitativa, va tenuta nella debita
considerazione l’entità del patrimonio
storico non occupato, che in Campania è
di ben 68.105 abitazioni su un totale di
abitazioni non occupate che è di 320.020,
cioè ben il 17,05% dell’intero patrimonio
residenziale. Si tratta di grandezze così
rilevanti da suggerire una grande attenzione
da parte di tutti gli enti locali per una
mirata e convinta politica di recupero
edilizio.
In tale direzione agisce la Lr 26/2002
“Norme e incentivi per la valorizzazione dei
centri storici della Campania e per la
catalogazione dei beni ambientali di qualità
paesistica”, che ha avuto uno straordinario
riscontro da parte dei comuni medi e piccoli
della Campania.
È evidente che la valorizzazione del
patrimonio residenziale storico, che
costituisce una delle risorse rilevanti
della Campania plurale, non può essere
disgiunta da una più ampia considerazione
dell’attività di costruzione dell’edilizia
residenziale.
Attraverso gli elementi di interpretazione
della realtà regionale, delle sue dinamiche
e delle sue prospettive, restituiti nei
cinque quadri territoriali di riferimento,
emergono via via ipotesi e suggerimenti per
il futuro, prevalentemente presentati già
negli avviati processi di copianificazione
come temi di strategie complesse da
precisare e implementare nel contesto della
pianificazione provinciale e/o dei programmi
per lo sviluppo locale.
Questa logica di accompagnamento non
implica, tuttavia, in nessun senso,
neutralità o disimpegno rispetto agli
obiettivi assunti e alle scelte compiute.
Le reti, e in primo luogo la rete
ecologica regionale (Rer), costituiscono
il riferimento per l’integrazione delle
politiche locali e di quelle settoriali nel
contesto più ampio delle politiche
regionali.
In particolare attraverso la costruzione
della rete ecologica ai diversi livelli
(regionale, provinciale e locale) si
manifesta la concreta possibilità di
sviluppare politiche attive di tutela
dell’ambiente e del paesaggio, coinvolgendo
in ciò anche la pianificazione di settore.
La rete ecologica si configura così come uno
strumento programmatico che consente di
pervenire ad una gestione integrata delle
risorse e dello spazio fisico-territoriale
regionale, ivi compreso il paesaggio.
Inoltre, estendendo all’intero territorio
regionale gli obiettivi del miglioramento
della qualità ambientale, della
conservazione e dell’incremento della
biodiversità e legandoli agli obiettivi di
qualità paesistica, la Rer diventa lo
strumento attraverso cui le politiche di
sviluppo sostenibile si avvalgono
concretamente del contributo di più soggetti
che, partendo dalle realtà locali e
settoriali, cooperano al conseguimento di
quegli obiettivi.
Figura 5 - Linee guida per la
pianificazione territoriale
regionale, Tavola 1B |
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I settori coinvolti sono molteplici. Le
politiche residenziali, attraverso la forma
degli insediamenti, possono contribuire sia
al conseguimento di più elevati livelli di
qualità paesistica, sia a contenere i
fenomeni di frammentazione ambientale
particolarmente intensi nelle aree più
densamente abitate. Le politiche agricole,
attraverso il mantenimento o l’incremento
della biodiversità, nonché attraverso la
conservazione delle pratiche agricole
all’interno delle aree intercluse negli
insediamenti, possono svolgere anch’esse le
stesse funzioni attribuite alle politiche
residenziali. Anche le politiche industriali
possono contribuire agli stessi obiettivi
sopra enunciati, sciogliendo il nodo della
separatezza fra processi produttivi e
territori contermini, integrando gli
stabilimenti e le infrastrutture connesse
nell’ambiente e nel paesaggio circostanti,
sviluppando la costruzione di paesaggi
industriali consapevolmente progettati e non
casualmente depositati sui territori che li
ospitano.
Quanto emerge dal terzo quadro territoriale
di riferimento, riguarda fondamentalmente
due aspetti della politica territoriale
della regione.
Il primo si riferisce alla definizione e
delimitazione dei Sts; per la loro
definizione si è guardato ai processi in
atto di auto-identificazione di territori in
rapporto a strategie più o meno settoriali
di sviluppo. I 45 Sts identificati, dovranno
rappresentare un quadro di riferimento per
le politiche di sviluppo locale che
investono diverse azioni settoriali
d’intervento della regione (agricoltura,
industria, turismo, trasporti, ecc.). Si
propone quindi di innescare un processo
progressivo di verifica e di riunificazione
delle diverse suddivisioni del territorio
regionale basate sulle aggregazioni dei
territori di più comuni.
Il secondo aspetto si lega strettamente alla
dimensione strategica e co-pianificatrice
del Ptr. Si è avanzata un ipotesi di
territorializzazione di alcuni indirizzi
strategici definiti nelle linee guida del
Ptr. La matrice strategica così ottenuta
diventa la base di riferimento per tre
ordini di azioni: verso la regione consente
di leggere le necessarie integrazioni delle
politiche settoriali nei confronti dei
diversi territori; verso le province si
configura come un indirizzo strategico da
considerare nella redazione dei Ptcp; verso
i sistemi locali di sviluppo rappresenta una
prima base di riferimenti strategici da
condividere, precisare e arricchire per
l’avvio di un processo di pianificazione
dello sviluppo locale basato su tre fasi:
redazione del documento strategico, messa a
punto di elementi progettuali e
coinvolgimento di attori locali e non,
gestione degli interventi e del marketing
territoriale anche attraverso agenzie di
sviluppo locale.
La definizione del quadro dei Ctc ha
individuato ambiti dove la criticità delle
situazioni in essere o previste, sollecita
la promozione da parte della regione di
azioni particolarmente delicate e
prioritarie improntate ad un governo
integrato e intersettoriale delle
trasformazioni, basato sulla cooperazione
interistituzionale tra enti e soggetti
locali. In questi ambiti è necessario che la
regione operi un’azione di indirizzo
attraverso azioni specifiche, che abbiano
un respiro territoriale ed una dimensione
strategica.
Il caso paradigmatico che esplicita il senso
e la funzione istituzionale dei Ctc, è il
Rischio Vesuvio
dove, attraverso un quadro di delibere di
Giunta regionale ed una legge regionale (Lr
21/2003), è stata varata una manovra di
pianificazione territoriale basata sul
dialogo istituzionale, che agisce
direttamente sulla trasformazione
insediativa per mitigare uno dei rischi più
rilevanti al livello nazionale.
La prospettiva della decompressione
insediativa e della riqualificazione
strutturale della zona rossa,
infatti, non risultano essere pratiche
episodiche o frammentate, quanto azioni
coerenti ad una finalità perseguita
attraverso una programmazione rigorosa, con
una precisa corrispondenza istituzionale ed
un inquadramento territoriale coerente con
gli indirizzi del Ptr.
Analogo discorso vale per la mitigazione del
rischio dovuto ai siti potenzialmente
contaminati, la cui urgenza è aggravata dal
fatto che, in alcune aree, questi pericolosi
detrattori ambientali si incrociano con zone
interessate da densi programmi di
implementazione di reti infrastrutturali
(per esempio nella Provincia di Caserta tra
la fascia litoranea e le aree più interne) o
da delicati valori della rete ecologica. Per
gestire la presenza di questi rischi, nella
definizione dei Ctc, viene proposto un
modello di valutazione dei relativi effetti
territoriali come strumento indispensabile
per modularne le relazioni con le diverse
dimensioni del territorio regionale.
Infine, in un auspicabile processo di
polarizzazione e riequilibrio del territorio
regionale, la confermata previsione del
nuovo aeroporto di Grazzanise pone
all’evidenza del pianificatore gli effetti
di agglomerazione che la attrattività
territoriale di questa funzione andrà a
determinare, e al contempo le potenzialità
che il necessario incremento delle
infrastrutture che interesseranno questo
nodo dispiegano nell’area.
Sono alcuni casi, questi ultimi,
particolarmente utili a far comprendere come
questo piano non sia un prodotto di alto
profilo scientifico da riporre negli armadi
della giunta regionale o delle province, ma
al contrario rappresenta uno straordinario
esempio di pianificazione iniziata a essere
attuata prima ancora del completamento del
proprio iter approvativo. Il Piano
Vesuvio, i diversi Ptcp sono non solo
coerenti ma addirittura discendono da questo
Ptr, che rappresenterà un formidabile
strumento per la programmazione dei fondi
europei 2007-2013, per la elaborazione dei
diversi piani di settore, per la allocazione
delle grandi infrastrutture, per le scelte
di sviluppo e per la revisione dei piani
paesistici e la costruzione di una nuova
politica di tutela del nostro territorio.
Colmiamo un vuoto di oltre trenta anni con
un piano che per essere sempre attuale dovrà
però avere il carattere del dinamismo e
della flessibilità, capace di essere rivisto
e aggiornato a cadenza quinquennale, frutto
della concertazione, ma anche luogo
decisionale. |