Numero 8/9 - 2004

 

la pianificazione regionale 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il nuovo piano territoriale


Marco Di Lello


 

Il 7 settembre 2004, presso l’Auditorium della Regione Campania, è stata presentata alle forze politiche, imprenditoriali, sindacali e accademiche, la proposta di piano territoriale regionale di cui si riporta integralmente la relazione introduttiva dell’assessore all’Urbanistica Marco Di Lello. In essa si sottolinea il carattere fortemente strategico che si è voluto conferire al piano territoriale regionale, inteso quale un piano d’inquadramento, d’indirizzo e di promozione di un vasto complesso di azioni integrate

 

 

 

 

 

 

 

 

 

È iniziata formalmente la seconda fase della costruzione del piano territoriale regionale (Ptr) dopo la prima costituita dalla stesura delle linee guida, attraverso la redazione dello schema del Ptr, finalizzato a offrire agli attori istituzionali, per la loro attività di pianificazione del territorio, un sostegno conoscitivo e operativo, di inquadramento e di indirizzo.

Attualmente la cornice legislativa di riferimento del presente documento è costituita dall’inserimento delle linee guida per la pianificazione territoriale regionale, pubblicate nel Burc del 24.12.2002, all’interno del dettato normativo della Lr 26/2002, che ne prevedono l’efficacia “fino all’adozione del Ptr e all’entrata in vigore della legge contenente le Norme per il governo del territorio”, attualmente all’esame dell’aula.

L’articolazione del Ptr è altresì coerente con quanto previsto dal disegno di legge “Norme sul governo del territorio” nel testo licenziato dalla IV Commissione del Consiglio regionale, per il cui lavoro ringrazio ancora adesso il Presidente Petrone.

In coerenza con quanto affermato nelle linee guida citate, la regione ha inteso dare al Ptr un carattere fortemente strategico, promuovendo e accompagnando azioni e progetti locali integrati.

Il carattere di strategicità del Ptr va inteso come ricerca di campi progettuali piuttosto che come insieme di obiettivi; di indirizzi per l’individuazione di opportunità utili alla strutturazione di reti tra gli attori istituzionali e non, piuttosto che come tavoli strutturati di rappresentanza di interessi.

Il Ptr consente, inoltre, di attivare i necessari confronti interni all’amministrazione regionale, a proposito dei piani di settore, nonché i confronti esterni da attivare attraverso la Conferenza di pianificazione prevista dall’art. 15 del disegno di legge urbanistica, ed è dunque un momento importante di armonizzazione e coordinamento delle scelte contenute nei diversi piani, da quello dei trasporti, nel cui campo tanto si è fatto in questi anni, a quello dei rifiuti, dal piano del turismo al piano cave a quello energetico ad altri ancora.

Il Ptr sarà, quindi, il risultato di due fasi. La prima costituita dalle linee guida, già approvate, e la seconda dal presente documento che inizia oggi il suo iter verso l’entrata in vigore.

Abbiamo voluto che il Ptr della Campania si proponesse come un piano d’inquadramento, d’indirizzo e di promozione di azioni integrate, senza imporre scelte dall’alto, senza costruire un piano regolatore della Campania, ben conoscendo la necessità di ridurre le condizioni d’incertezza, in termini di conoscenza e interpretazione del territorio per le azioni dei diversi operatori, istituzionali e non.

In questa logica il Ptr ha individuato 5 quadri territoriali di riferimento utili ad attivare una pianificazione d’area vasta concertata con le province e le soprintendenze innanzitutto, definendo contemporaneamente anche gli indirizzi di pianificazione paesistica.

I cinque quadri territoriali di riferimento sono suddivisi tra il quadro delle reti che attraversano il territorio regionale, quali la rete ecologica, la rete dell’interconnessione - mobilità e logistica, la rete del rischio ambientale: qui si colloca il contributo per la “Verifica di compatibilità tra gli strumenti di pianificazione paesistica e l’accordo Stato-regioni del 19 aprile 2001” già pubblicato sul Burc dell’8 agosto 2003, e gli indirizzi concertati con le province e con le competenti soprintendenze, con l’obiettivo di fornire criteri e indirizzi anche di tutela paesaggistico-ambientale per la pianificazione provinciale.

Il quadro dei 9 ambienti insediativi, in rapporto alle caratteristiche morfologico-ambientali e alla trama insediativa. Gli ambienti insediativi individuati contengono i “tratti di lunga durata”, gli elementi ai quali si connettono i grandi investimenti. Sono ambiti subregionali per i quali vengono costruiti delle visioni cui soprattutto i piani territoriali di coordinamento provinciali (Ptcp), che agiscono all’interno di ritagli territoriali definiti secondo logiche di tipo amministrativo, ritrovano utili elementi di connessione.

Il quadro dei 45 sistemi territoriali di sviluppo (Sts), che nelle linee guida erano stati denominati sistemi territoriali locali (Stl), e individuati sulla base della geografia dei processi di auto-riconoscimento delle identità locali e di auto-organizzazione nello sviluppo, confrontando il mosaico dei patti territoriali, dei contratti d’area, dei distretti industriali, dei parchi naturali, delle comunità montane.

Figura 1 - L’attuazione della pianificazione paesistica attraverso la costruzione della Rer

  

Questo procedimento è stato approfondito nel presente documento, attraverso una verifica di coerenza con l’intervento in corso del Por, con l’insieme dei Pit, dei Prusst, dei Gal e delle indicazioni dei Ptcp. Siamo così pervenuti oggi alla individuazione di 45 sistemi (rispetto ai 43 individuati nelle linee guida), con una definizione che sottolinea la componente di sviluppo strategico (Sts piuttosto che Stl). Ciascuno di questi Sts si colloca all’interno di una matrice di indirizzi strategici specificata all’interno della tipologia di sei classi. Sarà compito della Conferenza di pianificazione, che indiremo all’indomani dell’approvazione di questa proposta, condividere e precisare il peso e le caratteristiche degli indirizzi strategici identificati dalle linee guida e qui approfonditi.

Attraverso adeguati protocolli con le province e con i soggetti istituzionali e gli attori locali potranno definirsi gli impegni, le risorse e i tempi per la realizzazione dei relativi progetti locali.

A tal fine potrebbe essere individuata una premialità per un più forte sostegno dello sviluppo.

Una prima sintonizzazione con alcuni di tali Sts è già stata sperimentata, nell’ambito del Progetto Post.it, dell’Anci, cui va, da parte mia, un forte e sentito ringraziamento.

Abbiamo poi il quadro dei campi territoriali complessi (Ctc), che individua nel territorio regionale alcuni campi territoriali nei quali si evidenziano degli spazi di particolare criticità, dei veri punti caldi (riferibili soprattutto a infrastrutture di interconnessione di particolare rilevanza, oppure ad aree di intensa concentrazione di fattori di rischio) dove si ritiene la regione debba promuovere un’azione prioritaria di interventi particolarmente integrati.

Una anticipazione di forte rilevanza è costituita dal Programma di azioni per la mitigazione del rischio Vesuvio composto da una delibera-quadro e da 12 specifiche azioni fortemente integrate, che, con uno stanziamento in 15 anni di oltre 770 Meuro si propone l’obiettivo dell’abbassamento demografico del territorio attraverso un processo di riconversione economica dell’area.

Altro campo di particolare concentrazione di fattori di rischio è quello dove è stato recentemente censito un elevato numero di siti potenzialmente contaminati, che è sostanzialmente individuabile nel quadrante compreso tra il confine settentrionale della provincia napoletana e l’area meridionale della Provincia di Caserta; ma anche quello di incidenti rilevanti nell’industria, di cui parlerò tra qualche minuto.

La valutazione dei rischi e la definizione di politiche di gestione che ne consentano il controllo è un settore relativamente nuovo, sviluppato sinora da esperti di singole discipline (ingegneria, sismologia, vulcanologia, geologia, ecc.). Il Ptr ha operato uno sforzo di identificazione di concetti e principi unificanti di tali discipline perché si giungesse ad una quantificazione del livello di rischio presente in ciascuna area.

In Campania, le industrie a rischio di incidente rilevante (secondo il DLgs 334/1999) sono 66, di cui ben 36 nella Provincia di Napoli e 14 in quella di Caserta.

Per le problematiche connesse a queste aziende, il Ptr ha previsto una serie di azioni strategiche, distinte in quelle volte a ridurre la frequenza possibile di incidenti e quelle volte a ridurre l’estensione delle possibili conseguenze.

Tra quelle elencate nel piano vale la pena in questa sede citare la realizzazione di un piano a lungo termine per intervenire sulle situazioni esistenti che appaiono maggiormente a rischio, attraverso azioni che possono andare dalla de-localizzazione di stabilimenti a rischio alla realizzazione di opere di mitigazione, di concerto con i gestori e gli enti locali; e la creazione di un sistema di incentivi alla realizzazione di studi, anche non obbligatori per tutte le aziende a rischio, quali l’analisi dei rischi dello stabilimento, per accrescere la coscienza e la conoscenza dei problemi di sicurezza ambientale.

Figura 2 - Forma delle Linee guida e del piano territoriale regionale

  

 

In relazione al tema dei siti inquinati e dello smaltimento dei rifiuti il Ptr sottolinea come l’evoluzione delle politiche di gestione integrata dei rifiuti, lo sviluppo tecnologico dei processi per il recupero di materia ed energia, e l’adozione di adeguati sistemi di raccolta differenziata hanno fatto sì che il rifiuto, se ben gestito, non sia più un rischio ma una risorsa per l’economia e l’ambiente.

Partendo da questo assunto, le problematiche relative alla gestione dei rifiuti che sono rilevanti per la pianificazione territoriale della Campania riguardano soprattutto rifiuti gestiti legalmente e siti contaminati da rifiuti smaltiti illegalmente.

In particolare, diverse fonti hanno evidenziato l’esistenza nella Regione Campania di fiorenti attività illecite per lo smaltimento dei rifiuti speciali. L’inadeguatezza delle esistenti infrastrutture per il trattamento di rifiuti industriali (la Campania ancora non ha una piattaforma completa di selezione e inertizzazione di rifiuti speciali), assieme alla possibilità di spese ridotte di smaltimento, hanno indotto aziende locali e nazionali a fare riferimento alla ecomafia locale per garantirsi un irresponsabile smaltimento a basso costo.

Si è calcolato che per il 79% dei 1087 siti contaminati finora censiti si tratta di abbandono incontrollato di rifiuti, per una superficie complessiva interessata di circa 2.500.000m2. Il numero maggiore di tali siti si trova in aree di pianura largamente sfruttate per attività agricole, e quindi con una più alta probabilità che gli eventuali inquinanti presenti possano inserirsi nella catena alimentare. Sono zone sulle quali concentrare azioni di monitoraggio e di controllo, approfondire il livello di conoscenza attraverso studi di analisi di rischio ambientale e operare una pianificazione coerente con il grado di contaminazione rilevato.

Per la gestione del rischio ambientale connesso ad una scorretta gestione dei rifiuti, il Ptr ritiene prioritaria alla definizione di qualsiasi azione di controllo del rischio rifiuti la realizzazione, in numero e tipologia adeguata, degli impianti di trattamento e smaltimento (termovalorizzatori per rifiuti urbani residuali alla raccolta differenziata, piattaforma di trattamento per i rifiuti speciali, inceneritore per i rifiuti ospedalieri).

Il piano inoltre prevede come indispensabili diverse altre azioni, tra le quali innanzitutto incentivi alla raccolta differenziata, che può portare ad una concreta riduzione dell’ammontare di rifiuto indifferenziato, intensificazione della lotta all’ecomafia, attraverso politiche continue e concrete di sostegno alla lotta, con segni tangibili del progressivo ripristino della legalità: dalla creazione di osservatori permanenti sull’ecomafia, al potenziamento delle forze di polizia destinate a questa lotta, al sostegno non occasionale alle crociate che pochi magistrati conducono spesso isolatamente.

E ancora: adozione di strumenti per la riduzione del rischio con interventi di mitigazione pre e post-evento, a valle di una quantificazione dell’effettivo livello di rischio, e azioni di bonifica e di ripristino ambientale di siti inquinati, per evitare che tali siti generino eventicontaminazione, danneggiando in maniera ancora più drammatica gli ecosistemi contigui.

Per i Ctc si ipotizza che la regione verifichi la possibilità di selezionare (durante la conferenza di pianificazione) quelli per i quali riservarsi, in via eventualmente esclusiva e per archi di tempo determinati, il compito diretto di pianificazione, fissando le regole di garanzia e di partecipazione degli enti ricompresi in tali ambiti.

Abbiamo infine il quinto quadro, quello delle modalità per la cooperazione istituzionale tra i comuni minori e delle raccomandazioni per lo svolgimento di buone pratiche.

I processi di Unione di Comuni in Italia, che nel 2000 ammontavano appena a otto, sono diventati 202 nel 2003. In Campania nel 2003 si registrano solo 5 unioni che coinvolgono 27 comuni: il Ptr ravvisa l’opportunità di concorrere all’accelerazione di tale processo.

In tale direzione il disegno di legge approvato dalla Giunta regionale il 15.2.2001 su proposta dell’assessore Incostante individua un percorso per la “Riorganizzazione sovracomunale di servizi e di funzioni e per le forme di incentivazione connesse”, già coerente con il Ptr: un provvedimento molto utile che mi auguro il Consiglio regionale possa approvare quanto prima.

In Campania la questione riguarda soprattutto i tre settori territoriali del quadrante settentrionale della Provincia di Benevento, il quadrante orientale della Provincia di Avellino e il Vallo di Diano nella Provincia di Salerno. In essi gruppi di comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti, caratterizzati da contiguità e reciproca accessibilità, appartenenti allo stesso Sts, possono e devono essere incentivati alla collaborazione.

I cinque quadri territoriali di riferimento proposti dal presente documento, delineano il carattere di copianificazione del Ptr. L’intenzione è di poggiare il successo del piano non tanto sull’adeguamento conformativo degli altri piani, ma sui meccanismi di accordi e intese intorno alle grandi materie dello sviluppo sostenibile e delle grandi direttrici di interconnessione.

Non si ricerca quindi una diretta interferenza con le previsioni d’uso del suolo, che rimangono di competenza dei piani comunali, in raccordo con le previsioni dei Ptcp: si cerca invece di contribuire all’ecosviluppo, secondo una visione che attribuisce al territorio, inteso come grande materia che propone esplicitamente specifiche forme d’integrazione, il compito di mediare tra la materia della pianificazione territoriale (comprensiva delle componenti di natura paesistico-ambientale) e quella della promozione e della programmazione dello sviluppo, unendole in un matrimonio in Campania da tempo cercato ma mai consumato.

La Campania, tra le regioni d’Italia, affianca ad una perifericità territoriale (valutata rispetto ai principali nodi di scambio) che risulta maggiore della media nazionale, una diseguale pressione demografica sul territorio e concentrazione delle attività produttive. In rapporto a più indicatori la Campania appare come territorio di forte spreco e degrado di risorse, unitamente alla pesante incombenza del rischio ambientale cui il Ptr ritiene di attribuire particolare rilievo.

Sono molti i dati che meritano particolare attenzione. Il territorio della Campania è, come e forse più di quello nazionale, fragile ed esposto ad una pluralità di rischi: alcuni molto diffusi, anche se talvolta poco conosciuti o comunque sottostimati (come quelli derivanti dalle contaminazioni indotte da smaltimenti illegali di rifiuti pericolosi); altri fortemente specifici, connessi cioè con i caratteri originari del territorio (come quelli di natura sismica, vulcanica e idrogeologica). È peraltro frequente la situazione in cui sorgenti di rischi diversi sono presenti contemporaneamente, potendo potenzialmente sviluppare fenomeni avversi che potrebbero agire anche sinergicamente (si pensi, ad esempio, ai rischi di incidenti rilevanti in stabilimenti industriali in zona sismica).

I dati definitivi sulla popolazione dell’ultimo censimento rafforzano alcune linee di tendenza significative già individuate nelle linee guida.

L’immagine complessiva della redistribuzione della popolazione sul territorio regionale vede un triplo movimento:

1. un incremento concentrato a nord ovest nel casertano e a ovest nel giuglianese verso il litorale domizio, lungo l’autostrada Napoli-Bari tra Napoli e Avellino e lungo la Napoli-Salerno a est;

2. un decremento nell’Alta Irpinia e a sudest (Alburni, Alto Calore, Lambro e Mingardo, Bussento);

3. un incremento diffuso nel quadrante territoriale compreso tra i quattro sistemi urbani di Napoli, Caserta, Avellino e Salerno.

Questa immagine evidenzia l’addensamento di popolazione ancora fortemente squilibrato nel triangolo Napoli-Caserta-Salerno, e che tenderà a essere esteso dal sistema di trasporto integrato unico.

In termini aggregati, la popolazione complessiva della Regione Campania resta sostanzialmente stabile, con un leggerissimo incremento.

Figura 3 - I sistemi territoriali locali

  

 

Le grandi città e i loro sistemi continuano ad alleggerirsi.

La riduzione va dal -6,93% per Napoli, al -1,88% per Salerno, allo 0,31% per Benevento e allo 0,04% per Avellino. Fa eccezione la sola Caserta. Caserta e la direttrice dei comuni verso Capua, infatti, anche per l’influenza del processo di decentramento del sistema napoletano, crescono di oltre il 6%. Complessivamente i cinque grandi sistemi urbani hanno perso circa 57.000 abitanti negli ultimi dieci anni e 171.000 dal 1981.

A questa riduzione di popolazione partecipa tutta la fascia costiera napoletana, soprattutto verso oriente lungo la direttrice vesuviana. Nei 18 comuni vesuviani della cosiddetta zona rossa ad alto rischio la riduzione di popolazione è stata di 38.000 abitanti: si tratta di una buona tendenza che contribuisce a ridurre il rischio Vesuvio, e che la pianificazione territoriale regionale e provinciale si propongono di incoraggiare. Nel processo di disurbanizzazione dell’area napoletana, crescono i sistemi urbani industriali intermedi lungo l’intero arco in direzione di Aversa, dei comuni settentrionali e verso Nola.

Esclusa l’Alta Irpinia e il Fortore, che decrescono fortemente, crescono tutte le realtà insediative dove si combina la dominante rurale con quella industriale. Soprattutto il giuglianese con il 24,27%; seguono la Valle dell’Irno con il 9,02% e il Solofrano con il 7,26%.

I comuni dei sistemi dove si combina la componente rurale con quella industriale sono a crescita più intensa, anche più di quelli urbano-industriali.

Sinteticamente si può dire che emerge l’immagine di una regione dove gli squilibri si vanno attenuando e dove le diversità tendono ad assumere una configurazione non di contrasto ma di possibile armonizzazione.

Ad essa si affianca una consistente diversificazione della distribuzione delle attività industriali, in parte accompagnata dalla dislocazione dei distretti industriali e delle aree Asi ed ex legge 219/1980 e dei servizi.

Dal punto di vista della struttura economica e produttiva del territorio, i dati disaggregati per Sts consentono di specificare le indicazioni contenute nel Rapporto 2003 dell’Unioncamere sulle economie e sulle società locali. Questo rapporto individua 10 modelli di sviluppo locale del sistema Italia articolati per province. Le 5 province campane vengono inserite all’interno dei tre modelli che articolano la cosiddetta potenzialità inespressa, quella di Napoli, Caserta e Salerno, come “aree urbane a modernità incompiuta”, quella di Avellino come “area in cerca di vocazione” e quella di Benevento come area con “accenni di qualità”.

Dal punto di vista territoriale assume grande rilevanza la valutazione della distribuzione del flusso turistico per destinazione. Le linee guida per lo sviluppo turistico della Campania, elaborate dall’assessorato di Teresa Armato, mettono in evidenza la loro elevata concentrazione: oltre il 50% del flusso turistico si indirizza verso le località turistiche della Provincia di Napoli, che scende al 44,5% se invece degli arrivi si considerano le presenze. Le tre province costiere (Caserta, Napoli e Salerno) accolgono la quasi totalità della domanda internazionale e appena il 3% dei pernottamenti effettuati da turisti italiani riguarda le province interne di Avellino e Benevento. In particolare, per le prospettive di sviluppo e relative implicazioni territoriali, si evidenza che il casertano, nonostante le sue considerevoli potenzialità, attrae soltanto poco più del 5% del flusso turistico interno e una quota ancora inferiore in termini di presenze: la conferma dunque di come si possa e si debba investire per la riqualificazione e il rilancio del litorale domitio, dei parchi del Matese e di Roccamonfina, degli itinerari culturali di Terra di Lavoro.

Figura 4 - Linee guida per la pianificazione territoriale regionale, Tavola 1A

  

 

In base al tasso di sviluppo della domanda è possibile raggruppare le aree turistiche della regione in sature (penisola sorrentina, costiera amalfitana, isole del golfo); mature (costa cilentana, Napoli); in espansione (Cilento interno, Sannio beneventano, Matese); potenziali (Irpinia, Alburni, Taburno, Camposauro); da riqualificare (area flegrea, litorale domizio, area vesuviana costiera, piana del Sele).

Ma per sostenere adeguatamente l’irrobustimento dell’immagine di una Campania plurale è indispensabile il forte impiego di una moderna politica a favore dell’agricoltura.

Non va dimenticato che l’agricoltura campana si pone tra i settori più importanti dell’economia regionale, partecipando al valore aggiunto complessivo della regione con il 3,6 % circa e rappresentando, nel 2000, circa il 3,3% del Pil regionale. Anche nel panorama agricolo nazionale essa si presenta in una posizione di rilievo, con il 6,7% della produzione agricola nazionale e ai primi posti tra le regioni agricole italiane.

Negli ultimi anni la spesa dei fondi europei è stata in questo settore particolarmente brillante e questo ci lascia immaginare prospettive a breve termine sicuramente positive.

Dall’analisi del 5° Censimento generale dell’agricoltura (2000) è possibile riscontrare, la presenza complessiva di circa 250.000 aziende agricole, zootecniche e forestali, con una superficie agricola utilizzata (Sau) di circa 600.000 ettari. Rispetto al Censimento del 1990, il numero delle aziende risulta diminuito di 25.931 unità (9,4%), a fronte di una riduzione della superficie totale di cui 62.255 ettari di Sau (9,4%). La riduzione del numero di aziende e la contrazione delle superfici aziendali sono state tra loro proporzionali, cosicché le superfici medie delle aziende localizzate in Campania sono rimaste praticamente invariate rispetto ai valori osservati dal precedente Censimento.

Il territorio della Campania partecipa pienamente a quel carattere di eccezionale concentrazione di beni storico-artistici e paesaggistici di grande valore che caratterizza l’Italia.

In particolare di quella vasta diffusione di centri urbani minori e più complessivamente del patrimonio edilizio storico (se ci riferiamo all’edilizia costruita prima del 1919), il patrimonio residenziale storico in Italia raggiunge i 2,1 milioni di abitazioni ed è concentrato in quattro regioni (Lombardia, Piemonte, Toscana e Campania) con il 45% del dato complessivo.

In questo quadro la Campania raggiungeva al 1991 un numero di abitazioni costruite prima del 1919 di 363.525 pari al 19,34% del totale delle abitazioni. Tale patrimonio si distribuisce nelle cinque province da un massimo del 22,79 % della Provincia di Benevento ad un minimo del 15,31% di quella di Avellino, dove pesano le distruzioni del terremoto del 1980. In termini assoluti la quota più rilevante è ovviamente concentrata nella Provincia di Napoli con 173.729 abitazioni.

Per contribuire a orientare una corretta politica abitativa, va tenuta nella debita considerazione l’entità del patrimonio storico non occupato, che in Campania è di ben 68.105 abitazioni su un totale di abitazioni non occupate che è di 320.020, cioè ben il 17,05% dell’intero patrimonio residenziale. Si tratta di grandezze così rilevanti da suggerire una grande attenzione da parte di tutti gli enti locali per una mirata e convinta politica di recupero edilizio.

In tale direzione agisce la Lr 26/2002 “Norme e incentivi per la valorizzazione dei centri storici della Campania e per la catalogazione dei beni ambientali di qualità paesistica”, che ha avuto uno straordinario riscontro da parte dei comuni medi e piccoli della Campania.

È evidente che la valorizzazione del patrimonio residenziale storico, che costituisce una delle risorse rilevanti della Campania plurale, non può essere disgiunta da una più ampia considerazione dell’attività di costruzione dell’edilizia residenziale.

Attraverso gli elementi di interpretazione della realtà regionale, delle sue dinamiche e delle sue prospettive, restituiti nei cinque quadri territoriali di riferimento, emergono via via ipotesi e suggerimenti per il futuro, prevalentemente presentati già negli avviati processi di copianificazione come temi di strategie complesse da precisare e implementare nel contesto della pianificazione provinciale e/o dei programmi per lo sviluppo locale.

Questa logica di accompagnamento non implica, tuttavia, in nessun senso, neutralità o disimpegno rispetto agli obiettivi assunti e alle scelte compiute.

Le reti, e in primo luogo la rete ecologica regionale (Rer), costituiscono il riferimento per l’integrazione delle politiche locali e di quelle settoriali nel contesto più ampio delle politiche regionali.

In particolare attraverso la costruzione della rete ecologica ai diversi livelli (regionale, provinciale e locale) si manifesta la concreta possibilità di sviluppare politiche attive di tutela dell’ambiente e del paesaggio, coinvolgendo in ciò anche la pianificazione di settore. La rete ecologica si configura così come uno strumento programmatico che consente di pervenire ad una gestione integrata delle risorse e dello spazio fisico-territoriale regionale, ivi compreso il paesaggio.

Inoltre, estendendo all’intero territorio regionale gli obiettivi del miglioramento della qualità ambientale, della conservazione e dell’incremento della biodiversità e legandoli agli obiettivi di qualità paesistica, la Rer diventa lo strumento attraverso cui le politiche di sviluppo sostenibile si avvalgono concretamente del contributo di più soggetti che, partendo dalle realtà locali e settoriali, cooperano al conseguimento di quegli obiettivi.

Figura 5 - Linee guida per la pianificazione territoriale regionale, Tavola 1B

  

 

I settori coinvolti sono molteplici. Le politiche residenziali, attraverso la forma degli insediamenti, possono contribuire sia al conseguimento di più elevati livelli di qualità paesistica, sia a contenere i fenomeni di frammentazione ambientale particolarmente intensi nelle aree più densamente abitate. Le politiche agricole, attraverso il mantenimento o l’incremento della biodiversità, nonché attraverso la conservazione delle pratiche agricole all’interno delle aree intercluse negli insediamenti, possono svolgere anch’esse le stesse funzioni attribuite alle politiche residenziali. Anche le politiche industriali possono contribuire agli stessi obiettivi sopra enunciati, sciogliendo il nodo della separatezza fra processi produttivi e territori contermini, integrando gli stabilimenti e le infrastrutture connesse nell’ambiente e nel paesaggio circostanti, sviluppando la costruzione di paesaggi industriali consapevolmente progettati e non casualmente depositati sui territori che li ospitano.

Quanto emerge dal terzo quadro territoriale di riferimento, riguarda fondamentalmente due aspetti della politica territoriale della regione.

Il primo si riferisce alla definizione e delimitazione dei Sts; per la loro definizione si è guardato ai processi in atto di auto-identificazione di territori in rapporto a strategie più o meno settoriali di sviluppo. I 45 Sts identificati, dovranno rappresentare un quadro di riferimento per le politiche di sviluppo locale che investono diverse azioni settoriali d’intervento della regione (agricoltura, industria, turismo, trasporti, ecc.). Si propone quindi di innescare un processo progressivo di verifica e di riunificazione delle diverse suddivisioni del territorio regionale basate sulle aggregazioni dei territori di più comuni.

Il secondo aspetto si lega strettamente alla dimensione strategica e co-pianificatrice del Ptr. Si è avanzata un ipotesi di territorializzazione di alcuni indirizzi strategici definiti nelle linee guida del Ptr. La matrice strategica così ottenuta diventa la base di riferimento per tre ordini di azioni: verso la regione consente di leggere le necessarie integrazioni delle politiche settoriali nei confronti dei diversi territori; verso le province si configura come un indirizzo strategico da considerare nella redazione dei Ptcp; verso i sistemi locali di sviluppo rappresenta una prima base di riferimenti strategici da condividere, precisare e arricchire per l’avvio di un processo di pianificazione dello sviluppo locale basato su tre fasi: redazione del documento strategico, messa a punto di elementi progettuali e coinvolgimento di attori locali e non, gestione degli interventi e del marketing territoriale anche attraverso agenzie di sviluppo locale.

La definizione del quadro dei Ctc ha individuato ambiti dove la criticità delle situazioni in essere o previste, sollecita la promozione da parte della regione di azioni particolarmente delicate e prioritarie improntate ad un governo integrato e intersettoriale delle trasformazioni, basato sulla cooperazione interistituzionale tra enti e soggetti locali. In questi ambiti è necessario che la regione operi un’azione di indirizzo attraverso azioni specifiche, che abbiano un respiro territoriale ed una dimensione strategica.

Il caso paradigmatico che esplicita il senso e la funzione istituzionale dei Ctc, è il Rischio Vesuvio dove, attraverso un quadro di delibere di Giunta regionale ed una legge regionale (Lr 21/2003), è stata varata una manovra di pianificazione territoriale basata sul dialogo istituzionale, che agisce direttamente sulla trasformazione insediativa per mitigare uno dei rischi più rilevanti al livello nazionale.

La prospettiva della decompressione insediativa e della riqualificazione strutturale della zona rossa, infatti, non risultano essere pratiche episodiche o frammentate, quanto azioni coerenti ad una finalità perseguita attraverso una programmazione rigorosa, con una precisa corrispondenza istituzionale ed un inquadramento territoriale coerente con gli indirizzi del Ptr.

Analogo discorso vale per la mitigazione del rischio dovuto ai siti potenzialmente contaminati, la cui urgenza è aggravata dal fatto che, in alcune aree, questi pericolosi detrattori ambientali si incrociano con zone interessate da densi programmi di implementazione di reti infrastrutturali (per esempio nella Provincia di Caserta tra la fascia litoranea e le aree più interne) o da delicati valori della rete ecologica. Per gestire la presenza di questi rischi, nella definizione dei Ctc, viene proposto un modello di valutazione dei relativi effetti territoriali come strumento indispensabile per modularne le relazioni con le diverse dimensioni del territorio regionale.

Infine, in un auspicabile processo di polarizzazione e riequilibrio del territorio regionale, la confermata previsione del nuovo aeroporto di Grazzanise pone all’evidenza del pianificatore gli effetti di agglomerazione che la attrattività territoriale di questa funzione andrà a determinare, e al contempo le potenzialità che il necessario incremento delle infrastrutture che interesseranno questo nodo dispiegano nell’area.

Sono alcuni casi, questi ultimi, particolarmente utili a far comprendere come questo piano non sia un prodotto di alto profilo scientifico da riporre negli armadi della giunta regionale o delle province, ma al contrario rappresenta uno straordinario esempio di pianificazione iniziata a essere attuata prima ancora del completamento del proprio iter approvativo. Il Piano Vesuvio, i diversi Ptcp sono non solo coerenti ma addirittura discendono da questo Ptr, che rappresenterà un formidabile strumento per la programmazione dei fondi europei 2007-2013, per la elaborazione dei diversi piani di settore, per la allocazione delle grandi infrastrutture, per le scelte di sviluppo e per la revisione dei piani paesistici e la costruzione di una nuova politica di tutela del nostro territorio.

Colmiamo un vuoto di oltre trenta anni con un piano che per essere sempre attuale dovrà però avere il carattere del dinamismo e della flessibilità, capace di essere rivisto e aggiornato a cadenza quinquennale, frutto della concertazione, ma anche luogo decisionale.

 

 

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