Numero 8/9 - 2004

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il castello e il borgo fortificato di Taurasi


Gemma Belli


 

Nell’ambito degli interventi di recupero e valorizzazione dei castelli e delle fortificazioni, si diffonde sempre più l’idea di legare conservazione e valorizzazione dei luoghi alla promozione turistico-culturale. Gemma Belli narra la storia della formazione del borgo medievale di Taurasi in Provincia di Avellino il cui castello, risalente ai longobardi, è stato recentemente acquistato dal Comune per essere trasformato in una enoteca regionale

 

 

 

Inscindibilmente legate all’ambiente naturale, che ne ha dettato la forma, e all’ambiente antropizzato, cui spesso la hanno impressa, le fortificazioni rivestono un ruolo rilevante nell’ambito dei beni culturali: nodi in cui il carattere ambientale si condensa e si esplicita, luoghi della memoria, simbolo di sicurezza e rifugio dalle asperità di un mondo inospitale, sempre in grado di evocare sentimenti di mistero e timore1.

Generalmente nate in relazione ad altre opere difensive solidali, esse fanno parte di uno scacchiere spontaneo, la cui trama risponde a ragioni e convenienze topografiche, geografiche, tattiche e strategiche.

Un adeguato intervento di recupero, pertanto, non potendo impegnarsi a ripristinare una vecchia funzione obsoleta, dovrebbe sperimentare nuovi usi capaci di integrarsi con il carattere delle fortificazioni e con il loro ruolo di poli privilegiati di riferimento visivo per l’orientamento.

La valorizzazione dovrebbe innanzitutto pensare a una rete di castelli. Senza limitarsi, tuttavia, a collegare sulla carta una serie di monumenti più o meno importanti, ma approfondendone la conoscenza, per proporre un uso compatibile con la loro struttura e spunti per attuare interventi di tutela attiva2.

Un’idea per niente nuova consiste nel legare il concetto di conservazione attiva a quello di itinerari turistico-culturali. D’altro canto già nel 1966 Pietro Gazzola rifletteva su questa possibilità, sostenendo che, al fine di salvare i castelli dal degrado, occorresse puntare su temi particolari come ad esempio “le fortezze e i luoghi di battaglie famosi nel Piemonte, i castelli Normanni delle Puglie o ancora i castelli Scaligeri nel Veneto” oppure mirare a valorizzare una strada famosa nei secoli o programmare “itinerari gastronomici e altri per amatori dei vini, entrambi basati sui castelli”3.

Anche sulla scorta dei modelli forniti recentemente da Spagna, Portogallo e Francia, questa ipotesi potrebbe essere portata avanti in Irpinia (terra di grandi vini) per recuperare il sistema delle fortificazioni presenti, caratterizzato da pregevoli esempi di borghi medievali. Tra questi un interessante esempio è sicuramente fornito da Taurasi.

Castellum o castrum nel senso di insediamento fortificato di una piccola comunità urbana, il nucleo antico di Taurasi corrisponde molto probabilmente all’arx della mitica Taurasia, una delle ventuno città-campagna fondate dagli irpini, popolazione della stirpe dei sanniti4. Ciascuna tribù irpina – dotata di una forma di governo di tipo repubblicano, che prevedeva l’elezione di un capo comune dotato di poteri assoluti, solo in caso di guerra – gravitava, infatti, attorno a un centro collocato in posizione altimetricamente rilevante. Non si tratta tuttavia di una vera e propria città, poiché l’arx è esclusivamente sede del mercato, sito deputato all’amministrazione della giustizia, alla celebrazione dei sacrifici, luogo di raduno in tempo di pace e di ricovero dalle offese nemiche in caso di guerra. Gli abitanti, invece, vivono sparsi nel territorio circostante, raggruppati nei vici e nei pagi, cui corrispondono le attuali frazioni e i casali, collegati mediante numerose strade che conducono alla vallata del Calore.

Come testimoniano anche passi di Livio, Plinio il Vecchio, Strabone o Cluverio, Taurasi riesce gradualmente ad assumere un ruolo strategico-militare di primaria importanza: ubicata quasi al centro dell’altipiano irpino individuato a oriente da Aeclanum (Frigento), a nord da Cluvia (Fulsula), a nord-est da Maleventum, a sud-est da Aquilonia, Romules e Trivicum e posta a 1,5 km circa dalla sponda destra del fiume Calore.

Figura 1 - La Via Appia da Benevento a Brindisi

 

 

Il territorio, franoso a sud del colle S. Felice, vasto e piano a oriente, con dorsali originariamente coperte da fitti boschi incombenti su piane fluviali di eccezionale fertilità, ha quindi a lungo rappresentato la porta d’accesso all’Alta Irpinia Orientale, cerniera tra due importanti strade di collegamento tra la Puglia centrale e il Tirreno: una che da Cuma, passando per Avellino, Taurasi, S. Angelo dei Lombardi, conduceva a Canosa e Bari, l’altra che per Avellino, Monte Aperto e Taurasi si allacciava, in corrispondenza di Grottaminarda, all’Appia Benevento-Brindisi.

Per tale motivo il centro è fulcro di avvenimenti significativi, venendo distrutto e ricostruito più volte nel corso della sua storia. Innanzitutto, in seguito alle prime due guerre dei sanniti contro Roma. L’impresa assume una tale risonanza che il console conquistatore, Cornelio Scipione Barbato, ne tramanda il ricordo ai posteri facendo segnare il nome di Taurasi, assieme a Cisauna e Samnium, sulla sua lapide sepolcrale. Poi, perché ultima base per contrastare il passo all’esercito di Pirro. Quindi, per essersi i taurasini schierati al fianco di Annibale.

Nel II secolo a.C. i romani deportano nell’area, divenuta ager publicus populi romani e rimasta pressoché deserta, i liguri apuani. Sotto Augusto, dopo che negli anni precedenti le terre dei campi taurasini erano state distribuite a schiere di veterani, vengono realizzate una serie di opere civiche e intensificata la rete stradale, nel tentativo di assicurare sicurezza e fornire nuovo impulso all’agricoltura. Le popolazioni irpine cominciano a dedicarsi all’agricoltura e alle industrie e Taurasi ottiene colonie della Stellatina (ovvero di Benevento) con magistrati quinquennali che assistono gli indigeni, svolgono misure, dividono e assegnano le terre, giudicano mediante norme dette consietudini. In base a esse ogni colonia, una volta adempiuti i suoi obblighi verso Roma, consistenti nel fornire contingenti di milizia, nell’inviare vettovaglie per l’esercito accampato nei propri territori e nel corrispondere determinati tributi, ha la podestà di provvedere a sé e a tutte le pubbliche necessità della comunità, compresa l’amministrazione della giustizia. In quest’epoca, mentre Aclanum diventa un centro commerciale, Taurasi rappresenta l’entroterra agricolo.

Vestigia della dominazione romana sono tuttora visibili al di sotto delle scuderie del palazzo baronale, nelle evidenti tracce di murature erette come fortificazioni lungo la vallata del Calore, oltre che nei numerosi ritrovamenti di ville rustiche.

Con la decadenza dell’Impero, in Irpinia si assiste a un generale decadimento delle città e degli insediamenti romani e Taurasi conosce un preoccupante regresso economico. L’abbandono delle terre, tuttavia, favorisce la creazione di vasti spazi coperti da vegetazione selvaggia, costituendo la premessa affinché tra il IX e il X secolo i monaci benedettini possano avviare un’intensa attività di dissodamento e di messa a coltura dei terreni incolti. Contemporaneamente l’incertezza dei tempi e la paura di incursioni spingono le popolazioni indigene alla difesa, innalzando fortificazioni sulla sommità dei rilievi collinari. Il paesaggio si costella così di una miriade di piccoli centri fortificati, che non evidenziano una particolare disposizione planimetrica o cura nell’esecuzione, in quanto le piante irregolari si adattano alla morfologia dei luoghi, ma che gli fanno assumere un aspetto prevalentemente militare.

La rinascita del territorio, oramai in rovina e devastato dalle continue invasioni barbariche e dai sismi, avviene solo in età longobarda. Nel 570 d.C., infatti, i longobardi vi fondano il ducato di Benevento e decidono di stabilire una molteplicità di colonie per difendere la capitale dai greci della vicina Puglia. Dal punto di vista amministrativo il ducato viene a essere costituito da numerosi piccoli distretti detti gastaldie, a capo delle quali è posto il gastaldo, ufficiale di fiducia del duca. Nascono così le gastaldie di Taurasi, Castelvetere, Guardia, Torella, S. Angelo e i relativi castelli. Ma nella prima metà dell’IX secolo, le lotte intestine tra Radelchi e Siconolfo, sfociate nella Divisio Ducatus Beneventani, voluta dall’imperatore Ludovico II, determinano la nascita di due principati, quello di Salerno attribuito a Siconolfo e quello di Benevento attribuito a Radelchi, cui corrispondono due diversi sistemi difensivi costituiti da castra.

A Taurasi, nonostante le successive modificazioni, l’impianto tracciato dai longobardi è quello ancora oggi visibile, riconducibile a una tipologia frequente negli insediamenti fortificati medievali: arroccato su un’altura, circondato per quasi tutto il perimetro da possenti mura che riutilizzano alcune delle porte romane, rinforzate dalla presenza di torri, e per la restante parte protetto naturalmente da dirupi e scoscendimenti. I longobardi, infatti, per difendersi più agevolmente tendono a raggrupparsi con i servi (le popolazioni sottomesse) in piccoli oppidi in cima ai colli.

Il castello propriamente detto viene localizzato nel punto più alto, adiacente alla porta maggiore e alla cattedrale, il cui primo nucleo è anch’esso edificato dai longobardi, convertitisi al cristianesimo, sulle rovine di un antico tempio pagano dedicato alla dea Cerere. Un castello minore è posizionato nei pressi della porta S. Angelo, diametralmente opposta, a difesa del versante occidentale, laddove oggi sorge palazzo Maffei. In questi anni, nei pressi del castello, all’interno del perimetro delle mura, cominciano ad apparire le prime abitazioni in pietra, inizialmente a un solo livello e poi, a partire dall’anno 1000, dotate anche di un piano superiore. Sicuramente destinate ad accogliere la guarnigione militare incaricata della difesa, ma è molto probabile che ospitino anche famiglie contadine, per cui l’insediamento inizia ad assumere un carattere di abitato civile e non più esclusivamente militare.

Tutto intorno al nucleo fortificato il comprensorio, caratterizzato dalla distribuzione di vici o casali, è organizzato secondo il principio della curtis. Questa si fonda sulla presenza della casa patronale con al centro alcuni edifici annessi (adibiti ad abitazioni e a depositi per gli attrezzi per il lavoro dei campi) e tutto intorno, in un primo giro, la terra detta sala che il proprietario fa lavorare direttamente ai servi per suo conto. In un secondo giro consecutivo sono poste le terre assegnate agli agricoltori liberi che pagano al proprietario un censo, generalmente corrispondente a un terzo del raccolto. Siamo, quindi, in presenza di un insediamento a maglie larghe, ovvero strutturato in villaggi aperti (i casales, curtes o ville) con un castello che assolve necessità di tipo strategico, rappresentando la fortezza e non ancora un polo di aggregazione.

Taurasi è pesantemente distrutta verso la fine dell’800 e del ’900, durante le invasioni saracene.

Tra il 1009 e il 1030 viene poi conquistata dai normanni. Questi assoggettano la popolazione preesistente senza pretenderne la fusione, ma richiedendo diritti di conquista, cioè balzelli e fornitura di militi in caso di guerra, e riescono a riunire in un unico e ricco Stato una molteplicità di territori, raggiungendo in breve tempo grande autorità. Inoltre, essendo scesi in Italia con l’esplicito proposito di costruire delle signorie territoriali, preferiscono stabilirsi nei castelli ubicati nelle campagne piuttosto che nelle città, centri amministrativi del potere politico, dove si insediano generalmente solo i capi. Pertanto, è attorno ai nuovi e vecchi castelli che nasce e si sviluppa la signoria castrale.

Taurasi viene concessa a Guglielmo, duca delle Puglie, figlio di Ruggero I e Ala, regina dei Danesi, assieme alla baronia gesualdina, una delle dodici del ducato di Melfi. E viene fortificata e restaurata mediante la costruzione di numerose torri, la soprelevazione delle mura, iniziando in questo periodo ad assumere funzioni maggiormente residenziali.

Come spesso si riscontra nei nuclei fortificati di origine normanna, accanto alla residenza del signore sorgono anche edifici pubblici, case d’abitazione, piazze, vie pubbliche, piccoli lotti di terra coltivabile e almeno una chiesa. L’abitato viene organizzato secondo uno schema a spina – molto frequente nei centri costruiti intorno all’anno 1000 – segnato da un’unica arteria principale (lunga circa 755 m) che congiunge le due porte più importanti, dalla quale si dipartono ortogonalmente schiere di edifici, delimitanti stradine secondarie di ridottissima ampiezza, a carattere semiprivato, che contribuiscono con la difficile percorribilità alla maggiore difendibilità dell’insediamento in caso di pericolo e rispondendo, inoltre, all’esigenza di protezione dal vento e dal freddo.

Taurasi è oramai diventato un autonomo centro di aggregazione territoriale, cui fa capo, sia sul piano insediativo sia sul piano politico-sociale, una compatta circoscrizione. Ha avuto luogo, infatti, quel fenomeno cosiddetto di incastellamento, con il quale gli abitanti abbandonano gli insediamenti aperti del fondovalle e si trasferiscono nel centro di sommità, chiuso da mura e controllato da vicino dal castello signorile. E questo sia per motivi di sicurezza sia per le pressioni dei signori che tendono a riunire le genti nei nuovi centri castrali, per poter meglio esercitare il potere signorile.

Figura 2 - Provincie del Contado di Molise e Principato Ultra, Giuseppe Pietrasanta, incisore; Domenico De Rossi, stampatore in Roma; 1714

 

 

In epoca normanna, inoltre, il castello viene fortificato con la costruzione del mastio alla sinistra dell’attuale ingresso. La torre-fortezza è, del resto, un elemento ricorrente dell’architettura normanna, spesso inserita anche in edifici sacri, dapprima come elemento di difesa dell’organismo edilizio e poi trasformata in torre campanaria (processo, questo, che a Taurasi è riscontrabile per il campanile della cattedrale). Alla base viene anche edificata una piccola chiesa dedicata a San Pietro, fruita direttamente dai membri del castello. Esistente sino al XVII secolo, con bellissimi stucchi barocchi e un altare in marmo marrone e oro, ne restano oggi solo una volta e un affresco.

Sotto Ruggiero di Castelvetere (figlio di Elia Gesualdo) sorgono nuove costruzioni fuori Porta Maggiore; pertanto, nei primi decenni del 1200, durante la dominazione sveva, sono oramai numerosi i casali raggruppati attorno alle chiese di San Barbato, S. Cataldo e Madonna del fiume Calore fuori le mura.

Nel 1325, nel corso della guerra contro gli Aragonesi, Tommaso di Taurasi è al fianco dei capitani angioini che vanno in Sicilia sotto il comando di Carlo duca di Calabria. Al periodo della dominazione angioina risale l’ampliamento del donjon normanno del castello, con la realizzazione della pregevole scala elicoidale con gradini autoportanti in pietra calcarea, simile a quella esistente nel Maschio Angionino di Napoli, e la costruzione delle prigioni.

Nel 1461, Giacomo Caracciolo, continuando a parteggiare per gli Angioini, si schiera contro gli Aragonesi: il centro, di conseguenza, è stretto d’assedio e saccheggiato dalle truppe di Ferdinando I. Intanto il feudo viene concesso a Luigi Gesualdo, il quale, nel 1490, lo vende a Ettore Pignatelli. Il castello già compromesso e quasi cadente, pochi anni dopo viene bombardato da Federico I.

Nel 1506 ritornano i Gesualdo e dal 1586, con Carlo I, la città viene interamente ricostruita e abbellita con nuovi palazzi. A valle della dominazione normanna, si tratta dell’altro importante momento di maggiore impulso per l’edilizia, sia nel vecchio centro che nei sobborghi e nell’agro. Ed è a quest’epoca che risultano ascrivibili i maggiori interventi decorativi, che tutt’oggi caratterizzano lo stile degli edifici del centro.

Anche le mura difensive subiscono profonde trasformazioni. Infatti, con la scoperta della polvere da sparo, come è noto, il fossato diventa inutile, le torri alte risultano particolarmente vulnerabili e lo spessore dei muri appare insufficiente. Il primo accorgimento consiste nell’ispessire le mura e nel dotarle di scarpata, poi nel sostituire le feritoie con fori rotondi per i cannoni, infine nel realizzare fortificazioni basse protette da bastioni a perimetro poligonale e non più circolare.

Sono della seconda metà del ’700 le due principali trasformazioni che modificano l’impianto del nucleo antico: il restringimento della piazza del Duomo e l’abbattimento della cinta muraria.

Nel primo caso è la realizzazione di Palazzo Casale a imporre una riduzione della piazza, prima estesa sino all’attuale vico De Angelis; la costruzione è realizzata, per sé e per i suoi eredi, dall’arciprete del Casale che ne ottiene la facoltà dal feudatario Don Agnello Latilla, come ricompensa per il restauro e l’ampliamento della chiesa cattedrale di San Marciano.

Figura 3 - Planimetria del nucleo fortificato di Taurasi

 

 

Il secondo intervento è voluto da Carlo di Borbone per contrastare eventuali rivolte della nobiltà. Viene sventrato vico Brancolino e abbattute le mura che chiudono tutti i percorsi protesi verso il burrone. Si decreta così la fine dell’utilità del fossato – l’attuale via Belvedere occupa il sedime della via Fossi – sancendo la definitiva perdita del carattere di fortezza.

Anche la cattedrale (che era stata riedificata e riconsacrata nel 1150) viene completamente rifatta in stile barocco verso la metà del ’700, perdendo definitivamente ogni vestigia normanna. In questa occasione si realizza, inoltre, la volta a botte oggi visibile, in sostituzione del soffitto romanico con travatura lignea, e si aggiunge l’abside circolare al fondo della navata.

Ma soprattutto in età borbonica viene costruita la Napoli-Avellino-Foggia, opera che priva definitivamente Taurasi del suo ruolo di cerniera strategica tra il Tirreno e la Puglia centrale.

Alla fine del 1800 risale la vendita del cosiddetto giardino dei monaci, terreno compreso tra il convento della chiesa del SS. Rosario e la Porta Maggiore, con la clausola che le abitazioni da realizzare avrebbero dovuto lasciare visibile la facciata dell’edificio religioso per chi guarda da Porta Maggiore, motivo per cui l’accesso al borgo avviene oggi attraverso una strada ampia 20 metri, anziché 7 come il tratto precedente.

Figura 4 - Pianta del primo piano del Castello

 

 

Il castello, costante elaborazione di tutte le dominazioni che lo hanno avuto in possesso, ha subito nel tempo le stesse sorti del castrum. Sulle fondamenta romane, la primitiva forma gli è impressa dai longobardi, come testimonia la presenza di caratteristiche analoghe ai castelli di Castelvetere, Gesualdo, Paternopoli. In età spagnola, con la costruzione dell’accesso al torrione, alla sinistra della Porta Maggiore, il quale precedentemente costituiva con il castello un unico sistema difensivo5, avviene la trasformazione voluta dai Gesualdo in palazzo baronale. E il complesso diviene meta rinomata di personaggi del calibro di Bernardo e Torquato Tasso, S. Carlo Borromeo, il duca d’Este e sua figlia Eleonora.

Figura 5 - La torre colombaia di Palazzo Capano della metà del XVI sec.

 

L’attuale fabbrica presenta i caratteri del palazzo rinascimentale con impianto tipologico a corte.

La facciata esterna è molto articolata ed è caratterizzata da un bel portale ad arco, con in chiave lo stemma dei Gesualdo-D’Este, rimaneggiato in età barocca. A sinistra svetta il mastio, tipicamente normanno nel suo impianto planimetrico e nell’assenza di basamento a scarpa. Esso serviva come ultimo rifugio della famiglia e dei difensori del castello nel caso di incursioni nemiche. Non è attualmente rintracciabile nel terminale della costruzione (sicuramente rimaneggiato nel tempo) un coronamento con apparecchio a sporgere. Nel basamento sono visibili ricorsi paralleli di conci regolari di travertino, forse provenienti da edifici di epoca romana, ammorsature angolari sempre in blocchi squadrati di travertino; superiormente pietre calcaree (alla cui datazione è difficile risalire) tagliate molto irregolarmente e messe in opera con spessi strati di malta. Vi si notano, inoltre, una feritoia e due piccole finestre rettangolari incorniciate da parallelepipedi in travertino. Attraverso un androne voltato a botte si entra nel cortile, dove i resti di alcuni sarcofaghi bizantini del IV e V secolo, fungono da abbeveratoi per i cavalli. Poi, mediante una scala, si accede ai piani superiori, la parte meglio conservata dell’intero edificio, organizzati su due livelli. Al primo piano nobile un immenso salone con camino era adibito a corte di giustizia; adiacenti si trovavano la stanza del consiglio, le sale d’armi, le sale da ballo, di giochi e di studi per i figli dei feudatari. Al piano superiore, quello più sicuro, era ubicata la dimora dei signori e la cappella gentilizia. L’ultimo livello era forse destinato a foresteria.

Figura 6 - La porta piccola di origina longobarda

 

Nel 1913 castello e antica arx romana di Taurasi sono dichiarati beni di notevole importanza e interesse archeologico dal Ministero della pubblica istruzione e assoggettati alle disposizioni della legge delle Belle Arti del 20 giugno 1909, n. 364. Successivamente, il castello è sottoposto a vincolo ai sensi della legge 1089/1939. Abitato sino agli anni ’60, riporta gravi danni con il sisma del 1980; tuttavia ne vengono restaurati solamente il tetto e alcune porzioni delle murature e dei solai.

Ma è solo recentemente che si sono aperte nuove prospettive per il recupero. Nel 1999, infatti, il complesso di Taurasi è stato inserito nel progetto “I villaggi della tradizione”, finanziato dal Cipe. Tale programma, nell’ambito di un disegno di sviluppo integrato del territorio del Comune di Taurasi, ne ipotizza il restauro con l’obiettivo di realizzare un centro universitario di studi, ricerca, approfondimento e divulgazione dei prodotti tipici locali, in particolar modo del vino Aglianico Docg (denominazione di origine controllata e garantita), ormai quotato sul mercato internazionale e la cui origine risale addirittura all’importazione del vitigno Ellenicum, avvenuta in età augustea.

Figura 7 - Chiesa Cattedrale di S. Marciano Vescovo: prospetto su piazza Duomo

 

Conseguentemente all’iniziativa, il comune, d’intesa con il Ministero dei beni culturali, delibera nel 2001 di acquisire il bene al patrimonio comunale, procedendo l’anno successivo ad acquistarlo dall’aristocratica famiglia irpina dei Nobile, per circa un miliardo delle vecchie lire.

Il successivo stanziamento di un finanziamento di 4 miliardi di lire, destinato all’intervento di restauro, che sarà seguito dalla Comunità montana Terminio-Cervialto, dovrebbe consentire di trasformare la struttura in sede dell’Enoteca regionale. L’operazione potrebbe sicuramente fungere da volano per recuperare uno dei centri fortificati di impianto medievale meglio conservati in Irpinia (la presenza di uno blocco roccioso nel sottosuolo lo ha infatti preservato nel tempo dai terremoti), caratterizzato da una singolare stratificazione, testimonianza di tutte le dominazioni che si sono succedute, in cui case umili di chiara matrice medioevale si alternano a pregevoli edifici di gusto spagnolo.

Patrimonio oggi purtroppo ancora misconosciuto e in stato di abbandono.

 

Figura 8 - Alcuni portali

 

 

Note

 

1 Pace G., Itinerari culturali per una “conservazione integrata” delle fortificazioni, in Notarangelo A. (a cura di) (1992), “Torri e castelli nel Mezzogiorno. Recupero, territorio, innovazione, integrazione”, Giannini, Napoli.

2 A tale scopo risulta di fondamentale importanza anche un rilievo e un censimento dei castelli e delle fortificazioni, e la catalogazione portata avanti dall’Istituto italiano dei Castelli – oramai in fase di completamento – costituisce in tal senso un’operazione importante.

3 Gazzola P. (1966), Un patrimonio storico da salvare: i castelli, in “Castellum”, n. 1, cit. in G. Pace, op. cit.

4 Recenti rinvenimenti di necropoli di indubbia origine sannitica avvalorano questa ipotesi.

5 Come confermavano i merli e i passaggi tra le due torri laterali della Porta, esistenti sino ai primi del 1800.

 

 

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Riferimenti archivistici

 

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Asn, Sezione Militare, Inventario degli apprezzi feudali, G. Labrot, Quand l’histoire murmure, Taurasi, anno 1723, scheda 161, prot. 14, Tavolario Giuseppe De Gennaro. (Referenze archivistiche: Asn, Notai ’700, Orazio Maria Critari).

Archivio privato famiglia Nobile.

Archivio privato famiglia De Angelis.

 

 

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