Inscindibilmente legate all’ambiente
naturale, che ne ha dettato la forma, e
all’ambiente antropizzato, cui spesso la
hanno impressa, le fortificazioni rivestono
un ruolo rilevante nell’ambito dei beni
culturali: nodi in cui il carattere
ambientale si condensa e si esplicita,
luoghi della memoria, simbolo di sicurezza e
rifugio dalle asperità di un mondo
inospitale, sempre in grado di evocare
sentimenti di mistero e timore1.
Generalmente nate in relazione ad altre
opere difensive solidali, esse fanno parte
di uno scacchiere spontaneo, la cui trama
risponde a ragioni e convenienze
topografiche, geografiche, tattiche e
strategiche.
Un adeguato intervento di recupero,
pertanto, non potendo impegnarsi a
ripristinare una vecchia funzione obsoleta,
dovrebbe sperimentare nuovi usi capaci di
integrarsi con il carattere delle
fortificazioni e con il loro ruolo di poli
privilegiati di riferimento visivo per
l’orientamento.
La valorizzazione dovrebbe innanzitutto
pensare a una rete di castelli. Senza
limitarsi, tuttavia, a collegare sulla carta
una serie di monumenti più o meno
importanti, ma approfondendone la
conoscenza, per proporre un uso compatibile
con la loro struttura e spunti per attuare
interventi di tutela attiva2.
Un’idea per niente nuova consiste nel legare
il concetto di conservazione attiva a quello
di itinerari turistico-culturali. D’altro
canto già nel 1966 Pietro Gazzola rifletteva
su questa possibilità, sostenendo che, al
fine di salvare i castelli dal degrado,
occorresse puntare su temi particolari come
ad esempio “le fortezze e i luoghi di
battaglie famosi nel Piemonte, i castelli
Normanni delle Puglie o ancora i castelli
Scaligeri nel Veneto” oppure mirare a
valorizzare una strada famosa nei secoli o
programmare “itinerari gastronomici e altri
per amatori dei vini, entrambi basati sui
castelli”3.
Anche sulla scorta dei modelli forniti
recentemente da Spagna, Portogallo e
Francia, questa ipotesi potrebbe essere
portata avanti in Irpinia (terra di grandi
vini) per recuperare il sistema delle
fortificazioni presenti, caratterizzato da
pregevoli esempi di borghi medievali. Tra
questi un interessante esempio è sicuramente
fornito da Taurasi.
Castellum
o castrum nel senso di insediamento
fortificato di una piccola comunità urbana,
il nucleo antico di Taurasi corrisponde
molto probabilmente all’arx della
mitica Taurasia, una delle ventuno
città-campagna fondate dagli irpini,
popolazione della stirpe dei sanniti4.
Ciascuna tribù irpina – dotata di una forma
di governo di tipo repubblicano, che
prevedeva l’elezione di un capo comune
dotato di poteri assoluti, solo in caso di
guerra – gravitava, infatti, attorno a un
centro collocato in posizione
altimetricamente rilevante. Non si tratta
tuttavia di una vera e propria città, poiché
l’arx è esclusivamente sede del
mercato, sito deputato all’amministrazione
della giustizia, alla celebrazione dei
sacrifici, luogo di raduno in tempo di pace
e di ricovero dalle offese nemiche in caso
di guerra. Gli abitanti, invece, vivono
sparsi nel territorio circostante,
raggruppati nei vici e nei pagi,
cui corrispondono le attuali frazioni e i
casali, collegati mediante numerose strade
che conducono alla vallata del Calore.
Come testimoniano anche passi di Livio,
Plinio il Vecchio, Strabone o Cluverio,
Taurasi riesce gradualmente ad assumere un
ruolo strategico-militare di primaria
importanza: ubicata quasi al centro
dell’altipiano irpino individuato a oriente
da Aeclanum (Frigento), a nord da
Cluvia (Fulsula), a nord-est da
Maleventum, a sud-est da Aquilonia,
Romules e Trivicum e posta a
1,5 km circa dalla sponda destra del fiume
Calore.
Figura 1 - La Via Appia da Benevento
a Brindisi |
|
|
Il territorio, franoso a sud del colle S.
Felice, vasto e piano a oriente, con dorsali
originariamente coperte da fitti boschi
incombenti su piane fluviali di eccezionale
fertilità, ha quindi a lungo rappresentato
la porta d’accesso all’Alta Irpinia
Orientale, cerniera tra due importanti
strade di collegamento tra la Puglia
centrale e il Tirreno: una che da Cuma,
passando per Avellino, Taurasi, S. Angelo
dei Lombardi, conduceva a Canosa e Bari,
l’altra che per Avellino, Monte Aperto e
Taurasi si allacciava, in corrispondenza di
Grottaminarda, all’Appia Benevento-Brindisi.
Per tale motivo il centro è fulcro di
avvenimenti significativi, venendo distrutto
e ricostruito più volte nel corso della sua
storia. Innanzitutto, in seguito alle prime
due guerre dei sanniti contro Roma.
L’impresa assume una tale risonanza che il
console conquistatore, Cornelio Scipione
Barbato, ne tramanda il ricordo ai posteri
facendo segnare il nome di Taurasi, assieme
a Cisauna e Samnium, sulla sua lapide
sepolcrale. Poi, perché ultima base per
contrastare il passo all’esercito di Pirro.
Quindi, per essersi i taurasini schierati al
fianco di Annibale.
Nel II secolo a.C. i romani deportano
nell’area, divenuta ager publicus populi
romani e rimasta pressoché deserta, i
liguri apuani. Sotto Augusto, dopo che negli
anni precedenti le terre dei campi taurasini
erano state distribuite a schiere di
veterani, vengono realizzate una serie di
opere civiche e intensificata la rete
stradale, nel tentativo di assicurare
sicurezza e fornire nuovo impulso
all’agricoltura. Le popolazioni irpine
cominciano a dedicarsi all’agricoltura e
alle industrie e Taurasi ottiene colonie
della Stellatina (ovvero di Benevento) con
magistrati quinquennali che assistono gli
indigeni, svolgono misure, dividono e
assegnano le terre, giudicano mediante norme
dette consietudini. In base a esse
ogni colonia, una volta adempiuti i suoi
obblighi verso Roma, consistenti nel fornire
contingenti di milizia, nell’inviare
vettovaglie per l’esercito accampato nei
propri territori e nel corrispondere
determinati tributi, ha la podestà di
provvedere a sé e a tutte le pubbliche
necessità della comunità, compresa
l’amministrazione della giustizia. In quest’epoca,
mentre Aclanum diventa un centro
commerciale, Taurasi rappresenta
l’entroterra agricolo.
Vestigia della dominazione romana sono
tuttora visibili al di sotto delle scuderie
del palazzo baronale, nelle evidenti tracce
di murature erette come fortificazioni lungo
la vallata del Calore, oltre che nei
numerosi ritrovamenti di ville rustiche.
Con la decadenza dell’Impero, in Irpinia si
assiste a un generale decadimento delle
città e degli insediamenti romani e Taurasi
conosce un preoccupante regresso economico.
L’abbandono delle terre, tuttavia, favorisce
la creazione di vasti spazi coperti da
vegetazione selvaggia, costituendo la
premessa affinché tra il IX e il X secolo i
monaci benedettini possano avviare
un’intensa attività di dissodamento e di
messa a coltura dei terreni incolti.
Contemporaneamente l’incertezza dei tempi e
la paura di incursioni spingono le
popolazioni indigene alla difesa, innalzando
fortificazioni sulla sommità dei rilievi
collinari. Il paesaggio si costella così di
una miriade di piccoli centri fortificati,
che non evidenziano una particolare
disposizione planimetrica o cura
nell’esecuzione, in quanto le piante
irregolari si adattano alla morfologia dei
luoghi, ma che gli fanno assumere un aspetto
prevalentemente militare.
La rinascita del territorio, oramai in
rovina e devastato dalle continue invasioni
barbariche e dai sismi, avviene solo in età
longobarda. Nel 570 d.C., infatti, i
longobardi vi fondano il ducato di Benevento
e decidono di stabilire una molteplicità di
colonie per difendere la capitale dai greci
della vicina Puglia. Dal punto di vista
amministrativo il ducato viene a essere
costituito da numerosi piccoli distretti
detti gastaldie, a capo delle quali è
posto il gastaldo, ufficiale di
fiducia del duca. Nascono così le
gastaldie di Taurasi, Castelvetere,
Guardia, Torella, S. Angelo e i relativi
castelli. Ma nella prima metà dell’IX
secolo, le lotte intestine tra Radelchi e
Siconolfo, sfociate nella Divisio Ducatus
Beneventani, voluta dall’imperatore
Ludovico II, determinano la nascita di due
principati, quello di Salerno attribuito a
Siconolfo e quello di Benevento attribuito a
Radelchi, cui corrispondono due diversi
sistemi difensivi costituiti da castra.
A Taurasi, nonostante le successive
modificazioni, l’impianto tracciato dai
longobardi è quello ancora oggi visibile,
riconducibile a una tipologia frequente
negli insediamenti fortificati medievali:
arroccato su un’altura, circondato per quasi
tutto il perimetro da possenti mura che
riutilizzano alcune delle porte romane,
rinforzate dalla presenza di torri, e per la
restante parte protetto naturalmente da
dirupi e scoscendimenti. I longobardi,
infatti, per difendersi più agevolmente
tendono a raggrupparsi con i servi (le
popolazioni sottomesse) in piccoli oppidi in
cima ai colli.
Il castello propriamente detto viene
localizzato nel punto più alto, adiacente
alla porta maggiore e alla cattedrale, il
cui primo nucleo è anch’esso edificato dai
longobardi, convertitisi al cristianesimo,
sulle rovine di un antico tempio pagano
dedicato alla dea Cerere. Un castello minore
è posizionato nei pressi della porta S.
Angelo, diametralmente opposta, a difesa del
versante occidentale, laddove oggi sorge
palazzo Maffei. In questi anni, nei pressi
del castello, all’interno del perimetro
delle mura, cominciano ad apparire le prime
abitazioni in pietra, inizialmente a un solo
livello e poi, a partire dall’anno 1000,
dotate anche di un piano superiore.
Sicuramente destinate ad accogliere la
guarnigione militare incaricata della
difesa, ma è molto probabile che ospitino
anche famiglie contadine, per cui
l’insediamento inizia ad assumere un
carattere di abitato civile e non più
esclusivamente militare.
Tutto intorno al nucleo fortificato il
comprensorio, caratterizzato dalla
distribuzione di vici o casali, è
organizzato secondo il principio della
curtis. Questa si fonda sulla presenza
della casa patronale con al centro alcuni
edifici annessi (adibiti ad abitazioni e a
depositi per gli attrezzi per il lavoro dei
campi) e tutto intorno, in un primo giro, la
terra detta sala che il proprietario
fa lavorare direttamente ai servi per suo
conto. In un secondo giro consecutivo sono
poste le terre assegnate agli agricoltori
liberi che pagano al proprietario un censo,
generalmente corrispondente a un terzo del
raccolto. Siamo, quindi, in presenza di un
insediamento a maglie larghe, ovvero
strutturato in villaggi aperti (i casales,
curtes o ville) con un castello che assolve
necessità di tipo strategico, rappresentando
la fortezza e non ancora un polo di
aggregazione.
Taurasi è pesantemente distrutta verso la
fine dell’800 e del ’900, durante le
invasioni saracene.
Tra il 1009 e il 1030 viene poi conquistata
dai normanni. Questi assoggettano la
popolazione preesistente senza pretenderne
la fusione, ma richiedendo diritti di
conquista, cioè balzelli e fornitura di
militi in caso di guerra, e riescono a
riunire in un unico e ricco Stato una
molteplicità di territori, raggiungendo in
breve tempo grande autorità. Inoltre,
essendo scesi in Italia con l’esplicito
proposito di costruire delle signorie
territoriali, preferiscono stabilirsi nei
castelli ubicati nelle campagne piuttosto
che nelle città, centri amministrativi del
potere politico, dove si insediano
generalmente solo i capi. Pertanto, è
attorno ai nuovi e vecchi castelli che nasce
e si sviluppa la signoria castrale.
Taurasi viene concessa a Guglielmo, duca
delle Puglie, figlio di Ruggero I e Ala,
regina dei Danesi, assieme alla baronia
gesualdina, una delle dodici del ducato di
Melfi. E viene fortificata e restaurata
mediante la costruzione di numerose torri,
la soprelevazione delle mura, iniziando in
questo periodo ad assumere funzioni
maggiormente residenziali.
Come spesso si riscontra nei nuclei
fortificati di origine normanna, accanto
alla residenza del signore sorgono anche
edifici pubblici, case d’abitazione, piazze,
vie pubbliche, piccoli lotti di terra
coltivabile e almeno una chiesa. L’abitato
viene organizzato secondo uno schema a spina
– molto frequente nei centri costruiti
intorno all’anno 1000 – segnato da un’unica
arteria principale (lunga circa 755 m) che
congiunge le due porte più importanti, dalla
quale si dipartono ortogonalmente schiere di
edifici, delimitanti stradine secondarie di
ridottissima ampiezza, a carattere
semiprivato, che contribuiscono con la
difficile percorribilità alla maggiore
difendibilità dell’insediamento in caso di
pericolo e rispondendo, inoltre,
all’esigenza di protezione dal vento e dal
freddo.
Taurasi è oramai diventato un autonomo
centro di aggregazione territoriale, cui fa
capo, sia sul piano insediativo sia sul
piano politico-sociale, una compatta
circoscrizione. Ha avuto luogo, infatti,
quel fenomeno cosiddetto di incastellamento,
con il quale gli abitanti abbandonano gli
insediamenti aperti del fondovalle e si
trasferiscono nel centro di sommità, chiuso
da mura e controllato da vicino dal castello
signorile. E questo sia per motivi di
sicurezza sia per le pressioni dei signori
che tendono a riunire le genti nei nuovi
centri castrali, per poter meglio esercitare
il potere signorile.
Figura 2 - Provincie del Contado
di Molise e Principato Ultra,
Giuseppe Pietrasanta, incisore;
Domenico De Rossi, stampatore in
Roma; 1714 |
|
|
In epoca normanna, inoltre, il castello
viene fortificato con la costruzione del
mastio alla sinistra dell’attuale ingresso.
La torre-fortezza è, del resto, un elemento
ricorrente dell’architettura normanna,
spesso inserita anche in edifici sacri,
dapprima come elemento di difesa
dell’organismo edilizio e poi trasformata in
torre campanaria (processo, questo, che a
Taurasi è riscontrabile per il campanile
della cattedrale). Alla base viene anche
edificata una piccola chiesa dedicata a San
Pietro, fruita direttamente dai membri del
castello. Esistente sino al XVII secolo, con
bellissimi stucchi barocchi e un altare in
marmo marrone e oro, ne restano oggi solo
una volta e un affresco.
Sotto Ruggiero di Castelvetere (figlio di
Elia Gesualdo) sorgono nuove costruzioni
fuori Porta Maggiore; pertanto, nei primi
decenni del 1200, durante la dominazione
sveva, sono oramai numerosi i casali
raggruppati attorno alle chiese di San
Barbato, S. Cataldo e Madonna del fiume
Calore fuori le mura.
Nel 1325, nel corso della guerra contro gli
Aragonesi, Tommaso di Taurasi è al fianco
dei capitani angioini che vanno in Sicilia
sotto il comando di Carlo duca di Calabria.
Al periodo della dominazione angioina risale
l’ampliamento del donjon normanno del
castello, con la realizzazione della
pregevole scala elicoidale con gradini
autoportanti in pietra calcarea, simile a
quella esistente nel Maschio Angionino di
Napoli, e la costruzione delle prigioni.
Nel 1461, Giacomo Caracciolo, continuando a
parteggiare per gli Angioini, si schiera
contro gli Aragonesi: il centro, di
conseguenza, è stretto d’assedio e
saccheggiato dalle truppe di Ferdinando I.
Intanto il feudo viene concesso a Luigi
Gesualdo, il quale, nel 1490, lo vende a
Ettore Pignatelli. Il castello già
compromesso e quasi cadente, pochi anni dopo
viene bombardato da Federico I.
Nel 1506 ritornano i Gesualdo e dal 1586,
con Carlo I, la città viene interamente
ricostruita e abbellita con nuovi palazzi. A
valle della dominazione normanna, si tratta
dell’altro importante momento di maggiore
impulso per l’edilizia, sia nel vecchio
centro che nei sobborghi e nell’agro. Ed è a
quest’epoca che risultano ascrivibili i
maggiori interventi decorativi, che tutt’oggi
caratterizzano lo stile degli edifici del
centro.
Anche le mura difensive subiscono profonde
trasformazioni. Infatti, con la scoperta
della polvere da sparo, come è noto, il
fossato diventa inutile, le torri alte
risultano particolarmente vulnerabili e lo
spessore dei muri appare insufficiente. Il
primo accorgimento consiste nell’ispessire
le mura e nel dotarle di scarpata, poi nel
sostituire le feritoie con fori rotondi per
i cannoni, infine nel realizzare
fortificazioni basse protette da bastioni a
perimetro poligonale e non più circolare.
Sono della seconda metà del ’700 le due
principali trasformazioni che modificano
l’impianto del nucleo antico: il
restringimento della piazza del Duomo e
l’abbattimento della cinta muraria.
Nel primo caso è la realizzazione di Palazzo
Casale a imporre una riduzione della piazza,
prima estesa sino all’attuale vico De
Angelis; la costruzione è realizzata, per sé
e per i suoi eredi, dall’arciprete del
Casale che ne ottiene la facoltà dal
feudatario Don Agnello Latilla, come
ricompensa per il restauro e l’ampliamento
della chiesa cattedrale di San Marciano.
Figura 3 - Planimetria del nucleo
fortificato di Taurasi |
|
|
Il secondo intervento è voluto da Carlo di
Borbone per contrastare eventuali rivolte
della nobiltà. Viene sventrato vico
Brancolino e abbattute le mura che chiudono
tutti i percorsi protesi verso il burrone.
Si decreta così la fine dell’utilità del
fossato – l’attuale via Belvedere occupa il
sedime della via Fossi – sancendo la
definitiva perdita del carattere di
fortezza.
Anche la cattedrale (che era stata
riedificata e riconsacrata nel 1150) viene
completamente rifatta in stile barocco verso
la metà del ’700, perdendo definitivamente
ogni vestigia normanna. In questa occasione
si realizza, inoltre, la volta a botte oggi
visibile, in sostituzione del soffitto
romanico con travatura lignea, e si aggiunge
l’abside circolare al fondo della navata.
Ma soprattutto in età borbonica viene
costruita la Napoli-Avellino-Foggia, opera
che priva definitivamente Taurasi del suo
ruolo di cerniera strategica tra il Tirreno
e la Puglia centrale.
Alla fine del 1800 risale la vendita del
cosiddetto giardino dei monaci, terreno
compreso tra il convento della chiesa del
SS. Rosario e la Porta Maggiore, con la
clausola che le abitazioni da realizzare
avrebbero dovuto lasciare visibile la
facciata dell’edificio religioso per chi
guarda da Porta Maggiore, motivo per cui
l’accesso al borgo avviene oggi attraverso
una strada ampia 20 metri, anziché 7 come il
tratto precedente.
Figura 4 - Pianta del primo piano
del Castello |
|
|
Il castello, costante elaborazione di tutte
le dominazioni che lo hanno avuto in
possesso, ha subito nel tempo le stesse
sorti del castrum. Sulle fondamenta
romane, la primitiva forma gli è impressa
dai longobardi, come testimonia la presenza
di caratteristiche analoghe ai castelli di
Castelvetere, Gesualdo, Paternopoli. In età
spagnola, con la costruzione dell’accesso al
torrione, alla sinistra della Porta
Maggiore, il quale precedentemente
costituiva con il castello un unico sistema
difensivo5, avviene la
trasformazione voluta dai Gesualdo in
palazzo baronale. E il complesso diviene
meta rinomata di personaggi del calibro di
Bernardo e Torquato Tasso, S. Carlo Borromeo,
il duca d’Este e sua figlia Eleonora.
|
Figura 5 - La torre colombaia di
Palazzo Capano della metà del XVI
sec. |
L’attuale fabbrica presenta i caratteri del
palazzo rinascimentale con impianto
tipologico a corte.
La facciata esterna è molto articolata ed è
caratterizzata da un bel portale ad arco,
con in chiave lo stemma dei Gesualdo-D’Este,
rimaneggiato in età barocca. A sinistra
svetta il mastio, tipicamente normanno nel
suo impianto planimetrico e nell’assenza di
basamento a scarpa. Esso serviva come ultimo
rifugio della famiglia e dei difensori del
castello nel caso di incursioni nemiche. Non
è attualmente rintracciabile nel terminale
della costruzione (sicuramente rimaneggiato
nel tempo) un coronamento con apparecchio a
sporgere. Nel basamento sono visibili
ricorsi paralleli di conci regolari di
travertino, forse provenienti da edifici di
epoca romana, ammorsature angolari sempre in
blocchi squadrati di travertino;
superiormente pietre calcaree (alla cui
datazione è difficile risalire) tagliate
molto irregolarmente e messe in opera con
spessi strati di malta. Vi si notano,
inoltre, una feritoia e due piccole finestre
rettangolari incorniciate da parallelepipedi
in travertino. Attraverso un androne voltato
a botte si entra nel cortile, dove i resti
di alcuni sarcofaghi bizantini del IV e V
secolo, fungono da abbeveratoi per i
cavalli. Poi, mediante una scala, si accede
ai piani superiori, la parte meglio
conservata dell’intero edificio, organizzati
su due livelli. Al primo piano nobile un
immenso salone con camino era adibito a
corte di giustizia; adiacenti si trovavano
la stanza del consiglio, le sale d’armi, le
sale da ballo, di giochi e di studi per i
figli dei feudatari. Al piano superiore,
quello più sicuro, era ubicata la dimora dei
signori e la cappella gentilizia. L’ultimo
livello era forse destinato a foresteria.
|
Figura 6 - La porta piccola di
origina longobarda |
Nel 1913 castello e antica arx romana
di Taurasi sono dichiarati beni di notevole
importanza e interesse archeologico dal
Ministero della pubblica istruzione e
assoggettati alle disposizioni della legge
delle Belle Arti del 20 giugno 1909, n. 364.
Successivamente, il castello è sottoposto a
vincolo ai sensi della legge 1089/1939.
Abitato sino agli anni ’60, riporta gravi
danni con il sisma del 1980; tuttavia ne
vengono restaurati solamente il tetto e
alcune porzioni delle murature e dei solai.
Ma è solo recentemente che si sono aperte
nuove prospettive per il recupero. Nel 1999,
infatti, il complesso di Taurasi è stato
inserito nel progetto “I villaggi della
tradizione”, finanziato dal Cipe. Tale
programma, nell’ambito di un disegno di
sviluppo integrato del territorio del Comune
di Taurasi, ne ipotizza il restauro con
l’obiettivo di realizzare un centro
universitario di studi, ricerca,
approfondimento e divulgazione dei prodotti
tipici locali, in particolar modo del vino
Aglianico Docg (denominazione di origine
controllata e garantita), ormai quotato sul
mercato internazionale e la cui origine
risale addirittura all’importazione del
vitigno Ellenicum, avvenuta in età
augustea.
|
Figura 7 - Chiesa Cattedrale di S.
Marciano Vescovo: prospetto su
piazza Duomo |
Conseguentemente all’iniziativa, il comune,
d’intesa con il Ministero dei beni
culturali, delibera nel 2001 di acquisire il
bene al patrimonio comunale, procedendo
l’anno successivo ad acquistarlo
dall’aristocratica famiglia irpina dei
Nobile, per circa un miliardo delle vecchie
lire.
Il successivo stanziamento di un
finanziamento di 4 miliardi di lire,
destinato all’intervento di restauro, che
sarà seguito dalla Comunità montana
Terminio-Cervialto, dovrebbe consentire di
trasformare la struttura in sede
dell’Enoteca regionale. L’operazione
potrebbe sicuramente fungere da volano per
recuperare uno dei centri fortificati di
impianto medievale meglio conservati in
Irpinia (la presenza di uno blocco roccioso
nel sottosuolo lo ha infatti preservato nel
tempo dai terremoti), caratterizzato da una
singolare stratificazione, testimonianza di
tutte le dominazioni che si sono succedute,
in cui case umili di chiara matrice
medioevale si alternano a pregevoli edifici
di gusto spagnolo.
Patrimonio oggi purtroppo ancora
misconosciuto e in stato di abbandono.
|
Figura 8 - Alcuni portali |
Note
1
Pace G., Itinerari culturali per una
“conservazione integrata” delle
fortificazioni, in Notarangelo A. (a
cura di) (1992), “Torri e castelli nel
Mezzogiorno. Recupero, territorio,
innovazione, integrazione”, Giannini,
Napoli.
2
A tale scopo risulta di fondamentale
importanza anche un rilievo e un censimento
dei castelli e delle fortificazioni, e la
catalogazione portata avanti dall’Istituto
italiano dei Castelli – oramai in fase di
completamento – costituisce in tal senso
un’operazione importante.
3
Gazzola P. (1966), Un patrimonio storico
da salvare: i castelli, in “Castellum”,
n. 1, cit. in G. Pace, op. cit.
4
Recenti rinvenimenti di necropoli di
indubbia origine sannitica avvalorano questa
ipotesi.
5
Come confermavano i merli e i passaggi tra
le due torri laterali della Porta, esistenti
sino ai primi del 1800.
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Tci, Milano.
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Taurasi nella piana del medio Calore, in
Colletta T. (a cura di), Storia
dell’urbanistica, Campania/III,
Centri dell’Irpinia, Napoli.
Zigarelli G. (1856), Storia della
Cattedra di Avellino e dei suoi pastori,
Stamp. Del Vaglio, Napoli.
Zigarelli G. (1889), Storia civile della
città di Avellino, ovvero serie cronologica
de’ suoi castaldi, conti e principi,
Napoli.
Riferimenti archivistici
Asn, Catasti Onciari, Comune di Taurasi,
1700.
Asn, Sezione Militare, Inventario degli
apprezzi feudali, G. Labrot, Quand l’histoire
murmure, Taurasi, anno 1723, scheda 161,
prot. 14, Tavolario Giuseppe De Gennaro.
(Referenze archivistiche: Asn, Notai ’700,
Orazio Maria Critari).
Archivio privato famiglia Nobile.
Archivio privato famiglia De Angelis. |