Numero 1/2 - 2000

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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L'area vasta in... rivista


Roberto Gerundo

 

 

 

Nella primavera del 2000, a Roma, in occasione di una delle giornate organizzate dall’Istituto Nazionale di Urbanistica, in commemorazione del decennale della scomparsa di Giovanni Astengo, si commentavano le attività pionieristiche del grande urbanista nel campo della pianificazione territoriale, di cui presentiamo un ampio stralcio nella sezione antologica di questo numero primo della nostra rivista.

Mi colpì, nel corso del dibattito, il robusto attacco che Marcello Vittorini formulò al concetto di area vasta, se non alla sua stessa denominazione, cui ascriveva una serie non irrilevante di guasti inflitti ai processi di pianificazione in corso nel paese.

Dall’iniziale delusione, per me che pensavo al nome della rivista, già messa in discussione prima della sua uscita, passai alla soddisfazione di vedere confermate le motivazioni che ne hanno determinato la nascita.

A ben vedere, il male non era nel nome, ma nelle mistificazioni che dietro di esso si erano andate celando, in particolare, nel corso degli anni ’90.

Nell’ultimo decennio, infatti, a fronte della svolta impressa alla pianificazione territoriale dalla legge 142/1990, con l’individuazione della provincia quale ente unico e intermedio di pianificazione e gestione del territorio, fra comuni e regione, si sono andati materializzando livelli, soggetti e strumenti di pianificazione, comodamente collocatisi sotto l’ombrello rassicurante della dizione area vasta, tendenziosamente minando l’autorità e la costruendo autorevolezza della provincia stessa e del piano territoriale di coordinamento (PTC), suo braccio operativo per l’assetto del territorio di competenza. Sui territori provinciali e interprovinciali sono cominciati ad intervenire lo Stato e le regioni con l’istituzione di parchi e riserve naturali, ai sensi della legge 394/1991; con la individuazione dei distretti industriali sanciti dalla legge 317/1991, eredi più accreditati, almeno per il Mezzogiorno, delle aree di sviluppo industriale, i cui piani, sin dal 1957, anno della loro istituzione, hanno goduto dell’efficacia dei PTC; con i piani di bacino, in letargo dal 1989 e rivitalizzati dalla legge 267/1998, a seguito del disastro di Sarno avvenuto nello stesso anno; con i piani territoriali paesistici, cui rinnovata aggressività è stata conferita dal Ministero per i beni culturali e ambientali a seguito del commissariamento della inerte Regione Campania (per la verità non l’unica, anche se la sola prescelta) agli adempimenti imposti dalla legge 431/1985; oltre che con una serie numerosa di piani ipersettoriali riguardanti coltivazione di cave, distribuzione di carburanti, smaltimento di rifiuti, depurazione delle acque, riserve di caccia, portualità turistica, rottamazione veicoli, campeggi, bacini di traffico, ecc. che intervengono capillarmente sull’assetto del territorio, in termini localizzativi e normativi. Alla pluralità di strumenti di pianificazione si abbina un’analoga pluralità di soggetti che, per tutti gli anni ’90, hanno lavorato ai fianchi le province italiane, ancora frastornate dalle nuove competenze ad esse attribuite e dal rinvigorimento scaturito dall’elezione diretta dei loro presidenti.

Per il momento, a poco è valso il processo federativo, prudente ma progressivo, in atto nel nostro paese: il DLgs 112/1998 ha sancito la unicità del PTC, ma con eccessive cautele; la recente riforma costituzionale ha riconosciuto la provincia quale ente autonomo con proprio statuto, poteri e funzioni, in un quadro di sussidiarietà, al pari di regione, comuni e delle new entry aree metropolitane, ma ciò è, anche se non da costruire ex novo, da perfezionare con tenacia.

La frantumazione delle competenze in materia di pianificazione di area vasta non è, tuttavia, frutto di sola confusione amministrativa in una materia anch’essa vasta, ma di un’azione tattica attivata, in buona parte, dalla pluralità di soggetti scese in campo. Faccio riferimento ai soggetti istituzionali che hanno visto, a far data dal 1993, un incessante travaso di personale politico dalle sedi, una volta potenti, dei partiti a quelle amministrative, con particolare preferenza per quelle di governo del territorio.

Peraltro, gli stessi soggetti istituzionali, rimasti saldamente nelle mani delle burocrazie ministeriali o regionali, si sono, non di rado, accodati a comportamenti che hanno visto affermarsi una sorta di potere di parere, antagonista di un’azione propositiva di gestione attiva del territorio per il settore di competenza; un potere di parere che sarebbe prevalso anche sulle previsioni e prescrizioni dei piani che tali soggetti avrebbero dovuto redigere, la cui conformità sarebbe stata, in ogni caso, oggetto di controllo interpretativo, caratterizzata da ampi gradi di discrezionalità.

La rincorsa alla sovraordinarietà, avente come principale destinatario la provincia ed il suo PTC, oltre che ovviamente il sistema delle autonomie locali comunali, ai fini di rilanciare nella partita del controllo del territorio, ha prodotto solo ripetuti bluff, poiché molti dei soggetti istituzionali che vi facevano ricorso non potevano vantare alcun punto in mano. Per uscire da metafora, non disponevano di nessun buon piano e, a volte, di nessun piano. Di qui, probabilmente, la diffidenza inizialmente ricordata verso la denominazione di area vasta, ampiamente assunta per caratterizzare una titolarità, nel settore, della richiamata pluralità di soggetti istituzionali operanti sul territorio.

In un quadro così complesso ed estremamente dinamico, si è sentita la necessità di radicare un punto di dibattito ragionato e ragionevole sulla pianificazione territoriale, innanzi tutto per contribuire ad uscire da una condizione che potrebbe scivolare, alternativamente, sia verso una progressiva paralisi da intreccio di aree vaste, sia verso una nuova governance, in cui ciascuno dei soggetti in gioco tracci responsabilmente e concretamente i limiti delle proprie competenze e verifichi l’efficacia della propria azione. Perché un quadro così delineato dovrebbe sbilanciarsi verso il dominio positivo dell’azione amministrativa?

Di là dalle battaglie perdute dai sostenitori di una pratica corrente di governo del territorio, in questo caso si può nutrire un certo ottimismo sul decorso favorevole della patologia.

Il ricorso all’arma del potere di parere, che in passato tante rendite di posizione aveva fatto maturare, non sembra più dare i frutti copiosi, anche se sterili, che aveva sino a qualche tempo fa prodotto. L’ansia di progresso sociale e di competitività economico-produttiva che il fenomeno della globalizzazione sta imponendo ai mercati oltre che alla società tutta, va rendendo improduttivo e perdente il perseguimento di forme di potere autoreferenziali, che non dimostrino di saper dispiegare, in tempi certi, elementi di modernizzazione e distribuire ricchezza in modo trasparente. Il problema va riguardato, quindi, in termini pratici e non meramente etici, che pure rappresentano il riferimento più alto.

     AREA VASTA        intende essere il punto d’approdo di tali esperienze, in verità non sempre mirate alla massimizzazione di posizioni di potere istituzionali ma, in qualche caso, anche dettate da sincera volontà di arginare il disfacimento del territorio e del suo ambiente naturale o tradizionalmente antropizzato, al fine di attivare proficue dinamiche collaborative.

Quale migliore occasione per puntare l’obiettivo su una provincia italiana, fra le più vaste (14ª), popolose (8ª), articolate in comuni (9ª) del paese; meridionale, gravata dalle storiche contraddizioni che Carlo Levi interpretò immaginando un simbolico confine disteso appena oltre la campagna di Eboli, quasi a denunciare un limite al di là del quale, non più di cinquant’anni fa, il territorio non appariva raggiunto dalla moderna organizzazione dello Stato e che, ancora oggi, ha un indice di dotazione infrastrutturale che è poco più della metà della media nazionale (57,8/100, fonte: UPI 2000); ma oggi con uno dei parchi nazionali più estesi e suggestivi d’Italia, interamente in essa ricompresso; infine, fra le prime del paese e la prima fra le meridionali ad essere pervenuta ad una prima e definitiva stesura del suo PTC.

Un piano che ha come AREA VASTA la semplice ma densa di tradizioni immagine della bussola, strumento, peraltro, ideato o almeno ingegnerizzato in queste terre dall’amalfitano Flavio Gioia nel 1302.

In Provincia di Salerno si è avviata una sperimentazione che tende a porre il PTC come reale strumento di coordinamento delle trasformazioni territoriali e delle attività di tutela, in atto o da prevedere nel prossimo futuro.

Un’idea di futuro che deve essere comunicata e deve trovare il più ampio consenso, da cui il contributo che      AREA VASTA      si propone di offrire al dibattito locale e nazionale sul tema.

Il nodo centrale della pianificazione di area vasta oggi è nell’applicazione del principio di sussidiarietà, ormai riconosciuto anche costituzionalmente. Esso si articola in sussidiarietà verticale, in base al quale le decisioni devono essere assunte quanto più vicino possibile ai cittadini-fruitori delle stesse, al livello minimo efficiente, e in sussidiarietà orizzontale, che sancisce l’arretramento progressivo della pubblica amministrazione ogni qual volta le libere energie delle popolazioni, nelle forme associative ed imprenditoriali più opportune, siano in grado di soddisfare i propri bisogni. In una quadro di tendenziale società aperta, l’ordine che si generasse senza piano ne farebbe scivolare l’ispirazione liberale in pratiche liberiste, traguardo che non ci sentiamo di condividere. Ecco perché    AREA VASTA          sostiene un’idea di pianificazione territoriale di coordinamento che non registri sempre meno contenuti strategici e sempre più la tendenza al mero coordinamento: ciò, se eccessivamente spinto, contradirrebbe lo stesso principio di sussidiarietà, in omaggio ad una retorica del localismo che ispirerebbe politiche non praticabili in territori connotati da elevata scarsità di risorse d’ogni genere e tipo. Se la certezza è difficile da costruire, l’incertezza non deve essere elevata al rango di prassi e dilagare nei processi di pianificazione vanificandone le stesse prospettive fondanti.

Ci auguriamo che, con i prossimi numeri, il dibattito, scientifico ed applicativo, sull’area vasta e sulle sue forme di governo si vada arricchendo con il contributo di coloro che hanno partecipato a questa prima sfida e di tutti gli altri che vi si vorranno associare.

 

 

 

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