Numero 1/2 - 2000

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giovanni Astengo: il piano regionale piemontese


Leonardo Di Mauro


Giovanni Astengo, del quale ricorre il decennale della scomparsa, è stato fra gli urbanisti contemporanei fra i primi a cogliere la necessità e i contenuti della pianificazione di area vasta così come modernamente intesa. Leonardo Di Mauro, con la collaborazione di Fabrizio Demma, Ivano La Montagna e Paola Marotta, ha selezionato alcuni brani tratti da Metron degli anni ’40 e Urbanistica degli anni ’50, dai quali emergono i punti di vista dell’autore in merito alla pianificazione regionale, che egli iniziò a sperimentare in Piemonte, regione in cui successivamente ricoprì il ruolo di assessore all’urbanistica 

 

 

 

 

 

 

Nell’ottobre del 1990, pochi mesi dopo la morte di Astengo, Bernardo Secchi lo commemora sulle pagine di Casabella con un articolo di cui, oltre che il contenuto, è assai emblematico il titolo: La costruzione della pratica urbanistica. "Giovanni Astengo – scrive Secchi – ha rappresentato uno dei quattro grandi; assieme ai più anziani Piccinato, Samonà e Quaroni, da loro diverso, Astengo rappresentava una delle vie all’urbanistica nel nostro paese. Una via fatta di un instancabile rigore metodologico che si faceva rigore intellettuale ed ideale, e che Astengo trasferiva nel proprio impegno accademico, professionale e politico in modi sovente incompresi e considerati angusti […] (a differenza di Piccinato) Astengo ha passato la vita a "misurare le distanze": fra la situazione del nostro paese e […] quella dei paesi del nord-Europa. A differenza di Samonà, Astengo non ha esplorato radici e fondamenti del pensiero e della pratica degli urbanisti europei […]La fiducia di Astengo nel metodo scientifico, inteso nei termini dell’empirismo logico dei primi decenni del secolo, la fiducia nella fertilità di una ragionata "riduzione" era totale e diveniva per lui costume di vita, prima ancora che abitudine mentale. A differenza di Quaroni, Astengo ha evitato di porsi gli interrogativi più inquietanti […] ha proposto un’urbanistica fatta soprattutto di pratica e di pratiche; di esperienze concrete di costruzione e gestione dei piani e di politiche, di riflessioni sulle ineludibili intersezioni tra la pratica dell’urbanista e quelle degli altri soggetti sociali che alla produzione e gestione del piano concorrono".

Per la forza travolgente della sua "ragionata" riduzione, per il suo metodo "ostensivo" che "passa attraverso l’illustrazione di esempi riusciti"(B. Secchi), per aver fatto della pratica il centro di gravità di tutta la sua ricerca, Astengo è stato tanto criticato dai maîtres à penser dell’urbanistica italiana ed europea. Ha scritto forse meno di molti suoi colleghi, ed è un fatto che i piani da lui realizzati non sono poi tanti, ma è pur vero che quelli attuati sono poi diventati un insostituibile punto di riferimento per generazioni successive di urbanisti.

FIG 4. COMPRENSORIO AGRARIO DI TORINO
COMPOSIZIONE DELLA POPOLAZIONE OCCUPATA SECONDO LA PROFESSIONE

 

Da "Per una pianificazione attiva " (di G. Astengo) – Urbanistica n. 13 del 1953:

"Non esiste necessariamente una correlazione quantitativamente commensurabile fra ciò che si pone come esempio dimostrativo e l’ambiente e il pubblico al quale l’esempio è diretto; […] il valore di un esempio, di un esperimento, sta anzitutto in se stesso, e quindi anche nella sua potenziale ripetibilità; […] le civiltà si sviluppano precisamente per effetto delle facoltà di mimesi, per cui la maggioranza non creatrice può venir trasfigurata da una minoranza creatrice […] quindi un quartiere e una borgata ben impostati, una indagine ben condotta, un concorso ben riuscito, un piano regionale ben avviato, uno studio teorico scientificamente corretto sono non soltanto validi in sé come testimonianza di slancio creativo o rigore scientifico, ma possono essere, o divenire, presto o tardi determinanti di un nuovo ambiente culturale, di un nuovo indirizzo di vita".

Con questo scritto, nel 1953, Astengo chiude una fase: quella della ricerca e dell’elaborazione in Piemonte che lo ha impegnato dal 1942 sino alla metà dagli anni Cinquanta; si chiude la fase "induttiva", che gli ha fatto guardare al futuro della società e del territorio da pianificare come ad un non conosciuto, un ignoto a cui si poteva accedere solo attraverso un processo lineare (da lui escogitato) diviso in 4 fasi: "conoscere", "comprendere" "giudicare", "intervenire".

Dunque, appartiene cronologicamente ad una precisa situazione culturale, tecnico-amministrativa e politica, ma può senz’altro considerarsi come un piano programmatico, del resto mai disatteso, di tutta la sua vasta attività. Nell’Italia del II dopoguerra l’urbanistica cerca di affermare la necessità di un suo spazio autonomo fra le più antiche branche del sapere "scientifico", di chiarire la sua ragion d’essere, appunto come disciplina. I tecnici, inoltre, avvertono la necessità di una stretta relazione col potere politico, al punto che non si esclude, in prospettiva, di subentrare in esso come classe politica.

Di fronte al problema della ricostruzione del paese, ecco quali sono le principali correnti di "pensiero" urbanistico dispiegate sul campo: da un lato il modello positivista (al quale Astengo si può meglio far aderire) che ricerca, anche a costo di forzature semplificative, una lineare e rigorosa definizione di regole e metodo per la nuova disciplina, dall’altro il modello delle comunità autosufficienti che prefigura una piena integrazione tra fabbrica e società; il piano, da tale integrazione, scaturisce automaticamente come necessaria conseguenza sovrastrutturale di una mutazione strutturale. È un fatto significativo, e vale la pena ricordarlo, che fra i piani di Astengo è possibile rintracciare esempi concreti ed emblematici di entrambe le tendenze: il Piano Regionale del Piemonte (ABRR), "frutto di una petizione di principio e di una ricerca di metodologie analitiche" (Tafuri), ed Il piano AR per Milano, ispirato al più ampio movimento del regionalismo statunitense.

Gli studi per il piano regionale del Piemonte trovano una prima, abbastanza chiara, esposizione in uno scritto apparso sul n. 14 della rivista Metron nel 1947: "Piano regionale Piemontese" (di G. Astengo, M. Bianco, A. Rizzotti e N. Renacco). Successivamente, fra il 1952 ed il 1953, gli intenti teorici e soprattutto quelli pratici dell’operazione confluiranno nei due volumi pubblicati dal Ministero dei lavori pubblici "I piani regionali. Criteri di indirizzo per lo studio dei piani territoriali di coordinamento in Italia" a cura della commissione interministeriale per i piani di coordinamento. Infine, per introdurci alle letture sul Piano regionale del Piemonte, un ultimo spunto di riflessione ci è offerto da un altro scritto dello stesso Giovanni Astengo "Urbanistica assente", imperniato sull’analisi del significato della realtà, sia in senso sociale (conflitto individuo-comunità) che geografico (conflitto città-territorio).

FIG 5. BILANCIO NUTRITIVO PER ZONE AGRARIE

 

Da "Urbanistica assente" -Urbanistica n. 3 del 1950:

"Che vi sia un conflitto fra mentalità generale e tendenza al rinnovamento non può stupire, si tratta solo di stabilire ragionatamente ed obiettivamente se il complesso di idee, di opinioni, di prevenzioni e di pregiudizi che compongono la mentalità degli indifferenti e degli oppositori ha veramente in sé forza e peso tali da soffocare ancora a lungo le forze innovatrici, o se queste ultime possiedono un’intima convinzione, una coerenza logica e morale capace di esercitare sulla mentalità generale un’efficace influenza, tale da rovesciare, presto o tardi, la situazione e far sì che proprio la minoranze diventino domani catalizzatrici di una futura mentalità generale". […] "La realtà complessa non è realtà assoluta o trascendentale, è realtà empirica, temporale ed esistente, campo di indagine scientifica […] Né problemi filosofici si pongono di certo nello studio della realtà urbana e territoriale, bensì unicamente problemi scientifici e pratici […] Il piano urbanistico appare in definitiva come elemento equilibratore delle due sfere di attività, pubblica e privata, e come tale diventa strumento indispensabile per le amministrazioni centrali e locali".

Nel dopoguerra, la scelta di redigere un piano in forma volontaria e non istituzionale, rappresenta un forte elemento politico di dibattito per la ricostruzione dello stato italiano.

L’idea di definire un piano di coordinamento urbanistico su basi regionali nasce in un particolare momento in cui, da un lato, la legge urbanistica del 1942 propone la possibilità di compilare piani territoriali di coordinamento su scala regionale e dall’altro lato, le vicende legate all’evento bellico, impongono la necessità di definire per ambiti più estesi il difficile processo di ricostruzione.

La possibilità di dover costruire nuovi alloggi, nuovi stabilimenti industriali, nuove vie di comunicazione era la grande occasione per definire un nuovo metodo di intervento pianificato sul territorio nel tempo e nello spazio.

Ma, la definizione di un nuovo metodo, si può cogliere solo attraverso la concretezza di un piano.

Non è un quindi un caso che, l’aspetto più interessante di questo studio sia proprio la continua esigenza di dare una definizione precisa ad ogni elemento strutturante il piano.

Il punto di partenza è l’individuazione degli elementi descrittivi per una completa analisi dello stato di fatto: sette capitoli suddividono la prima sezione del piano. Sette indicatori per una corretta conoscenza della realtà: analisi riguardanti il territorio, analisi demografiche, analisi della situazione agricola, analisi della situazione industriale e commerciale, analisi delle attrezzature edilizie, analisi delle comunicazioni, analisi di produzione e consumo di energia elettrica. Un’interessante bibliografia delle fonti statistiche regionali e nazionali, dimostra inoltre l’intenso sforzo per la ricerca di dati difficili da reperire in un momento di grossa crisi per le istituzioni all’indomani della guerra.

Per ciascuna di queste categorie conoscitive vengono successivamente definite le principali linee direttrici attraverso le quali il processo possa verificarsi nelle condizioni di più alta efficienza. Infine, l’elencazione dei principi tecnici da applicare per realizzare l’effettiva trasformazione del territorio, conferma l’idea di una pianificazione regionale volta alla concreta risoluzione dei problemi che superi il limite dell’impostazione frammentaria e discontinua, caratterizzante la cultura urbanistica italiana dell’epoca.

FIG 7. DISTRIBUZIONE E DIMENSIONE DEI CENTRI INDUSTRIALI

 

Metron n. 14, Roma, 1947

– Cenni sul piano regionale piemontese

 

Da pag. 7 a 8 – Rappresentazione della "situazione di fatto"

Metodologia di ricerca e rappresentazione statistica

"La conoscenza della realtà dei fatti costituisce la base su cui opera la scienza urbanistica teorica e pratica; pertanto assume notevole importanza lo studio dei procedimenti analitici che permettono l’indagine delle situazioni di fatto, in una determinata circoscrizione territoriale, dal punto di vista urbanistico.

Tale studio costituisce nel suo complesso il dominio di una branca della scienza urbanistica, che denomineremo urbanistica analitica e che, per quanto è a nostra conoscenza, non è stata finora sistematicamente trattata.

Assolutamente indispensabile appare l’approfondimento di tale branca, sia per il raggiungimento di una corretta valutazione dei fatti, sia, in generale, per la istituzione di una metodologia che conduca ad analisi, rappresentazioni e risultati corretti e confrontabili.

Riteniamo pertanto opportuno indugiare brevemente nella esposizione delle indagini eseguite per il piano piemontese.

Premettiamo alcune osservazioni generali.

Definiamo anzitutto oggetto, scopo e metodo dell’urbanistica analitica.

L’oggetto, ossia la materia su cui eserciteranno le ricerche da intraprendere, è il complesso sociale di una determinata circoscrizione territoriale. Scopo delle ricerche è la conoscenza e la valutazione di quegli aspetti della vita associata, che hanno diretta o indiretta attinenza colla organizzazione edilizia (intesa in senso lato) del complesso sociale preso in esame. Il metodo, cioè la via da seguire nelle ricerche stesse, è quello induttivo della scienza Statistica.

L’urbanistica analitica altro non è, in definitiva, che una branca, ancora poco esplorata, della Statistica.

Secondo i procedimenti analitici di detta scienza, la grande unità organica oggetto di studio, viene decomposta nei suoi elementi o fattori, e questi classificati secondo modalità quantitative o qualitative di certi loro caratteri.

La metodologia statistica fornisce gli strumenti scientifici per lo studio della distribuzione spaziale e temporale dei caratteri e per la ricerca dei rapporti di mutua relazione fra vari caratteri di vari fattori.

I risultati di queste analisi ed elaborazioni numeriche, parte delle quali è fornita direttamente dai censimenti ufficiali e parte invece necessita di ricerche ed elaborazioni particolari, costituiscono in complesso il quadro della situazione di fatto di una determinata circoscrizione territoriale, riferita ad un determinato tempo. Il quadro viene completato da rappresentazioni grafiche, che permettono la valutazione simultanea delle parti e dell’insieme di una data indagine, nonché l’esame della distribuzione territoriale dei valori che la compongono".

FIG 8. REGIONE PIEMONTESE
SITUAZIONE 1938 DEL TRAFFICO STRADALE

 

Da pag. 20 a 24 – Principi generali dell’urbanistica regionale

Quali gli scopi di un piano regionale?

Scopo generale del piano urbanistico è quello di trasformare gradualmente la situazione di fatto di una data circoscrizione territoriale in modo da crearvi, in tempo più o meno breve, le più efficienti condizioni possibili per le attività produttive e le migliori condizioni ambientali di vita per la popolazione.

Per illustrare questo concetto noi possiamo pensare ad esempio che la Regione, oggi determinata nel suo stato attuale dall’elemento naturale, ma ancor più dal lavoro dell’uomo attraverso i millenni ed erede di una plurisecolare vita borghigiana, si trovi un po’ nelle condizioni di una vecchia bottega artigiana, in cui siamo stati immessi da poco tempo macchinari modernissimi, senza procedere ad una completa revisione e riorganizzazione delle attrezzature.

Se si vuole che la nuova macchina, impiantata nella vecchia bottega, renda, è necessario rivedere i vecchi strumenti, sostituire gli inadatti o gli inservibili, distribuire tutti gli attrezzi secondo un processo di lavorazione che non è più quello artigianale: ripulire e riordinare.

Ecco il compito del piano urbanistico.

Naturalmente non si potranno apportare istantaneamente trasformazioni integrali. Il patrimonio edilizio, che noi abbiamo ereditato dalle precedenti generazioni, con tutti i suoi errori e le sue manchevolezze, non può essere annullato o interamente rifatto. Si tratta però di dare inizio ad un’opera di graduale ma profondo ordinamento, si tratta essenzialmente di razionalizzare tutte le opere edilizie che verranno eseguite nel prossimo futuro, per imprimere ad esse una giusta direzione. Si tratta in definitiva di stabilire le linee direttrici principali lungo le quali tutta l’attività edilizia, pubblica e privata, industriale e agricola, prossima e lontana, possa indefinitamente svolgersi nelle condizioni di più alta efficienza.

Considero in astratto ed in generale il concetto di efficienza e delle migliori condizioni ambientali di vita resterebbe tuttavia ancora molto vago, se esso non avesse in concreto ed in particolare significati tecnici ben precisi nei singoli settori, cui si riferisce, e sui quali è opportuno soffermarsi alquanto […].

Per l’edilizia industriale significa:

a) Predisporre nei complessi urbani esistenti, nelle aree di espansione degli stessi e nelle località di creazione di nuovi centri delle zone da destinare esclusivamente ad uso industriale;

b) Nella determinazione di zone industriali tener conto di tutti quei fattori ubicazionali che pongono una data area in condizioni geograficamente favorevoli all’arrivo delle materie prime, alla loro trasformazione, alla distribuzione dei prodotti, ai reciproci scambi di semilavorati tra industrie di un unico ciclo produttivo, all’afflusso e alla residenza della manodopera;

c) Attrezzare le zone industriali con servizi generali utili al buon funzionamento della zona e ad incrementare l’efficienza degli impianti.

Il raggruppamento di numerose attività industriali permetterà di ripartire e sostenere l’onere di detti servizi, che andranno dagli allacciamenti stradali ai raccordi ferroviari, piani caricatori, magazzini generali, centrali termiche collettive, oleodotti, impianti di posta pneumatica, ecc. In un’area industriale attrezzata ogni nuovo impianto diventa automaticamente compartecipe degli investimenti di capitale della comunità.

d) Distribuire gli stabilimenti nell’interno delle aree industriali tenendo conto del ciclo produttivo generale e dei reciproci scambi dei semilavorati e di prodotti, dando ai singoli stabilimenti la possibilità di espandersi e di contrarsi conformando volta a volta le dimensioni alle esigenze economiche e tecniche, in continuo divenire, della produzione industriale.

Per la circolazione stradale significa introdurre nella rete varia esistente quelle modifiche che permettono:

a) di formare una completa rete di strade di grande traffico veloce tecnicamente efficiente (sezioni adeguate alle intensità di traffico, piste separate, incroci selezionati e corredati da manufatti che eliminano i punti di conflitto, ecc.);

b) di allacciare razionalmente le grandi linee di traffico regionali ai centri esistenti secondo la tecnica combinata delle linee anulari di circonvallazione e delle linee di penetrazione e di attraversamento veloce;

c) di riorganizzare la viabilità interna cittadina dei centri esistenti colla rigorosa classificazione in:

– arterie di grande traffico veloce (attraversamento e suoi affluenti);

– vie cittadine a traffico automobilistico lento (delimitanti i quartieri residenziali);

– strade residenziali pedonali e miste (interne ai quartieri);

d) di combinare l’allacciamento fra le strade di varia classe in modo che dalle linee di penetrazione e di attraversamento veloce si dipartano a giusta distanza, evitando il più possibile gli incroci a livello, le arterie di grande traffico veloce. Su queste si innestino a livello le vie cittadine a traffico lento, dalle quali si accederà alle strade residenziali. In tutti i casi, sia rigorosamente evitata l’intersezione a livello fra gli attraversamenti veloci e le strade residenziali.

FIG 9. REGIONE PIEMONTESE
SITUAZIONE 1938 DEL TRAFFICO FERROVIARIO

 

Questi, in riassunto, alcuni fondamentali e noti principi tecnici di carattere particolare oggi diffusamente divulgati dalla più evoluta tecnica urbanistica, e la cui rigorosa applicazione consente una razionale risoluzione dei problemi edilizi e quindi la progressiva creazione di condizioni ambientali di vita migliori e più efficienti delle attuali.

Molti di essi si riferiscono a problemi che si riscontrano e si risolvono unicamente in sede di piano comunale e particolareggiato, ma già parecchi di essi, soprattutto quelli che si riferiscono alla tecnica delle nuove unità urbane, alla zonizzazione industriale e alla viabilità generale, riguardano problemi che non si possono impostare e risolvere altrimenti che in sede di piano regionale.

FIG 11. PLANIMETRIA GENERALE DELLE NUOVE UNITA' ORGANICHE

 

Da pag. 27 a 29 (testo integrale completo di note)

[…] Se si continua a costruire, un po’ meglio di prima, ma cogli stessi sistemi e nelle stesse località di prima, si saranno lasciati i problemi urbanistici demografici e sociali allo stesso punto di prima: i centri industriali continueranno ad affollarsi e ad enfiarsi, le montagne a languire. Né l’espansione a macchia d’olio né il frazionamento dell’attività edilizia in mille opere slegate permetteranno mai una rigorosa applicazione dei principi tecnici enunciati.

Per sollevare contemporaneamente città, campagna e montagna dai mali di una cattiva urbanistica, praticata da mezzo secolo e per razionalizzare la futura attività edilizia, industriale ed agricola, non c’è che un rimedio: instaurare una ordinata urbanizzazione del suolo, che preveda la successiva creazione nel tempo di nuove unità organiche, in cui troveranno contemporaneamente lavoro e abitazione i senza-tetto, gli ex abitatori di alloggi sovraffollati o di tuguri inabitabili, e gli emigrati dall’eccedenza demografica agricola e montana38.

FIG 12. ZONIZZAZIONE DEL CONCENTRICO DI TORINO

 

Questi potranno diventare in tal modo i fortunati pionieri di una nuova civiltà del lavoro, impostata sulle più efficienti, più gradevoli e più serene condizioni ambientali di vita, frutto di una intelligente ed umana applicazione dei mezzi tecnici più moderni.

Il principio generale della urbanizzazione regionale capace di connettere le singole risoluzioni in un grande tessuto omogeneo, sta precisamente in questa procedura e in questo concetto:

Convogliare la massima parte dell’attività edilizia verso la formazione di nuove unità cittadine organiche perfettamente attrezzate ed economicamente attive.

Questo principio richiede, per poter essere tradotto in pratica, i seguenti presupposti:

1) la possibilità di effettivamente coordinare le attività edilizie, attraverso una opportuna procedura;

2) la possibilità di trasferire impianti industriali in condizioni ubicazionali migliori e di maggior rendimento;

3) la possibilità di creare nuove attività di produzione industriale;

4) la possibilità di organizzare tecnicamente le singole unità produttive entro un ciclo tecnico il più possibilmente completo ed efficiente (la zona industriale);

5) la possibilità di estendere, sull’intero territorio regionale una oculata e previdente zonizzazione, che predisponga con lungimiranza gli adeguati vincoli sulle aree, che si prevedono, in futuro, destinate all’impianto delle nuove unità organiche.

Il principio urbanistico enunciato, che non esclude per altro applicazioni di dettaglio della tecnica urbanistica a tutto il territorio, può essere nucleare per tutte le regioni industrialmente evolute.

La sua applicazione è fonte di grandi trasformazioni economiche e sociali e feconda di deduzioni. Innanzitutto viene introdotto un metodo cosciente di urbanizzazione graduale ed organica del suolo, che permette la filiazione dal vecchio ceppo regionale di gemmazioni nuove, sane (igienicamente ed economicamente) e di grande vitalità. Ogni nuovo accrescimento è controllato e portato a vivere nelle migliori condizioni: eugenetica scientificamente perfetta (Matrix).

FIG 13. PLANIMETRIA DELLE NUOVE UNITA' DA STURA A CHIAVASSO

 

Non solo, ma i benefici influssi di questo metodo vengono risentiti in tutta la Regione, nei grandi e nei piccoli centri, nella campagna e nella montagna.

Anche ai problemi isolati e particolari viene impressa una direzione nuova e ben definita, anche per i vecchi centri può essere impostata, in questo senso una proficua revisione urbanistica. Anziché anelare a sempre nuove espansioni, e si potranno iniziare con profitto una minuta opera di riorganizzazione interna basata sulla determinazione, nel tessuto già costruito, di zone ben delimitate, che possano ricevere la individualità di un quartiere e che colla integrazione di attrezzature collettive mancanti, con una solerte politica edilizia di sfollamento, diradamento e di risanamento, e con la intensificazione di zone verdi, possano aspirare a diventare quartieri attrezzati39. Anche per i vecchi centri potrà quindi essere applicato il concetto federativo dei nuovi quartieri organici.

 

 

 

 

 

 

 

38 Della regione sottoposta a piano o di altre regioni vicine e lontane, esse pure afflitte da esuberanza di mano d’opera.

39 Introduciamo questa nuova dizione per riservare la denominazione di "quartiere organico" ai quartieri di nuova costruzione, in cui siano rigorosamente rispettate le regole del soleggiamento della densità e della circolazione, purtroppo irrimediabilmente compromesse nelle zone anche solo parzialmente costruite dei centri attuali.

 

 

 

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