Numero 10/11 - 2005

 

Il territorio rifiutato  

 

Area Vasta n. 10/11 Luglio 2004 - Giugno 2005 Anno 6

numero 10/11  anno  2005

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In copertina Lello Lopez,

Da lontano, 2004

acrilico su tela, cm 40x30.

Fotografia di Vince Gargiulo

 

ISSN 1825-7526

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Strategie collaborative per la nascita di un parco agrario


Francesco Selicato

Antonio Nicoletti


 

In una prospettiva di rischio crescente di modificazione dell’integrità paesaggistica e di alienazione dell’equilibrio storico ed economico legato ad attività antropiche antiche, è stato condotto uno studio relativo alla fascia costiera adriatica, compresa tra Bari e Brindisi, ricoperta da uliveti plurisecolari e caratterizzata dal fenomeno dello sradicamento e della commercializzazione. Francesco Selicato e Antonio Nicoletti descrivono le motivazioni che hanno portato all’istituzione di un Parco agrario degli ulivi il cui obiettivo primario è la tutela e la valorizzazione economica di questo enorme patrimonio territoriale

 

 

I processi degenerativi del paesaggio agricolo

 

La costruzione storica del paesaggio agricolo, nel suo formarsi come risultato e conseguenza di attività antropiche di uso del suolo, dà spesso origine a particolari forme di complessità territoriale che contribuiscono, a volte in maniera significativa, ad assegnare senso ai luoghi. L’azione di antropizzazione storica diventa così non solo espressione di ragioni di mera funzionalità, ma assume carattere di identità, come specifica connotazione di determinate modalità insediative nel territorio (Magnaghi, 1990; 2002; Ferraresi, 1990).

Questo processo di territorializzazione si struttura attraverso una mutua interazione fra luoghi e attività umane: lo spazio fisico assume un valore strettamente legato all’interesse antropico per i luoghi, e le attività umane possono caratterizzarsi in relazione alle peculiarità di quei luoghi. Né questo processo può essere inteso come mero accumulo di artefatti sul territorio, trattandosi, molto più, di una lenta stratificazione che nel suo consolidarsi produce continue ri-configurazioni di complessità (Morin, 1986).

Nonostante l’attività agricola sia spesso all’origine di processi di identificazione dei luoghi, molte volte le odierne pratiche agricole si configurano come elementi di compromissione delle identità e delle qualità territoriali e paesaggistiche. Sempre più frequentemente, infatti, si manifestano oggi situazioni di discontinuità nella stratificazione del territorio che si traducono in una considerevole riduzione della complessità territoriale. La causa di ciò va ricercata nell’uso omologante del suolo agricolo, le cui trasformazioni spesso rispondono a processi economici di ampia scala, dipendenti da decisioni e dinamiche appartenenti a realtà esterne ai contesti locali. In questa prospettiva, le trasformazioni che si innescano a livello locale rischiano di assumere forme non compatibili con l’integrità e il valore storico paesaggistico dei luoghi. Il presente contributo riflette su uno di tali processi.

È oggi di grande attualità, in Puglia, il tema dell’espianto degli ulivi secolari, problema comune ad alcune porzioni del territorio regionale caratterizzate da una presenza imponente di uliveti storici. Il legame storico tra le comunità locali e le attività antropiche legate alla coltura dell’ulivo è talmente forte e radicato nella cultura economica e produttiva locale, che in alcuni casi la presenza dell’ulivo connota fortemente il paesaggio. Vaste distese olivetate ne compongono l’unità morfologica, costituendo visivamente un elemento identitario della realtà locale, legate come sono all’economia, alla cultura e alle tradizioni delle comunità insediate. Il fenomeno dello sradicamento e della commercializzazione degli ulivi plurisecolari, destinati a decorare i giardini di ville e parchi di altre parti d’Italia, determina spesso forti alterazioni del paesaggio storico vegetazionale e produttivo, con le componenti naturalistiche spesso trasformate in forme prevalentemente relittuali o comunque tali da non riuscire a determinare processi autonomi di rigenerazione e integrazione ecologica.

La rottura dell’equilibrio territoriale e la compromissione dell’ecosistema non si realizza dunque solo perché il territorio agricolo viene sottratto, frammentato e in definitiva occupato dall’espansione insediativa, ma anche perché la trasformazione delle pratiche agricole riveste gli stessi caratteri dei processi urbanizzativi che stanno producendo quasi ovunque forme insediative standardizzate e decontestualizzate (Selicato, 2001), omologando il territorio in ogni sua componente. Questa rottura di equilibrio avviene cioè quando l’attività agricola assume una valenza produttivistica assoluta per la quale anche il territorio rurale si semplifica e perde complessità. L’agricoltura viene dunque “destrutturata nella sua capacità di produzione del territorio”, venendo meno ad una delle sue funzioni storiche (Ferraresi, 1993). Il rischio che l’agricoltura non produca più il territorio, ma finisca solo per utilizzarlo in modo indiscriminato e indifferenziato, determina in definitiva una progressiva perdita di ambiente, inteso come luogo vitale, fruibile per l’abitare, per il riposo e anche per lo svago (Ferraresi, 1993; Magnaghi, 2002).

 

Figura 1 - Il paesaggio degli uliveti storici

 

Il paesaggio agricolo degli uliveti storici a sud-est di Bari

 

Con obiettivi di tutela e di riequilibrio territoriale, in una prospettiva di rischio crescente di modificazione dell’integrità paesaggistica e di alienazione dell’equilibrio storico ed economico legato ad attività antropiche antiche e radicate nella cultura locale, è stato condotto uno studio1 relativo alla fascia costiera adriatica pedecollinare ricoperta da uliveti plurisecolari, compresa tra le Province di Bari e Brindisi. L’area, che si estende da Monopoli a S. Vito dei Normanni, attraversando i territori di Fasano, Ostuni e Carovigno, è lunga circa 40 km e larga fra cinque e sette km. Contiene interamente i grandi centri urbani di Monopoli e Fasano e il più piccolo abitato di Carovigno, con i centri di Ostuni e S. Vito dei Normanni disposti più a margine, pur con ampie propaggini insediative che in entrambi i casi si spingono all’interno di zone densamente ricoperte da uliveti storici.

Se la diffusione insediativa, legata soprattutto al diffondersi del fenomeno delle seconde case, si è distribuita ai margini della piana olivetata, la nuova minaccia, costituita dalla commercializzazione degli ulivi secolari per trasformarli in elementi simbolici e di arredo, rischia di comprometterne irrimediabilmente la struttura agricolo-produttiva e paesaggistico-ambientale. Una minaccia che si è intensificata nel corso degli ultimi tempi e che sta quindi de-strutturando i luoghi, omologando così il territorio e provocando una progressiva perdita di identità, per riprodurre altrove una presunta qualità solo estetica, del tutto priva di significati storici, antropologici e culturali. Parafrasando Bonomi (2000), è il “vero” che qui diventa “falso” due volte: ad un luogo privato della sua autenticità se ne contrappongono altri, decontestualizzati, dove gli ulivi assumono unicamente funzioni ornamentali e di decoro.

Da queste motivazioni è nata dunque l’idea progettuale della istituzione di un parco agrario, nella convinzione che attraverso una tale proposta si possa non solo tutelare, ma anche valorizzare economicamente, questo enorme e irripetibile patrimonio territoriale.

L’analisi storica condotta attraverso lo studio di antichi documenti catastali di tipo descrittivo2 ha posto in evidenza non solo quanto remota e diffusa fosse la presenza di uliveti nel territorio in esame, ma anche quanto significativo, specifico e irripetibile fosse il ruolo che questi luoghi avevano nella cultura contadina, nelle tradizioni, nella volontà generale e nelle leggi non scritte che regolavano i rapporti sociali delle comunità insediate (cfr. Maciocco, 1991; Magnaghi, 1990; Selicato, 1990a; Selicato, 1990b). L’alternarsi di grandi piantate olivetate, pascoli e seminativi sembra rispondere ad un progetto complessivo di organizzazione del territorio agricolo, risultato di un lungo processo di interazione tra attività umane e risorse naturali. Si è potuto così concretizzare un paesaggio che è testimone non solo della storia degli uomini che l’hanno vissuto, ma anche dei saperi che essi vi hanno profuso realizzando le opere con cui l’hanno plasmato e costruito: un paesaggio realizzato come costruzione collettiva, che ha preso forma nel tempo sotto l’incessante azione degli uomini, che vi hanno depositato materiali, fatica e intelligenza (Besio, 2002).

Questa complessità è tuttora riconoscibile, nonostante i numerosi processi di omologazione territoriale in atto, nella ricchezza e nell’articolazione delle sue componenti strutturali, rappresentate non solo dal sistema agricolo-produttivo degli impianti a uliveto, ma anche dal sistema dell’organizzazione storico-insediativa delle grotte rupestri, delle masserie, delle torri costiere e delle ville rurali della borghesia sette-ottocentesca, dalla struttura geomorfologia delle lame e dal sistema idrico del sottosuolo ad esse connesso, dagli ecosistemi naturali ancora una volta prevalentemente associati al reticolo delle lame.

 

Figura 2 - Ulivi nel loro territorio

 

Il quadro istituzionale e i riferimenti legislativi

 

Questa particolare monumentalità dei luoghi non trova tuttavia adeguati riscontri nelle leggi di tutela ambientale e nei vigenti strumenti di pianificazione del territorio. Troppo labili e suscettibili di interpretazioni sembrano, infatti, le leggi di salvaguardia. Rispetto agli stessi obiettivi di tutela, poi, risulta alquanto frammentaria e lacunosa la disciplina del territorio agricolo prevista nei piani urbanistici e alla quale fa ampio riferimento la zona olivetata qui esaminata.

La difesa degli ulivi secolari, in particolare, è affidata ad una legge vecchia di oltre mezzo secolo3, che sostanzialmente vieta l’abbattimento degli alberi, salvo quelle situazioni di grave deperimento o di permanente improduttività, oppure ancora di danno arrecato all’intero impianto in casi di elevata densità arborea dello stesso. Si tratta comunque di norme che consentono maglie interpretative abbastanza ampie, tanto da non essere riuscite a impedire il commercio delle piante secolari (spesso strumentalmente e artificiosamente giustificato proprio dal rispetto della predetta normativa).

Più recentemente è stato istituito l’albo dei monumenti vegetazionali4, nel quale iscrivere gli alberi di qualsiasi essenza, anche in forma isolata, che “con le loro caratteristiche fitologiche e panoramiche costituiscono elementi caratteristici del paesaggio”, prescrivendo per essi il divieto, già previsto dalla legge precedente, di abbattimento o di espianto se non per motivi eccezionali. La formazione e l’aggiornamento dell’albo da parte dell’assessorato regionale all’ambiente non appare operazione semplice e comunque sufficientemente snella da impedire il protrarsi dello scempio in atto dovuto allo sradicamento per la commercializzazione.

Il regime di salvaguardia è assente, peraltro, anche nel piano urbanistico territoriale per il paesaggio (Putt/P)5, che pure ha – fra le sue finalità più importanti – quella di salvaguardare le componenti paesaggistiche determinate dal sistema botanico-vegetazionale. Quasi tutta l’area olivetata in questione è definita, infatti, come “ambito territoriale” caratterizzato dal più basso valore ambientale6, all’interno di una classificazione che contempla cinque classi di valore. Ciò significa che non sono previste particolari limitazioni d’intervento, né specifiche prescrizioni di natura ambientale per una qualsiasi ipotesi di trasformazione.

Frammentaria, essenzialmente finalizzata a regolamentare l’edificazione, abbastanza diversificata nell’articolazione dei suoi contenuti – anche per la diversa temporalità che ne ha scandito la formazione – ma soprattutto ancorata ad una visione tipicamente localistica di ciascuna realtà comunale è poi la disciplina del territorio agricolo introdotta dai piani urbanistici comunali, che si presenta comunque sostanzialmente inadeguata a garantire quelle forme di tutela attiva, che possono promuovere la valorizzazione dell’intero comprensorio.

In questa frammentarietà di azioni si inquadrano, anche, alcune altre iniziative legislative finalizzate a tutelare specifici ambiti territoriali ricadenti, totalmente o solo in parte, all’interno dell’area di studio, attraverso l’istituzione di aree protette regionali7 a prevalente valenza naturalistica. Tuttavia questi provvedimenti legislativi stentano ancora a produrre risultati concreti: troppi veti amministrativi, troppi timori di vincolo, troppe difficoltà procedurali hanno di fatto impedito che di tali istituzioni si cogliessero i primi benefici.

In questo contesto istituzionale e soprattutto in prospettiva di azioni unitarie e coordinate, vanno altresì evidenziate alcune opportunità normative già presenti nella legislazione vigente, cui riferire eventualmente la definizione di strategie unitarie di tutela e di valorizzazione, per la pianificazione e la gestione dell’intero comprensorio.

La possibilità di classificare area protetta l’intero comprensorio, ancorché tutta da verificare in termini di opportunità, specificità e praticabilità, è essa stessa prevista dalla legge regionale8, che individua anche nella presenza di “monumenti naturali” o di “formazioni vegetazionali di particolare pregio ambientale” gli elementi caratterizzanti di un determinato territorio da conservare e valorizzare attraverso l’istituzione di aree protette.

D’altra parte, la nuova legge urbanistica regionale9, in termini più generali, affida al documento regionale di assetto generale il compito di definire le linee guida e gli indirizzi della pianificazione territoriale, riconoscendo piena legittimità al Putt/P che, a sua volta, sino a quando non sarà variato, può avvalersi di piani urbanistici tematici, cosiddetti di secondo livello, con specifici indirizzi di tutela e valorizzazione ambientale nella pianificazione paesistica e soprattutto con un maggior dettaglio analitico e progettuale.

Ciò significa, in particolare, che con “appositi provvedimenti della Giunta regionale, su proposta dell’Assessore regionale all’Urbanistica, oppure del Presidente della Provincia interessata”10, possono essere perimetrate le aree da sottoporre a progettazione paesaggistica di dettaglio, predisponendo piani urbanistici territoriali tematici di secondo livello11, aventi anche i contenuti e l’efficacia del piano territoriale paesistico. Per ciascuna di tali aree, in sede di perimetrazione, possono essere individuati sia l’ente preposto alla formazione del piano, sia le specifiche direttive per il recupero, la salvaguardia e la valorizzazione paesaggistica dei siti e le relative prescrizioni normative.

 

Figura 3 - Ulivi espiantati e pronti per il trasporto

 

Azioni intraprese e tendenze in atto nel contesto locale

 

I processi di trasformazione e di degrado del paesaggio agricolo, come si è detto, hanno una natura complessa e articolata. Parte di questo degrado avviene proprio a opera dei produttori olivicoli, vale a dire di chi al territorio è legato per tradizione e uso quotidiano. I fenomeni in atto, però, sono il risultato locale di processi esogeni; in particolare la diffusione della pratica dell’espianto degli alberi di maggior pregio storico e paesaggistico ha la sua causa primaria nella crisi del settore olivicolo locale, a fronte della modifica degli equilibri del mercato europeo e italiano, dovuta all’ingresso di nuovi forti produttori come la Spagna, la Grecia, il Marocco. A motivare l’espianto non vi è solo la prospettiva di guadagni legati al commercio vivaistico, ma anche quella legata a motivi di opportunità e comodità nella produzione. Nei casi in cui all’espianto fa seguito la sostituzione delle piante vecchie con piante giovani, infatti, a parità di quantità di olive prodotte (sostituendo un albero vecchio con più alberi giovani), gli alberi di minore altezza permettono un costo minore dei processi di raccolta e di potatura.

Ciononostante è proprio dal settore agricolo-olivicolo locale che, nel 2001, si levarono le prime voci di denuncia nei confronti di questo nuovo fenomeno di degrado. Esso per certi versi risultava molto diverso dagli altri (Tabella 1).

Tabella 1

 

La sua caratteristica peculiare sta proprio nel fatto che, pur se legato a fattori esogeni, è opera diretta dei produttori stessi. Non è il risultato diretto di interventi dovuti a decisioni esterne, come la realizzazione di grandi assi di collegamento stradale o la realizzazione di nuovi insediamenti produttivi o il diffondersi delle seconde case, ecc. L’espianto degli ulivi secolari è frutto di una sorta di frattura tra la terra e gli operatori terrieri, una frattura storica, che gli operatori stessi percepiscono come qualcosa di sbagliato che bisognerebbe contrastare.

È così che, in risposta al grido di allarme lanciato da alcuni rappresentanti del mondo della produzione olivicola, e su iniziativa del gruppo di lavoro del Politecnico di Bari, è iniziato un processo di studio e di analisi, di sensibilizzazione, di esplorazione di possibili alternative e di soluzioni economiche e gestionali che fossero in grado di invertire le tendenze in atto. Tale processo, che si inserisce in un territorio in parte sensibile e per certi versi già fermentato da altre iniziative di orientamento ambientale e di sviluppo rurale (si pensi ad esempio alle esperienze del programma leader e dell’Agenda 21 locale nei Comuni di Ostuni, S. Vito dei Normanni, S. Michele Salentino, Carovigno, Ceglie Messapica), ha visto il crescente interesse di attori locali più o meno legati alla realtà agricola. È tuttavia assai significativo il ruolo che hanno avuto proprio le associazioni olivicole locali nel contribuire alla definizione del problema, nell’esprimere la loro situazione di disagio, nel denunciare la loro incapacità di far fronte al fenomeno da sole. È anche da parte loro che viene la richiesta di tutela, accanto alla richiesta dell’individuazione di strategie collaborative e coordinate per la gestione di un territorio che è amministrativamente diviso, è estremamente frammentato nella proprietà, ma è senz’altro unitario per caratteristiche paesaggistiche, vocazioni di sviluppo, sensibilità e identità territoriale.

I molti incontri e i dibattiti che si sono svolti nei mesi seguenti hanno visto insieme privati cittadini, rappresentanti delle associazioni ambientaliste, dei produttori di olio, delle associazioni di categoria, studenti delle scuole dell’obbligo, rappresentanti delle istituzioni. Il consenso intorno all’idea dell’istituzione di un parco agrario è via via cresciuto, anche grazie al supporto dei media locali e nazionali, fino a trasformare questa stessa idea in qualcosa percepita come possibile e necessaria. L’immaginario collettivo ha incominciato a identificare l’eventuale istituzione del parco con il giusto riconoscimento del valore e della qualità dei luoghi. In breve tempo vennero raccolte diecimila firme per una petizione a favore dell’istituzione del parco; vennero raccolti pareri spontanei, suggerimenti, adesioni formali all’iniziativa da parte di associazioni ambientaliste, economiche, di categoria, di scuole, di istituzioni locali. Come evidenziato altrove (Selicato, 2003), il formarsi dell’idea del parco sembrò catalizzare energie latenti di una realtà territoriale vasta e complessa. Scrive Celino (2003, p. 99): “è possibile ipotizzare che la proposta del parco degli ulivi (…) stia sortendo effetti molto simili a quelli che le visioni condivise hanno sulle organizzazioni formali (…), vale a dire la creazione di un senso di comunanza e di fiducia capace di legare le persone le une alle altre impegnandole veramente, perché essa (la proposta) riflette la loro visione personale”.

E in effetti, da alcuni degli operatori economici locali, l’istituzione del parco è vista come un’opportunità unica e nuova per lo sviluppo locale, per la creazione di una vera filiera dell’olio, capace di unire la frammentata (e quindi debole) realtà produttiva locale nell’obiettivo di una gestione unitaria finalizzata alla commercializzazione di prodotti di qualità, capace di affrontare i cambiamenti del mercato con vere ed efficaci strategie di sviluppo.

Tuttavia questa prospettiva non è condivisa da tutti. È infatti fortemente presente la dimensione del conflitto, tra chi vuole il parco e chi lotta, in maniera palese o velata, contro la sua istituzione e contro le regole di tutela e le limitazioni che esso comporterebbe. Molto spesso entrano in gioco strategie di disinformazione, distorsioni del confronto in atto a livello istituzionale e sociale che sono tipiche dei contesti decisionali conflittuali e pluralisti.

Nel febbraio 2003 si è costituita l’associazione Parco agrario degli ulivi, della quale fanno parte operatori locali, produttori, rappresentanti del mondo associazionistico, privati cittadini, alcune istituzioni locali, con l’obiettivo di raccogliere e organizzare le energie che il territorio stava riuscendo a offrire nei confronti di questo tipo di mobilitazione propositiva. L’idea di dare vita ad un’associazione formale, riconosciuta a livello istituzionale, rispondeva ad un’esigenza di maturità da parte delle formazioni locali interessate alla istituzione del parco. Da un lato, la costituzione di un’entità giuridicamente riconoscibile poteva permettere, laddove se ne fosse presentata l’occasione, di accedere a finanziamenti per iniziative legate alla valorizzazione e tutela del territorio. Dall’altro lato, il coinvolgimento formale delle amministrazioni comunali locali ha comportato da parte di queste ultime un’assunzione formale di responsabilità, cui stanno seguendo oggi iniziative amministrative che, pur se non uniformemente diffuse nei diversi comuni interessati, rappresentano sostanziali passi in avanti nell’obiettivo della tutela del patrimonio paesaggistico locale. Infine, l’esigenza della nascita di un’associazione legata all’idea progettuale dell’istituzione del parco, ha rappresentato in un certo senso una risposta all’assenza di una dimensione amministrativa cui corrispondesse davvero un territorio percepito come unitario. In altri termini, la nascita dell’associazione Parco agrario degli ulivi ha rappresentato una forma di autoorganizzazione che una molteplicità di attori locali si è data per supplire a un’avvertita mancanza nell’organizzazione istituzionale locale: l’assenza di un ente – l’ente parco – che corrispondesse ad un territorio omogeneo per valori, storia, tradizioni, cultura, economia, prospettive di sviluppo, problemi.

 

Figura 4 - L'orografia

  

 

Riflessioni a partire dall’esperienza

 

Le caratteristiche dei processi in atto nel caso qui descritto configurano aspetti differenti di un problema complesso, tipico di situazioni in cui un bene o una risorsa – in questo caso il paesaggio agricolo – è a libera disposizione di molti attori, i quali dallo stesso bene possono trarre beneficio individuale, generando costi che invece vengono divisi collettivamente. In questi casi, secondo la teoria delle decisioni, l’adozione da parte dei diversi soggetti di comportamenti razionali volti alla massimizzazione dei profitti individuali porta a esiti non positivi, o comunque a profitti minori di quelli che si avrebbero in caso di collaborazione e coordinazione delle scelte12. È il caso di un territorio come quello riguardante la proposta di istituzione del Parco agrario degli ulivi, in cui diversi attori economici percepiscono e risolvono il loro problema dalla prospettiva del proprio vantaggio economico – per cui espianto e ripiantumazione, nel breve periodo, risultano la soluzione più immediata e visibile. Ciò avviene, però, senza rendersi conto del danno arrecato al patrimonio collettivo e senza considerare i mancati profitti che sarebbero legati ad una diversa gestione del territorio come risorsa collettiva. Ciò che viene a mancare, infatti, se si guarda il territorio nel suo complesso e la pluralità di attori che lo vive e lo usa, è proprio la consapevolezza delle potenzialità che il paesaggio può offrire se viene considerato come risorsa capace di produrre reddito. Anche laddove questo tipo di consapevolezza sia presente, l’eccessiva frammentazione della proprietà, e una certa forma di individualismo da parte degli operatori agricoli, determinano grosse difficoltà di coordinare le azioni di piccole e medie imprese, anche all’interno delle stesse associazioni di categoria, che per di più lamentano la mancanza di obiettivi strategici per affrontare le mutevoli condizioni del mercato. Pur essendoci una consapevolezza diffusa che l’espianto sia qualcosa di dannoso per il paesaggio (consapevolezza derivante soprattutto dalla persistenza di tradizioni storiche radicate e fortemente legate al senso di identità delle comunità locali), tuttavia il fenomeno non è facilmente controllabile o limitabile. Le amministrazioni pubbliche locali, dal canto loro, spesso si sono comportate in maniera poco coerente. Da un lato, timidi segnali di riconoscimento di questo tipo di patrimonio, con incerte iniziative di tutela e valorizzazione, dall’altro, in alcuni casi, hanno usato esemplari di ulivi secolari provenienti dalle campagne per decorare aiuole e ville comunali. È evidente come la mancanza di regole certe e di una struttura di controllo (peraltro di non facile organizzazione, viste le dimensioni dell’area in esame) minino alla base possibili forme di tutela.

Il problema si sposta dunque non tanto, o non solo, sul come diffondere sensibilità e consapevolezza tra i diversi attori, istituzionali e non (un valido contributo in questa direzione è giunto dalla promozione di attività di partecipazione e mobilitazione: forum, incontri tematici, dibattiti, petizioni). Piuttosto l’attenzione va rivolta all’opportunità di creare una struttura, di generare un cambiamento istituzionale che comporti la nascita di vincoli e legami forti, capaci di far sorgere efficaci forme di controllo e tutela, che traducano in pratica delle sensibilità che sono già presenti, ma che nella realtà risultano di per sé inefficaci.

Questo non può avvenire se non si prevedono, come già accennato, due direzioni di azione regolativa: una, volta alla tutela, l’altra, volta alla contemporanea valorizzazione e al rilancio economico dell’intero comprensorio. Questo a partire dalla consapevolezza che il rifiuto del territorio passa attraverso leggerezze individuali legate a facili prospettive di guadagno, attraverso difficoltà generate da una contingente difficoltà economica generalizzata, attraverso l’ignoranza di forme alternative di gestione e governo del territorio.

Tuttavia la dimensione territoriale renderebbe difficile l’individuazione di efficaci forme di controllo. Allora, se iniziative di regolamentazione sono necessarie per indirizzare lo sviluppo e per attivare processi economici virtuosi e innovativi, solo il cambiamento profondo delle radici di senso e di valore degli operatori e delle comunità locali può garantire soluzioni davvero adeguate ed efficaci al problema della tutela del paesaggio agrario. In casi di gestione del territorio e del paesaggio, in cui diventa di straordinaria importanza la creazione di consapevolezza diffusa a favore di una tutela attiva del patrimonio storico agricolo, processi comunicativi e dialogici possono favorire la creazione e la traslazione di idee innovative attraverso diversi livelli istituzionali e sociali, coinvolgendo amministratori, funzionari, operatori di settore, cittadini comuni e opinione pubblica in generale. In una visione, però, più generale e critica del contributo che tali pratiche possono realmente apportare nel processo di costruzione del consenso intorno ad un’idea tanto complessa e di ampia scala, in cui molti attori diversi hanno la possibilità di influire in maniera rilevante, sarebbe utile riflettere su alcune condizioni di efficacia dei processi collaborativi.

Figura 5 - L'uso del suolo

  

 

Ragionando di efficacia, è innanzitutto controverso stabilire in maniera univoca e generalizzata in che modo e da che punto di vista una politica territoriale possa ritenersi tale, se è vero che esistono tanti sistemi di valutazione quanti sistemi di valori. Tuttavia l’apertura di processi di dialogo multiattore può potenzialmente migliorare le pratiche di pianificazione sotto vari punti di vista, ad esempio nell’individuazione e nell’uso di risorse altrimenti sconosciute e inutilizzate, oppure sul piano della costruzione di conoscenza utile alle decisioni, o ancora nell’individuazione di sinergie e di coalizioni strategiche per il conseguimento di obiettivi comuni. In generale è possibile spingersi ad affermare che, in alcuni casi e date alcune condizioni, i processi dialogici possono essere più efficaci di processi che seguono criteri tradizionali.

Nell’esperienza descritta, le iniziative volte a costruire contesti collaborativi hanno iniziato ad essere efficaci soprattutto a seguito del coinvolgimento diretto di settori della pubblica amministrazione sensibili ai temi della tutela e della valorizzazione del paesaggio. L’istituzione dell’associazione Parco agrario degli ulivi, con il coinvolgimento formale di alcune amministrazioni locali, ha costituito occasione di responsabilizzazione delle stesse. Alcune di esse (in particolare l’attuale amministrazione del Comune di Monopoli) hanno poi intrapreso iniziative di tutela. Tali decisioni sono maturate, a livello istituzionale, in un confronto anche conflittuale tra attori diversi, in contesti plurali caratterizzati da comportamenti tattici e strategici (Tabella 2).

Tabella 2

 

In questa prospettiva, non basta attivare processi collaborativi tout court, ma è spesso necessario costruire una struttura di livello intermedio costituita da attori diversi, appartenenti a diversi settori della realtà sociale, economica, istituzionale locale; una struttura radicata nel territorio, attiva, riconosciuta dalla gente, in grado di esprimere al tempo stesso competenze organizzative e tecniche (Nicoletti, 2005).

Nel caso descritto, questa struttura ha assunto la forma giuridica di associazione, e ha visto la collaborazione di amministrazioni e soggetti istituzionali, rappresentanti del mondo produttivo, agenzie di sviluppo locale, associazioni culturali e ambientaliste, enti di ricerca, membri delle comunità locali, rappresentanti del settore turistico.

Le prospettive di valorizzazione e di tutela sono quindi legate alla definizione di idee innovative di carattere organizzativo e gestionale, che abbiano come obiettivo la definizione di forme di regolamentazione e di rilancio del territorio. In quest’ottica, l’intervento pubblico si può avvalere del supporto fornito da soggetti locali, nella necessità di forme di coordinamento finalizzate allo sviluppo di strategie economiche articolate e condivise. A tal fine è necessario lavorare, in una prospettiva culturale, su livelli profondi di sensibilizzazione, mediante un coinvolgimento attivo dei diversi portatori di interesse che si accompagni a forme di promozione e tutela dell’economia, oltre che del patrimonio naturale.

I risultati del processo descritto sono ben visibili nella sempre crescente sensibilizzazione di porzioni rilevanti del mondo produttivo agricolo, in alcune iniziative imprenditoriali che già legano la commercializzazione dei prodotti al marchio degli ulivi secolari, nell’interesse da parte di porzioni rilevanti del mondo politico e istituzionale locale e sovralocale, nelle azioni di tutela intraprese da singole amministrazioni.

Sebbene non si sia ancora raggiunta l’istituzione del parco e siano ancora assenti strategie unitarie di tutela e valorizzazione, le tendenze istituzionali in atto nel contesto locale e regionale non fanno altro che creare buone aspettative perché, nel prossimo futuro, questo processo, iniziato spontaneamente in risposta ad alcune tendenze di degrado, possa dare vita ad un modello innovativo di tutela del paesaggio agrario.

 

Figura 6 - L'estensione degli uliveti storici fino alla metà del XIX sec.

 

Note

 

1 Lo studio è stato condotto nell’ambito delle attività didattiche e sperimentali del corso di Progettazione urbanistica nella facoltà di Ingegneria del Politecnico di Bari, negli anni accademici 2000/2001 e 2001/2002, con l’apporto diretto di studenti e ricercatori e con il coinvolgimento di persone comuni, associazioni, imprenditori agricoli e operatori economici, rappresentanti delle istituzioni. Alcune prime riflessioni a margine di tale studio sono contenute in Selicato F. (2002a, 2002b, 2003), di cui il presente contributo costituisce più ampia e articolata stesura.

2 Un’interessante ricerca in tal senso è stata condotta da Sante Sibilio Maselli nell’ambito della tesi di laurea in Tecnica urbanistica dal titolo “Il ruolo dell’analisi storica nella pianificazione ambientale del territorio. Il caso della pianura olivetata a sud est di Bari”, relatore Francesco Selicato.

3 Si tratta del DLgs luogotenenziale 27 luglio 1945, n. 475, successivamente integrato e modificato dalla legge 14 febbraio 1951, n. 144, e dal Decreto presidenziale 10 giugno 1955, n. 987.

4 La legge regionale pugliese 31 maggio 2001, n. 14, all’articolo 30, riguardante la Tutela paesaggistica alberi, istituisce l’albo dei monumenti vegetazionali e prescrive una sanzione di 2.580 euro ad albero, nel caso di violazione delle norme miranti alla conservazione di tale patrimonio.

5 Si tratta del piano urbanistico regionale preposto alla tutela del paesaggio, approvato con delibera di Giunta regionale n. 1748 del 15 dicembre 2000.

6 Più precisamente, si tratta di un ambito territoriale denominato E, di cui “non è direttamente dichiarabile un significativo valore ambientale”.

7 La legge regionale 24 luglio 1997, n. 19, individua, fra tante altre, le aree: Barsento e Fascia costiera di Polignano in Provincia di Bari e le Dune costiere da Torre Canne a Torre S. Leonardo in Provincia di Brindisi. L’elenco delle aree protette che ricadono nell’area di studio è poi completato dall’area di Lama Belvedere nel territorio di Monopoli, istituita da successiva legge regionale 24 luglio 2001, n. 16.

8 Il riferimento, ancora una volta, è quello della legge regionale 19/1997. L’art. 2 di tale legge, riguardante la Classificazione delle aree naturali protette, al comma d) contempla, fra le diverse tipologie, i “monumenti naturali, per la conservazione, nella loro integrità, di singoli elementi o piccole superfici dell’ambiente naturale (formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, vegetazionali) di particolare pregio naturalistico e ambientale”.

9 Legge regionale 27 luglio 2001, n. 20.

10 Nel caso specifico qui esaminato sarebbero coinvolte le due Province di Bari e di Brindisi.

11 Chiamati anche sottopiani.

12 Nella teoria dei giochi, tale situazione è rappresentata dal cosiddetto dilemma del prigioniero. Il gioco analizza le diverse possibilità di scelta di due attori individuali chiusi in celle differenti, accusati di aver compiuto insieme un crimine. Entrambi possono confessare coinvolgendo l’altro oppure tacere (Hardin, 1982). Le conclusioni cui il gioco perviene sono che, in caso di mancata comunicazione tra i due prigionieri, le scelte individuali razionali determinano esiti collettivi negativi (cfr. Dryzek, 1989).

 

Figura 7 - Antichi muretti a secco smontati e pronti per la vendita

 

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