Numero 10/11 - 2005

 

Le politiche urbanistiche  

 

Area Vasta n. 10/11 Luglio 2004 - Giugno 2005 Anno 6

numero 10/11  anno  2005

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In copertina Lello Lopez,

Da lontano, 2004

acrilico su tela, cm 40x30.

Fotografia di Vince Gargiulo

 

ISSN 1825-7526

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il ritorno degli esclusi. Progetti urbani e politiche pubbliche a Ginevra


Maurizio Russo


 

Nel 1996, due referendum popolari hanno bocciato altrettanti progetti urbani, vincitori di concorsi, per le aree di Place des Nations e Place Neuve a Ginevra. La sconfitta, non solo delle politiche pubbliche della città svizzera ma, anche, della concertazione messa in pratica, hanno spinto la Fondation Braillard Genève ad una riflessione approfondita. Maurizio Russo ne ripercorre i contenuti e i risultati, di carattere generale, inerente al rapporto tra progetti urbani, politiche pubbliche e partecipazione, tratti da una più ampia elaborazione di base

 

 

Il 7 giugno 1998 un referendum di iniziativa popolare a Ginevra ha definitivamente bocciato il progetto urbano di Massimiliano Fuksas per l’area nevralgica di Place des Nations e l’intera zona delle organizzazioni internazionali con sede nella città lemana, progetto che era risultato vincitore di un concorso internazionale a inviti bandito nel 1994.

Il 27 settembre 1998, un nuovo referendum ha invece respinto il progetto urbano, anch’esso primo classificato di concorso a inviti, per un altro punto strategico della città: Place Neuve, luogo cardine tra la collinare città vecchia, la prima espansione lungolago delle Rues Basses e l’asse meridionale di sviluppo della città.

Entrambi questi eventi hanno costituito una solenne battuta d’arresto per la pianificazione urbanistica ginevrina, e sono stati vissuti, alla scala locale, comme un traumatisme. Era tuttavia essenziale comprendere le ragioni di tali sconfitte, attinenti, come si vedrà, più alla definizione e gestione di politiche pubbliche che alla qualità intrinseca dei progetti, e fare tesoro delle esperienze fatte: ad assumersi il compito di proporre ipotesi esplicative dei due scacchi di Place des Nations e Place Neuve è stata la Fondation Braillard Architectes di Ginevra con la ricerca Lendemains d’échecs. Conduite de projets et aménagement d’espaces publics à Genève, pubblicata nel maggio 20001.

Riteniamo che le indicazioni fornite dalla Fondation Braillard abbiano una portata generale, e possano contribuire a spiegare molti fenomeni di rigetto popolare degli interventi di trasformazione urbana proposti o attuati dalle autorità pubbliche.

 

 

Ginevra città internazionale

 

La Conferenza di Pace del 28 aprile 1919 attribuisce a Ginevra la sede della nascente Società delle nazioni, divenuta poi organizzazione delle nazioni unite (Onu) all’indomani della seconda guerra mondiale, quando Ginevra è confermata sede europea dell’organizzazione con quartier generale a New York. Accanto al Palais des Nations, realizzato tra il 1929 e il 1937 da Henri-Paul Nénot, Julien Flegenheimer, Carlo Broggi, Camille Lefèvre e Joseph Vago, prendono posto nel corso dei decenni numerose altre istituzioni internazionali di massimo livello e oltre un centinaio di organizzazioni non governative. Tra le prime ricordiamo il Comitato Internazionale della Croce rossa (fondato nel 1863), l’Ufficio internazionale del lavoro, l’Organizzazione mondiale della sanità, l’Alto commissariato delle nazioni unite per i rifugiati, l’Organizzazione mondiale del commercio (nata nel 1994), oltre a diverse istituzioni mondiali a carattere tecnico (energia, telecomunicazioni, proprietà intellettuale) e a programmi per la cooperazione e lo sviluppo.

Gran parte degli organismi internazionali di stanza a Ginevra sono concentrati in un’area collocata all’ingresso nord della città, a ridosso del lago e della strada che conduce a Losanna: il distretto internazionale costituisce dunque allo stesso tempo legame e diaframma tra il territorio ginevrino vero e proprio (completamente circondato dalla Francia) e il resto della Confederazione elvetica. In tale area, le organizzazioni internazionali hanno dapprima occupato antiche ville patrizie al centro di vaste tenute, in seguito si sono disseminate in ampi spazi verdi con nuovi edifici. Tuttavia, nonostante numerosi tentativi di pianificazione ripetuti nel tempo, è sempre mancato un indirizzo complessivo di sviluppo: la zona internazionale “non sembra essere altro che una successione di operazioni decise caso per caso al di fuori di qualunque strategia d’insieme”2, una specie di scatola nera largamente autosufficiente e perciò in grande misura estranea ai ginevrini.

A questa situazione, e a nuove esigenze di sviluppo (derivanti tra l’altro dall’arrivo dell’Organizzazione mondiale del commercio), cerca di dare una risposta il concorso bandito dallo Stato e dalla città di Ginevra nel 1994. Centro simbolico dell’intera area e fulcro della complessa operazione urbanistica è Place des Nations, ampia spianata poco definita, sorta di espace vague3 con la duplice fondamentale funzione di porta d’accesso all’Onu e luogo di concentramento delle manifestazioni a carattere internazionale.

 

 

Il concorso per Place des Nations

 

Il concorso bandito nel 1994 dal Dipartimento dei lavori pubblici del Cantone di Ginevra e dalla città di Ginevra (con la collaborazione delle organizzazioni internazionali), ha per obiettivo il rafforzamento del ruolo internazionale della città attraverso la definizione di un quadro unitario di sviluppo dell’area, con particolare attenzione alla dimensione simbolica e agli effetti economici indotti dall’espansione4. Nell’intenzione dei promotori si tratta di un piano a lungo termine (trent’anni) scandito in due grandi fasi: nella prima si procede all’edificazione e valorizzazione simbolica del perimetro di Place des Nations, elemento motore dell’intera operazione; nella seconda, lo sviluppo si estende ad una vasta fascia tra la zona di Place des Nations e il lago, dominata da luoghi di alto pregio ambientale come la campagne Rigot, di proprietà dell’Università di Ginevra. In quest’area sono previsti numerosi edifici a vocazione internazionale, tra cui una Casa universale per le missioni dei paesi meno avanzati, biblioteche, istituti universitari, centri per conferenze e strutture ricettive, oltre ad un luogo di concentramento popolare, nel quadro di una generale pedonalizzazione e riorganizzazione della mobilità.

Figura 1 - Modello del progetto Fuksas per Place des Nations

 

Gli invitati al concorso sono quindi chiamati a presentare ipotesi spaziali già definite dal punto di vista architettonico per il perimetro di Place des Nations, mentre un masterplan, o schema direttore, per il rimanente territorio interessato, cui dovranno successivamente conformarsi gli altri volumi previsti.

Il 7 aprile 1995 il primo posto del concorso è assegnato al progetto di Massimiliano Fuksas5, la cui principale qualità, secondo la giuria, è quella di “concentrare gli edifici del programma di medio termine intorno a Place des Nations. Tali masse strutturano la nuova piazza e la liberano dalla circolazione automobilistica. Il tema dell’acqua è trattato con una poesia straordinaria sulla stessa piazza. Una passeggiata pedonale la attraversa, e arriva fino al lago [fiancheggiando] la parcella Rigot, che resta molto alberata”6.

Nel progetto Fuksas, Place des Nations diventa una piattaforma sull’acqua, definita dai nuovi edifici che la circondano. L’architetto italiano – notano significativamente Sylvain Malfroy e Michel Nemec – “è il solo concorrente ad aver preso la libertà e nello stesso tempo il rischio di ridurre l’ampiezza della piazza, inscrivendovi direttamente delle costruzioni”7. Come vedremo, questo particolare non è estraneo al successivo rigetto referendario della proposta, anche se la Fondation Braillard identifica le principali cause del responso elettorale non tanto nella qualità intrinseca del progetto (che anzi presenta soluzioni tra la piazza e il lago “manifestamente meritevoli di essere perseguite”8), quanto soprattutto nella definizione dell’interesse comune e della politica pubblica soggiacenti al programma concorsuale, e nella procedura in questo senso messa in campo dai promotori dell’iniziativa.

Figura 2 - Progetto Fuksas: sistemazione di Place des Nations come piattaforma galleggiante e dettaglio dei nuovi edifici

 

La domanda fondamentale da porre per delineare la questione è la seguente: “quali sono gli attori coinvolti”9? A quali soggetti attribuire il ruolo di stakeholders (letteralmente, soggetti con una posta in gioco) nell’ambito di un progetto urbano, specie se di tali dimensioni fisiche, simboliche, economiche? Soltanto allo Stato, alla municipalità e alle organizzazioni internazionali oppure anche ad altri soggetti?

A questo proposito la Fondation Braillard richiama l’attenzione su tre punti. Primo, è stata lacunosa la lettura del contesto generale (fisico, sociale, culturale e storico) in cui si colloca la vicenda delle organizzazioni internazionali a Ginevra. In particolare, non è stato affrontato il tema del riammagliamento dell’area al resto della città10, ossia “riconciliare la Ginevra internazionale con i ginevrini”11, che l’hanno sempre considerata una realtà separata. Tale lettura doveva essere preliminare e propedeutica alla definizione del programma concorsuale, onde dettarne indirizzi adeguati.

Secondo. Troppo rigido è il piano degli interventi a lungo termine (la seconda fase dopo quella di Place des Nations), tale cioè da non consentire adattamenti successivi o la valutazione di scenari alternativi “in funzione di congiunture politiche ed economiche per forza di cose imprevedibili”12 sull’arco dei decenni. In questo senso la ricerca della Fondation Braillard cita la relazione al progetto presentato dall’architetto francese Dominique Perrault, che suggerisce la creazione di un laboratorio di urbanistica per gestire scenari variabili in un ambiente complesso: “Un metodo – scrive Perrault – aperto sul tempo e sullo spazio, un’altra idea di città, più democratica”13. Analoghe preoccupazioni di flessibilità sono peraltro espresse anche dallo studio ginevrino Baillif&Loponte14.

Terzo. “La cartografia degli attori interessati è stata anch’essa insufficiente e la loro integrazione nel processo fin troppo tardiva. Ora, gli esclusi dal progetto hanno la tendenza, un giorno o l’altro, a effettuare il loro ritorno …15. Esclusione che, si badi bene, in questo caso non ha interessato solo gli attori esterni (cittadini, associazioni, opinione pubblica in genere) ma anche numerosi essenziali attori interni: “La consultazione di altri servizi (pianificazione, patrimonio, …) non è stata giudicata indispensabile nel quadro dell’ideazione del programma”16, sicché il loro coinvolgimento solo nella fase operativa17 ha reso particolarmente difficili gli adattamenti necessari.

In questo contesto si svolgono gli eventi che condurranno al rigetto referendario della proposta.

Nel 1997, tre anni dopo l’espletamento del concorso, i nuovi piani localizzati di quartiere, derivanti dall’implementazione del progetto vincitore, sono sottoposti alla pubblica attenzione: si apre cioè la fase delle osservazioni, che consente a cittadini e associazioni di esprimere pareri ed emendamenti prima che il consiglio municipale interessato si pronunci. Già in questa prima fase emergono sette osservazioni che hanno come promotori l’Associazione trasporti e ambiente, il Gruppo trasporti ed economia, la Camera di commercio e dell’industria di Ginevra, l’Associazione patrimonio vivente e il gruppo di abitanti del quartiere di Vermont. Nonostante questi emendamenti, un Comitato formato da gruppi ambientalisti, forze politiche e associazioni di quartiere18 lancia nel dicembre 1997 un referendum19 contro il piano urbanistico per Place des Nations, insistendo soprattutto sulla necessità di “difendere la dimensione pubblica e il valore d’uso della piazza, contro la [sua] privatizzazione20.

Una nuova popolazione di attori comincia ad animare, troppo tardi, il progetto. Il programma concorsuale messo a punto da settori ristretti dell’amministrazione e dello Stato non ha consentito di far emergere, compiutamente e a tempo debito, altri interessi e valori, impedendo così di tenerne conto nella fase progettuale e di anticipare i successivi conflitti. Viceversa la Fondation Braillard, rifacendosi agli studi di Conan e Healey, osserva che “è più efficace, più economico, più ragionevole (e non solo più democratico) permettere l’espressione delle diverse posizioni all’inizio del processo di pianificazione. Ciò semplicemente perché è più difficile contestare […] una discussione in cui si è stati coinvolti rispetto ad una da cui si è stati esclusi”21.

Nel caso di Place des Nations emerge in tutta evidenza un deficit di rappresentatività del programma di trasformazione, che esplode alla vigilia del referendum sulla questione emblematica dell’uso pubblico della piazza stessa. Place des Nations ha in effetti assunto nel tempo “il ruolo che gioca piazza della Bastiglia per la società civile francese”22, divenendo luogo di manifestazioni e petizioni all’indirizzo delle organizzazioni internazionali, dunque fortemente investito dal punto di vista simbolico. “La realizzazione del progetto Fuksas avrebbe comportato una modificazione importante dell’uso di questa piazza”23. La stampa, con una punta di campanilismo, commenta: “Mentre gli architetti svizzeri hanno nell’insieme trattato la piazza per lasciarle la funzione di luogo di manifestazioni, M. Fuksas la trasforma in un parterre aquatique. Non è chiaro come una folla potrebbe ancora raccogliersi sui passeggi a pelo d’acqua per esprimere le proprie idee”24. In definitiva, si afferma l’idea che il progetto è paracadutato dall’alto, adatto ad accogliere funzionari e turisti della domenica ma indifferente alle esigenze locali, incapace “di raccordare interessi diversi”25.

Nonostante le lunghe mediazioni con il comitato referendario, che conducono all’accoglimento di alcune variazioni al progetto originario, il 7 giugno 1998 il 52,4% dei ginevrini respinge definitivamente il progetto Fuksas26.

 

Figura 3 - Progetto Fuksas: la nuova Place des Nations nel contesto paesaggistico dell'area internazionale

 

Il concorso per Place Neuve

 

“Qui tutto comincia dal basso”27, precisamente dal sottosuolo. Nel 1994, lo Stato e la città di Ginevra accolgono la domanda dell’Association des intérêts de la Corraterie, costituita da commercianti, banche e uffici privati, per la realizzazione di un parcheggio sotterraneo in Place Neuve, altro nodo strategico della città. Dal punto di vista dell’amministrazione è l’occasione per varare, congiuntamente al parcheggio, un programma di valorizzazione pedonale della piazza, su cui affacciano il Grand Théâtre, il Conservatorio, il museo Rath e il grande giardino pubblico ai piedi della città vecchia. In questo senso si reputa opportuno l’avvio di un processo di concertazione tra i promotori e gli autori di due ricorsi subito presentati contro il parcheggio (figurano tra i ricorrenti l’Associazione degli abitanti del centro e della città vecchia e l’Associazione per gli interessi dei ciclisti).

Già una prima fase della consultazione conduce, nel novembre 1995, alla firma di un protocollo d’intesa per Place Neuve, che consente il ritiro dei ricorsi in opposizione e dispone l’organizzazione di un concorso per integrare al meglio la riorganizzazione della piazza, della circolazione e il parcheggio.

Figura 4 - Place des Nations e l'area delle organizzazioni internazionali in una foto aerea di Max Oettli (1995)

 

Tale concorso, lanciato nel giugno 1996, chiede ai concorrenti invitati di esprimere una soluzione per la piazza nel suo complesso e, in particolare, per i sotto-ambiti relativi agli edifici monumentali presenti. In più, si chiede la riqualificazione dei margini e delle vie vicine, in vista della soppressione del traffico di transito con apertura al solo traffico di destinazione. Quindi, una sostanziale pedonalizzazione di Place Neuve.

Nell’ottobre 1996 la giuria, integrata peraltro con rappresentanti dei soggetti ricorrenti, assegna il primo premio allo studio Descombes di Ginevra.

Tuttavia, l’iniziativa urbanistica prevista comporta un nuovo piano della circolazione intorno alla piazza, che però incontra l’opposizione di ambienti favorevoli all’uso dell’auto privata: questi ultimi valutano che la pedonalizzazione della piazza, insieme alla realizzazione di una nuova linea tranviaria su una strada limitrofa, avrebbero rappresentato un impatto troppo forte per la circolazione automobilistica. Si apre così una seconda fase di concertazione, conclusa con un nuovo protocollo d’intesa che condiziona il tracciato tranviario all’ubicazione del parcheggio da realizzare.

La Fondation Braillard nota significativamente che alcuni partecipanti al primo round di concertazione (opposizione al parcheggio) non sono presenti anche nel secondo (questione auto e tram). Perciò l’autorità cittadina impegnata nella questione convoca un terzo e ultimo tavolo di concertazione con i firmatari di entrambi i protocolli d’intesa allo scopo di definire gli ultimi adattamenti.

Come se ciò non bastasse, la commissione urbanistica chiamata a pronunciarsi sulla concessione del diritto di superficie agli investitori privati del parcheggio, esprime parere negativo. Si valuta a questo punto che solo un responso referendario avrebbe potuto sciogliere definitivamente la questione, pro o contro la concessione del diritto di superficie e quindi pro o contro l’intero programma d’intervento. Il 27 settembre 1998, il 56,9% dei ginevrini respinge di fatto la realizzazione del progetto: prevalgono in questo caso i partiti di destra e gli ambienti favorevoli all’auto privata.

A questo punto, la domanda che si pone la Fondation Braillard è la seguente: la concertazione in se stessa è sufficiente ad assicurare il successo di un processo di trasformazione? Evidentemente no. “La gestione di un progetto in materia di spazio pubblico […] suppone piuttosto una serie di procedure per arrivare ad una definizione dell’interesse pubblico”28. A questo proposito, l’ipotesi dei ricercatori è che “in realtà, questa concertazione mirava essenzialmente a eliminare opposizioni ad un progetto largamente predefinito, il che non ha permesso di porre il problema alla radice”29. In questi casi, “si tende a sfociare in accordi molto precari”30.

Nelle settimane successive all’esito referendario, i commenti si schierano tout court pro o contro la concertazione. Per alcuni questa non funziona, e anzi configura i caratteri di una “democrazia paralizzante”31. Per altri, è mancato piuttosto un rapporto tra i partecipanti al processo e il resto della popolazione. Ciò induce la Fondation Braillard a cercare di “aprire la scatola nera della concertazione”32, indirizzando l’analisi sul modo in cui essa è stata intesa e gestita nell’ambito della definizione di una politica pubblica.

La ricerca individua tre punti centrali di interpretazione della vicenda Place Neuve: la tempistica (in che momento la concertazione è intervenuta nella gestione del progetto); la selezione degli attori coinvolti; le modalità o logiche di negoziazione.

Figura 5 - Manifestazione su tematiche internazionali in Place des Nations a Ginevra

 

Tempistica. Riportando il verbale della prima seduta di concertazione, la Fondation Braillard nota che essa è stata organizzata per permettere ai costruttori del parcheggio e ai ricorrenti di individuare obiettivi comuni; però la riunione è stata convocata “quando il progetto di parking sotterraneo […] è già largamente definito e le posizioni degli attori sono determinate”33. Viceversa, “numerosi studi di pianificazione strategica hanno mostrato che questo lavoro di messa in presenza degli attori e di esplicitazione degli interessi, deve avvenire prima della definizione del progetto, se si intende creare una dinamica positiva”34. Qui la ricerca richiama la differenza tra procedure di tipo problem solving e di tipo problem setting: nel primo caso il problema da risolvere è già posto; nel secondo, è il problema stesso che deve essere costruito collettivamente. Nel caso di Place Neuve, la concertazione interviene nel momento in cui le decisioni sono già prese (realizzazione del parcheggio) e non consente la definizione di una cornice comune da cui far emergere la soluzione. La logica è più quella di ottenere consenso che quella di costruirlo intorno ad un’ipotesi condivisa di sviluppo.

Figura 6 - Progetto laureato per la sistemazione di Place Neuve (Studio Descombes di Ginevra)

 

Selezione degli attori. “Solo le persone o i gruppi abilitati a depositare [ufficialmente] opposizioni al progetto sono stati coinvolti nel processo di concertazione”35, sicché il numero degli attori effettivamente implicati è stato molto ridotto. La procedura dunque, secondo la Fondation Braillard, non ha risposto né ai principi della rappresentanza (esponenti delle differenti forze politiche e sociali), né a quelli della partecipazione. A quest’ultimo riguardo la ricerca nota che “un approccio partecipativo tende a identificare tutti gli attori interessati (anche se restano silenziosi) per cercare di integrarli con diverse modalità nel processo di negoziazione. Il vantaggio consiste nel coprire con una certa esaustività l’estensione dei problemi e degli interessi, invece di occultarli all’inizio per vederli poi rispuntare dalla finestra”36. In definitiva, la selezione degli attori non è derivata da un’analisi globale della situazione, e perfino i pochi soggetti coinvolti non hanno partecipato a tutte le fasi.

Modalità o logiche di negoziazione. La scelta di avviare la consultazione37 sulla base di una decisione già presa “ha indotto necessariamente una logica negativa di compensazione piuttosto che una logica costruttiva di elaborazione di una soluzione”38. Qui la Fondation Braillard cita la differenza tra regime di sviluppo e regime simbolico e di apprendimento reciproco, accomunando il processo per Place Neuve al primo tipo. Quest’ultimo si instaura tra pochi portatori di interessi sulla base di un do ut des: “l’avvicinamento dei punti di vista [avviene] sulla base di un mercanteggiamento”39. Il regime simbolico è piuttosto un “dispositivo d’organizzazione, […] un processo di lavoro che permette l’espressione del maggior numero possibile di saperi e conoscenze differenti”40. Effettivamente, in questo contesto, lo stesso progetto di pedonalizzazione della piazza sembra ridursi ad un espediente compensativo rispetto al parcheggio: quando il referendum boccia il diritto di superficie ai costruttori, l’intero programma urbanistico è compromesso.

In definitiva, “la questione non è quella della concertazione in sé, ma della sua adeguatezza ad una situazione data, delle sue finalità, del momento del suo innesco e delle sue modalità di funzionamento”41.

 

 

Conclusioni

 

Veniamo ora, concludendo, alla questione più volte evocata dell’interesse pubblico. È evidente che “una definizione coerente dell’interesse pubblico deve essere al centro dei progetti di pianificazione di spazi pubblici”42: le proposte per Place des Nations e Place Neuve “non sono state considerate, manifestamente, come di interesse pubblico da parte della popolazione ginevrina”43. Che cos’è dunque l’interesse pubblico, il bene comune, su cui fondare politiche pubbliche in generale, e politiche urbane in particolare? Come definirlo all’interno dei processi di pianificazione?

La risposta della Fondation Braillard è quella ormai ampiamente suffragata dalla letteratura specialistica: “Il bene comune non è identificabile a priori […] non può, non può più, essere postulato: esso deve essere costruito”44.

Molti autori sono in effetti concordi nel ritenere che in una società complessa, fortemente differenziata, articolata in piccoli gruppi e minoranze, l’interesse comune diventa sempre più difficile da elaborare e determinare. Di certo, siamo ormai “lontani da una situazione in cui il parere degli esperti45 sui bisogni della popolazione possa essere enunciato come verità intangibile”46, da cui derivare automaticamente una linea di azione pubblica. Viceversa, sono gli attori stessi nel loro complesso, all’interno di una situazione data, che devono contribuire alla definizione di un interesse pubblico il più possibile rappresentativo e condiviso, e da ciò derivare le politiche di intervento pubblico. “La partecipazione – nelle forme più varie – a questo processo, fin dal suo inizio, degli abitanti, degli utenti, dei cittadini e di tutti gli attori coinvolti, diventa essenziale. Non si tratta più soltanto di discutere su proposte differenti o di migliorare le soluzioni proposte, ma di coprodurre il quadro di riferimento e la formulazione stessa dei problemi”47. In altri termini, agire in una società fortemente differenziata vuol dire passare dall’interesse generale sostanziale all’interesse generale procedurale: “Una decisione non può più essere considerata come d’interesse generale o comune solo in considerazione della sua sostanza oggettiva. È la maniera, la procedura attraverso cui essa è stata elaborata ed eventualmente coprodotta dagli attori coinvolti che le conferisce, infine, il suo carattere di interesse generale”48.

Se dunque la prospettiva non è più funzionalista e lineare ma generativa49 e iterativa, “l’identificazione e messa in relazione degli attori costituiscono […] elementi centrali”50. Cosa significa tutto ciò, più esattamente, nei processi di pianificazione urbana e territoriale?

Identificazione degli attori. L’identificazione degli attori comincia evidentemente da una lettura adeguata del territorio. “Descrivere il territorio nella sua complessità (nel suo spessore) vuol dire […] comprendere ciò che un territorio significa, almeno nelle sue dimensioni essenziali, per differenti categorie di attori. Procedere ad una tale lettura costituisce il prerequisito fondamentale della gestione di qualunque progetto”51. All’analisi spaziale occorre dunque accompagnare l’analisi sociale relativa agli usi del territorio stesso da parte delle differenti categorie di attori o stakeholders, cioè “procedere ad un’altra cartografia […], quella degli attori, [che sia in grado] di individuarli in maniera larga, inclusiva, ossia senza omettere quelli che non detengono a priori né voce, né potere”52.

Figura 7 - Giornale degli abitanti del centro cittadino: appello referendario contro la costruzione del parcheggio sotterraneo in Place Neuve

 

Messa in relazione degli attori. L’individuazione preliminare degli attori e dei loro interessi fondamentali al momento dell’analisi territoriale consente solo di formulare ipotesi provvisorie da sottoporre a verifica nelle fasi successive. L’obiettivo è infatti quello di coinvolgere il maggior numero possibile di soggetti nel processo di pianificazione consentendo l’espressione diretta di aspettative, bisogni, valori e punti di vista, e “ciò di preferenza fin dalle prime fasi”53. I vantaggi di questa procedura sono molteplici. Essa crea le condizioni per il riconoscimento del problema stesso da risolvere (problem setting) e per una definizione coerente dell’interesse pubblico; consente di far emergere in modo precoce contraddizioni e conflitti, che opportunamente interpretati possono trasformarsi in risorse del processo; permette di individuare soluzioni realistiche perché ampiamente rappresentative e condivise.

In questo senso, la Fondation Braillard individua due strumenti fondamentali. Anzitutto la creazione di “luoghi pubblici di progetto”54, ossia spazi di confronto (forum, arene, laboratori, ecc.) che permettano sia l’espressione di sé dei partecipanti, sia la conoscenza di altre opinioni, e dunque ambienti di elaborazione di contraddizioni ma anche di convergenze possibili. I due casi esaminati di Place des Nations e Place Neuve hanno messo in luce l’effetto rovinoso sui progetti urbani di posizioni rigidamente contrapposte.

Il secondo strumento indicato dalla Fondation Braillard è quello relativo alla definizione di un adeguato metodo di dialogo, attento in modo particolare al linguaggio utilizzato. “I luoghi pubblici di progetto sono spesso dominati da modi di pensare e di organizzare i problemi che inibiscono le voci di certi attori e limitano lo sviluppo di nuove idee”55. L’animatore, o gli animatori, di tale dialogo devono perciò ricoprire un triplice ruolo: di tipo maieutico (che facilita la formulazione di bisogni e opinioni diverse), del mediatore (che identifica punti di contatto tra divergenze), dell’esperto (che fornisce una conoscenza specializzata, possibilmente multidisciplinare). L’obiettivo è far coevolvere differenti comunità di interessi verso un sapere comune (che emerge dall’interazione e quindi non preesiste alla stessa), evitando “che ci si fissi troppo presto su opzioni d’azione”56 a vantaggio di una valutazione esauriente di scenari alternativi, e quindi di “una appropriazione collettiva della strategia così definita”57.

Naturalmente, tali procedure non sostituiscono il progetto vero e proprio. “Esse permettono piuttosto di innescare una dialettica feconda tra una definizione (provvisoria ma coerente) del bene comune e le concezioni urbanistiche e architettoniche”58, elaborate dallo specialista in termini di concrete soluzioni spaziali.

Infine, un’ultima domanda è d’obbligo. Le vicende narrate sono tipicamente svizzere, oppure hanno una validità generale? In realtà, una società civile fortemente articolata, e organizzata in associazioni, comitati e gruppi d’interesse, che possono ricorrere con una certa facilità a strumenti di tipo referendario, sono la norma piuttosto che l’eccezione nelle moderne democrazie avanzate. Costituiscono cioè vincoli con cui ogni progetto deve oggi misurarsi, “e non conducono fatalmente alla sconfitta”59 di tutti i tentativi di trasformazione.

Anche in Italia, le riforme per il decentramento amministrativo (revisione del titolo V della Costituzione e legge 142/1990, oggi Testo unico degli enti locali) hanno sancito la generalità del ricorso alla sussidiarietà orizzontale e a forme variegate di democrazia diretta a livello locale. Il fatto che se ne faccia ancora oggi scarso uso pratico, e che le politiche urbane restino prevalentemente di tipo top-down, hanno forse l’effetto di occultare l’esclusione o il dissenso di ampi settori di società civile dai processi di pianificazione urbana, ma non di eliminare le conseguenze profonde di politiche pubbliche centralistiche. Come abbiamo visto, gli esclusi dalle scelte hanno la tendenza a presentare successivamente il conto, o in termini di rigetto referendario, oppure in termini (come è piuttosto il caso italiano) di scollamento crescente tra amministratori e amministrati, di erosione di senso civico, spirito di appartenenza, capitale sociale, valori di riconoscimento e reciprocità, con costi indiretti in certi casi altissimi.

Ce n’è dunque abbastanza per riflettere su scelte pubbliche e procedure come quelle adottate, ad esempio, per il sottopasso di via Acton a Napoli, sul quale lo stesso Massimiliano Fuksas ha invitato recentemente alla massima cautela60, forse anche sulla base dell’infelice esperienza ginevrina.

 

Figura 8 - Manifesto pubblico favorevole alla concertazione per il progetto Place Neuve

 

Note

 

1 Fondation Braillard Architectes, Lendemains d’échecs. Conduite de projets et aménagement d’espaces publics à Genève, Ginevra, maggio 2000, www.braillard.ch; direzione di Ola Söderström, ricerche e testi di Ola Söderström, Béatrice Manzoni e Suzanne Oguey. La ricerca, svolta nell’arco di dodici mesi, è basata su materiali documentari e interviste a testimoni privilegiati.

2 Sylvain Malfroy, Michel Nemec, Du dessein au dessin, in “Faces. Journal d’Architecture”, n. 36, 1995, p. 11. Per una contestualizzazione storica dell’esperienza ginevrina come sede di organizzazioni internazionali si veda anche: André Corboz, Genève ou la triple métamorphose, Swissair Gazette, n. 5, 1987.

3 Alain Léveillé (a cura di), Formation et transformation du secteur des Organisations internationales à Genève. Etude d’aménagement de la Ville de Genève, deuxième phase d’étude, 1981 (non pubblicato); cit. in: Fondation Braillard Architectes, Lendemains d’échecs. Conduite de projets et aménagement d’espaces publics à Genève, cit., p. 11.

4 Sylvain Malfroy e Michel Nemec ricordano che circa il 65% delle spese delle organizzazioni internazionali sono effettuate in Svizzera e soprattutto a Ginevra, e che sono circa 80.000 i posti di lavoro direttamente o indirettamente imputabili alla presenza di queste organizzazioni. Lo sviluppo del polo internazionale ha indotto effetti moltiplicatori sul terziario, il commercio e il settore alberghiero, anche nei segmenti di lusso, contribuendo in modo significativo al nuovo progetto economico della città nel secondo dopoguerra. Sylvain Malfroy, Michel Nemec, Du dessein au dessin, cit.

5 Gli altri classificati sono nell’ordine: Peter Eisenman, Sumet Jumsai, Thomas Wang, Coop Himmelblau, Rem Koolhaas, Dominique Perrault e Baillif&Loponte. Della giuria fanno parte rappresentanti delle organizzazioni internazionali, della Confederazione Elvetica, dello Stato e della Città di Ginevra, dell’Università, architetti e urbanisti di rilievo internazionale, tra cui Norman Foster e Bernardo Secchi. Per un’analisi esauriente di tutti i progetti classificati si veda: Sylvain Malfroy, Michel Nemec, Genève, concours Place des Nation. Quel lieu symbolique pour les organisations internationales?, in “Faces. Journal d’Architecture”, n. 36, 1995, p. 5.

6 Département des travaux publics et de l’énergie, Rapport du jury, Ginevra, 1995; cit. in: Fondation Braillard Architectes, Lendemains d’échecs. Conduite de projets et aménagement d’espaces publics à Genève, cit., p. 16.

7 Sylvain Malfroy, Michel Nemec, Genève, concours Place des Nations. Quel lieu symbolique pour les organisations internationales?, cit., p. 12. Corsivo dell’autore.

8 Fondation Braillard Architectes, Lendemains d’échecs. Conduite de projets et aménagement d’espaces publics à Genève, cit., p. 24.

9 Ibidem, p. 21.

10 “Il rapporto complesso tra il settore internazionale e il resto della città […] è stato analizzato in modo insufficiente”, ibidem, p. 24.

11 Sylvain Malfroy, Michel Nemec, Du dessein au dessin, cit.

12 Fondation Braillard Architectes, Lendemains d’échecs. Conduite de projets et aménagement d’espaces publics à Genève, cit., p. 24.

13 Département des travaux publics et de l’énergie, Place des Nations Genève, 1996; cit. in: ibidem, p. 17.

14 “Questa proposta identifica basi minime di progetto e si fonda sull’idea di una programmazione aperta in grado di considerare le incertezze legate al contesto urbano attuale e al suo sviluppo”, ibidem.

15 “Or, les refoulés du projet ont tendance un jour ou l’autre à effectuer leur retour …”, ibidem, p. 24. Corsivo dell’autore.

16 Ibidem, p. 14.

17 I progetti architettonici saranno elaborati fino allo stadio dei permessi di costruzione, ibidem, p. 17.

18 Di tale Comitato fanno parte, tra gli altri, Wwf Ginevra, Federazione delle associazioni di quartiere e di abitanti, Alleanza di sinistra, Partito del Lavoro, Indipendenti e Solidarietà, Verdi, Gioventù socialista, ibidem, p. 19.

19 Come è noto, il carattere direttoriale della forma di governo vigente in Svizzera (basata sulla non revocabilità del governo fino alla scadenza naturale del mandato) prevede come contrappeso l’esercizio agevolato del referendum. Per l’indizione del referendum su Place des Nations è stata sufficiente la raccolta di 4910 firme, ibidem, p. 21.

20 Ibidem, p. 19. Corsivo dell’autore.

21 Ibidem, p. 21. Su questi temi la ricerca della Fondation Braillard cita più volte i lavori di Michel Conan, L’évaluation constructive, Ed. de l’Aube, 1998, e di Patsy Healey, Collaborative Planning. Shaping Places in Fragmented Societies, Macmillan, Londra, 1997.

22 Ibidem, p. 22.

23 Ibidem.

24 Tribune de Genève, 10 aprile 1995 (titolo e autore dell’articolo non riportati); cit. in: ibidem.

25 Ibidem, p. 23.

26 Va detto che il Consiglio di Stato, organo esecutivo dello Stato di Ginevra, avrebbe potuto perseguire ugualmente la realizzazione del progetto senza tenere conto della volontà popolare, ma non ha ritenuto opportuno avvalersi nel caso specifico di tale prerogativa, ibidem, p. 13.

27 Ibidem, p. 25.

28 Ibidem, p. 5.

29 Ibidem.

30 Ibidem.

31 “Il rifiuto del progetto Place Neuve è la rappresentazione di una democrazia paralizzante. Tutti sono perdenti oggi, salvo coloro che adorano che niente cambi, niente migliori mai”, Tribune de Genève, intervista al Consigliere di Stato, Gérard Ramseyer, 28 settembre 1998; cit. in: ibidem, p. 29.

32 Ibidem, p. 30.

33 Ibidem, p. 32.

34 Ibidem.

35 Ibidem.

36 Ibidem, p. 33.

37 Qui la ricerca, citando un lavoro di Fareri, distingue tre tipi di partecipazione nell’analisi delle politiche pubbliche: pubblicità, consultazione e partecipazione propriamente detta; la procedura messa in atto per Place Neuve sarebbe del secondo tipo perché introdotta “nella fase intermedia tra la messa a punto delle soluzioni e la decisione finale”, P. Fareri, Ralentir, in: Ola Söderström et alii, L’usage du projet. Analyser les pratiques sociales et concevoir le projet architectural et urbain, Payot, Losanna, 2000; cit. in: ibidem, p. 34.

38 Ibidem.

39 G. Novarina, La construction des demandes sociales par le projet d’urbanisme, in “Les annales de la recherche urbane”, n. 80-81, 1998, che si rifà alla teoria dei regimi urbani di Clarence Stone; cit. in: ibidem.

40 Ibidem.

41 Ibidem, p. 35.

42 Ibidem.

43 Ibidem.

44 Ibidem.

45 “Gli eletti locali, lo Stato, gli urbanisti e gli esperti di tutte le discipline hanno sempre meno la possibilità di fondare le loro azioni e le loro proposte su un interesse generale, oppure su obiettivi comuni unici”, François Ascher, Les nouveaux principes de l’urbanisme, Ed. de l’Aube, 2001; traduzione italiana in corso di pubblicazione.

46 Fondation Braillard Architectes, Lendemains d’échecs. Conduite de projets et aménagement d’espaces publics à Genève, cit., p. 37.

47 François Ascher, Les nouveaux principes de l’urbanisme, cit. Corsivo dell’autore.

48 Ibidem.

49 Fondation Braillard Architectes, Lendemains d’échecs. Conduite de projets et aménagement d’espaces publics à Genève, cit., p. 37. La locuzione “approccio generativo” è ripresa da Michel Conan, op. cit.

50 Ibidem, p. 38.

51 Ibidem.

52 Ibidem, p. 39.

53 Ibidem.

54 Ibidem.

55 Ibidem, p. 40, citando ancora Patsy Healey, op. cit.

56 Ibidem.

57 Ibidem.

58 Ibidem.

59 Ibidem, p. 9.

60 Carlo Franco, Fuksas: il tunnel di via Acton? Napoli merita rispetto, in “Corriere del Mezzogiorno”, 17 marzo 2005. “Se volete il mio parere – afferma Fuksas nell’intervista – dico che è giusto lavorare nel sottosuolo solo se si deve costruire una stazione”. E riferendosi all’esperienza del Forum les Halles a Parigi, aggiunge: “Bisogna stare molto attenti, lì hanno rasato i mercati, qui se si sbaglia le conseguenze sono ben più gravi”.

 

 

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