Numero 8/9 - 2004

 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Innovazioni disciplinari e sperimentazioni epistemologiche. I master universitari


Gianfranco Franz


 

Nel 2004 la Facoltà di Architettura dell’Università di Ferrara ha organizzato, in collaborazione con tre Università latino-americane, un master di II livello in Programmazione di ambienti urbani sostenibili. Gianfranco Franz, direttore del master, svolge alcune riflessioni disciplinari sulla base della sua personale esperienza didattica

 

 

Il caso del Master Mapaus dell’Università di Ferrara

 

Non è consueto svolgere riflessioni disciplinari a partire da un’esperienza didattica, in particolare se le riflessioni emergono a partire da un master, quindi da corsi post laurea che si innestano a volte occasionalmente, altre volte con continuità, spesso comunque in modo eccezionale rispetto alla normale macchina didattica, organizzativa e amministrativa di Facoltà e Dipartimenti.

Devo, quindi, ringraziare la direzione di areAVasta per avermi suggerito proprio questo tipo di esercizio sulla base della personale esperienza di direttore della seconda edizione del Master in Programmazione di ambienti urbani sostenibili, master di II livello organizzato dalla Facoltà di Architettura di Ferrara in collaborazione con tre Università latino-americane e sostenuto da numerosi sponsor ed enti pubblici italiani1. Colgo questa occasione per cercare di riordinare alcuni ragionamenti e considerazioni che, da alcuni anni, i docenti dell’area di pianificazione territoriale di Ferrara hanno sviluppato. Prima di fare ciò, riporto brevemente il contenuto di un colloquio avuto con Federico Venturi, rappresentante degli studenti di Architettura nel Consiglio di Facoltà, che nelle scorse settimane, al termine del periodo didattico del Mapaus (8 marzo-28 maggio 2004), per sostenere quanto grave fosse ormai la deriva dell’Università italiana, criticava lo sforzo prodotto per condurre il Master, mentre l’offerta didattica di base si starebbe impoverendo e livellando per favorire quella post laurea e a pagamento2. Non sono sicuro di aver convinto Venturi del contrario, ma forse sono riuscito ad avvicinarlo alle mie ragioni, alcune delle quali espongo di seguito.

 

 

Perché aumentano i master e quale vuoto riempiono?

 

I master aumentano di numero e di costo perché rappresentano indubbiamente un accessorio ormai indispensabile per facoltà e atenei e perché sono ritenuti – a volte erroneamente – un mezzo per fare cassa, per aumentare le entrate in luogo di un difficile e impopolare aumento delle tasse di iscrizione ai corsi di laurea. Ma queste sono risposte semplicistiche che non spiegano completamente il fenomeno, anche se sono giustificate qualora provengano da quegli studenti che vivono l’Università non solo per sostenere esami e conseguire un titolo.

I master, o almeno i migliori fra i tanti, troppi, offerti dalle Università italiane, proliferano perché vanno a colmare un vuoto, o meglio, delle smagliature che, progressivamente, si aprono fra gli spazi epistemici e pratici che separano o avvicinano famiglie disciplinari e campi del sapere completamente diversi e, fino a ieri, rigidamente separati. E proliferano perché la formazione universitaria di base non è più in grado, e sempre meno lo sarà, di rispondere adeguatamente all’aumento delle materie, all’acuminarsi e frammentarsi delle specializzazioni, all’aumento della complessità scientifica e della realtà. Solo venti anni fa, quando io ero matricola allo Iuav, i corsi di laurea in Architettura e i pochi in Urbanistica allora attivi non insegnavano, se non pionieristicamente, il disegno automatico e la modellazione digitale; il diritto urbanistico e, addirittura, i fondamenti del diritto amministrativo; la valutazione e le sue molteplici tecniche, la gestione urbana e la gestione e valutazione finanziaria dei progetti, la partecipazione, le politiche, l’inglese, il paesaggismo e, finalmente, il diritto ambientale, la valutazione ambientale, le tecniche di ingegneria ambientale, l’ecologia applicata, ecc.

Oggi gli studenti devono, quindi, affrontare da un lato, l’ampliarsi dei ventagli disciplinari – a cui necessariamente corrisponde il minore approfondimento delle discipline centrali e tradizionali – dall’altro, incontrano solo superficialmente o parzialmente una complessità prima sconosciuta. Questo stesso processo è vissuto preventivamente e in maniera non meno sofferta da docenti e ricercatori che, sia scientificamente sia nelle pratiche di ricerca o professionali, sperimentano ormai quotidianamente le trasformazioni imposte dallo sviluppo delle tecnologie, dei saperi, dei processi economici e sociali e l’emergere di nuove criticità, quella ambientale per prima.

Per una parte consistente dei giovani studenti di Architettura, aumento delle materie e scoperta della complessità si coniugano anche con una crescente capacità di mobilità internazionale. Solo venti anni fa, infatti, il Programma Erasmus, iniziativa alla quale l’attuale Università europea deve uno dei più straordinari processi di integrazione e di scambio che siano mai stati promossi, era soltanto un’idea della tecnoburocrazia comunitaria. Per non fare che un esempio, nel 1986, quattro o cinque studenti dello Iuav partirono con le prime borse Erasmus. Nel 2004 la sola Facoltà di Architettura di Ferrara ha inviato in Europa e nelle Università latino-americane 74 dei 150 studenti iscritti al IV anno, ricevendone altrettanti per periodi variabili fra i sei mesi e un anno. Si tratta di una trasformazione profonda, che cambia la mente e la visione del mondo degli studenti, li rende più intelligenti e capaci di confrontarsi con ciò che è diverso, sconosciuto, anche scomodo e, spesso, ne aumenta il desiderio e la necessità di proseguire gli approfondimenti e gli studi dopo la laurea.

 

 

Le esperienze della Facoltà di Architettura di Ferrara

 

Il Master Mapaus è lo stadio più recente di una sperimentazione didattica, ma anche di ricerca e di riforma dell’organizzazione della struttura tecnico-amministrativa dell’Università di Ferrara, avviata, nel 1994, per volontà di Paolo Ceccarelli, allora Preside della Facoltà di Architettura, con la prima edizione del Master in City Management, diretto da Gastone Ave. Si trattò di un’esperienza pionieristica di integrazione disciplinare, progettata per la formazione di una figura professionale che si andava imponendo in quegli anni e che necessitava della coniugazione di saperi diversi: dal diritto amministrativo alla finanza locale, dalle tecniche di gestione alle pratiche di pianificazione e così via.

Fra il 1999 e il 2001, grazie al finanziamento straordinario ottenuto dal Ministero dell’ambiente e al sostegno operativo e finanziario dell’Agac di Reggio Emilia, la Facoltà di Architettura organizzava il Master in Gestione ambientale e sviluppo sostenibile (Megas), ancora una volta promosso da Paolo Ceccarelli e diretto da Gastone Ave. Dal punto di vista della costruzione di un programma di studi interdisciplinare, il Megas fu un vero e proprio punto di svolta, trattandosi di un master biennale (lezioni dal venerdì al sabato), focalizzato sulla gestione ambientale e le pratiche di sostenibilità, destinato a dirigenti e funzionari dell’amministrazione pubblica locale e a tecnici dell’Arpa (dei 60 allievi solo una minoranza era laureata in Architettura, Pianificazione o Ingegneria) e a cui hanno insegnato quasi 100 docenti, provenienti da una quindicina di atenei, da imprese private e da pubbliche amministrazioni di ogni livello. Le materie insegnate in quel corso spaziarono, infatti, dalla termodinamica, come presupposto per spiegare i principi della sostenibilità, alle tecniche per il recupero dei corpi idrici; dalla pianificazione strategica alle pratiche per lo sviluppo locale; dalle tecniche di negoziazione e partecipazione alla allora quasi sconosciuta valutazione ambientale strategica, passando per le metodiche della valutazione di impatto ambientale e poi, ancora, diritto amministrativo e ambientale, sociologia delle organizzazioni, gestione finanziaria e aziendale, e così via.

Infine, nel 2000, rispondendo al bando per l’internazionalizzazione dell’Università italiana, promosso dal Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, la Facoltà ottenne il finanziamento del 50% dei costi di avvio del Master Mapaus, organizzato e promosso congiuntamente, nel 2001, dall’Università degli Studi di Ferrara e da Paranacidade, agenzia per la programmazione e la pianificazione dello Stato del Paranà in Brasile. Il Master si proponeva di formare, attraverso un’esperienza congiunta italo-brasiliana, quadri per il settore della pubblica amministrazione capaci di gestire la progettazione di ambienti urbani sostenibili. Il processo formativo, basato sulle competenze delle due istituzioni promotrici (accademiche e di governo del territorio, programmazione e gestione finanziaria dei progetti), metteva a confronto le diverse esperienze e condizioni dei due paesi, con l’obiettivo non secondario e poi centrato di contribuire alla creazione di reti internazionali di tecnici, operanti nelle pubbliche amministrazioni e nelle imprese private, capaci di mantenersi in contatto, aggiornandosi e scambiandosi materiali, indicazioni, modelli di intervento3.

Ricordare gli antecedenti non è un banale espediente per dare lustro alle iniziative promosse, quanto il modo più efficace per restituire sinteticamente le tappe di un processo di affinamento mai cristallizzatosi e anzi in continua evoluzione, sia organizzativa sia disciplinare. Il tratto distintivo dei tre corsi (Master CiMa I, II, III, IV; Master Megas; Master Mapaus I e II) è stato, infatti, fin dall’inizio quello di una interdisciplinarità tanto avanzata da creare, a volte, anche seri problemi di dialogo e di comprensione – si potrebbe dire di smarrimento – sia fra gli alunni sia fra i docenti. Tale caratteristica, richiedendo un’azione continua di monitoraggio e di coordinamento da parte dello staff direttivo e di coordinamento, ha trasformato quest’ultimo nel primo bersaglio della formazione. Da queste esperienze ho, quindi, tratto il convincimento che se chi si occupa di un master non trova occasione di apprendimento dal programma formativo che ha contribuito a definire, seguendo per quanto possibile le lezioni, significa che quel corso non presenta interessanti livelli di approfondimento, innovazione e ampliamento degli orizzonti, perché i master, a differenza della didattica di base, offrono la rara possibilità al singolo docente di utilizzare per il momento dell’esposizione didattica lo stadio più avanzato della ricerca.

 

 

Specializzazione, interdisciplinarità, transdisciplinarità

 

Infatti, se è vero che tanto l’interdisciplinarità accademica quanto l’intersettorialità amministrativa, rappresentano, dopo circa 40 anni di discettazioni e una sempre elevata difficoltà di applicazione, quasi un luogo comune dei discorsi epistemologici e dei ragionamenti sulle buone o migliori pratiche, è anche vero che alcuni hanno già iniziato a parlare di transdisciplinarità, sostantivo forse più adeguato nell’epoca del transgender, delle mutazioni genetiche, delle transizioni accelerate e delle transnazionalità che producono transculturalità. Del resto, mentre il prefisso inter indica una posizione intermedia fra spazi definiti ed esprime reciprocità nel condividere determinati spazi comuni, mantenendo la titolarità sui propri specifici spazi, il prefisso trans sta a significare un attraversamento in atto da®a, fra uno spazio e un altro, altrettanto definiti inizialmente ma poi, in virtù dell’avvenuto attraversamento e della compenetrazione ottenuta, capaci di dar vita a qualcosa di unitariamente diverso e non solamente condiviso. E questa condizione, sempre più frequente nelle traiettorie disciplinari, epistemologiche e anche professionali di chi opera sulla frontiera dell’innovazione, costringe ad ascoltare, imparare, rinnovare la propria cassetta degli attrezzi, per affrontare, per esempio, i nuovi termini della pianificazione territoriale e urbanistica, ma anche la questione ambientale, la continua mutevolezza delle modalità di gestione e attuazione e così via enumerando.

Nei master che ho avuto la fortuna di coordinare e in quello che sto attualmente dirigendo, ho avuto la possibilità di verificare l’avvento di questa determinante trasformazione, come anche la permanenza di approcci semplicemente interdisciplinari, individuando anche le aree molli in cui si sta sviluppando transdisciplinarità e quelle più dure in cui permane l’interdisciplinarità. Ovviamente, la durezza o la mollezza di queste aree ha a che fare immediatamente con la classica – e anche discutibile – separazione fra scienze dure, scienze umane e discipline tecniche. Infatti, alcune discipline e alcune aree disciplinari (la sociologia, e in questa quella urbana, le scienze politiche, l’ecologia, l’urbanistica e la pianificazione, per esempio) sono maggiormente portate al meticciato culturale, per usare un’altra definizione in voga, rispetto ad altre ancora e sempre diffidenti verso le aperture ad altri mondi del sapere, altri paradigmi, altre tassonomie (la geologia, la biologia, la chimica, con l’eccezione di Enzo Tiezzi). Altre mi sembrano trovarsi a metà del guado (l’economia, la giurisprudenza, la statistica), in uno spazio nel quale alcuni singoli, o appartenenti a filiere accademiche ancora minoritarie, stanno tentando di innovare modelli e paradigmi interpretativi (gli economisti ambientali e gli amministrativisti), introducendo il territorio, il confronto fra le pratiche e l’analisi delle politiche all’interno dei loro saperi. Mi sembra comunque indiscutibile che la questione ambientale e la ribalta assunta in questi ultimi due decenni dalle politiche urbane e da quelle territoriali abbiano imposto definitivamente l’interdisciplinarità come metodo – di ricerca come anche di lavoro – mentre iniziano a porre la transdisciplinarità come fattore di innovazione4.

 

 

I Master fra rischi e opportunità

 

Se in termini epistemologici l’approccio transdisciplinare richiede non solo la predisposizione alla contaminazione ma, soprattutto, la capacità di assumere, metabolizzandoli con i propri, altri linguaggi e altri metodi, piuttosto che soffermarsi all’estrapolazione da altre discipline di metafore e figure retoriche esplicative, facendo proprie anche le ragioni altrui (per essere semplicistici: come conciliare le visioni dello sviluppo degli economisti con quelle della sostenibilità degli ecologisti?), in termini didattici lo sforzo non è minore.

Premesso che ritengo improbabile, per quanto detto sopra, riuscire a trasmettere compiutamente questo tipo di saperi e di complessità agli studenti dei corsi di laurea, il problema è come impartirli agli studenti di un master. I master possono essere ultraspecialistici, monodisciplinari o quasi, e interamente mirati a specializzare gli allievi su un determinato problema o pratica; oppure inter/transdisciplinari, cioè finalizzati a introdurre gli studenti in discipline e pratiche le più lontane dalle specializzazioni e dalle professioni degli alunni5. Questi ultimi sono quelli più delicati: possono, infatti, risolversi in un semplice bombardamento di nozioni, oppure costruire quadri di riferimento ampi, in cui il metodo, il processo e la narrazione delle pratiche emergono come i fulcri didattici, grazie ai quali, successivamente, gli allievi potrebbero approfondire e praticare la transdisciplinarità. Questa tipologia di master mira a formare un professionista capace di gestire la complessità e forse, un giorno, di coordinare gruppi interdisciplinari proprio grazie alla formazione transdisciplinare ricevuta. Didatticamente, quindi, i docenti di un master inter/transdisciplinare sono costretti a esercizi non semplici di misurata despecializzazione dei propri linguaggi e metodologie e di traduzione del proprio sapere per permetterne l’assimilazione da parte di allievi completamente estranei alla materia. E questo senza livellare e banalizzare, semmai accompagnando chi ascolta all’interno di nuovi labirinti. Si tratta di esercizi ad alto rischio di insuccesso, ma che entusiasmano gli allievi se compiuti con maestria e sensibilità didattica.

A mio avviso, malgrado il carattere precipuamente didattico e spesso discontinuo dei master, questi corsi comportano dei rischi ma anche opportunità sostanziali per una Università sempre più specializzata, ma che necessariamente dovrà arricchire la propria offerta post laurea per garantire formazione avanzata e adeguata per i giovani e aggiornamento per chi è già inserito nel mondo del lavoro. Fra i rischi maggiori si può temere un eccessivo utilizzo di questi corsi come mero strumento di business, giustificato dal presunto livellamento dell’offerta didattica pre-laurea e dagli scarsi stipendi dei docenti. L’opportunità principale risiede, invece, nel carattere extraordinario dei master rispetto alla canonicità dell’offerta didattica e alla lenta capacità di questa di rinnovarsi e aggiornarsi a causa, essenzialmente, di piani di studio particolarmente rigidi e uniformati. I master permettono, infatti, quello scambio interdisciplinare che la quotidianità del lavoro universitario vede sempre meno praticato, a causa del crescente carico didattico, del crescente carico burocratico-amministrativo assegnato ai docenti, della crescente proceduralizzazione a cui sono assoggettati, a causa delle croniche carenze di fondi e di personale, perfino i percorsi di ricerca; permettono, anche se solo temporaneamente, una maggiore mobilità dei docenti fra le sedi, altrimenti limitata ai seminari e ai convegni; rappresentano, infine, un eccellente strumento di travaso del sapere dal momento della ricerca o delle pratiche a quello della didattica.

 

 

Note

 

1 La seconda edizione del Master Mapaus è stata organizzata dalla Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Ferrara, in collaborazione con le Facoltà e i Dipartimenti di Architettura della Pontificia Universidade Catolica de Curitiba (Brasile), della Universidad Catolica de Cordoba (Argentina), della Universidad Tecnica Federico Santa Maria di Valparaiso (Cile); è stato sostenuto, sia per la parte didattica sia dal punto di vista finanziario, dalla Provincia di Reggio Emilia, dall’Azienda Gas Energia Ambiente Spa di Ferrara e dal Comune di Ferrara; è stato sostenuto finanziariamente anche dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Ferrara, dalla Camera del Lavoro di Ferrara e dall’Istituto Italo Latino Americano; ha ottenuto supporto didattico dalle Province di Bologna e di Modena e dal Comune di Ferrara.

2 La seconda edizione del Master Mapaus ha avuto un costo di iscrizione di euro 2.500 per gli allievi italiani e euro 500 per gli allievi latino-americani. Per sostenere finanziariamente i costi di soggiorno in Italia degli allievi latino-americani (alloggio e vitto per tre mesi) sono state essenziali le risorse messe a disposizione da sponsor e sostenitori. Anche il periodo di formazione che il Master organizza in Cile, Argentina e Brasile viene finanziato a tutti gli allievi del corso. Queste condizioni variano di anno in anno a seconda delle risorse esterne che il Master riesce ad ottenere.

3 La prima edizione del Master Mapaus ha avuto dieci allievi, di cui cinque italiani e cinque brasiliani, laureati in Architettura, Ingegneria, Economia.

4 Proprio per posizionare il master lungo il fronte più avanzato degli sviluppi disciplinari di molteplici materie, quasi paradossalmente, nel caso della seconda edizione del Mapaus ho voluto provare a riesumare il termine programmazione, ormai considerato un vecchio attrezzo della pianificazione e della gestione del territorio, da molto tempo scomparso perfino dalla letteratura disciplinare degli economisti, eppure sempre presente nelle difficoltà degli amministratori.

5 Il piano degli studi della seconda edizione del Master Mapaus ha annoverato contributi didattici dalle seguenti discipline: Diritto amministrativo; Diritto ambientale; Ecologia; Economia aziendale; Epidemiologia; Finanza locale e Finanza pubblica; Geologia; Ingegneria Ambientale; Pianificazione territoriale; Politiche pubbliche; Sistemi informativi territoriali; Sociologia urbana; Statistica; diverse Valutazione ambientale e Valutazione economica; Urbanistica.

Fra le tematiche che hanno rivestito un ruolo centrale nel corso del periodo didattico, sottolineo: la pianificazione di area vasta; la pianificazione strategica; la programmazione complessa; le tecniche e le pratiche di certificazione, di gestione, di negoziazione, di partecipazione, di valutazione.

Fra i principali contributi non accademici che hanno arricchito e completato il Mapaus ricordo: le pratiche di gestione aziendale dell’Azienda Gas Energia Ambiente di Ferrara nella fornitura di servizi ambientali; le pratiche di pianificazione territoriale del Comune di Ferrara e delle Province di Bologna, Reggio Emilia e Modena; le azioni ambientali promosse dal Comune e dalla Provincia di Ferrara; i casi di conflitto urbano emersi a Bologna rispetto a intenzioni di riqualificazione urbana.

 

 

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