Numero 8/9 - 2004

 

la riqualificazione ambientale 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Attività estrattiva e disciplina urbanistica


Ginevra Balletto


 

La disciplina estrattiva gode di una autonomia propria rispetto a quella urbanistica, che comunque interviene nella regolamentazione delle opere e dei manufatti di supporto alle aree di cava e di miniera. Ginevra Balletto prende in esame il complesso dell’iniziativa legislativa regionale in materia, confrontando i diversi approcci adottati nel regolare il rapporto fra pianificazione territoriale e sfruttamento delle risorse del sottosuolo

 

 

 

 

Dopo numerose disquisizioni appare oramai consolidato il principio secondo cui l’attività estrattiva, sia di prima che di seconda categoria, non risulta assoggettata al regime di concessione introdotto dalla legge 28 gennaio 1977, n. 10 (cosiddetta legge Bucalossi), che ha imposto la concessione comunale per qualsiasi tipo di trasformazione nel territorio.

In particolare, l’art. 1 recita: “Ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del sindaco, ai sensi della presente legge”. Tuttavia la giurisprudenza, nel sottolineare l’autonomia della disciplina estrattiva rispetto a quella urbanistica, ha posto in evidenza come l’impiego della concessione per disciplinare il fenomeno estrattivo avrebbe comportato uno snaturamento e una utilizzazione distorta dell’istituto della stessa1.

Inoltre, la dottrina ha precisato come la concessione introdotta dalla Bucalossi non riguardi l’attività estrattiva, in quanto tale attività rientra nella specifica competenza dello Stato e delle regioni a statuto speciale e attualmente anche di quelle a statuto ordinario.

Infatti, la questione si basa sulla particolarità e sulla rilevanza economica della attività mineraria, tanto da poter rappresentare di fatto un limite alla potestà pianificatoria del comune, e allo stesso tempo essere obiettivo di pianificazione a livello regionale.

Tuttavia, se ciò vale per il giacimento da coltivare, altro discorso è per le opere fisse a servizio della miniera o della cava, che invece sono soggette alla disciplina urbanistica e, quindi, alla concessione edilizia.

Come è facile comprendere la questione non risulta semplice, tanto più che l’ambito della pianificazione urbanistica abbraccia ogni categoria di immobili, anche se appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato (quali, ad esempio, i giacimenti estrattivi)2.

Per tentare di organizzare al meglio il tema della discussione, pare interessante offrire una breve sintesi del quadro normativo riferito agli ultimi anni.

1  

 

In origine, si era delineato l’indirizzo secondo cui i lavori di ricerca e di coltivazione mineraria non trovavano limite nella diversa destinazione urbanistica della zona. In altri termini secondo la Cassazione (2 dicembre 1977, n. 5246) viene stabilito che “il riconoscimento da parte dello Stato per mezzo dei propri competenti organi amministrativi e tecnici, delle condizioni di idoneità del proprietario del fondo, scopritore della miniera, per l’esercizio del relativo sfruttamento e il rilascio della concessione stessa, costituendo esercizio del diritto di proprietà dello Stato sulla miniera con l’attribuzione al detto privato concessionario del diritto di utilizzazione della medesima, mutano la destinazione del fondo oggetto della concessione, dovendo esso essere destinato al detto uso e sfruttamento; la concessione comporta pertanto il sorgere di un’impresa, che deve svolgersi con il carattere di industria privata sulla miniera, alla quale resta subordinata la coltivazione agricola del fondo; anche i possessori di questo non possono quindi opporsi alle opere inerenti alla concessione e considerate dall’art. 32. Rd 29 luglio 1927, n. 1443 di pubblica utilità; contro l’atto amministrativo di concessione non vale perciò né l’eventuale vincolo derivante dal carattere rurale della zona, riconosciuto dal piano regolatore comunale, né la proroga del contratto di affitto a scopo agricolo, che viene pertanto a cessare”. Con il Dpr 24 luglio 1977, n. 616, si è modificato l’orientamento secondo cui l’autorità statale nel rilasciare concessioni in materia mineraria, non può incidere su vincoli di destinazione urbanistica senza una preventiva intesa con l’autorità regionale e locale da raggiungere mediante le procedure dell’art. 81 del citato dispositivo.

Anche il Consiglio di Stato (5 ottobre 1984, n. 571) ha stabilito che l’autorità statale, nell’emanare provvedimenti concessivi in materia mineraria, non può incidere su vincoli paesaggistici e di destinazione urbanistica senza una preventiva intesa con l’autorità regionale e locale, intesa che deve essere raggiunta seguendo la procedura prevista dall’art. 81 del Dpr 24 luglio 1977, n. 616 - Delega alle regioni a statuto ordinario in numerose materie. In altri termini, possiamo affermare che l’attività estrattiva continui a soffrire per le numerose difficoltà anche dovute ai conflitti delle destinazioni urbanistiche. Ma l’aspetto ancora più grave è dato dalla mancanza di un chiaro rapporto tra attività mineraria e pianificazione urbanistica comunale. La pianificazione può infatti ignorare l’esistenza di un giacimento e prevedere una destinazione diversa da quella compatibile con l’attività estrattiva, ma non può interferire con essa, una volta dimostratane la validità economica, pur con le necessarie garanzie ambientali. Una strategia che si è cercato di attuare, ma con modesti risultati, è quella dell’intesa obbligatoria tra l’autorità amministrativa mineraria e i comuni. Le principali motivazioni frenanti riscontrabili sono: il timore degli elevati impatti ambientali; le iniziative sovralocali interpretate come vere e proprie ingerenze; la difficoltà di definire nuove funzioni per i siti estrattivi una volta dismessi.

A tal proposito sempre il Consiglio di Stato (5 novembre 1991, n. 905) ha affermato che “l’autorità urbanistica locale non può disporre unilateralmente la destinazione urbanistica dei beni statali”.

Tale complessa situazione ha richiesto l’esame della variegata normativa regionale di settore. Dalla sua attenta valutazione si è potuto verificare che sia il Molise che la Calabria risultano sprovviste di una specifica legge di settore in materia estrattiva e, quindi, anche di un apposito strumento di mediazione tra l’attività estrattiva e il piano urbanistico. In particolare, si potuto constatare che 11 su 21 regioni e province autonome hanno demandato la procedura amministrativa per il rilascio delle concessioni ai comuni e/o alle province, senza mai coinvolgere il livello politico. In altri termini, le deleghe sono state ben esplicitate nelle normative, non lasciando nessun margine di interferenza politica sull’atto amministrativo (Tabella 1).

Tabella 1

 

Viceversa, soltanto 8 regioni su 21 mantengono la facoltà di rilasciare concessioni estrattive. Un caso a parte è rappresentato proprio dalla Regione autonoma della Sardegna, la cui legge di settore prevede, nel caso l’attività estrattiva non fosse coerente con lo strumento urbanistico comunale, la necessità della approvazione del Consiglio comunale. In tal modo, un atto che dovrebbe essere regolamentato in termini amministrativi diviene praticamente di competenza di un organo politico, creando conseguentemente numerosi conflitti e venendo meno alla linea giurisprudenziale del Consiglio di Stato, come sopra citata.

Una nota invece più che positiva è rappresentata dalla quasi piena volontà delle regioni e province autonome (19/21) di dotarsi di uno strumento di coordinamento delle attività estrattive, volontà che tuttavia non ha avuto piena attuazione, tanto che meno di 10 tra regioni e province autonome hanno completato l’iter di approvazione di detto strumento (Tabella 2).

Tabella 2

 

Inoltre è stato possibile evidenziare quanto fosse importante il parere di una apposita commissione di valutazione ai fini del rilascio della concessione estrattiva. In tal senso si è potuto riscontrare che ben 12 regioni e province autonome su 19, che hanno legiferato in materia estrattiva, hanno riconosciuto un ruolo tecnico-scientifico ad una apposita commissione, al fine di valutare con maggior rigore i numerosi aspetti interdisciplinari che caratterizzano il settore minerario.

Aspetto di certo non trascurabile è stato poi evidenziato dalla scelta di ciascuna regione e provincia autonoma di dotarsi di un catasto dei giacimenti estrattivi, sia in produzione che dismessi, anche al fine di meglio localizzare, reperire e soddisfare il fabbisogno di minerali. A tal proposito ben 15 regioni e province autonome su 19 hanno evidenziato la fondamentale importanza di detto strumento.

Inoltre, è da sottolineare che ben 16 regioni su 19 hanno posto l’accento sulla riqualificazione dei siti estrattivi dismessi, prevedendo nelle rispettive leggi di settore apposite procedure per tale riqualificazione.

In ultimo, non certo l’importanza dell’oggetto, si è potuto constatare che ben 13 regioni e province autonome su 19 hanno esplicitato nella rispettiva normativa di settore “il prevalere dell’attività estrattiva sulla destinazione urbanistica”, con ciò confermando il ruolo sovraordinato di detta attività produttiva sulla destinazione d’uso del suolo.

Infatti, solo 5 regioni e province autonome su 19 richiedono la coerenza tra il piano urbanistico e attività estrattiva, sollevando non pochi problemi per il suo conseguimento. Tra queste rientra anche la Regione autonoma della Sardegna che a tal proposito può annoverare una lunga polemica politico-amministrativa, tuttavia con scarsi risultati.

Per concludere, le numerose e varie iniziative previste a livello normativo di mediazione fra il momento economico-produttivo e quello urbanistico-ambientale, si può affermare che non hanno praticamente raggiunto gli auspicati risultati. Ciò dimostra che il livello di maturità nell’affrontare e superare tale discrepanza non si sia ancora raggiunto, forse anche a causa della eccessiva complessità dei meccanismi finora previsti e nei fatti attuati.

 

 

Note

 

1 A tal proposito la Corte di cassazione ha stabilito che “l’art. 1 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, non può essere interpretato nel senso che ogni attività che si svolge sul territorio sia assoggettata all’apposita concessione da parte del sindaco” (Cass. pen. - sez. un. - 13 ottobre 1993).

2 Il regime giuridico delle cave nella legislazione statale. Tratto da G. Balletto, Attività di cava e recupero ambientale, Cuec, 1999.

 

 

Bibliografia

 

Sertorio M. (2003), Miniere e cave tra disciplina nazionale e regionale, Il sole 24 ore.

Balletto G. (1999), Attività di cave e recupero ambientale, Cuec.

Codici leggi regionali (2003), Utet.

Grancini L. (1992) (a cura di), Recupero delle cave dismesse: valutazione delle suscettività ambientali e delle potenzialità di riuso, IReR (Istituto regionale di ricerca della Lombardia), Milano.

Nizzero G. (1987) (a cura di), Quaderni di documentazione. Le cave tra interesse alla produzione e governo del territorio. Materiali per la disciplina legislativa a livello regionale, Ras.

 

 

La fotografia 1 Centro Direzionale di Napoli è tratta dal repertorio di G. Balletto.

 

 

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